Schede film discussi insieme 2010

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Schede film discussi insieme 2010
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Baarìa
regia
GiUSEPPE TornaTorE
sceneggiatura
GiUSEPPE TornaTorE
fotografia
Enrico lUcidi
montaggio
MaSSiMo QUaGlia
musica
Ennio MorriconE
scenografia
MaUriZio SaBaTini
interpreti
FrancESco Scianna, MarGarETh Madé,
lUiGi lo caScio, Enrico lo vErSo,
anGEla Molina, laUra chiaTTi,
vincEnZo SalEMME, raUl Bova,
MichElE Placido, GiorGio FalETTi,
BEPPE FiorEllo, corrado ForTUna
nazione
iTalia
distribuzione
MEdUSa
durata
150’
GIUSEPPE torNAtorE
27.05.1956 - Bagheria (PA)
2009
2006
2000
1998
1995
1994
1990
1988
1986
Baarìa
la sconosciuta
Malèna
la leggenda del pianista sull’oceano
l’uomo delle stelle
Una pura formalità
Stanno tutti bene
nuovo cinema Paradiso
il camorrista
baarìa 75
La storia
Baarìa è l’antico nome fenicio della città siciliana di Bagheria. Attraverso le vicende di tre generazioni di una famiglia di Bagheria, il
film racconterà un secolo di storia italiana, con le Guerre Mondiali e
l’avvicendarsi, sulla scena politica, di Fascismo, Comunismo, Democrazia Cristiana e Socialisti.
La critica
Ricolmo di gloria, il Tornatore kolossal porta qualità rare, la voglia
epica di pensare al cinema in grande restituendo il gusto morale del
racconto, regalando la poesia delle immagini, svolgersi di Storia e
storie con baricentro Bagherìa. Con i due «eroi» del quotidiano (bravi
Scianna e Madé) un cast di vip comparse manovrato dal regista
che non dimentica né Fellini né Leone: se pecca per eccesso (troppi
finali, l’iper musica) è tutto per amore.
Maurizio Porro, il corriere della Sera, 2 ottobre 2009
È stato detto che Fellini, straordinario adulto bambino, ha sempre raccontato Rimini nella dimensione fantastica del suo cuore,
immaginoso, universale e simbolico. «Baarìa» (Bagheria, provincia
di Palermo, dall’arabo Bab el gherid, ovvero Porta del vento) dove
Giuseppe Tornatore è nato e cresciuto nello struggimento della
memoria delle radici e nello slancio dell’abbandono per crescere e
cambiare, è l’affresco tragicomico, appassionato e ridondante, di
una patria sublimata da un adulto bambino che la riconosce nel
sangue, in ogni sguardo, nelle voci, nei suoni. È il film più felliniano di Tornatore, per quanto sia possibile districare nella sapiente
gamma di cinema citato, autocitato, reimpastato, rubato, restituito (da Visconti a Sergio Leone a Bertolucci) una discendenza
dominante. Questa Bagheria di piccirilli e padroni sfruttatori, di
capre che mangiano i libri di scuola e sindacalisti comunisti idealisti, di nonne madri figlie vedove e protomafiosi che ostentano
la protezione fascista, è una realtà irreale, di cataloghi e cartoline, di visioni interiori e parodie significative, quando l’effigie non
diventa purtroppo cartellonistica (nell’ultima parte, dedicata agli
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FILM DISCUSSI INSIEME
anni ‘60/’70 della contestazione), anche a causa di qualche eccesso nella distribuzione della musica di Morricone. Nel rimestio di
eventi locali ed eventi storici, spicca un discorso politico, della politica come segno di civiltà, che sembra il messaggio forte del film
sparato sull’Italia di oggi. Tornatore impiega con coscienza una
fotografia di cultura televisiva (la fiction e lo sport) e la distacca nel passo metaforico del film, fiducioso che questa immagine
“corrotta” corrisponda a un immaginario, a un sentimento visivo
riconoscibile del pubblico di oggi. I personaggi, alcuni protagonisti e decine di figure minori densissime di ruolo e significato,
sono distribuiti secondo un lavoro di casting registico intelligente
e originale, i ruoli principali affidati a esordienti che lasciano il segno (Francesco Scianna che ha energia e carisma, ricordando una
sorta di Richard Gere siculo, e Margareth Madé, meno incisiva ma
misurata), quelli secondari ad artisti celebri trasformati dal segno
deciso, e decisivo, della regia (la Sastri matrice “magica” delle sorti
di famiglia, il politico dc di Frassica, il Salemme cantante istrione,
e Placido, Lo Cascio, Beppe Fiorello, eccetera). È una via giusta per
aiutare lo spettatore a seguire il percorso denso e incalzante di un
ambizioso Novecento indeciso tra tragedia e commedia, tra iperrealismo e caricatura. Per non smentirsi, Tornatore dispone almeno
tre finali, l’ultimo con strazio retorico. Ma, bisogna distinguere: nel
film, l’impiego della figura retorica e della sovrabbondanza melò
sono trattati da un narratore di razza esposto alle proprie sincere
debolezze. «Baaria» è un kolossal da 25 milioni di euro destinato a
lunga vita nazionale e internazionale, ma è anche un film dell’anima. Di Tornatore. Su questo non c’è dubbio. Nel bene e nel male.
Silvio Danese, Quotidiano nazionale, 3 settembre 2009
Mentre scriviamo, giunge la notizia che “Baarìa” rappresenterà
l’Italia e il cinema italiano agli Oscar, nella categoria “Miglior film
straniero”. Una notizia, questa, che non dovrebbe entrare nell’alveo di una recensione, essendo un dato di cronaca, eppure è tale
da far saltare le necessità critiche per dare sfogo a quelle politiche
e contingenti. La notizia su cui ragionare non è che Baarìa andrà
agli Oscar (questo lo si sapeva già, sviluppo insito nella natura del
progetto), ma che quest’opera rappresenterà l’Italia e il cinema
italiano. E questo è un elemento curioso, perché in nessun caso
“Baarìa” rappresenta il cinema italiano, in quanto un film così in
Italia non è dato farlo a nessuno, tranne che a Tornatore. Baarìa
non è rappresentativo neanche in Italia, considerato che è un unicum, un’eccezione che non avrà uguali e non avrà emuli. Il costo
dichiarato del progetto è di 25 milioni di euro, quello effettivo è
più importante. Le sue dimensioni produttive ricordano quelle di
un passato lontano, quando il cinema italiano contava davvero
qualcosa nel panorama delle produzioni mondiali, e faceva scuola
e dettava la linea. Tornatore, con il suo insistito richiamo al cinema
di un tempo, anche nelle forme produttive e nelle grandezze, ha
voluto emulare quel passato. Egli è nostalgico anche di questo,
e non solo della storia remota di un piccolo paese, Bagheria, alle
pendici di Palermo. La nostalgia del cinema, di un’Italia cinematografica potente, di un mondo perduto, dell’infanzia dei padri,
della Sicilia fantastica e leggendaria… Per questo Baarìa non può
essere rappresentativo dell’Italia cinematografica di oggi, perché
è un film “vecchio” che ha prosciugato il “FUS della Medusa” e ha
impedito a chissà quanti altri potenziali autori di esordire, di dire
la loro, ma sul Paese di oggi. Inutile dire che il cinema italiano
aveva un altro grande film a rappresentarlo davvero: “Vincere” di
Marco Bellocchio. Parla di noi ieri e oggi, della nostra indole, delle
nostre potenzialità, delle nostre frustrazioni. E lo fa attraverso un
linguaggio cinematografico antico e moderno allo stesso tempo,
sperimentale e innovatore, con questo uso e abuso della Storia e
del privato, dei repertori e della finzione. Ci sarà invece “Baarìa”
a rappresentare l’Italia, ma quale? Tornatore, perseguendo ostinatamente un sogno ossessivo, si è rinchiuso per troppi anni nel
set reale e immaginario di questa sua ossessione per non essersi
accorto che il suo sogno è diventato, suo malgrado, una realtà
propagandistica, inneggiante alla grandeur della più grande casa
di produzione italiana, di proprietà di Berlusconi. E cosa rimane
del suo immane sforzo artistico? Molto, perché Baarìa è forse il
suo miglior film, ma ci vorrà del tempo per apprezzarlo definitivamente per le sue qualità, non inquinate dalla cronaca e dalla
realtà. “Baarìa” è un monumento alla nostalgia portato con rigore
estremo, capace di disancorare il folclore dal suo esotismo per
diventare storia orale, leggenda, eroismo inventato.
Dario Zonta, duellanti, novembre 2009
I commenti del pubblico
da PrEMio
ELENA CHINA-bINo Il contrasto fra il film corale, un affresco vivace della vita di un intero paese, e il suo manifesto, dove si staglia
nell’assolato cortile della scuola un solitario ragazzino, vuole forse
significare che, comunque, si attraversa la vita da soli.
roSA LUIGIA MALASPINA Film denso di avvenimenti, affollato di
personaggi, corale ma visto con gli occhi ingenui e saggi di un bambino. Belli i colori, la fotografia, le musiche e, come tutti i film di Tornatore, molto poetico. Storie personali che s’intrecciano con la Storia di una Sicilia bella, aspra, contraddittoria, generosa, dove tutto
è vissuto comunitariamente, contrariamente alla mia esperienza di
nata e vissuta a Milano, dove il vivere è nel privato, nella solitudine.
Alcuni passaggi mi hanno colpita particolarmente: la storia d’amore
dei protagonisti contrastata all’inizio e vissuta poi con la complicità
di tutti, il lutto collettivo per il massacro al Portello delle Ginestre,
la politica come protagonismo a tutti i costi, anche negativo, pur di
essere presenti, comunismo come dc... E i mostruosi serpenti neri
apparsi nei sogni e dopo aver colpito le tre rocce con un solo sasso, presagio di morte, invece dell’apparire del tesoro, come avrebbe
voluto la leggenda. Destino e libertà di pensiero, cuore generoso
e asprezze di persone come della terra. Forse il tutto pare un po’
eccessivo, ma in questo Tornatore manifesta la sua sicilianità ed era
sicuramente voluto. Una sintesi del film potrebbe essere la risposta
di Peppino alla domanda del figlio in partenza: “forse abbiamo un
brutto carattere, ma forse è perché vogliamo abbracciare il mondo
e abbiamo le braccia troppo corte”.
oTTiMo
ALESSANDrA CASNAGHI Un ottimo film; non il migliore di Tornatore. Sono stata inizialmente molto impegnata nello sforzo di comprendere i salti temporali, le scelte di montaggio, i non facili sottintesi.
L’esasperata ricerca della simbologia mi è parso il limite maggiore.
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DELIA zANGELMI Una lunga tenera, tormentata poesia, piena di
orgoglio, dolcezze, ricordi, sentimenti: se il buon giorno si vede dal
mattino. Il carattere dell’interprete, giovane bimbo che corre come
un puledrino selvaggio per mantenere un impegno, il suo orgoglio
nel non accettare lo scherzo del vecchio che prima promette e poi
discute la mancia, la vita futura è stata coerente. Colori, calori, musica, urla e pianti. Alla fine ero stordita ma soddisfatta.
BUono
ANNA LUCIA PAvoLINI DEMoNtIS Sarà interessante la storia,
ma spesso è confusa e la musica è troppa assordante.
robErtA PIAzzA La prima parte dà una visione della Sicilia stereotipata e infarcita di luoghi comuni. Migliore la seconda parte
anche se ricorda per manicheismo “Novecento” di Bertolucci.
tErESA DEIANA Fatta eccezione per alcune apprezzabili scene
percorse da un sentito “amarcord”, il film mi è sembrato piuttosto
ridondante, con la musica che ne sottolinea, in modo eccessivo, i
passaggi.
CAtErINA PArMIGIANI Film diseguale: alterna momenti di grande intensità a sequenze prolisse di compiaciuta tecnica, metafore
comprensibili ad allegorie forzate, vicende storiche solo accennate
a dettagliate situazioni di vita paesana. Avvincente il montaggio
quando è dinamico, sempre bella la fotografia, bravi tutti gli attori; alcuni “cammei” come quello di Leo Gullotta, sono dei piccoli
capolavori.
UGo bASSo Devo riconoscere una certa delusione da un filmone
con molti pregi, ma anche parecchie questioni irrisolte a partire dalla narrazione non chiara in tutti i passaggi, con un velleitario finale
che rinvia all’inizio con un’dea della circolarità del tempo che non
si motiva in un film in successione cronologica e con quel volo che
vorrebbe passare dalla dimensione realistica a una traversata appunto del tempo. Anche l’altra idea centrale dell’alternanza del corale al personale solo a tratti ha un convincente riverbero reciproco
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e il racconto degli accadimenti epocali ne fornisce solo cenni e non
riesce a essere significativo per chi non ne abbia una conoscenza
autonoma. Aggiungo anche che non mi pare un film da Oscar, e
neppure che possa piacere agli americani.
GIUSEPPE GArIo Gratitudine a Tornatore per il suo lavoro e per
questa sorta di antologia del cinema italiano. La citazione nei titoli
di coda (ogni artista parla delle sue esperienze) è pertinente, ma qui
si va ben oltre e c’è da chiedersi se il mito di Baarìa abbia un senso
e se il costo del film sia giustificato, soprattutto perché è vivido il
ricordo della forza poetica ed evocativa di Nuovo cinema Paradiso,
che qui manca.
G. ALbErtA zANUSo Partendo da lontano, “Baarìa” compie un
lungo percorso della storia italiana. Dall’epoca del fascismo alla seconda guerra mondiale su su fin quasi ai giorni nostri. Il regista si
focalizza su di un personaggio emblematico di una Sicilia per molti
versi rimasta al medio evo dove ogni evento o sussulto di ribellione
o di orgoglio sfocia in una rete di pregiudizi, superstizioni e più facile rassegnazione. Non così il nostro eroe che, alla fine della guerra,
vede, ingenuamente, nel nascente partito comunista, la speranza
di un futuro migliore. Lungo la storia appaiono praticamente tutti
gli attori della scena italiana, comici soprattutto e caratteristi che,
nascosti nelle pieghe della vicenda ci distraggono nel tentativo di
riconoscerli. Scene di massa digrande impatto visivo, foto dorate,
polverose e spettacolari nonché assai roboanti, danno al film un’impostazione grandiosa e a tratti accattivante. Le citazioni visive colte
di una Sicilia barocca e prestigiosa sono un po’ posticce seppure
belle. Il bambino che baratta un gioco per ottenere piccoli spezzoni
di vecchi film, è un piccolo, tenero richiamo al capolavoro di Tornatore. Film troppo ambizioso, un po’ superficiale e purtroppo non
coinvolgente che lascia delusi per la grande occasione mancata.
LUISA ALbErINI E tutto in quel titolo il film di Tornatore. Un nome
che traduce in un grido le mille e mille voci della gente, che si dilata
a perpetuarne il ricordo, che trasporta come un eco il bisogno di
continuare a vivere a casa, anche quando la speranza di un cambiamento obbliga a partire. Baaria diventa lo scenario di una rap-
presentazione che non conosce soste e tempo, un suono che sembra avvolgersi su se stesso, come il continuo girare di una trottola
mossa solo dalla volontà di un bambino. Sullo sfondo della scena il
cinematografo, trasformato in centro del mondo e della sua storia, e
poi quel bambino che si volta in dietro a guardare il suo giocattolo a
cui ha affidato un segreto, in quella costante nostalgia di chi ha bisogno di mantenere vivo il sogno dell’infanzia e della propria terra.
diScrETo
PIErANGELA CHIESA Forse perché da tempo aspettavo di vederlo,
forse perché ne avevo tanto letto e sentito parlare, sta di fatto che
“Baarìa” mi ha delusa. Non mancano, certo, momenti di “bel cinema”, è bella, anche se talora eccessiva, la musica, bella la locandina,
bravi gli interpreti, ma, nell’insieme, ho trovato tutto un po’ eccessivo e, in certi momenti, incongruo.
CArLA CASALINI “Baaria” ha deluso le aspettative che mi ero fatta
in base al nome di Tornatore, alle proposte del film per i grandi premi internazionali, agli echi sulla stampa. A me è parso uno spropositato contenitore dove si trovano certamente delle perle: di poesia,
di scene corali, di invenzione, come il bellissimo finale che percorre
a ritroso la vita del protagonista lungo le strade irriconoscibili del
Paese del cuore. Ma vi si trovano pure una confusione di spunti eterogenei, un eccesso di macchiettismo, citazioni e autocitazioni pretenziose, digressioni senza spiegazione e senza seguito, simbolismi
indecifrabili, anche errori banali, come interpreti troppo diversi per
gli stessi personaggi nel tempo, così che è difficile e faticoso riconoscerli e seguirli (tanto per citarne uno, la suocera del protagonista).
Insomma, troppa carne al fuoco per non rinunciare a niente, e una
lunghezza davvero pesante. Il giudizio medio “discreto” sta molto
stretto a questo film composto di estremi, da insufficienti a ottimi.
Ma non so come cavarmela diversamente.
PIErFrANCo StEFFENINI Risultato di un grande sforzo produttivo, il film è un affresco, animato da una moltitudine di personaggi, che intreccia accadimenti pubblici e vicende private di una
famiglia siciliana, sullo scorcio di un quarantennio del secolo scorso.
Suo punto di forza è la suggestione evocativa, che si avvale di una
sapiente ricostruzione paesaggistica e scenografica. Altri aspetti
convincono meno: la coralità produce frammentazione, la contemplazione nostalgica, caratteristica del regista, sfocia in sentimentalismi, che, accompagnati da una colonna sonora particolarmente
carezzevole, appaiono molli, perfino dolciastri. A margine si pone
un quesito ineludibile: come può un film così ricco di riferimenti culturali e storici tipicamente italiani e sostanzialmente privo di
valori universali essere apprezzato da una giuria cinematografica
straniera? Sorge il sospetto che i criteri di scelta obbediscano a criteri esclusivamente produttivi.
MEdiocrE
LAUrA DoNINI Non so dare un giudizio perché il film mi è sembrato un gran polpettone. Il film non era certamente all’altezza di
rappresentare l’Italia (quale?) agli Oscar. L’ho trovato molto artefatto e molto “berlusconiano”.
tINA CArDANo Ho trovato il film troppo lungo, scontato, a tratti
banale, pieno di stereotipi. Inoltre non ho ben compreso il motivo
della partecipazione ridotta a volte a poco più di una inquadratura
di attori bravissimi come Luigi Lo Cascio o altri. Insomma, le masse
urlanti che si spostavano continuamente da una parte all’altra dello schermo, la storia di un secolo raccontata attraverso una storia
d’amore e il ritrovamento finale dell’orecchino mi hanno fatto pensare al tipico colossal fatto per il botteghino e per i premi. Un “Titanic” in siciliano, per intenderci. È una fortuna che agli Oscar sia stato
scartato. Credo che il cinema italiano possa essere rappresentato
all’estero meglio. Ci sono film bellissimi di cui andare fieri (avete
visto “L’uomo che verrà”?). Giudizio: meno che mediocre.
EMANUELA DINI Che pasticcio! Una gran delusione da un film
troppo atteso, troppo pubblicizzato, troppo raccontato ancor prima
che uscisse. E la montagna partorì il topolino. Un film che voleva sembrare un kolossal di stampo hollywodiano (per ingraziarsi
l’Oscar?), ma che in realtà è un feuilletton di chiaro stampo televisivo, già bell’e pronto per essere suddiviso in 4 puntate, domenica
baarìa 79
e lunedì su Canale 5... Televisivi i protagonisti, con i comici di Zelig
che fanno riaffiorare i loro tic e tratti distintivi nei personaggi che
interpretano; televisive le scene affollate e spettacolari (la strada di
Bagheria dove tutti corrono, avanti e indietro, le riunioni di partito
dove tutti sono rispettosi ed educati., la festa da ballo...); televisiva
la fisicità dei due attori protagonisti, lui che non invecchia mai e ha
sempre lo stesso sguardo, lei che più che una “fimmina” siciliana
sembra una top model canadese, sempre magra dopo 5 gravidanze, sempre perfettamente pettinata, sempre ottimista e sorridente;
televisivo, infine, nella sceneggiatura che più prevedibile non si può
(lui che tira il sasso e colpisce le tre montagne; la mosca che esce
viva dalla sfera di legno nei fotogrammi finali...) in nome della ben
nota legge delle soap opera in cui lo spettatore si sente tanto intelligente perché è in grado di prevedere cosa succederà nella prossima
scena; televisivo anche negli esterni, con la carica a cavallo contro
i comunisti che sembra la carica contro gli indiani nei film western
di terza categoria; televisivo e millantatorio, infine, nella rappresentazione di una Sicilia ad uso e consumo dei tour operator, dove
i veri problemi (mafia, soprusi, povertà, ecc.) compaiono in salsa
edulcorata o non compaiono affatto. Le uniche trovatine creative
sono la rappresentazione del passare del tempo, in cui la macchina
da presa si sposta dal volto del personaggio all’oggetto (gli stivali
da lucidare, il secchio della mungitura) per poi ritornare sul personaggio invecchiato; e il “risveglio” finale, con il protagonista che
vaga nella Bagheria odierna. In sintesi, un film che lascia l’amaro
in bocca perché sa tanto di film “furbo” (con tutta la negatività del
termine), costruito con una buona dose di malafede per accontentare un pubblico facile e non scontentare il finanziatore... Una volta
tanto, viva gli americani che non hanno abboccato e non l’hanno
candidato agli Oscar!
EDoArDo IMoDA Mi sto sempre più convincendo che il valore
di un film non sia più deciso dalle sue intrinseche qualità o dalle
sensazioni che sa trasmettere agli spettatori, ma dal piano di marketing e dai supporti mediatici su cui può contare. Ne è l’ennesima
prova questo “Baaria” che, portato sugli scudi anche per rientrare
dai molti spesi, ho forse avuto una buona dose di pubblico nostrano, ma quando si è trattato di passare dalla quantità alla qualità,
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soprattutto in campo internazionale, ha dovuto alzare bandiera
bianca. Buone le intenzioni del regista che nonostante il ritorno alle
origini, non riesce più a trovare la verve del favoloso inizio e si barcamena fra argomenti vari qui raccontando la storia, non so se vera
o romanzata, di caporale della politica nostrana. Ne esce un quadro
multicromatico fatto di tanti piccoli camei quali sono quelli dei singoli attori (alcuni da rivalutare, altri da dimenticare) con un andare
e venire nel tempo di non facile individuazione e con riferimenti
storici non sempre noti a tutti noi italiani, figuriamoci a un pubblico straniero. Troppi e troppo lungo il film per dirci che in fondo
nulla è cambiato laggiù nella sua terra, come purtroppo ovunque
nella nostra penisola distante anni luce dal mondo che la circonda,
un rimanere nel passato che ci coglie impreparati alla velocità del
mondo contemporaneo.