Presentata alla festa una lettera ai parroci per condividere il bello
Transcript
Presentata alla festa una lettera ai parroci per condividere il bello
DOSSIER Domenica 5 febbraio 2017 LA VITA DEL POPOLO 7 Il dialogo che costruisce SFOGLIA LA FOTOGALLERY I l momento centrale della Festa della famiglia di domenica 29 gennaio è stato l’intervento dei coniugi Flavia Marcacci e Roberto Contu su un tema di grande attualità per la società di oggi, e per la famiglia in particolare: “Comunicare con amabilità in coppia e in famiglia ai tempi di internet”. A loro abbiamo chiesto di spiegarci che cosa significa oggi comunicare in famiglia, immersi in un mondo in cui la comunicazione sembra pervadere le nostre vite. Perché è così importante riscoprire la comunicazione nella coppia? Se la coppia non dialoga non può neanche costruirsi. Il dialogo non è la comunicazione di impegni necessari, pur accessori. Non è l’organizzazione del giorno della settimana. Quella è importante perché ogni buona coppia deve cooperare sul piano organizzativo. Il dialogo non è neanche la comunicazione di qualsiasi mio sentimento all’altro. Dialogare è scendere nell’intimità, consegnarsi reciprocamente nei vissuti, nelle idee e nelle emozioni per conoscersi, e soprattutto per costruirsi quel “noi” che, pian piano negli anni di cammino matrimoniale, diventa precondizione dell’«io» e del «tu». Questo richiede di saper scegliere i tempi giusti in cui dialogare, destinare al dialogo un calendario preciso, non casuale o inadatto. Non è facile, visti i ritmi delle famiglie di oggi. Ma si può fare. E chi lo fa, nota fin da subito i benefici, tali da rendere più leggeri anche i ritmi di vita. Quali sono gli ingredienti di una comunicazione amabile nella coppia? E in famiglia? Innanzitutto definiamo la parola amabile, che significa “capace di ispirare amore, simpatia, tenerezza”. Se ci fermiamo un momento a pensare al significato, capiamo subito quanto conti essere amabili in famiglia. Troppe volte diamo per scontato che siano gli altri famigliari a doverci amare, ma non è così. La vita famigliare richiede una partecipazione attiva e positiva tale da metterci in discussione noi per primi. Cosa ci rende gradevole all’altro, all’altra? Cosa permette di meritarmi che l’altro mi ami? Saper gestire le proprie negatività è essenziale per non far- le ricadere gratuitamente sull’altro. La comunicazione dovrebbe essere il segno di questa amabilità. Significa che esistono regole per rendere la comunicazione sana in famiglia. Ad esempio, meno spazio alla sola lamentela e più spazio a un linguaggio positivo, capace di sottolineare le cose buone degli altri componenti della famiglia. Oppure, sapere cosa piace all’altro, in modo da non costringerlo solo ad ascoltare cosa piace dire e sentirsi dire. La famiglia è il luogo in cui ognuno di noi diventa sempre meno un assoluto e sempre più si fa presente la reciprocità, nelle parole e nei gesti, perché non esiste solo la comunicazione verbale in casa, ma anche quella fatta di gesti e di silenzi, molto spesso più eloquente. Comunicare in un tempo in cui siamo sempre connessi (e in teoria più “comunicativi” che mai), che cosa significa? Significa che la sovraesposizione alle informazioni che caratterizza i nostri tempi sta cambiando i nostri modi di essere e di comunicare. Questo non è affatto male e può essere una vera opportunità. Negli ultimi anni il mercato del lavoro ha causato in molte famiglie la necessità di lavorare per periodi di tempo in WWW. OLO.IT ELPOP D TA VI LA città diverse. Non è l’ideale, ma pensate che cosa sarebbe se non ci fosse Skype! O quando un figlio va via per studiare. Ogni epoca ha dei cambiamenti rispetto a quella precedente e nella società attuale è cambiato proprio il modo di comunicare. Se prima il marito si seppelliva sotto il giornale a tavola e la moglie glielo toglieva vigorosamente da davanti, oggi ci sono gli smartphone che possono “seppellire” coppie e figli. Ieri come oggi si rischia di isolarci negli ambienti digitali, ma ieri come oggi la coppia e la famiglia hanno tutte le risorse per evitarlo. Se usano l’intelligenza. E’ possibile abitare questi La coppia e la famiglia hanno bisogno di comunicare in un modo capace di ispirare amore e tenerezza, con le parole e con i gesti, perché dialogare è conoscersi per costruire il “noi”. Ne sono convinti Flavia Marcacci e Roberto Contu, ospiti della Festa diocesana della famiglia ambienti (internet, i social) da cristiani, oppure bisogna sfuggirli, limitarli? Bisogna conoscerli. E conoscere le regole per abitarli. Fuggirli è inutile, considerarli luoghi neutri è dannoso. Alcuni studiosi dicono che oggi serve una ecologia dell’infosfera (l’insieme dei mezzi di informazione e comunicazione), una netiquette (un galateo della rete) per capire dove stiamo quando frequentiamo internet, e quindi per capire come starci. Come in casa non è bene insultare con parolacce e ferire, questo non dovrebbe accadere neanche in rete. Ingenuamente si crede che la rete sia neutrale e capace di sostenere qualsiasi pensiero ci passi per la testa. Non è così. Occorre avviare una riflessione seria su questo tema, visto che ormai ci sono molti studi in merito. Voi collaborate con la Casa della tenerezza di Perugia, nella quale vivono insieme famiglie, sacerdoti, persone consacrate. Qual è la “mission” di questo progetto? Crescere nella consapevolezza della bellezza del matrimonio cristiano, vivere la reciprocità delle vocazioni, costituirsi in spirito di vera fratellanza e comunione cristiana con altre famiglie, formare e rafforzare fidanzati e giovani sposi aprendo loro l’incredibile e miracoloso sce- nario dell’amore coniugale e familiare, E poi sostenere le coppie che si rivolgono a noi e vogliono essere aiutate a superare una crisi matrimoniale, accompagnare i separati e divorziati e i loro figli (che sono quelli che soffrono di più le separazioni, anche quelle più civili) facendo loro sentire la presenza di una Chiesa che li cura. Tutto questo, nella certezza che la tenerezza di Dio sia il sale della nostra vita. Per questo abbiamo un serrato calendario di eventi e incontri (www.casadellatenerezza.it) a cui tutti possono partecipare. Possiamo considerarlo un laboratorio di come potremmo vivere nelle nostre comunità cristiane, nelle parrocchie, la dimensione della collaborazione, della corresponsabilità, della comunione? Crediamo di sì. La Chiesa è bella per la molteplicità di esperienze e carismi. Sicuramente il nostro è un laboratorio di vita cristiana, nel quale già esiste anche una “clinica” per matrimoni in crisi (come ci definirono ormai una decina di anni fa). Dal nostro laboratorio è difficile uscire senza speranza, senza la convinzione che il matrimonio cristiano sia qualcosa da continuare ad annunciare con forza. (Alessandra Cecchin) Presentata alla festa una lettera ai parroci per condividere il bello delle proprie vocazioni A nche quest’anno nella sala dell’accogliente struttura di Paderno di Ponzano si avvertiva un’aria di famiglia, di comunità: le persone che partecipano alla Festa diocesana si riconoscono, si scambiano notizie, creando così un clima pronto ad accogliere la relazione dei coniugi Contu in un clima di partecipazione e ascolto. Incorniciato dall’Expo delle Idee e dell’arte, il tema di quest’anno “La comunicazione amabile in coppia e in famiglia ai tempi di internet” (che si lega al percorso di aggiornamento per sposi e gruppi famiglie su “La comunicazione ai tempi di whatsapp”) è stato svolto in modo semplice ma denso. Al termine due rock band cristiane hanno comunicato in musica la bellezza del matrimonio e dell’essere famiglia (“non c’è nulla di più trasgressivo oggi dell’amore indissolubile” hanno an- nunciato i “Minmiuaif&bra” inforcando un paio di occhiali da sole). Parallelamente è stata lanciata anche una iniziativa tutta particolare: un invito ai parroci della diocesi ad essere presenti a questa grande festa per poter condividere un momento con le famiglie. L’invito è stato accolto da alcuni, pochi per la verità, ma che speriamo diventino un piccolo seme... Poco prima della messa, presieduta dal nostro Vescovo, i nostri bimbi con gli animatori hanno presentato i loro laboratori svolti durante la mattinata. Il tema? Un invito “gridato” da un grande telefono cellulare di cartone, dove loro erano le icone in movimento, per invitare i nostri presbiteri a farsi presenti in famiglia, a giocare con i bambini, a condividere semplici momenti insieme. Poi le famiglie presenti hanno ricevuto il mandato di portare, una volta tornati a casa, una lettera al proprio parroco (“Caro parroco, ti scrivo…” è il titolo dell’iniziativa), magari anche con un invito a cena, che possa essere l’inizio di un dialogo attraverso la semplicità dello stare assieme. La lettera è l’introduzione del libro “Caro prete, questa sera ascolti tu” scritto da Roberto Contu e presentato in questa occasione. Un invito ad una reciprocità tra il sacramento del matrimonio e quello dell’ordine, profezia “per un effettivo e concreto apostolato reciproco”. I coniugi Contu, richiamati sul palco, hanno condiviso con parole semplici rivolte ai bambini, la loro esperienza di amicizia con i sacerdoti, di come la loro casa divenga talvolta luogo di riposo anche per loro dove poter raccontarsi gioie e fatiche del comune cammino verso Cristo, e magari confrontarsi. Questo, hanno scoperto, ci fa diventare sposi migliori e preti migliori. “Quella sensazione di comunione nelle nostre povertà (ma anche nelle nostre bellezze) si è fatta autenticamente forte, come l’amore per te, prete, che piano piano ho riscoperto di avere dentro” …per questo “ mi sembra per te utile, necessario, vitale, che io ti parli del mio sacramento per dirti qualcosa del tuo sacramento”, scrive la lettera. La festa si è conclusa con la Messa, celebrata dal Vescovo insieme ai sacerdoti presenti. Nella sua omelia monsignor Gardin, riprendendo le parole dell’Amoris Laetitia spiega che il sacerdote è il Pastore ma che ha bisogno degli sposi per vedere e contemplare il volto di Gesù, “l’amore Trinitario noi lo vediamo riflesso nella famiglia”. Alla conclusione della messa il Vescovo ha incontrato gli sposi novelli intrattenendosi con loro e con le famiglie adottive e affidatarie presenti. (Maria Silvia e Paolo Moro)