PERIODICO EDITO DAL CEST ONLUS CENTRO EDUCAZIONE

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PERIODICO EDITO DAL CEST ONLUS CENTRO EDUCAZIONE
Anno XXXI n° 2 - Sped. In A.P. comma 20/c- art 2.
Legge 662/96 filiale di Trieste – novembre 2016
PERIODICO
EDITO
CEST
ONLUS
PERIODICO
EDITO DAL
DAL CEST
ONLUS
CENTRO EDUCAZIONE SPECIALE TRIESTE
CENTRO
VIA
MUZIO 9EDUCAZIONE
TRIESTE 34143 SPECIALE
TEL. – FAX. – TRIESTE
040308678
Email. [email protected]
VIA MUZIO 9 TRIESTE 34143 TEL. – FAX. – 040308678
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ERBAMATTA
EDITORIALE
Tutti fuori! No, non è uno slogan ultra
garantista. E non è nemmeno il sequel di un
film di Alberto Sordi. È l'obiettivo che si è
dato il CEST nella passata bella stagione,
quando i progetti e le attività dei Centri
diurni e delle Comunità si sono trasferiti
all'esterno delle sedi abituali. Il che, del resto,
rappresenta anche l'obiettivo permanente
dell'Associazione che era e rimane quello di
garantire ai propri utenti un'integrazione e
una socializzazione il più ampie possibile; e
ciò può avvenire in modo pieno solo sul
territorio, assieme agli altri, uguali o diversi
che siano.
In questo contesto s'inseriscono gli interventi
come il “modulo respiro”, momenti
programmati per cui il Cest mette a
disposizione le proprie risorse per periodi di
medio termine, ai quali si affiancano
proposte dedicate nei week end e, in un
prossimo futuro, dei micro soggiorni al
“Casello”, una struttura che l'Associazione sta
riqualificando in un contesto immerso nella
natura ai confini della Regione e che potrà
essere messa a disposizione anche ad altre
Associazioni del settore.
C'è poi in cantiere il progetto “Ospitalità”,
nato da una Comunità del Cest; una proposta
semplice, ma significativa: un pomeriggio alla
settimana, persone con disabilità che vivono
in famiglia, verranno accolte nella Sap per
un'esperienza che si può definire formativa,
per loro e per i loro familiari, poiché rivolta
alla conoscenza di una struttura a cui, prima
o poi, potranno rivolgersi con fiducia.
Questo numero di Erbamatta non
rappresenta quindi un mero bilancio
dell'estate, per di più ora che ci ritroviamo
trincerati nei cappotti e ci siamo già abituati a
fare i conti con non si sa quanti e quali virus
influenzali o para influenzali (20 ne ha contati
Franca, che ha un negozio di ortofrutta in
centro e che quindi detiene statistiche
attendibili, ricavate su un campione rilevante
di clienti attempate e madri di famiglia). Ma
vuole essere una testimonianza di un
indirizzo che accomuna tutti i Servizi: la
propensione ad aprirsi agli altri per
rivendicare il diritto a far parte di una Società
che sia civile per davvero. Sì, belle parole, si
dirà, ma come? Quali sono i progetti che
rispondono concretamente a questa pretesa
di apertura? Innanzitutto i soggiorni estivi,
parentesi lunga dieci giorni lontano da casa. E
quest'anno è stato l' “anno zero” per la
proposta dei soggiorni, diversificati secondo
le reali esigenze degli ospiti. Dalle basi di
appoggio, attrezzate e sicure, un buon lavoro
di pianificazione ha permesso escursioni e
attività gratificanti, secondo ritmi lontani
dalla routine. Un lusso? Una necessità! Per gli
utenti e per i loro familiari, tenendo a cuore
le differenti disposizioni e i limiti dovuti
all'invecchiamento.
L'area formativa del CEST, in senso stretto,
continua a coinvolgere gli studenti di alcune
scuole professionali della Regione che un
giorno
sceglieranno
la
professione
dell'Educatore, non solo con i tirocini e gli
stage, ma anche con la presenza degli
operatori nelle scuole. Così come continua e
si rafforza la presenza dell'Associazione nelle
scuole dei più piccoli, sempre con l'intento di
favorire l'integrazione nel modo più leggero
possibile.
Tutti fuori, allora! Anche ora, anche in questa
stagione. E se poi ci buscheremo un
raffreddore, terremo sempre a mente il detto
delle nonne di una volta: “quel che non ti
uccide ti fortifica”. Ma se supereremo timori
e diffidenze, potremo anche scoprire, con
minor rigore e maggior soddisfazione, che
“ciò che non è uguale, è semplicemente
diverso!”
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ERBAMATTA
“Un saluto al Presidente”
Di Marco Zaves
Per capire cosa rappresenti Fausto Ferrari per il
Cest, si deve partire da una premessa semplice:
per più di quarant'anni Ferrari è stato il Cest. O
almeno, senza sminuire il ruolo degli altri soci
fondatori che nel 1971 hanno dato vita
all'Associazione, avanguardia di civiltà per i diritti
delle persone disabili, così è stato
nell'immaginario degli educatori, che nel tempo
hanno aderito a un vero e proprio laboratorio
socio-educativo.
Osando paragoni arditi, si potrebbe dire che
Ferrari sta al CEST come Totti sta alla Roma (e
così abbiamo reso omaggio ai suoi
natali trasteverini), o come
Berlinguer al vecchio Pci (e così
siamo sicuri di averlo fatto
sorridere) o, par condicio, come
Berlusconi a Forza Italia (e così
siamo sicuri di averlo fatto
arrabbiare).
L'uomo è esplicito, non te le
manda a dire; fumantino, dicono.
La magrezza dei suoi 83 anni
rende ancor più manifesto il modo
in cui ha preso la vita e quello in
cui la vita lo ha preso. Del resto,
lui stesso, da direttore
responsabile di questo giornale,
nel 2011 sottotitolava una
raccolta di articoli scritti in più di un quarto di
secolo: “26 anni di accordi, disaccordi e
incazzature”. Da allora sono trascorsi altri cinque
anni, presumiamo, di accordi, disaccordi e
incazzature, ma noi vogliamo partire da lontano e
cominciamo l'intervista parafrasando un autore
che Ferrari cita spesso, Ennio Flaiano.
Un romano a Trieste. Anni cinquanta. Com'è
accaduto? Come l'ha accolta una città tanto
diversa dalla Capitale?
(ride) È accaduto per il servizio militare. Ero in
Cavalleria, era il 1951, la presenza degli americani
era ancora forte...Roma era già enorme,
dispersiva; a Trieste ho trovato una città
vivissima, in fermento...Corso Italia era pieno di
gente fino alle due di notte. Ma io, siccome ero
stato bravo durante gli esami, ero stato mandato
sui carri armati sull'altipiano...c'era un grande
hangar aperto su due lati, proprio nella direzione
in cui soffiava la Bora...ricordo ancora che ci
scaldavamo le mani sui pezzi incandescenti di
motore dei carri, durante la manutenzione. Un
freddo così l'ho provato negli stessi anni anche ad
Amatrice, a cui penso con emozione per il
terremoto che l'ha colpita recentemente, durante
il “campo” militare. Le donne, per portare a casa
qualche lira, preparavano l' “Amatriciana” e la
vendevano ai soldati: è così che ho imparato la
ricetta tradizionale, la vera “Amatriciana”.
E come avviene il passaggio dai carri armati della
“Grotta Gigante” al giornalismo?
Dopo il servizio militare sono
tornato a Roma e ho trovato
impiego come redattore a “La
Sera di Roma”. Mi occupavo della
cronaca nera e ho seguito diversi
casi di omicidio, soprattutto legati
all'ambiente della prostituzione. È
stata una vera palestra di vita, in
cui ho imparato l'importanza di
saper scrivere oltre a quella di
saper “muoversi” con disinvoltura.
Ricordo i piantoni al Pronto
Soccorso, le confidenze con gli
“informatori” e le corse con la
macchina del giornale dietro a
quella della Polizia, quando
accadeva qualcosa di rilevante. In
quegli anni poi, siccome a Roma l'influenza
americana era molto forte, arrotondavo
scrivendo rubriche che dovevano per forza uscire
con una firma americana: mi pagavano
cinquemila lire in più per dei racconti gialli firmati
con lo pseudonimo di Perry Eagle, con scritto in
calce “Traduzione di Fausto Ferrari”...qualche
anno più tardi è uscito pure un film, con la stessa
trama di uno di questi racconti...“Un vecchio
pazzo” si chiamava (ride).
E poi, il Cest. Il resto della sua vita è dedicato
all'intento di garantire a sua figlia, ma non solo a
sua figlia, protezione, dignità, diritti.
Sì. Tornato definitivamente a Trieste, assieme a
un piccolo gruppo di persone, si può dire che
abbiamo costruito il Cest attraverso lunghe
discussioni dopo cena. Sentivamo la necessità di
fare qualcosa non solo per i nostri familiari, ma
per tutte le persone, ed erano tante, che di fatto
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ERBAMATTA
erano escluse dalla società. Rifiutati persino dalle
Istituzioni “Speciali” che non accoglievano i
disabili con un quoziente intellettivo inferiore ad
un certo valore richiesto.
A proposito delle “scuole speciali”: lo stesso
Cest, nella sua denominazione, dichiara
l'intenzione di un'educazione speciale. Come si
spiega?
Si spiega con il fatto che, per assurdo, il Cest
nasce grazie ad un'elargizione, venuta proprio
dalla fondatrice di una di queste scuole, il Centro
Educazione Speciale Favettini. Alla fine degli anni
sessanta, a bordo di una 850 coupè, andai in
visita alla scuola, poco fuori Milano; c'era anche
Maurizio (Pessato, attuale presidente del Cest,
ndr.) per capire un po' meglio come si sarebbe
potuto impostare la futura Associazione. Ma non
c'era niente da imparare. La scuola era una specie
di farsa, con un solo utente...solo per accedervi
dovevi superare una serie di scalinate immense,
alla faccia delle barriere architettoniche! Eppure
quell'esperienza ci permise di ottenere
un'elargizione e di presentarci davanti al notaio
per costituire il Cest. Così, un po' per
riconoscenza, ma soprattutto per esercizio
d'ironia, decidemmo di chiamarci con questa
pessima denominazione, perché il programma
che ci ripromettevamo di inventare,
sperimentare e sviluppare, non si poteva certo
definire “speciale”. Al contrario di quegli Istituti
per cui la “specialità” era sinonimo di
emarginazione, segregazione, esclusione, noi
volevamo includere, integrare, accogliere tutti.
14 ottobre 1971. È la data precisa in cui nasce il
Cest. Sono quarantacinque anni di storia, vissuta
di “zompo” in “zompo”, come diceva suo nonno.
Quali sono stati gli “zompi” più eclatanti?
(sorride) Quello dello “zompo” è un vecchio detto
romano che riguarda la sopravvivenza: per
superare la selezione si deve saltare e per
imparare a saltare bene si deve “zompare”, che è
un saltare più atletico e possente, anche se più
sguaiato. Lo “zompo” più grande è stato proprio
quello della costituzione di un'Associazione,
tecnicamente e giuridicamente. E gran parte della
riuscita di questa operazione si deve ai contatti
stabiliti e coltivati con il Comune di Trieste e la
Regione; con gli assessori, ma soprattutto con i
funzionari.
Le tappe importanti sono state molte: la
creazione dei primi Centri diurni, che allora
venivano chiamati da tutti, semplicemente, i
Cest; la prima Comunità, nata grazie alla volontà
della Regione di rendere continuativo un
intervento economico “una tantum” e che per
questo ha appoggiato la nostra richiesta di
inserire i costi della Comunità nella Convenzione
del Comune. C'è stata poi la possibilità di
consolidare l'Associazione assumendo gli
educatori grazie ad un progetto europeo che è
durato sei anni. Poi, ancora, la costruzione fisica
del Cse e della Sap di via del Veltro e le loro
relative gestioni, rese possibili senza spendere un
soldo, oltre a quelli previsti dal Governo
nazionale, per volontà dell'allora Ministro del
Sociale...
Lei ha ricordato spesso come le Associazioni
quali il Cest abbiano contribuito, accompagnato,
addirittura anticipato l'apertura della società nei
confronti di persone che, prima della rivoluzione
psichiatrica capeggiata da Franco Basaglia,
risultavano trame invisibili nel tessuto sociale.
È così: il nostro obiettivo era e rimane quello di
integrare nella società il più possibile le persone
vittime di emarginazione. In quegli anni con
Basaglia c'è stata una grande vicinanza, un lavoro
comune; una contaminazione di idee, ma anche
di progetti, ad esempio a proposito di un gruppo
di disabili anziani che erano cresciuti dentro
all'Ospedale Psichiatrico e non sapevano dove
andare perché non avevano nessuno al di fuori di
quelle mura.
Com'è cambiata la percezione del cosiddetto
“diverso” nell'ultimo mezzo secolo?
Naturalmente è cambiata molto. Eppure, la
rappresentazione del diverso attraverso i media,
parlo soprattutto della televisione, è tuttora
ancorata a degli stereotipi che sono distanti dalla
realtà. Esiste ancora un certo pudore, ma forse
sarebbe più giusto parlare di ipocrisia, che
esclude quelle persone la cui disabilità si discosti
da quella socialmente già riconosciuta e in
qualche modo accettata.
Dati per acquisiti i diritti fondamentali per le
persone disabili, qual è l'urgenza attuale? Cosa
manca a livello normativo e da che cosa si
devono proteggere i soggetti deboli della
comunità?
A livello normativo non manca niente. Anche
l'ultima legge sul “Dopo di noi” è una buona
norma anche se i suoi contenuti sono quelli che
noi predichiamo da sempre.
Ora si tratta semmai di ampliare i servizi,
incrementare l'offerta dal momento che la
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ERBAMATTA
domanda, purtroppo, è tutt'altro che diminuita.
La nostra Associazione ha un ambito delimitato, si
occupa di disabili psichici, ma non ci tiriamo
indietro per dare una mano a chi è portatore di
disabilità fisica. Applicando gli strumenti
normativi a disposizione si potrebbe fare ancora
di più.
A futura memoria (se la memoria ha un futuro),
tanto per citare il suo amato Leonardo Sciascia,
qual è il suo più grande merito e il suo più
grande rimpianto?
Il Cest è la cosa migliore che potessimo fare.
L'obiettivo era quello di dare risposta il più
possibile a chi non ne aveva. A Trieste la città ha
capito quella che è stata la grande novità
dell'Associazione. C'è da dire che non c'era molto
prima di allora, a parte l'Anffas e l'AIAS; la
popolazione è stata molto vicina, si sentiva una
necessità. E la spinta della popolazione ha
portato un risultato di appoggi da parte degli Enti
locali. Più di questo...
Ad un corso di formazione di qualche anno fa, è
intervenuto sulla “mission” e la “vision” del Cest.
Termini attuali, di natura aziendale, ma la
conclusione del suo intervento era espressa, in
verità, in termini poco tecnicistici.
L'invito rivolto agli educatori era: lavorate con
amore.
(sorride) In realtà quel messaggio aveva una
doppia valenza. Certamente c'era l'invito a
trattare con amore gli utenti presi in carico, ma in
realtà volevo anche e soprattutto invitare
all'amore per questo lavoro che può essere...un
bellissimo lavoro!
Non a caso ha parlato di amore e non di
passione...
Non a caso: nel tempo la passione tende a
diminuire. L'amore è un sentimento più stabile.
Il CEST si propone all’Amministrazione Pubblica come interlocutore e collaboratore
affidabile con la sua organizzazione, la qualità dei suoi servizi, la proposta di
progetti, passati, attuali e futuri, fra questi:
 Il progetto “sperimentale” del dicembre 2014, organizzato per il Comune di Trieste, che
sarà riproposto nel 2017.
 Il sostegno alle famiglie attraverso il “Pronto Intervento”, in caso d'improvvisa necessità.
 L’invecchiamento, “dai 64 ai 65 anni”, collaborazione avviata con il Comune di Trieste e
Muggia.
 La collaborazione con gli istituti scolastici italiani e sloveni, con alto valore d'integrazione.
(MasterCest , Mani arcobaleno, Borse di studio, con l’obiettivo di offrire uno sportello
informativo.
 I soggiorni estivi pensati per le diverse esigenze dei nostri assistiti, usando risorse umane,
economiche e strutturali con buoni risultati
 Il progetto “Ospitalità” , utile ai nuovi utenti, familiari e assistiti.
 Il progetto dello “Sport e Tempo Libero Solidale” con le sue attività. Festa dello sport,
Basket, Tofeo Grisù, Ippoterapia, Canoa.
 Il progetto di apertura sul territorio, dei nostri servizi, attraverso la musica, (in corso
d'opera) .
 L'apertura a nuove collaborazioni con altre Associazioni e Cooperative, (Quercia,
Cenacolo, Mitja Ciuk, Aias, Coop 2001), su progetti d'interesse comune, come la
formazione, il modulo respiro, l'invecchiamento delle persone con disabilità.
 Strumenti divulgativi: Erbamatta, con la sua redazione, il sito www.cest-onlus.com.,
facebook.
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ERBAMATTA
La legge sul “dopo di noi”
di Maurizio Pessato
Lo scorso giugno il Parlamento italiano ha varato
una legge – l.n.112/2016 - per affrontare il tema,
indicato ormai generalmente con la locuzione
“dopo di noi”, dei sostegni necessari alla persona
con disabilità che rimane senza l’appoggio dei
genitori per ragioni anagrafiche o al quale va
assicurata una sua autonomia residenziale aperta
e integrata.
istituzioni per la sua migliore applicazione. Nel
contempo occorre mettere in luce il pericolo che
il tutto finisca con il ridursi a un’attuazione
burocratica relativa solo all’aspetto patrimoniale
che coinvolge la famiglia e la persona con
disabilità.
Per queste ragioni e per l’importanza che ha
questo appuntamento, date le conseguenze che
può innescare, è utile cominciare a ragionare in
modo approfondito sulla legge e sulle possibili
ricadute a vantaggio delle persone disabili.
Nel corso degli anni ’90 il CEST aveva avviato una
riflessione e delle iniziative sul dopo di noi”; il
lungo lavoro effettuato tra servizi diurni,
comunità per deistituzionalizzare, soggiorni estivi,
aveva ben segnalato la necessità di pensare al
benessere e all’autonomia della persona con
disabilità assieme a spazi e tranquillità, nella
prospettiva dell’invecchiamento per la sua
famiglia. Era molto chiaro lo smarrimento
provato dai genitori nel momento in cui
pensavano alla loro assenza futura. Utilizzando la
normativa nazionale e regionale via via prodotta,
è stata costituita dal CEST la prima comunità – tra
le prime nel paese - che rispondeva a quelle
esigenze. Ma non c’era
ancora
una
vera
consapevolezza generale
del problema: tra la
settorializzazione
dei
disabili (per problema), la
frammentazione
degli
interventi e la scarsa
lungimiranza,
ci
si
muoveva con difficoltà e
ostacoli. Il problema in sé
non era colto dalle istituzioni, o forse era eluso.
Nel 2007 il CEST ha promosso anche un
convegno, invitando altre esperienze nazionali,
per sostenere questo tema e la necessità del
rapportarsi ad esso. Proprio perché riconosce
l’esistenza di un nodo di fondo, “la progressiva
presa in carico della persona interessata già
durante l’esistenza in vita dei genitori”, la nuova
normativa va accolta, almeno in parte,
positivamente.
Un primo momento di apprezzamento nasce dal
fatto, peraltro doveroso, che nella legge emerga
dalle nebbie, in cui finora si trovava, la ratifica
italiana della Convenzione sui diritti delle Persone
con Disabilità dell'ONU (Convention on the Rights
of Persons with Disabilities, CRPD); questo testo
contiene importanti affermazioni per la vita delle
persone con disabilità.
Sembra un aspetto marginale in quanto anche un
autorevole documento non cam bia di fatto le
cose e la vita quotidiana delle persone, ma
abbiamo imparato che lavorare
per ottenere quanto è giusto
passa anche attraverso degli
appigli normativi. in un periodo
come questo, poi, che tende a
ridurre
l’importanza
della
persona – e tanto più di quella
disabile – e mostra una deriva da
selezione dei più forti, non è da
poco rilanciare il tema del diritto
all’autonomia e “il diritto di tutte
le persone con disabilità a vivere nella società,
con la stessa libertà di scelta delle altre persone”.
Non va sottovalutato, inoltre, il fatto che far
divenire di dominio pubblico qualcosa che
sembrava una condizione molto particolare –
quella del “dopo di noi” - ha il suo valore. Oggi
l’opinione pubblica è maggiormente al corrente
di un nodo pesante per molte persone, e questo
aiuta a far crescere la sensibilizzazione generale.
Vi è, poi, una parte della legge, e in particolare
l’articolo 4, che pur non innovando nella sostanza
quanto già era possibile fare con le norme già
esistenti, sancisce in modo molto incisivo il tema
La legge 112 si presenta con luci e ombre; va,
comunque, iniziato subito un lavoro per garantire
di trarne gli aspetti positivi e dialogare con le
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ERBAMATTA
del diritto a un progetto individuale - implicando
tutte le grandi diversità delle condizioni di
difficoltà - della persona disabile. Senza
l’affermazione di questo elemento non si riuscirà
mai a superare l’intervento di tipo assistenziale e
categoriale (l’elencazione degli handicap) e la
logica dell’esclusione; chiediamo con forza
l’attuazione di questo obiettivo. Non perdiamoci
in distinguo, questa è la chiave per raggiungere
veri risultati. Da qui possono nascere degli
sviluppi - nel tempo, ovviamente - molto
importanti se favoriti da un movimento forte e
combattivo; si dovrà chiedere di passare dal
“dopo di noi” a un piano più generale. Ma,
intanto, lavoriamo su quanto è a disposizione
perché offre un’opportunità per riaprire a fondo
lo spinoso tema della qualità della vita della
persona con disabilità e del diritto dei genitori a
essere meno angosciati rispetto al futuro dei loro
figli.
alla figura del disabile e propone degli incentivi
fiscali. Il punto è che, secondo noi, questa
proposta è inefficace e sterile e rischia di
confondere i veri obiettivi che servono alle
persone con disabilità.
Propone, infatti, una situazione di salvaguardia
del patrimonio che erediterà la persona con
disabilità, anche rispetto a richieste di
compartecipazione alla spesa richieste dai
Comuni, previste da altre norme; ma questo
fondo (trust) non garantirà dei servizi adeguati al
beneficiario se non l’entrata tardiva in una delle
istituzioni residenziali esistenti. E questo perché
si afferma una soluzione individuale del
problema; ogni persona con disabilità avrà un suo
patrimonio che, preso da solo, non riuscirà a
garantire nessuna risposta qualitativamente
valida alle sue esigenze.
Si tratta, allora, di costruire delle opportunità per
tutti, a seconda delle loro necessità, delle loro
personalità, di collaborare tra famiglie,
associazioni, Comuni e Regioni; di attuare quanto
si afferma in via di principio nelle leggi e di
richiedere alle famiglie e alle persone con
disabilità di contribuire secondo le loro
possibilità; non si chiede la gratuità ma il rispetto
delle persone in difficoltà e della loro vita. Anche
qui sta il lavoro da fare nel volgere la legge nel
senso migliore possibile.
Le legge dispone, poi, della situazione
patrimoniale della persona con disabilità e della
sua famiglia. Introduce il non nuovo istituto del
trust, cioè una forma di costituzione
salvaguardata del patrimonio economicofinanziario familiare (ove esistente) finalizzato al
servizio della persona con disabilità; rispetto alla
normativa già esistente lo collega maggiormente
25° della Comunità Valmaura 55/8°
di Marco Zaves
In principio era la Comunità “Cinque Stelle”; e
così è stato fino alla discesa in campo di Beppe
Grillo. Poi, onde evitare equivoci o noiosi
problemi di copyright, si è optato per una
denominazione più sobria, legata al territorio,
anzi, proprio all'indirizzo; ed è diventata:
Comunità “Via Valmaura 55”. Quando il “53”,
un'altra storica Comunità del Cest, si è trasferito
al piano di sotto nello stesso civico, ha dovuto
perfezionare il nome in “Via Valmaura 55, ottavo
piano”.Ma questi sono dettagli, perché la sua
identità non ha subito negli anni alcuna crisi.
Certo, qualche ospite se n'è andato, lasciando un
vuoto indelebile che è stato ricordato in tanti
modi e occasioni. Anche molti educatori si sono
succeduti. Del resto, se lo storico responsabile
della struttura è già in pensione, sono passati
davvero molti anni da quel principio.
Era il 1991 quando, in via Udine, cinque persone
disabili prendevano domicilio in un appartamento
dove era nato e vissuto uno di loro, fino alla
morte dei genitori.
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ERBAMATTA
La struttura, oltre al “padrone di casa”, accolse
quattro giovani che frequentavano già i centri
diurni del Cest, ma che fino a quel momento
avevano vissuto sempre in Istituto, da un reparto
del Burlo ad uno dell'ex Ospedale psichiatrico, il
“Gregoretti”.
migliorato in modo radicale la loro qualità di vita.
Ma quella del “55” è una storia che continua, nel
segno di quella vocazione ad aprirsi all'esterno.
Non a caso, per festeggiare il quarto di secolo
trascorso è stato scelto il Country Eden, l'azienda
agricola di Repen che quest'estate ha fatto da
base per il soggiorno estivo di due Servizi del
Cest. Un luogo che nelle intenzioni dovrebbe
diventare simbolico, un punto di aggregazione
per gli utenti, ma anche per i famigliari
dell'Associazione: un posto dove incontrarsi, una
base di partenza per momenti conviviali ma
anche di alto valore socio-educativo. Questa è
solo una tappa di quello che la responsabile della
Comunità definisce un “percorso etico” che parte
dalla presa di coscienza che sia doveroso
confrontarsi con gli altri, collaborare, calarsi nella
società e valorizzarne le risorse, perché solo così
si può raggiungere il traguardo della piena
integrazione. Con questo spirito vanno
inquadrate le scelte di acquisti di prodotti
biologici dalle aziende del Carso, la
frequentazione di luoghi pubblici che offrano un
valore aggiunto in tutta la Provincia, i momenti di
condivisione con i Centri diurni e con le altre
residenze del Cest su programmi specifici. Non
ultimo il progetto “Ospitalità” che partirà a breve,
proprio nel Venticinquesimo del “55”, e che per
un pomeriggio alla settimana, spalancherà la
porta della Comunità verso l'esterno. Ciò avrà
diverse finalità, ma soprattutto rappresenterà,
per le persone disabili interessate e i loro
familiari,
un'occasione
di
conoscenza,
trasparenza, informazione. Un'esperienza che si
pone lo scopo di far emergere la ricchezza di una
famiglia anomala, allargata, come quella di una
Comunità e, in ultima analisi, di rassicurare chi,
un giorno, dovrà affidargli il proprio congiunto.
Perché integrazione è anche sinonimo di fiducia.
Era la seconda Comunità del Cest, che proseguiva
sulla scia tracciata qualche anno prima dal “53”. Il
tentativo era quello di costruire una vera e
propria casa per delle persone che erano sempre
state private di un ambiente familiare, intimo,
personale.
Ma la Comunità non si è mai chiusa dentro casa.
Si è sempre affacciata all'esterno, senza badare
troppo al panorama urbano, non proprio da
cartolina: l'integrazione, si sa, non segue canoni
estetici definiti, né pretende prestigiosi stili
architettonici. Chiede solo di demolire le barriere
per costruire ponti tra persone. Così, fin dall'inizio
si è manifestata la consapevolezza di appartenere
a un territorio e si è lavorato per rispondere alla
necessità di farne parte, il che significa utilizzarne
i servizi, creare contatti, costruire con sensibilità
legami e reti di socializzazione.
Un lavoro che ha accompagnato e accompagna
quello, se vogliamo, più ordinario, ma che resta la
base imprescindibile di una struttura residenziale
protetta, che consiste nel garantire la sicurezza e
la cura delle persone che vi fanno parte.
Venticinque anni sono sufficienti per tracciare un
bilancio: oggi si può ben dire che gli ospiti della
Comunità abbiano tratto dei benefici concreti da
questo percorso di convivenza e, grazie anche alla
frequentazione dei Centri diurni, hanno
Invitiamo i lettori a visitare il sito del CEST
www.cest-onlus.com
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ERBAMATTA
“Vorrei prendere il treno”
intervista a Iacopo Melio
di Giorgio Micheli
Classe ’92. Nato ad Aprile in un paesino
sperduto di campagna (puntualmente allergico
al polline), a pochi chilometri dalla sua città dei
sogni: Firenze.
Si nutre di musica, sogni e poesia. Estroverso e
solare, eterno curioso, inguaribile romantico.
Trova almeno dieci motivi ogni giorno per
innamorarsi di qualcosa: donne, uomini, bambini,
sguardi, sorrisi, paesaggi, canzoni, profumi,
ricordi, ideali…
Orgoglioso e rompiscatole quanto basta, con
quattro ruote per spostarsi perché nato comodo.
Amante dell’arte e di ogni forma di espressione,
schierato con la libertà di pensiero sempre e
comunque.
Musicalmente
comunista;
idealmente
progressista, pacifista e liberal-socialista;
utopicamente anarchico. Professa l’Amore
Universale come unica Fede; la laicità di Stato
come dogma; il buddismo come filosofia e
ispirazione di vita. Dopo il diploma al Liceo
Scientifico “Il Pontormo” di Empoli studia
“Scienze
Politiche”
(curriculum
in
“Comunicazione, Media e Giornalismo”) alla
Scuola “Cesare Alfieri” di Firenze. Vede la
comunicazione come uno strumento sociale per
dare voce a chi ha subito la violenza del non
ascolto e per ripartire giustizia. Appassionato di
tecnologia e di tutto ciò che è figlio del
progresso. Tra i suoi miti: De André e Guccini,
Don Andrea Gallo e Peppino Impastato, Pasolini
e Bukowski. Fra qualche anno si immagina
scrittore fallito e poeta per nessuno, ma ricco di
sogni e di speranze, “scandalosamente felice”
(cit. Linus, “Peanuts”).
La maionese che mette ovunque, la pasta, la
pizza, quasi tutto ciò che è fritto, il salame e la
salsiccia, il tiramisù sopra ogni dolce. Affamato
di dettagli, può morire per una matita messa ad
appuntare i capelli, per le lentiggini in bianco e
nero, per le mani che parlano. Non sa fare a
meno del contatto e di troppo altro ancora.
Odia ogni tipo di etichetta e convenzione
sociale. La prepotenza, la superficialità, la
compassione, il qualunquismo. Il “fascismo”
come atteggiamento sociale, non solo politico. I
conservatori, i fanatici, i razzisti, gli omofobi e i
vuoti di pensiero. Chi non rompe gli schemi,
l’apatia, gli insensibili, il menefreghismo e gli
egoisti.
Attualmente lavora come giornalista freelance,
ma gli capita d’essere anche copywriter, socialmedia manager, digital strategist, campaigner e
videomaker. Non chiedetegli cosa voglia dire
perché forse non lo sa nemmeno lui… Però ci
crede, gli piace, e questo per ora gli basta. Dal
Luglio del 2014, dopo un suo articolo ironico
sulle barriere architettoniche, è diventato il
promotore di una campagna di sensibilizzazione
nazionale (attualmente Onlus), catturando
l’attenzione dei media italiani ed esteri:
#vorreiprendereiltreno.
Ha concretizzato così il suo attivismo civile in
progetti volti all’abbattimento delle barriere,
non solo architettoniche ma soprattutto
culturali, in quanto ideatore, consulente e
relatore di eventi e progetti sociali.
Sul sito ufficiale dell’associazione è possibile
leggere: “Lottiamo col sorriso, per i diritti di tutti,
contro
ogni
barriera”.
(tratto
dal
sito:www.iacopomelio.it)
Ciao Iacopo e grazie per la disponibilità. Con la
tua campagna di sensibilizzazione #vorrei
prendere il treno, contro le barriere
architettoniche, sei diventato un personaggio
pubblico. Cosa è cambiato da allora?
Ama le cose semplici e i valori sani. Le persone
disposte a lottare per i loro ideali e chi è capace
di sognare forte, nonostante tutto. La diversità,
lo stupore, la sete di conoscenza. Il giallo, il sole,
l’estate, il mare. L’intelligenza pratica e
l’autoironia, soprattutto se contagiosa. La sua
reflex e la sua chitarra, i libri di Camilleri, il film
da tenersi stretti, l’odore della carta e dei vinili.
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ERBAMATTA
È nata una Onlus con la quale cerco di operare in
due direzioni. Da una parte, portare avanti
progetti concreti, sul territorio, di abbattimento
delle barriere architettoniche, collaborando con
le Istituzioni e con la politica (quando ce lo
permettono).
Dall'altro,
continuare
a
sensibilizzare in vari modi: organizzazioni di
convegni e conferenze, manifestazioni, incontri
nelle scuole, produzione di contenuti online...
Grazie al nostro lavoro "mediatico" sono già stati
ottenuti molti risultati, in soli due anni. Ad
esempio la Regione Toscana si è impegnata a
rendere accessibile il 75% delle stazioni entro il
2018.
vedere che c'è partecipazione ed interazione, è il
segnale che le persone sono sensibili e
desiderano contribuire per un paese più civile, su
misura di tutti. I nostri progetti, d'altronde,
senza il sostegno "dal basso" non potrebbero
mai essere portati avanti. Occorrono donazioni
continue e queste possono arrivare solo da parte
di chi crede in ciò che facciamo.
Dopo le tue critiche su facebook al segretario
della Lega Nord Matteo Salvini ti hanno vomitato
addosso offese gravissime speculando sulla tua
disabilità, cosa hai provato e come hai reagito?
Su Facebook abbiamo raggiunto i 7 milioni, è
stato un risultato sorprendente. Non ci saremmo
mai aspettati una condivisione così virale ed è
stata una delle "mosse" migliori in questi due
anni, per promuovere l'attività della onlus e farla
conoscere. Lorenzo poi è stato bravissimo a
capire cosa "volessi" da lui: una canzone leggera,
ironica e divertente, che parlasse di un tema
importante ma con il sorriso, come piace a noi,
senza compassione o pietismi.
La rivisitazione della canzone Vengo anch'io con
la collaborazione di Lorenzo Baglioni su youtube
(https://www.youtube.com/watch?v=HtuMELyR
Vwk) ha avuto più di 100.000 visualizzazioni. Ti
aspettavi un tale successo mediatico?
È stata la conferma che le nostre idee di libertà e
di uguaglianza siano quelle giuste. Non avevo
criticato Salvini in termini soggettivi, ma avevo
fatto notare un'inesattezza che aveva scritto,
raccontando una certa vicenda, chiaramente a
scopo propagandistico.
Sono stato sommerso di insulti (per fortuna, mi
sarei stupito del contrario e non mi sarei sentito
trattato con uguaglianza!), ma la cosa triste è
che da un dibattito politico certi suoi "fan" siano
passati subito alle offese personali, tirando in
ballo la mia disabilità. È davvero triste vedere
che quando le persone non riescono ad
argomentare passano alla vita privata.
Fortunatamente è stato anche questo un
momento di riflessione utile per molti, che ci ha
messo in buona luce.
Il sito www.vorreiprendereiltreno.it è diventato
una comunity dove tutti possono segnalare le
barriere architettoniche della propria città e fare
delle donazioni onlus che poi verranno utilizzate
per delle persone in difficoltà. Come sta andando
da questo punto di vista?
Il CEST da oltre quarant'anni combatte contro
l'emarginazione delle persone disabili rompendo
gli schemi di una società bigotta e ignorante. Su
facebook uno dei tuoi ultimi post immortala la
lamentela di un vacanziere su Tripadvisor. Hai
reagito con ironia come è giusto che sia, però il
lavoro è ancora tanto.
C'è ancora tantissimo da fare per far capire che il
tema della disabilità non riguarda una cerchia
ristretta di persone, ma tutti noi, dalla mamma
col passeggino all'anziano col bastone. Finché le
persone non capiranno che il diritto
all'inclusione consiste in mille sfaccettature, non
andremo da nessuna parte. La libertà per un
disabile oggi "costa" cara, è giusto che lo Stato e
la società sopperiscano a quelle esigenze che
certamente non sono volute... E per farlo
dobbiamo sfondare ancora un sacco di barriere
mentali, ma sono fiducioso!
Più che il sito, la pagina facebook, che ad oggi
conta quasi 200.000 (mentre la mia personale
sta raggiungendo i 300.000 like). È molto bello
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ERBAMATTA
BIBLIOPOLIS
di Edoardo Triscoli
Ancora una volta ci ritroviamo a tu per tu con un'erba matta, sempre più convinti che le vere male erbe non
si trovano dove ci vengono indicate, ma troppo spesso prosperano in quelli che le indicano. Un equivoco
comune, incessantemente alimentato dai poteri di turno, che non gradiscono le voci contro o
semplicemente altre. E' il destino di tutte le erbe matte del mondo, senza distinzione di sesso, epoca o
cultura, ma per nostra fortuna l'erba matta cresce e continuerà a farlo, in barba a tutti i poteri e le opinioni
che le vorrebbero strappate in nome di una pretesa mentalità livellatrice e omogeneizzante, dimenticando
che ci sentiamo normali proprio grazie a chi è diverso.
"Chi vive senza follia non è così saggio come si crede". F. de La Rochefoucauld
Patch Adams ovvero una risata vi guarirà
Con una felice definizione, qualcuno
ha affermato che l'umorismo è l'arte
di far solletico al cervello,
sottolineando il potere liberatorio e
intellettivo di una battuta arguta, di
un motto di spirito o di un affilato
aforisma. La letteratura vanta una collezione
infinita di umorismo più o meno nero, più o meno
irriverente, per non parlare del cinema, che ci ha
regalato indimenticabili risate di ogni tipo. E nella
vita reale? Le solite cassandre obietteranno che
nella realtà c'è ben poco da ridere, ma noi
sappiamo che le erbe matte di turno pensano
anche a questo, facendo della risata
una
potentissima arma sociale e terapeutica. Hunter
Doherty "Patch" Adams ha fatto del riso il perno
del suo personalissimo approccio alla medicina,
intesa come cura del paziente. Oggi, grazie a lui
migliaia di volontari operano in ospedali di tutto il
mondo per donare un sorriso agli ammalati, agli
orfani e a coloro che soffrono nella mente e nel
corpo.
Figlio di un militare di carriera che doveva
spostarsi continuamente per lavoro, Patch Adams
visse un'infanzia nomade dentro e fuori
dall'America, dov'era nato il 28 maggio 1945.
Fortemente segnato dalla prematura morte del
padre a cui aveva finalmente cominciato ad
avvicinarsi, il giovane Patch mostra subito i primi
segni della sua insofferente diversità già negli
ambienti scolastici. Una serie di gravi lutti
famigliari lo porta sull'orlo del suicidio e della
pazzia. ma la sua innata vitalità lo salva dal
baratro dell'annullamento di sé. Studia medicina
sfidando sempre e comunque l'austero ambiente
accademico dove si segnala per atteggiamenti
stravaganti e clowneschi che gli fanno rischiare
più volte l'espulsione per "troppa
allegria". Per nulla scoraggiato
Patch capisce che quella è la sua
strada e fresco di laurea, insieme a
un gruppo di volontari trasforma la
sua casa in un ospedale dove
curerà gratuitamente migliaia di malati, secondo
la filosofia che la guarigione deve essere un atto
di amore tra esseri umani e non una transazione
commerciale. Dopo dieci anni vara il Gesundheit!
(Salute! in tedesco) , un ambizioso progetto che
prevedeva un terreno di 128 ettari da adibire a
clinica vista come una comunità per la libera
assistenza sanitaria. La sua ricetta "medica" era
semplice: prescrivere divertimento e umorismo
come cura per la guarigione fisica e mentale. Chi
visitava il suo ospedale leggeva all'entrata il senso
e la filosofia che regnavano nel colorato mondo
di Patch Adams: La salute si basa sulla felicità,
dall'abbracciarsi e fare il pagliaccio al trovare la
gioia nella famiglia e negli amici, la soddisfazione
nel lavoro e l'estasi nella natura e nelle arti.
Forte di una notorietà in continua espansione ,
Patch esporta con successo in vari paesi la sua
clownterapia e organizza spettacoli e seminari
per promuovere la sua terapia del riso. Humor e
salute vanno di pari passo, una bella risata libera
endorfine, fondamentali per sentirsi più vivaci ed
entusiasti. Ridere permette al sangue una
maggior ossigenazione, diminuendo la pressione
e giovando così alla salute cardiovascolare. Per
cui quando vedete in un ospedale un medico con
una pallina rossa sul naso, ridete , quel naso e
quel medico spesso valgono di più della chimica
farmaceutica.
(...la felicità non si ottiene con una pillola, la vita
è un privilegio) H.D.Patch Adams
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