monfils - Tennis World

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monfils - Tennis World
N° 17 - giugno 2014
TENNIS WORLD
Si allena felice come un bambino, Roger.
MONFILS
Si è sentito tradito da chi
ama profondamente: il
tennis.
MUGURUZA
Prendere la giusta decisione
sarà fondamentale per il
mio futuro
SHARAPOVA
L’ultimo Roland Garros è
stato assai eloquente
Wimbledon
di Roberto Marchesani
Ripercorriamo insieme le 5 finali maschili più belle
Wimbledon, il torneo più prestigioso al mondo e
la storia del tennis ha vissuto molte delle pagine
più belle della sua avventura sui prati londinesi.
Ripercorriamo insieme le 5 finali maschili più
belle che siano mai state giocate nella sua storia.
Ashe-Connors 1975
La finale del 1975 rimarrà ineguagliabile per il
suo significato e per la sorpresa, che
probabilmente resta ancora oggi tra le più grandi
della storia del torneo. Ashe e Connors, il buono
e il cattivo.
I due sono da tempo contro anche in tribunale,
causa contrasti nel governo del gioco, con Ashe
principale referente dell’Atp e Connors che
invece si distaccava sempre, da tutto e da tutti.
La resa dei conti, la sfida più importante, la si
gioca sul Centre Court, il 5 luglio di quell’anno.
Pochi giocatori – a parte Tilden e forse Borg sul
rosso – hanno raggiunto un aura di imbattibilità
cosi lucente come quella di Jimmy Connors a
Wimbledon 1975. Aveva dominato la stagione
precedente ed era approdato in finale in modo
favoloso, senza cedere un set. Nell’ultimo anno e
mezzo in 133 partite ne aveva perse soltanto 5.
Aveva distrutto Ashe nei 3 precedenti. Insomma
era una finale scontata, che doveva incoronare il
E’ un capolavoro paragonabile al Rumble in the
Jungle di pochi mesi prima, che riportò
Muhammad Ali’ sul tetto mondiale dei massimi.
giovane nuovo fenomeno del tennis mondiale
(solo 23 anni) e respingere il vecchio campione,
che avrebbe compiuto 32 anni a breve. Ma il
match è un capolavoro di tattica e di intelligenza
di Mr. Ashe. Incredibile ma vero, la finale dura
appena 125 minuti. Incredibile, ma vero, la vince
lui. O meglio, l’altro, quello buono. Ashe divenne
il primo nero a vincere Wimbledon rifilando una
lezione severissima al n°1 del mondo, 6-1 6-1 5-7
6-4.
E’ un capolavoro paragonabile al Rumble in the
Jungle di pochi mesi prima, che riportò
Muhammad Ali’ sul tetto mondiale dei massimi.
Ashe ebbe l’astuzia di neutralizzare l’imbattibile
gioco fatto di fendenti da fondocampo di
Connors e sfruttò la disabitudine dell’americano
di colpire palle senza peso, “soft”. Colpendo sul
dritto di Connors e alternando palle morbide a
improvvisi cambi di ritmo, Ashe quasi umiliò il
suo avversario. Lo stupore del campo centrale
dopo i primi due set è stato un qualcosa di
memorabile. Quella partita segnò un punto di
svolta per Connors, dividendo quello che era
stato prima da quello che sarebbe stato dopo.
Borg-McEnroe 1980
Due mondi contro, che più diversi uno dall’altro
non si poteva. Il fuoco e il ghiaccio. Erano
l’opposto in tutto e per tutto, McEnroe e Borg,
ma quel pomeriggio – sempre 5 luglio, ma di 5
anni dopo, 1980 – giocarono una tra le più
emozionanti partite di tennis mai disputate.
Uno monomane, l’altro bimane.
Uno irascibile all’ennesima
potenza, l’altro impassibile
all’ennesima potenza.
Il tie-break del 4° set è un pezzo di leggenda sportiva. 34
punti indimenticabili, ciliegina della torta di un match
grandioso, teso e incerto fino all’ultimo punto. McEnroe –
campione degli US Open, 21 anni – lo sfidante contro il Re, 4
volte campione a Wimbledon, imbattuto dal ’76 a Church
Road e incontrastato n°1 del tennis mondiale. Uno mancino,
l’altro destro. Uno monomane, l’altro bimane. Uno irascibile
all’ennesima potenza, l’altro impassibile all’ennesima
potenza. Uno poliedrico in tutte le sue espressioni, l’altro una
sfinge senza emozioni. Uno geniale, attaccante, adattissimo a
vincere sui prati (lo sfidante), l’altro robotico, difensore, un
muro invalicabile vincente sui prati (il campione). Era uno
spettacolo nello spettacolo. Chi c’era quel pomeriggio lo sa
bene.
McEnroe parte in modo divino, non facendola vedere
all’avversario, 6-1 in 20 minuti, e per larghi tratti comanda il
gioco anche nel secondo set, che forse avrebbe meritato di
vincere, perdendolo sul filo 7-5. Borg chiude il terzo e si
arriva nel 4° set dove la partita esplode. Quando Borg è al
servizio sul 5-4 40-15 con due championship point nessuno
può immaginare che la partita vivrà i 40 minuti più
straordinari della storia di Wimbledon. McEnroe con 3
vincenti si riporta sotto e trascina tutto in un tie-break che
non ha bisogno di aggettivi. The Genius annulla altri 5
match-point (tre in modo clamoroso, uno con un nastro
beffardo) e chiude 18-16 !!! Sembra il sorpasso
per l’americano, ma Borg non cede di testa e
firma l’apoteosi 8-6 al quinto con un leggendario
passante incrociato di rovescio. Forse la
fotografia di una carriera. E’ il 5° titolo
consecutivo – l’ultimo di Borg.
Edberg-Becker 1988
Forse questa, tra le cinque, è quella meno
“meritevole”. O meglio ce ne sarebbero diverse
che potrebbero rivendicare di esserle migliore,
nel complesso, considerando peso storico,
pathos, equilibrio ecc..ecc.. Penso al FedererNadal 2007 (una delle migliori sotto il punto di
vista squisitamente tecnico), o al Connors-
McEnroe 1982 piuttosto che a diverse finali di
Sampras, ma premiamo la prima delle tre finali
Edberg-Becker esclusivamente o quasi alla
qualità della sfida.
Se la terza finale tra i due – quella del 1990 –
fini’ al quinto set e fu la vera resa dei conti, la
prima sfida rimane la più bella, tra l’altro
conclusa in due giorni causa pioggia. Edberg
vinse il primo dei suoi 2 Wimbledon battendo
Becker 4-6 7-6 6-4 6-2 in 2h50m di gioco. Due
angeli biondi – uno svedese, l’altro tedesco – che
incarnarono in maniera perfetta l’originale
spirito del torneo e della sua superficie. Una
spettacolare dimostrazione di attacco,
imprevedibilità, istinto e cuore. Un match che si
può dire ormai di altri tempi, visto che gli
attrezzi di oggi hanno rivoluzionato il modo di
giocare, ma riguardarli, anche a oltre 20 anni di
distanza è sempre un piacere. “I match con Cash
e Lendl mi hanno stancato mentalmente” disse
Boris “ero un po’ lento, lui ha giocato meglio. La
delusione è stato più forte l’anno scorso, non
sono deluso”. Becker era il favorito, ma a
posteriori Edberg era sul suo stesso livello. Lo
svedese vinse Wimbledon dopo averlo vinto da
junior nel 1983. Rivincerà anche due anni dopo
contro lo stesso avversario.
Ivanisevic-Rafter 2001
Anche questa si fa fatica a non descriverla come
la finale più emozionante di sempre a
Wimbledon. Un epilogo mai più ripetuto,
nell’atmosfera sugli spalti (sembrava uno stadio
di calcio, colorato con bandiere croate e
australiane), finita anche questa di lunedi, ma
soprattutto nelle emozioni dell’ultimo set e nella
storia del protagonista. Ivanisevic, che inseguiva
il torneo da una vita, che aveva perso 3 finali –
due da Sampras e una da Agassi – ormai a quasi
30 anni forse non ci credeva nemmeno più. Era
uscito dai primi 100 giocatori del mondo,
entrato nel torneo solo grazie ad una wild-card,
trionfando dopo una sfida al cardiopalmo con
un altro meraviglioso interprete di quella
superficie, Patrick Rafter. 6-3 3-6 6-3 2-6 9-7 il
risultato finale. Una vittoria del destino, che ha
premiato Ivanisevic e tolto un titolo che avrebbe
strameritato anche Rafter, e che purtroppo non
vincerà mai nella sua carriera. L’australiano
perse 2 finali (dopo
quella del 2000, con Sampras, anche li
“sfiorando” il successo nel secondo set…) ma
quella di Ivanisevic è davvero una delle più belle
favole non solo nel tennis, ma di tutta la storia
dello sport.
Nadal-Federer 2008
Partita che non è stata il massimo dal punto di
vista qualitativo (primi due set abbastanza
mediocri, con un buonissimo Nadal ma un
Federer piuttosto falloso, qualità a sprazzi anche
nei restanti 3 set) che però entra di diritto tra le
finali più belle della storia di Wimbledon per
pathos, equilibrio, significato storico, evoluzione
e anche per qualità che, seppur non
al massimo, c’è stata.
Per tutte queste ragioni, solo la finale del 1980 gli è
superiore. Match epico concluso oltre le 21 ora locale,
nella penombra, dopo 3 interruzioni per pioggia, una
sul 2-2 del quinto set e dopo una rimonta di Federer
che, se completata, avrebbe avuto del leggendario.
Partito in sordina, ma con un Nadal carico a mille,
Federer perse i primi due set 6-4 6-4 – nel secondo
dopo esser stato 4-1, cedendo 5 game consecutivi –
probabilmente tramortito ancor più che nelle gambe,
nella testa vista la scoppola di Parigi di quattro
settimane prima. Salvatosi sul 3-3 0-40 del terzo set,
la pioggia provvidenziale gli da una mano. Al rientro,
Roger è trasformato. Vince il terzo set al tie-break, e
con le unghie e con i denti si aggrappa
disperatamente a Nadal nel quarto set,
Lo spagnolo vince 6-4 6-4 6-7 6-7 9-7 e porta a casa
il suo primo Wimbledon, interrompendo il regno
di Re Roger.
sempre rincorrendo nel punteggio. Si salva nel
decimo e nel dodicesimo gioco, sempre in bilico
sul filo, poi vince un altro tie-break, stavolta in
circostanze nettamente più drammatiche. Sotto
2-5 – e servizio Nadal – rimonta grazie anche ad
un insolito doppio fallo dello spagnolo. Dopo
aver sprecato un set-point, Roger annulla due
match-point, il secondo in maniera epica con un
favoloso passante di rovescio ( il colpo non certo
più sicuro del suo arsenale…) su un drittone
d’attacco molto incisivo di Nadal.
Al momento dell’attacco, credo che molti, come
me, pensassero che la partita fosse finita. Nel
quinto set è Federer ad avere le prime chance di
vincere il match, ma Nadal gioca da campione
sia la palla-break, letale se trasformata, sul 3-4
30-40 – che avrebbe mandato Federer a servire
per il suo 6° titolo consecutivo, sia sul 4-5 40-40
con Roger a due punti dal successo. A quel
punto, il match cambia ed è Federer a salvarsi
stoicamente, salvando a ripetizione palle-break
prima di cedere però sul 7-7. Con Nadal al
servizio per chiudere, è ormai inutile un
misterioso per quanto straordinario tracciante in
risposta di rovescio ad annullare un altro matchpoint. Lo spagnolo vince 6-4 6-4 6-7 6-7 9-7 e
porta a casa il suo primo Wimbledon,
interrompendo il regno di Re Roger.
Rosol o Darcis, chi ha
compiuto l'impresa?
di Marco Di Nardo
Nelle due passate stagioni Rafa Nadal era stato eliminato prematuramente ai
Championships, prima sconfitto al secondo turno da Rosol (2012), poi al primo
round da Darcis (2013). Ma chi ha compiuto l'impresa più grande?
Quando ti chiami Rafael Nadal, una qualsiasi
sconfitta, anche in un torneo di relativa
importanza, diventa un vero e proprio caso di
croaca tennistica. Se poi la sconfitta arriva nel
torneo di tennis più importante al mondo,
perlopiù nei primissimi turni, allora se ne parla
per mesi. E' quello che è successo nelle due
precedenti stagioni, quando lo spagnolo è stato
sconfitto a Wimbledon al secondo turno nel
2012 contro Lukas Rosol, e addirittura
all'esordio nel 2013 contro Steve Darcis. Due
partite che hanno fatto storia, nonostante i due
autori delle imprese siano poi stati eliminati
nella prima settimana dei Championships.
Nel 2012 Rafa Nadal stava giocando un tennis
stratosferico. Persa a gennaio la finale
dell'Australian Open dopo una lotta di quasi sei
ore contro Novak Djokovic, terminata per 7-5 al
quinto set in favore del serbo, il maiorchino
aveva letteralmente dominato la stagione sulla
terra rossa, vincendo il Masters 1000 di
Monte-Carlo, l'Atp 500 di Barcellona, il Masters
1000 di Roma e il Roland Garros, conquistando
52 dei 53 set giocati in questi quattro tornei, con
l'eccezione del terzo set della finale dell'Open di
Francia contro il solito Djokovic. Sull'erba era
invece stato eliminato nei quarti di finale del
torneo di Halle contro Philipp Kohlschreiber, ma
allo spagnolo era già successo in passato di
perdere nei tornei di preparazione ai
Championships per poi dare il meglio nello Slam
londinese. Quindi dopo l'affermazione in tre set
su Thomaz Bellucci nel primo turno, Nadal
sembrava già avviato verso la settima finale
consecutiva a Wimbledon (vincitore nel 2008 e
2010, finalista nel 2006, 2007 e 2011, forfait per
infortunio nel 2009). Evidentemente non aveva
fatto i conti con il ceco Lukas Rosol, numero 100
al mondo ma capace di giocare un tennis molto
efficace sull'erba. In realtà in match sembrava
essersi messo in discesa per lo spagnolo, dopo il
primo parziale vinto per 11-9 al tie-break
annullando alcuni set-point. Invece dalla
seconda frazione era proprio il ceco a prendere
in mano la situazione, grazie ad un servizio
molto continuo e un dritto micidiale.
Il suo avversario al primo turno è Steve Darcis,
numero 135 Atp e una sola partita vinta in
carriera nel terzo Slam del calendario tennistico
Doppo 6-4 per Rosol che lo portava avanti per
due set a uno. Nel quarto set era nuovamente
Nadal ad avere la meglio, con un 6-2 che faceva
pensare ad una facile conclusione in suo favore
nel quinto set. Inaspettato invece l'epilogo, con il
ceco che trovava ancora il break e chiudeva al
decimo gioco con tre aces e un dritto vincente.
Un'impresa davvero incredibile.
Nel 2013 la situazione era diversa. Dopo la
sconfitta con Rosol a Wimbledon, Nadal non
aveva più giocato alcun incontro nel 2012 per i
problemi alle ginocchia ed era rientrato solo a
febbraio dell'anno successivo dopo aver
disertato l'Australian Open. Eppure era stato
capace di vincere ben sette tornei dal rientro fino
ai Championships (San Paolo, Acapulco, Indian
Wells, Barcellona, Madrid, Roma e Roland
Garros), perdendo appena due partite, nelle
finali di Vina del Mar e Monte-Carlo. In pratica
lo spagnolo non aveva mai perso prima della
finale, e dopo la sconfitta del 2012 nessuno si
sarebbe aspettato una nuova sconfitta
prematura a Wimbledon. Il suo avversario al
primo turno è Steve Darcis, numero 135 Atp e
una sola partita vinta in carriera nel terzo Slam
del calendario tennistico, ottenuta nel 2009.
Eppure il belga è nella giornata più importante
della sua vita sportiva, gioca un tennis d'attacco
senza concedere la possibilità di scambiare da
fondo campo al rivale, e dopo aver vinto i primi
due set al tie-break, non trema nel terzo e chiude
per 6-4 dopo meno di tre ore di gioco.
Per Nadal è la prima sconfitta in carriera
nel primo turno di un Major.
Per Nadal è la prima sconfitta in carriera nel
primo turno di un Major.
Due sconfitte storiche per Nadal, che finalmente
in questo 2014 è riuscito a tornare grande anche
sull'erba dei Championships. Ma quale delle due
imprese può essere considerata la più grande?
La vittoria di Rosol nel 2012 è certamente stata
più inaspettata da un certo punto di vista,
perché Rafa aveva sempre conquistato la finale
nelle ultime cinque edizioni a cui aveva preso
parte. Non che la sconfitta con Darcis fosse stata
pronosticata da molti, però nel 2013 Nadal
rientrava dopo un lungo periodo di stop, e ci si
chiedeva come sarebbe stato il suo ritorno
sull'erba. Da un punto di vista statistico è stata
però la vittoria del belga la più sorprendente.
Nadal veniva infatti da 22 partite vinte prima di
quell'incontro, e soprattutto aveva sempre
conquistato almeno la finale nei nove tornei
disputati in stagione.
Dato ancora più incredibile, lo spagnolo non
aveva mai perso al primo turno di uno Slam con
un record di 34 secondi turni nei Major su 34
disputati.
Difficile quindi dire quale sia stata la vera
impresa tra le due, ognuno può scegliere
liberamente quella che preferisce.
Una cosa è certa, entrambi i match resteranno
nella storia di Wimbledon come tra le più grandi
sorprese del più antico torneo di tennis al
mondo.
Federer e l'arte del
dramma
di Roassana Bianco
Si allena felice come un bambino, Roger. Richiamando i
vecchi tempi, si raccoglie i capelli in un codino.
Si allena felice come un bambino, Roger.
Richiamando i vecchi tempi, si raccoglie i capelli
in un codino e, seguendo Edberg, ogni tanto
ansima. Per divertirsi, più che per fatica. Lo
stima tanto, il suo idolo, lo venera quasi; poi
appena Stefan, serio e rilassato, si muove per
andare a cercare una pallina sperduta dietro
qualche telone parigino, lo imita.
Lo svedese aveva appena cerchiato una zona di
campo dove muoversi con quei precisi passi per
trovarsi a rete perfettamente dopo una risposta
in top; Federer discute, dice che perde il passo
per la coordinazione in questo modo: Edberg
annuisce e cerca un altra maniera.
Si confrontano, studiano. Per qualcos’altro oltre
Parigi, sebbene non così distante. L’attenzione,
la motivazione, la concentrazione stanno altrove,
con tutto il rispetto per la terra, nella quale si
allenano.
Il giorno dopo, Federer perde in cinque set da
Gulbis. Agli ottavi di finale; dopo non aver
chiuso uno smash che lo avrebbe portato avanti
di due set e quasi certamente alla vittoria.
I due eventi, i due momenti non sono
necessariamente consequenziali: sono
certamente però collegati fra di loro. Si sprecano
già molte parole su un drammatico e struggente
tramonto; Federer nel 2014 fin qui ha raccolto
ottimi risultati e questa di Parigi è la sconfitta
peggiore. Ha avuto costanza, occasioni di
brillantezza, fisicamente è in forma e soprattutto
chiedere ad un numero quattro del mondo (a 33
anni) di ritirarsi è quantomeno azzardato.
Il buon Roger però ha giocato male a Bois de
Boulogne: il rovescio soprattutto è parso falloso
e mai veramente efficace; già contro Tursunov
aveva patito da quel punto di vista, ma più di
tutto ha patito la mancanza di cattiveria.
Con il russo al terzo turno ha convertito quattro
palle break su ventidue (aveva fatto peggio solo a
Parigi in finale nel 2007 contro Nadal, 2/21);
contro il lettone è andata anche peggio. Due
match di inerzia, senza cinismo, senza
concentrazione continua. Senza volere troppo.
Già, perché come Paul Annacone -che Federer lo
conosce bene- ha affermato non molto tempo fa:
«C’è una linea sottile tra il volere qualcosa e il
volerla troppo per poi ottenerla». E’ come se
Roger, non ancora perfettamente a suo agio con
il suo tennis, non abbia sentito quella freschezza
mentale e quella voglia feroce per vincerlo, quel
match, per andare avanti al Roland Garros.
Quando l’ha sentita era troppo tardi, svegliatosi
con le sberle in faccia a suon di rovesci incrociati
di Gulbis. L’ha sentita dopo aver perso, tra le
facce interrogative dei giornalisti in conferenza
che volevano sapere, sapere, scorgere,
domandare, indovinare, creare drammi quasi
quanto lui.
Lui che in campo crea arte e paranoia, due facce
della stessa medaglia: l’estro e la complicazione,
la creatività e la confusione. Difficile trovare un
equilibrio: Federer lo ha fatto grazie alla
metodicità e ad un’ambizione e un
professionismo invidiabili. Il suo miracolo è
soprattutto questo, prima di tutti i risultati
conseguenti. Quando racconta di aver
immaginato una coppa che gli viene strappata
dalle mani da un Murray che in corsa raccoglie
una palla corta non troppo corta su un match
point a Melbourne, ti chiedi come sia possibile
un successo del genere, malgrado il fenomeno.
Se la voglia e la concentrazione non sono feroci, Roger
si perde tra le paranoie e la confusione del suo
immenso repertorio, tra sua fantasia così umana,
troppo umana.
Considerato quanto accaduto negli ultimi tempi
nella sua vita, felice ma affollata e piena di
emozioni, non c’è da stupirsi troppo dell’ultimo
mese dello svizzero, voglioso ma appannato e
talvolta addirittura spento.
Se la voglia e la concentrazione non sono feroci,
Roger si perde tra le paranoie e la confusione del
suo immenso repertorio, tra sua fantasia così
umana, troppo umana.
Drammaticamente comune.
A noi che i drammi piacciono tanto, come
Federer aspettiamo Wimbledon per una risposta
che ci piace pensare come al giudizio universale
definitivo.
Troppo o non abbastanza? Federer ce lo dirà
presto.
Intervista alla Muguruza
di Francesca Cicchitti
"Garbine Muguruza Blanco, non è un uno sciogli lingua e
nemmeno una formula magica
Garbine Muguruza Blanco
Nata a Caracas l'8 ottobre 1993
E' una tennista spagnola.
Inizia a giocare all'età di 5 anni. Dopo una
breve carriera nel circuito ITF dove riesce a
conquistare sei titoli in singolare e uno nel
doppio fa il suo esordio nel circuito WTA.
Altezza 182 cm
Peso 73 kg
"Garbine Muguruza Blanco, non è un uno sciogli
lingua e nemmeno una formula magica. Si tratta
di un nome e cognome, di origine ispanica che,
sembra, dovremo imparare a pronunciare con
disinvoltura”.
Questo è ciò che si leggeva in un articolo di due
anni fa che parlava del grande successo ottenuto
da Garbine (con la tilde, e dunque Garbigne per
quanto riguarda la pronuncia) al suo esordio in
un torneo Premier, quello di Miami.
Già due anni fa, dunque, non esistevano grandi
dubbi sul fatto che la ragazza avesse un grande
talento, forse è per questo che quest’anno, al
Roland Garros, non ci ha affatto sorpresi,
seppure l’exploit sia stato davvero grande: ha
eliminato al secondo turno la numero uno del
mondo Serena Williams, ed è giunta nei quarti
di finale contro la vincitrice del torneo Maria
Sharapova, contro la quale ha vinto il primo set
(6-1), ha giocato con caparbietà ma perdendo il
secondo (5-7), infine ha ceduto al terzo (1-6)
alla grande esperienza della tennista russa.
La Muguruza nel 2012 a Miami, arrivò in ottavi
di finale battendo tutte giocatrici con una
classifica migliore della sua, allora era n. 208 del
ranking, oggi invece, dopo il Roland Garros è n.
27, un bel salto in avanti che di certo non sarà
l’ultimo.
Hai fatto un grande torneo. Che
emoziona è stata battere Serena
Williams?
«Un’emozione che mi ha fatto tremare le gambe,
letteralmente. Mi sembrava una cosa così
impossibile e lontana da realizzare e invece…
In più è stato bello sentirmi dire da Serena a fine
partita: “Continua a giocare così, se continui
così, vinci il torneo”. Le ho risposto che ci avrei
provato, che avrei fatto del mio meglio».
Quand’è che hai realizzato che avresti
potuto vincere?
«Alla fine, negli ultimi games della partita, avevo
vinto il primo e se non sbaglio ero 4-1. Ero
nervosa, ma ho realizzato che solo se avessi
mantenuto la calma avrei potuto vincere una
partita così importante. Anche lei era molto
nervosa».
È vero che Serena Williams è sempre
stata la tua giocatrice preferita, sin da
quando eri bambina? Com’è stato
preparasi a giocare contro la tua
giocatrice-idolo?
«È stato difficilissimo», ride, «perché sin da
piccola quando accendevo la televisione la
vedevo giocare. L’ammiravo, ho più di 100 video
di Serena, l’ho studiata: come fa il servizio, come
gioca il rovescio… Ma è stato difficile restare
calma, ho fatto finta che non fosse lei quella che
avevo di fronte, ma un’altra giocatrice. Forse
grazie a questo, sono riuscita vincere e a giocare
così bene».
Ci sono altre giocatrici alle quali ti sei
ispirata oltre a Serena?
«Sì, c’è Martina Hingis, ho sempre desiderato
riuscire ad arrivare ai suoi livelli. Poi mi piaceva
molto il gioco di Pete Sampras, erano dei grandi
e da bambina guardavo sempre le loro partite».
Contro Maria Sharapova, ci è sembrato
che ce la potessi fare, c’eri vicina. In
alcuni momenti sembravi controllare il
match. Poi, che cosa è accaduto?
«È vero, c’ero così vicina… Ora è duro
ammetterlo, ma ho avuto davvero l’opportunità
di vincere la partita. Quello che penso, è che ho
bisogno di maggiore esperienza per poter
affrontare e vincere di seguito partite del genere,
contro avversarie così forti. Penso di aver giocato
molto bene, in tutti e tre i set, ma nei momenti
importanti è stata la concentrazione che mi è
mancata, la testa non è stata all’altezza della
situazione. È duro ammetterlo. Dovrò migliorare
in questo».
Sembra quasi che per te sia stato più
difficile giocare contro la Sharapova che
contro la Williams. Prima di giocare con
Serena hai spiegato che non avevi nulla
da perdere, che era la n.1 e dunque il
match aveva una favorita certa. Ritieni
che averla battuta ti abbia alla fine
caricato di troppe responsabilità?
«No, guardate, penso davvero di aver perso per
la disabitudine a giocare di seguito tanti match
così importanti. Maria gioca con grande
intensità ma non mi ha dato fastidio il suo gioco,
la conosco e so bene com’è il suo stile.
Eppoi, anche con lei non avevo nulla da
perdere... È una tennista di così alto livello, e
non è un caso che abbia rivinto il Roland Garros.
Ho fatto tutto quello che potevo fare, ho cercato
di concentrarmi sul mio gioco, ma non sono
riuscita a crescere nei momenti importanti del
match».
Masha ti ha gratificato di molte belle
parole. Ha detto, per esempio, di essere
convinta che questo French Open
rappresenterà per te una svolta nella
carriera. E tu, che conclusioni ne hai
tratto?
«Adesso sono più fiduciosa, poco ma sicuro.
Credo di più in me stessa. Tutte le partite che ho
giocato, non solo quelle con la Williams e la
Sharapova, sono state delle esperienze che mi
hanno fatto crescere. Non so se questa maggiore
sicrezza rappresenterà una svolta nella mia
carriera. Lo vedremo a breve. Al momento sono
contenta di aver raggiunto un buon livello di
gioco. Poi, è vero... Migliorare è sempre possibile
(ride)».
Come ti sei trovata sulla terra battuta?
Sappiamo che tu preferisci le superfici
veloci, vero?
«Sì è vero, però mi piace giocare anche sulla
terra, mi sono allenata per tutta la vita in
Spagna, e lì. lo sapete, non ci sono molte
alternative alla terra rossa. Ma la cosa
importante era che io mi senta concentrata sulle
partite che devo giocare. La superficie conta e
non conta, e se poi ti manca la concentrazione,
allora conta ancora meno».
È vero che è l’erba la superficie che
preferisci più di tutte? Wimbledon è alle
porte, per te è una opportunità di
ottenere un altro risultato importante,
no?
«Non vedo l’ora. Anche perché i tornei sull’erba
ci sono solo per tre settimane l’anno, davvero
troppo poco. L’idea di tornare per qualche
settimana a “pascolare” sui prati inglesi mi fa
sentire bene. Un risultato pari a quello del
Roland Garros sarebbe un bel modo per
chiudere la stagione europea. Ci spero tanto».
Sappiamo che sei per metà spagnola e per
metà venezuelana ma ancora devi
decidere per quale delle due nazioni
vorrai giocare in futuro. Da cosa
dipenderà la tua scelta?
«Sono nata in Venezuela, a Caracas, mia madre è
venezuelana mentre mio padre è spagnolo. Poi,
lui si è trasferito in Venezuela per lavoro, mentre
mia madre è venuta in Spagna.
Ho vissuto in Venezuela fino a sei anni e lì ho
iniziato a giocare a tennis, insieme ai miei
fratelli, poi ci siamo trasferiti a Barcellona.
Per quanto riguarda il mio futuro, è vero, ci sto
ancora pensando, non è una decisione facile e i
soldi non c’entrano.
Il punto è che ho una grande famiglia, una parte
in sud America e un’altra in Spagna, e devo
decidere in quale paese voglio trascorrere la
maggior parte del mio tempo. È un po’ come
chiedere a un bimbo se vuole più bene a mamma
o a papà. E poi, questo è un momento
importante della mia carriera, sto imparando
molte cose, sto migliorando».
Il personaggio Gulbis
di Diego Barbiani
«Da piccolo mi chiedevo il perché di fatica e
allenamenti..."
«Da piccolo mi chiedevo il perché di fatica e
allenamenti. Ora ho capito perché, ora sono io a
volerlo, sono io che voglio vincere». Habemus
Ernests Gulbis, finalmente. Dopo sei anni e mille
peripezie il lettone sembra aver trovato la sua
strada e pare una persona matura, che ragiona
come un adulto. Bene o male, be’, giudicate voi...
Il cambiamento è evidente
«Me la sono fatta addosso», disse quattro anni fa
Roma quando battè Roger Federer. Al Roland
Garros è accaduto di nuovo ma il suo
cambiamento è stato evidente e il suo percorso è
stato una delle note più liete del torneo parigino
a cui aveva fatto da overture il successo nel
torneo di Nizza.
Di sicuro, il tennis ha bisogno di un personaggio
come lui: per anni così “out” dall'immagine del
figlio preferito di ogni madre che è impossibile
non apprezzarlo, quantomeno conoscere un'idea
diversa rispetto all'omologazione che oltre alle
superfici si sta riscontrando anche nelle
dichiarazioni dei giocatori, da lui stesso definiti
«noiosi». Ascolta le opere di Giuseppe Verdi, si
immerge nei libri di Dostoevsky e se gli chiedete
con chi vorrebbe passare quindici minuti
risponde: «Con Albert Einstein, anche se non
credo che uno così avrebbe avuto voglia di
perder tempo con uno stupido atleta».
Vorrebbe che le proprie sorelle minori non
continuassero con il tennis perché «per le donne
è una scelta difficile, devono godersi di più la
vita e pensare poi a metter su famiglia, ma come
possono fare se hanno il tennis in testa?». Secca
la risposta di Maria Sharapova: «È un comico.
Un grande comico... Quando sono di cattivo
umore leggo le sue dichiarazioni per farmi due
risate». Ma è stato solo l’inizio... Perché Ernesto
non ha mollato la presa, e quando gli hanno
chiesto un commento alla scelta di Murray, di
avere come coach Amelie Mauresmo, ha subito
tirato in ballo la bella siberiana. «Allora anch’io
posso scegliere, per esempio fra la Ivanovic e la
Sharapova». Stavolta gli ha risposto Ana,
sarcastica... «Potrei negoziare? Mi sembra una
così bella sfida, con Maria. Non penso ad altro».
Una storia diversa
Lui fa spallucce, con il sorriso spavaldo di chi si
fa scivolare tutto di dosso. Dopo sei anni dalla
sua prima affermazione importante (sempre al
Roland Garros, nel 2008 i quarti e quest anno la
semifinale) ha riacceso la voglia di chi non vede
l'ora di trovare un volto nuovo, una storia
diversa da raccontare. In questo lungo periodo
ha fatto a cazzotti con il tennis, preferendogli
mille e diversi divertimenti, che gli sono costati
pure una notte in carcere. A Stoccolma nel 2009
fu beccato con una prostituta, lui commentò in
seguito che «quando esco con una ragazza non
le chiedo che lavoro fa, e se lei lo chiede a me io
le dico che faccio il musicista o attività simili».
Non ha smesso. Appena lasciato il Roland
Garros, ha raccontato, se n’è andato in Lettonia e
ha perso tutta la vincita parigina al casinò,
insieme con il cugino. Come dire che, se è
cambiato, e pare proprio lo sia, per sua fortuna,
Ernest ha mutato atteggiamento solo in campo.
E negli allenamenti, nei quali quelli del suo staff
assicurano sia diventato addirittura uno
“sgobbone”. È cresciuto in Baviera nella scuola
tennis di Nikki Pilic, che allora si divideva fra gli
impegni della sua Academy e la Davis croata, che
guidava da capitano. Fu la madre, attrice, a
contattare il vecchio maestro dopo aver trovato il
suo numero sull’elenco telefonico. Anzi, lo
convocò a Riga, potendoselo permettere. Nikki
lo prese con sé, ma il suo giudizio non fu
lusinghiero... «È troppo ricco per diventare forte
a tennis».
Il figlio del gasdotto
Il padre di Ernests, Airnas, spesso presente nel
suo box, è proprietario di uno dei più importanti
gasdotti della Lettonia e assieme alla madre non
ha mai fatto mancare qualcosa al figlio. Eppure
Gulbis era bravo nella scuola come negli sport. Il
suo coach attuale, Gunther Bresnik, è il vero
artefice del mutamento sportivo. «È il miglior
allievo che abbia avuto. Sa far tutto, fisicamente
adesso è preparatissimo, ma non è stato difficile
«È vero, ho passato degli anni nei quali non volevo
giocare, scappavo in Lettonia e passavo anche dieci
giorni senza far nulla».
rimetterlo in sesto, perché fin da piccolo ha
sempre avuto ritmi di vita elevati: praticava più
di uno sport e gli effetti ora sono evidenti. È
armonioso nei movimenti, nella corsa».
A questo si aggiunge il suo nuovo status. Questo
totalmente a suo carico, e a suo merito. «È vero,
ho passato degli anni nei quali non volevo
giocare, scappavo in Lettonia e passavo anche
dieci giorni senza far nulla. Quando però ho
conosciuto Gunther ho capito che sarebbe
andata diversamente. Lui non mi ha detto di non
far tardi la sera o di non divertirmi, mi ha solo
imposto di essere pronto alle dieci del mattino
seguente per gli allenamenti, lasciando che fossi
io a gestirmi». I risultati? «Da quando mi alleno
a Vienna solo una volta non sono
riuscito a presentarmi in orario, chiedetelo a
Gun se non mi credete». Djokovic, con cui
Gulbis si è trovato a condividere del tempo
quando anche lui si allenava da Pilic, ha detto:
«È uno a cui piace scherzare. Giocavamo spesso
a carte, ci piaceva ridere insieme, ancora adesso
ci ritroviamo volentieri. È sempre stato un
amante della vita... A tutto tondo».
Musica e birra
Niente di più esatto per uno che rivela: «Mi
piace l’Opera, adoro la musica di Philip Glass,
Pierre Boulez e Irmin Schimdt. E mi piace la
birra. Se esco la sera e inizio a bere, lo faccio per
tutta la notte. Mi piace l’Olanda, lì la marijuana è
legale. Noi tennisti non possiamo fumarla, ma
l’idea mi piace».
«Contano soltanto il duro lavoro e
la dedizione»
«Capitavano le volte», dice ancora Djokovic, «in cui voleva
allenarsi, altre in cui era Pilic a doverlo costringere, questo
perché andava d'accordo solo con le persone che gli
piacevano.
Eppure già a 14-15 anni si vedeva il suo potenziale: giocava in
maniera sciolta, senza preoccuparsi, e distruggeva gli altri
ragazzi». Ora ha modificato il suo modo di essere giocatore, il
suo rapporto con il tennis. Forse non raccoglierà quanto si
prevedeva, ma «oggi entro in campo con la voglia di vincere,
prima l'adrenalina giusta mi saliva solo se giocavo con i più
forti. È una questione di volontà: non te la dà nessuno, devi
dartela da solo».
Top Ten, la prima volta
Si è fatto attendere. L'entrata in top-10 (esattamente alla
decima posizione) non deve essere che il primo gradino di
una nuova scalata. A febbraio, dopo tanti risultati negativi, la
madre gli disse di lasciar perdere, lui le rispose in modo da
costringerla a stupirsi...
«Contano soltanto il duro lavoro e la dedizione». Adesso ha
l'occasione per riprendersi parte di quello che un talento
puro e grezzo come il suo poteva già avergli regalato. Ma il
tempo, per lui che è classe 1988, è gentile e una porta è
rimasta aperta.
Intervista alla Mauresmo
di Daniele Azzolini
C’è un titolo non compreso fra quelli del bouquet tennistico femminile, che
la Francia, nei giorni finali della disfida ha festeggiato come fosse un
trofeo
C’è un titolo non compreso fra quelli del bouquet
tennistico femminile, che la Francia, nei giorni
finali della disfida ha festeggiato come fosse un
trofeo. È il titolo per il coach più sorprendente e
inatteso. Lo ha vinto Amelie Mauresmo, notre
douce coquelouche, la chiamavano i francesi,
quando giocava e vinceva, la nostra dolce cocca.
Andy Murray l’ha chiamata e sarà lei ad allenarlo
nei prossimi mesi. Li abbiamo già visti assieme
al Queen’s (non andato benissimo), li rivedremo
a Wimbledon.
Amelie, hai conquistato il tuo unico Slam
a Wimbledon, e senza giocare a rete.
Forse è questo ad aver incoraggiato
Murray?
«La sua scelta ha sorpreso anche me. Ne
abbiamo parlato a lungo, nelle scorse settimane,
dopo la sua prima telefonata. E poco a poco la
decisione ha preso forma. Non sta a me svelarvi
tutti i dettagli. Se vuole, potrà farlo Andy. Ma è
un compito che ritengo alla mia portata. L’ho
visto spesso giocare, e ho alcune idee da portare
avanti».
Prima di Andy, avevi fatto apprendistato
con Michael Llodra, portandolo a vincere
due tornei, gli unici.
«Andy mi ha proposto una sfida, e io non mi
metto certo da parte quando le scelte sono
difficili»
Un buon risultato ma l’incarico non è
durato a lungo. Quali sono oggi le tue
ansie, rispetto all’incarico cui sei
chiamata?
«Andy mi ha proposto una sfida, e io non mi
metto certo da parte quando le scelte sono
difficili. Credo che il suo addio a Lendl sia
dovuto al fatto che Ivan non poteva assicurargli
una presenza costante. Su questo punto io gli ho
dato piena assicurazione. Il resto, si vedrà.
Affronteremo assieme la stagione sull’erba e lì
capiremo se ci troviamo bene oppure no».
Sei la prima coach scelta da un Top Ten.
«Noi ragazze siamo preparate. Io, come altre.
Non sono la sola a lavorare come coach, lo
stesso Andy ha avuto a lungo al fianco la madre,
Judy, che è un ottimo tecnico e ora è anche
capitana di Fed Cup. Poi c'è una grande
campionessa come Martina Hingis. Non sono la
prima, insomma, ma spero ugualmente di fare
da apripista verso mete sempre più importanti.
È indispensabile che anche le donne siano
riconosciute e apprezzate in questo tipo di
lavori, che in passato si sono caratterizzati per
una forte presenza maschile.
Noi abbiamo un modo diverso di approcciarci,
questo è vero, ma credo sia interessante anche
questo aspetto, abbiamo qualcosa di diverso e di
più da offrire sul mercato».
Quel strano tennista di
Monfils
di Gianluca Maestri
Dramma, esplosività, reazione, esaltazione, incapacità a
reggere la tensione nel momento chiave
«Come ha fatto a rimontare da due set sotto a
due pari?».
«Perché è Monfils»
«Come ha fatto a perdere a zero il quinto set e la
partita?»
«Perché è Monfils»
Ha ragione Patrice Dominguez. Nella sconfitta
contro Andy Murray nei quarti di finale del
Roland Garros c’è l’intera vita tennistica di Gael
Sebastien Monfils, parigino di nascita e di
cuore.
Dramma, esplosività, reazione, esaltazione,
incapacità a reggere la tensione nel momento
chiave. Nella sera che si avviava a diventare
notte tutta la città si era stretta attorno al suo
campione. Le urla che arrivavano dagli spalti
erano il motore di un aereo che provava a
spingere al massimo, a far volare sino alla
vittoria il proprio eroe.
La realtà è stata diversa.
E alla fine il torneo ha lasciato Gael colmo di
tristezza. Con tanti rimpianti e la consapevolezza
di avere fallito un altro appuntamento con la
svolta della carriera. Ancora una volta il
giovanotto si è sentito tradito da chi ama
profondamente: il tennis.
Lui in fondo è uno che adora tutto lo sport.
Da bambino si divertiva su un campo da basket:
due contro due, tre contro tre. Tutto il giorno a
inseguire una palla e a centrare un canestro. Ha
addirittura giocato in una Lega minore a
Ginevra. Ogni giovedì veniva schierato da pivot.
Ha praticato atletica leggera, dicono fosse un
talento prima sui 100 metri, poi sui 400 (parola
di Marc Raquil, campione del mondo 2003 con
la 4x400). Ha fatto judo e ciclismo.
Fisico da predestinato (1.98 per 80 chili),
muscolatura elastica, struttura resistente, buona
reattività, ha scelto il tennis. Ottimo colpitore da
fondo, prestanza atletica, buona copertura del
campo, specialista nei colpi tagliati, servizio
potente.
Estroverso sino ai limiti estremi, è stato spesso
criticato per i suoi atteggiamenti extra sport.
«Non ha una profonda fiducia in se stesso, per questo
scappa dalla realtà imbarcandosi in tutte le follie che
riesce a mettere assieme».
«Non ha una profonda fiducia in se stesso, per
questo scappa dalla realtà imbarcandosi in tutte
le follie che riesce a mettere assieme».
È approdato al Roland Garros avendo nelle
gambe pochi tornei, soprattutto sulla terra rossa:
Bucarest e Montecarlo. Stop, tutto qui per la
miseria di cinque partite. Un infortunio alla
caviglia destra l’ha tenuto fermo su questa
superficie nel cuore della stagione.
Altre volte in passato aveva avuto la carriera
tormentata da problemi a ginocchio, schiena,
caviglia, polso. Ogni volta subiva la sfortuna
come se fosse un fatto personale e la malasorte si
accanisse sempre e solo contro di lui. Le
motivazioni se ne andavano, la voglia di lottare
scompariva e immancabilmente doveva
ricominciare daccapo.
Difficile stare dietro a un tipo così. Non a caso ha
cambiato allenatori come le dive cambiano
vestiti: Richard Warmoes, Thierry Champion,
Tarik Benhabiles, Roger Rasheed, Patrick
Chamagne, Eric Winogradsky. E da un anno si
allena da solo.
È sbarcato sui campi rossi parigini senza tecnico
al seguito e ha raccontato di essersi preparato
con un duro lavoro di sei ore al giorno. Ha anche
aggiunto che erano equamente divise tra tennis,
basket e breakdance…
Anche durante il torneo non è riuscito a stare
lontano dalle stravaganze. Una sera ha rinviato
l’appuntamento con il massaggiatore perché
doveva andare a cercare un posto dove
mangiare un ottimo kebab. Conclusione: la
sessione di massaggi ha avuto inizio soltanto
all’1:30 di notte. Un solo uomo riesce a fare
sentire la sua voce al giovane Gael. Si chiama
Rufin Monfils.
«Quando è stata l’ultima volta che hai incontrato
il tuo idolo dell’infanzia?». «Lo incontro ogni
giorno. È mio padre». Ex giocatore di calcio, oggi
agente della Telecom France, il signor Rufin
viene dalla Guadalupe. Sylvette, sua moglie che
lavora come infermiera, arriva dalla Martinica.
Papà Monfils è stato il primo allenatore del
figlio, anche se il piccolo Gael riusciva a batterlo
già a 12 anni.
La famiglia è il rifugio dove andare quando le
cose si fanno difficili. È stata la famiglia ad
aiutarlo anche recentemente quando nel giro di
un anno e mezzo è precipitato dal numero 7 al
108 del mondo.
Qui a Parigi sembrava avere trovato il
palcoscenico giusto per tornare protagonista.
Fermo da fine aprile, si era ripresentato senza
farsi accompagnare da tante aspettative. Match
dopo match la Francia ha riscoperto un eroe da
amare: Hanescu, Struff (memorabile un tuffo del
parigino per recuperare una palla impossibile,
tentativo sfortunato ma spettacolare), Fognini,
Garcia-Lopez si sono dovuti tutti arrendere al
nuovo Monfils.
Poi, alle 21:40 di un mercoledì umido e ventoso,
l’avventura è stata interrotta da Andy Murray,
scozzese che non si è fatto né impietosire né
influenzare dalle urla di una folla in delirio per il
suo campione.
Era sera, c’era poca luce. Venticinque minuti
prima l’arbitro Stefan Fransson aveva chiamato i
due per comunicargli che ci sarebbe stato
davvero poco altro tempo prima che il gioco
fosse interrotto.
Sotto pressione, convinto di essere favorito dal
prolungamento della sfida, ingolosito dalla
vittoria dei due ultimi set, Gael Monfils aveva
preso la decisione peggiore.
Ancora una volta sentiva di
aver recitato il ruolo
dell’incompiuto
Aveva pensato che la chiave per raggiungere la vittoria fosse
nascosta nella capacità di accellerare i tempi. E per lui era
arrivato il buio più profondo. I giochi erano finiti.
«No. Non penso sia stato un grande torneo per me. Capitemi,
sono triste. Devo lavorare più duramente, questo match era
la chiave per diventare un campione».
Ancora una volta sentiva di aver recitato il ruolo
dell’incompiuto. Voleva dimostrare al mondo, ma soprattutto
ai francesi, anzi: ai parigini, che lui poteva fare tutto da solo.
Non aveva bisogno di un allenatore che gli dicesse come,
quando e quanto allenarsi. E non aveva bisogno di dure
sedute di atletica o su un campo da tennis. Poteva andare
bene anche un court di pallacanestro o un parquet per la
breakdance. Non erano follie quelle del giovanotto che viene
dal West Side di Parigi. Lui avrebbe fatto vedere a tutti che
era tornato uomo da Top Ten, l’unico che poteva infrangere
un digiuno che al Roland Garros durava dal 1983, anno in
cui Yannick Noah aveva alzato il trofeo.
So benissimo come ci si senta a tifare per il passato. Nicola
Pietrangeli prima e Adriano Panatta poi sono stati gli unici
tennisti a farci sorridere dagli spalti dello stadio nel cuore di
Porte d’Auteuil. E sono ormai passati trentotto anni. Gael
Monfils ci ha provato. Ma la notte ha inghiottito il suo
tentativo.
La nuova vita di David
Nalbandian
di Alessandro Varassi
L’ex numero 3 del mondo, appesa la racchetta al chiodo, si
dedica a tempo pieno ad una delle sue grandi passioni: il rally!
L’avevamo lasciato in una serata di fine
Novembre nella sua Cordoba, battere il numero 1
del mondo in esibizione nella sua ultima partita.
David Nalbandian, ex numero 3 del mondo, è da
meno di un anno un tennista in pensione: colpa
dei tanti problemi fisici, e forse anche di una
motivazione al sacrificio, leggi continui viaggi e
allenamenti. La nascita della prima figlia, Sossie,
ha spinto l’argentino a dire basta, come
annunciato in una conferenza stampa lo scorso 1
Ottobre 2013. Ma lo sport ce l’ha nel sangue, la
Nalba, che ha deciso di cambiare strumento:
dalla racchetta al volante. Nalbandian infatti sta
partecipando al campionato nazionale argentino
di Rally, partito il 22 Marzo e che conta 10 tappe;
a bordo di una Chevrolet Agile Mr, l’ex tennista
fa parte del Tango Team Rally, insieme a Marcos
Ligato, pilota professionista, e all’ex calciatore
Claudio Lopez, un passato anche nella Lazio.
Il debutto è avvenuto a Villa Carlos Paz, vicino
Cordoba, il 22 e 23 Marzo scorsi, Nalbandian è
giunto 15esimo, in coppia con il connazionale
Daniel Stillo; la Chevrolet Agila numero 131 è
stata senza dubbio la più seguita dal pubblico,
ma le cose non sono andate molto bene: “Siamo
usciti due volte di strada, e abbiamo perso
almeno 15’’. Nella seconda sessione, siamo stati
Nalbandian e il rally, un amore che
non nasce certo negli ultimi mesi,
ma che va avanti da tanto,
così come la pesca
rallentati da un concorrente che s’è ribaltato proprio davanti
a noi!”. Lo sapeva alla vigilia: “Non lotterò certo per la
vittoria, è una sorta di apprendistato; devo fare meno errori
possibili, e guadagnare esperienza. La macchina è fantastica,
completamente diversa dalle precedenti, e con una frenata
impressionante” diceva Nalbandian durante la conferenza
stampa di presentazione del team. Probabilmente, la Nalba
non disputerà tutte le prove del campionato nazionale
quest’anno, ma non esclude di prendere parte addirittura ad
una prova del campionato mondiale: “Preferisco procedere
per tappe”, ha liquidato la questione così.
I risultati iniziano a migliorare, e nell’ultima prova, disputata
a Catamarca, la coppia Nalbandian-Claudio Lopez ha chiuso
al quinto posto.
Nalbandian e il rally, un amore che non nasce certo negli
ultimi mesi, ma che va avanti da tanto, così come la pesca;
leggenda metropolitana vuole che nel 2005 l’argentino stesse
proprio pescando, quando gli venne comunicato che aveva
diritto a partecipare alla Masters Cup di Shanghai nel 2005
dopo una serie di rinunce. Fu l’incipit di una delle migliori
storie della carriera tennistica di David, capace di arrivare in
finale e rimontare 2 set a Roger Federer, laureandosi
Maestro. Ma è a fine 2007, con l’accoppiata Madrid-Parigi
Bercy, che forse si vede il miglior Nalbandian di sempre,
ingiocabile per chiunque, e capace di mettere in riga più
La Coppa Davis il vero cruccio della carriera di
Nalbandian
volte i top player (Nadal, Federer, Djokovic).
Sarà l’apice di una carriera che prometteva
tantissimo, grazie ad un rovescio bimane
spettacolare che ben celava una forma fisica
sempre ai limiti (un’altra grande passione
dell’argentino è la cucina, ed è proprietario di un
bar nel quartiere dove è nato).
La finale a Wimbledon del 2002, le semifinali in
tutti gli slam (inclusa quella storica agli Us Open
contro Roddick, con polemiche annesse per una
chiamata pro americano che poteva dare altro
esito al match, e al torneo tutto), fanno da
controaltare ad alcuni episodi controversi, come
le polemiche con Juan Martin Del Potro, legate
alla finale di Coppa Davis 2008, il vero cruccio
della carriera di Nalbandian.
Tigre da combattimento
di Brent Kruger
Maria Sharapova
Quando, appena diciassettenne, conquistò a
Wimbledon il suo primo major in carriera
battendo in finale la favoritissima Serena
Williams, nessuno poteva nemmeno
lontanamente immaginare che Maria Sharapova
sarebbe diventata una specialista della terra
battuta.
Peraltro, lei stessa non aveva esitato qualche
anno fa a definirsi come una “mucca sul
ghiaccio” quando si trattava di calpestare la
polvere di mattone. Tuttavia, considerati i
risultati ottenuti sulla suddetta superficie nella
prima parte della sua carriera, il senso critico
della siberiana pareva quantomeno eccessivo.
Dal 2003, quando disputò il primo match
ufficiale sul rosso in un tabellone principale
perdendo a Parigi con un doppio 6-3 contro la
spagnola Magui Serna, e fino a tutto il 2010,
Masha aveva infatti un bilancio di 40 vittorie e
13 sconfitte con un solo titolo all’attivo, quello
ottenuto proprio nel 2010 a Strasburgo, e una
percentuale più che accettabile del 75% di
successi.
La trasformazione è avvenuta però nelle ultime
quattro stagioni, in cui la Sharapova ha vinto 66
delle 72 partite disputate e ha messo in bacheca
ben otto titoli (tre a Stoccarda, due a Roma e
Parigi, uno a Madrid). Nessun’altra, nel circuito,
ha saputo fare meglio di lei in questo lasso di
tempo.
Si è spesso detto che il gioco monocorde della
russa non prevede un piano “B”, allorquando le
cose in campo si mettono male; sia Hogstedt,
l’ex-coach, che Groneveld, quello attuale, non
pare si siano concentrati in maniera particolare
sugli aspetti tattici del tennis espresso da Maria.
Piuttosto, hanno entrambi lavorato
ulteriormente sulla concentrazione e sulla
determinazione, qualità che la bionda di Nyagan
si porta dentro dalla nascita. Poi, certo, qualcosa
è cambiato sul piano tecnico.
La Sharapova attuale, pur mantenendo intatta la
volontà di aggredire e spingere appena è
possibile, ha più pazienza e, soprattutto, si
difende decisamente meglio rispetto a qualche
anno fa. Per il resto, risolti i problemi alla spalla
operata, il servizio continua ad essere croce e
delizia del suo gioco, trattandosi di un colpo con
il quale la russa è in grado di complicarsi la vita
così come di togliere le classiche castagne dal
fuoco nei momenti delicati.
C’è stata una certa evoluzione anche nel dritto,
con cui talvolta la Sharapova trova ottime
soluzioni affidandosi al cross stretto, mentre il
rovescio rimane storicamente il suo
fondamentale migliore.
Ma torniamo adesso sull’aspetto mentale, ovvero
l’arma in più che ha permesso alla siberiana di
alzare per la seconda volta al cielo di Parigi la
coppa intitolata alla leggendaria Suzanne
Lenglen.
Per arrivare ad inginocchiarsi sul centrale della
capitale francese, felice e commossa come
pochissime altre volte in carriera, Masha ha
dovuto aggiudicarsi sette incontri di cui gli
ultimi quattro al set decisivo.
Prima di lei, nella storia dei tornei dello slam,
solo Conchita Martinez aveva compiuto
un’impresa analoga quando si affermò a
Wimbledon nel 1994; quella volta la spagnola
mise in fila Radford, Davenport, McNeil e, in
finale, la favorita Martina Navratilova, alla vana
ricerca del decimo titolo londinese. Altre cinque
giocatrici, però, sono state costrette per ben
quattro volte a disputare (e vincere) il terzo set
per aggiudicarsi un major: Nancy Richey (1968),
Sue Barker (1976) e Iva Majoli (1997) sempre al
Roland Garros; Martina Navratilova (1978) a
Wimbledon e Serena Williams (1999) agli US
Open.
Il percorso della Sharapova è stato però
particolarmente accidentato. Negli ottavi, la
russa si è trovata sotto 3-4 nel secondo set
contro la Stosur, prima di infilare nove giochi
consecutivi e chiudere 6-0 al terzo.
Da tre anni e mezzo a questa parte, chi va al terzo
set con Masha sa di avere meno di 15 probabilità
su 100 di spuntarla
Poi, nei quarti, la giovane spagnola Garbine
Muguruza l’ha costretta a servire per rimanere
nel torneo sul 5-4 del secondo parziale; anche in
quell’occasione Maria se l’è cavata alla grande,
tenendo la battuta e mettendo a segno il break
subito dopo. Da quel momento è stato quasi un
monologo siberiano.
In semifinale, altra giovane rampante (la
canadese Bouchard) e altra gara in salita per
Masha che si è vista annullare tre set-point sul
5-4 del secondo dopo che aveva perso il primo;
ancora una volta però la freddezza e la grinta
della tigre hanno avuto la meglio e, subìto il
break, la Sharapova ha tolto di nuovo la battuta
a Eugenie e chiuso il parziale 7-5. Inevitabile il
crollo della Bouchard nel terzo segmento, finito
6-2.
Infine, nella ripetizione della finale di Madrid,
Simona Halep ha provato ad emulare la sua
manager e connazionale Virginia Ruzici (che
trionfò al Roland Garrosnel 1978, unica rumena
nella storia) interpretando un match
straordinario per intensità e lucidità e
provandole veramente tutte per mettere i
bastoni tra le ruote all’avversaria.
La Sharapova avrebbe potuto vincere in due set
ma, avanti 5-3 nel tie-break del secondo set, ha
finito per cedere quattro punti consecutivi.
All’inizio del set conclusivo, Maria ha annullato
una palla-break dell’1-3 e, pur rimontata da 4-2
a 4-4, ha chiuso la contesa con otto punti di fila.
Nel biennio 2011-2012 Maria ha vinto
26 partite al terzo, perdendone
appena due , mentre nel 2014 il suo
record attuale è 13-3
Si è trattato del successo al set decisivo numero 132 in
carriera (nei tabelloni principali del circuito WTA) per la
Sharapova, contro 41 sconfitte. Anche in questa speciale
classifica, le ultime quattro stagioni sono state
particolarmente significative per l’attuale numero 5 del
mondo: nel biennio 2011-2012 Maria ha vinto 26 partite al
terzo, perdendone appena due (entrambi agli US Open,
contro Pennetta e Azarenka), mentre nel 2014 il suo record
attuale è 13-3.
Insomma, da tre anni e mezzo a questa parte, chi va al terzo
set con Masha sa di avere meno di 15 probabilità su 100 di
spuntarla. E questo fa tutta la differenza del mondo,
soprattutto per la fiducia che la russa riesce ad avere in se
stessa anche quando gli incontri iniziano nel verso sbagliato.
In questo senso, l’ultimo Roland Garros è stato assai
eloquente. In un momento in cui pare di assistere a una sorta
di cambio generazionale nel tennis femminile, con l’avvento
di tante giovani particolarmente agguerrite e interessanti, i
nervi saldi e la convinzione nei propri mezzi potrebbero
regalare alla Sharapova (che, ricordiamolo, ha appena 27
anni) altre stagioni di gloria e, perché no?, l’opportunità di
tornare a indossare la corona riservata alla numero 1 del
mondo.
Grasso è bello, ce lo dicono
le tenniste
di Marco Avena
Quando si pensa a certi sport e si guardano determinate
fotografie ci si immagina gli atleti come Bronzi di Riace
scolpiti nella pietra
Quando si pensa a certi sport e si guardano
determinate fotografie ci si immagina gli atleti
come Bronzi di Riace scolpiti nella pietra. Spesso
è così, ma non sempre gli stereotipi
corrispondono a verità. Lasciamo stare per un
attimo sport dove la linea può essere lasciata da
parte per dar sfogo alla potenza – basti pensare a
sport di contatto o a determinate specialità
dell'atletica come lancio del martello o del peso –
ma se dici tennis femminile pensi subito a Maria
Sharapova o a Daniela Hantuchova o magari alla
nostra Flavia Pennetta, ragazze che curano con
meticolosità il loro corpo e la condizione atletica
a tal punto da fare invidia anche ad alcune
gettonate modelle. Ma il tennis, in questo senso,
è uno degli sport più democratici che esistano.
Puoi vincere sia se superi i due metri di altezza
sia se sei sotto l'1,70. E puoi importi sia se sei un
fisico asciutto come la bella Masha appena citata
sia se sei, per così dire, in carne. Così, su due
piedi, vengono in mente la francese Marion
Bartoli, la scorsa estate un po' a sorpresa
trionfatrice a Wimbledon, o ancora Dominika
Cibulkova, non proprio una silhouette, tennista
che paga dazio anche in termini di altezza e in
grado di centrare la finale all'Australian Open
del gennaio scorso. O sfogliando gli annali come
non pensare a Brenda Schultz e Marianne de
Swaardt? E che dire ancora di Serena Williams o
di Vika Azarenka? L'americana e la bielorussa
hanno da sempre un peso forma non certo
invidiabile, a causa di una corporatura
decisamente robusta e qualche strato di
'pannipolo adiposo eccedente' che ogni tanto si
palesa sotto le loro mise attillate e di marca, ma
sono là in cima tra le più grandi di questo sport.
L'ultima in ordine di tempo ad essere balzata
agli onori delle cronache a causa di un fisico più
da modella di Botero che da atleta professionista
è stata l'americana Taylor
“Non bisogna essere stuzzicadenti per
diventare delle star”
Townsend, una signorina di 18 anni che
all'ultima pesata ha toccato quota 80
chilogrammi e che avevamo già notato ad Indian
Wells quando al secondo turno si era arresa alla
nostra Pennetta poi vincitrice del torneo.
Per la verità la Townsend fece parlare di sé già
nel 2012 quando fu esclusa dagli US Open
perché un po' troppo 'cicciottella'. La Townsend
è una tennista oversize che al Roland Garros ha
scatenato la fantasia dei cronisti, specialmente
quando al secondo turno ha superato la
beniamina di casa Alize Cornet: qualcuno si è
addirittura lasciato andare alla fatidica frase “se
l'è mangiata”, battutaccia che chissà quante
volte ancora la talentuosa Taylor si sentirà
ripetere.
Eppure la Townsend ha qualcosa che altre sue
colleghe non hanno: ha dimostrato che nel
tennis dei pro ci può stare anche lei e che con
una dieta accurata non potrà far altro che
migliorare la propria condizione atletica e, di
conseguenza, gioco e classifica. Ne hanno
tessuto le lodi anche Andy Murray e Andrea
Petkovic. La tedesca ha candidamente ammesso:
“Taylor è il mio idolo”, e non l'ha detto certo con
tono ironico. Lei va avanti per la sua strada, sa
che in uno sport di abilità come il tennis tutti
possono avere una chance.
“Non bisogna essere stuzzicadenti per diventare
delle star”, ama spesso ripetere. E lo sa bene
anche la già citata Marion Bartoli.
Il futuro? È roba da
ragazze
di Gianluca Atlante
È cominciato il ricambio generazionale nel tennis
femminile. E quello maschile, quanto dovrà aspettare?
La terra rossa del Bois de Boulogne è crudele.
Colpa della Manica a due passi, forse, di quei
cambi repentini di temperatura che gli inglesi
chiamano showers, scrosci d'acqua che allentano
la rincorsa alla gloria. Ma questa terra, quella del
Roland Garros, insegna che oggi, nel tennis, non
c'è assolutamente nulla di scontato. Fra le
donne, principalmente. Lì dove i muscoli fanno
la differenza e la classe è un qualcosa in più, un
orpello invece che un approdo. Tra gli uomini, la
sensazione è che il “nuovo” che avanza sia
frenato nell'approccio e nella conduzione del
match, più che nell’eseguire i colpi in un certo
modo.
Per carità, Milos Raonic e Grigor Dimitrov,
hanno da tempo bussato alla porta, ma i tempi
di entrata sembrano un tantino più lunghi. Da
parte nostra, c’era la voglia di capire, e dare
corpo alle voci di chi ne capisce di più. Di chi
vive di tennis ventiquattro ore su ventiquattro,
trovando modo e tempo per volare di fiore in
fiore. Abbiamo raccolto pareri, analizzato
attentamente la situazione, monitorato il tutto.
Finendo con il trovare nei numeri di questa
edizione dell'Open di Francia – ché son quelli
alla fine che fanno la differenza – qualcosa che
potesse indirizzarci verso quel cambiamento che
in molti auspicano.
E allora, in un pomeriggio uggioso, siamo
riusciti a trovare terreno fertile… A cominciare
da Josè Luis Clerc, ex giocatore argentino
numero quattro del mondo, che qui al Roland
Garros fece semifinale nel 1981 e '82 e che oggi è
commentatore Espn per il Sudamerica.
«Oggi ci sono Nadal, Djokovic, Federer e
Murray, domani ci saranno Raonic, Dimitrov e
Nishikori. Le rivalità nel tennis non sono mai
mancate e, quando abbiamo iniziato a
preoccuparci, sono spuntate fuori. Credo nel
ricambio generazionale, ma tutte le cose hanno
un tempo e sino a quando quelli lassù, almeno
in campo maschile, avranno fame, per gli altri
non sarà facile provare a sedere al loro tavolo,
fermo restando che i tre che ho nominato,
Raonic, Dimitrov e Nishikori, hanno le
credenziali giuste per scrivere nuove pagine di
questo sport.
«Oggi il tennis femminile», ha continuato Clerc, «sembra
avere più ricambi, è molto più livellato. Nel maschile, la
rincorsa del “nuovo” è partita, ma la strada da percorrere mi
sembra decisamente più lunga».
Diverso il discorso in campo femminile», ha
spiegato lo stesso Clerc, «Il processo di
cambiamento, e lo si è visto proprio qui al
Roland Garros, è già iniziato. Serena Williams ha
perso al secondo turno dalla Muguruza,
giocatrice molto interessante e la Na Li dalla
Mladenovic. In campo maschile, soprattutto in
uno Slam, è assai improbabile che le teste di
serie numero 1 e 2, vadano fuori al primo e
secondo turno. Nel femminile è successo e
succederà ancora, perché oggi sono i muscoli a
fare la differenza e non il talento. Di quello credo
che ce ne sia poco, anche se ci sono giocatrici
come la Muguruza, la stessa Mladenovic e la
canadese Bouchard, per non parlare della Halep,
che sembrano avere qualcosa di più delle altre e
avvicinarsi di molto alle prime».
«Oggi il tennis femminile», ha continuato Clerc,
«sembra avere più ricambi, è molto più livellato.
Nel maschile, la rincorsa del “nuovo” è partita,
ma la strada da percorrere mi sembra
decisamente più lunga. O almeno lo sarà, fino a
quando quelli lì davanti avranno fame».
Proseguiamo nel nostro percorso, aiutati da
quella pioggerellina fastidiosa che tutto rende
più faticoso. Al riparo nella Players Lounge
troviamo Riccardo Piatti, l'uomo che,
unitamente a Ivan Ljubicic, sta portando il
canadese, Milos Raonic, a livelli altissimi.
Riccardo risponde al nostro invito e il dialogo
finisce per scorrere veloce, a patto che non si
parli di tennis in “gonnella”: «Ammiro molto i
coach che lavorano con le donne, credo che ci
voglia molta più pazienza rispetto agli uomini.
Non ho esperienza al riguardo, quindi non mi
sembra giusto parlarne, salvo per ribadire che,
nell’ottica di questo Slam su terra rossa, il
cambiamento è sembrato impetuoso». E
Raonic? «È molto vicino ai più grandi, molto più
di quanto si possa immaginare», ci confida
Piatti. «Credo che il gap sia minimo, per lui
come per Dimitrov e Nishikori, i giocatori che al
momento rappresentano quello che voi amate
definire il nuovo che avanza. Io, per carità, sono
parte in causa, ma Milos sta facendo grandi
progessi. Dal punto di vista tecnico, ma anche
sotto quello puramente psicologico e per questo
intendo
l'approccio al match, e come gestirlo, soprattutto
nei momenti di difficoltà. Pensa da grande,
insomma, e si vede. Credo che la distanza sia
minima e che i tempi per un ricambio, si siano
notevolmente accorciati».
Da Piatti a Cinà, coach della Vinci e profondo
conoscitore del tennis femminile, anche se i suoi
inizi furono con gli uomini. Francesco va
controcorrente. O meglio, ritiene che quanto
accaduto in questa edizione del Roland Garros,
resti un fatto importante, ma forse isolato. «Non
lo so questo, ma dico che se le giocatrici di
vertice, e parlo di Serena Williams, Li Na,
Sharapova, la stessa Sara (Errani, ndr), hanno
un rendimento costante, per le altre diventa
difficile. Halep, Muguruza e Bouchard, sono
giocatrici che stanno venendo fuori alla grande.
Sono giovani e, sicuramente, hanno grossi
margini di miglioramento, ma le prime, se
vogliono, dettano legge. Certo, analizzando
attentamente i numeri, c’è più ricambio rispetto
ai maschi, ma resto dell’avviso che ci vorrà
ancora un po’ per un cambiamento totale della
situazione, per scoprire pagine nuove di questo
mondo».
Il ricambio, nelle donne, è già iniziato. Negli
uomini, un po’ meno. Il nostro Giorgio Di
Palermo, membro del board dell’Atp, fa
Non è un caso, invece, che tra le donne,
Bouchard, Halep e Petkovic, si siano
ritagliate il loro spazio di
meritata gloria.
un’analisi precisa. «Nadal, Djokovic, Federer, Murray, hanno
ancora qualcosa in più. Hanno le qualità per gestire il match
a loro piacimento. Sanno cosa voglia dire iniziare uno Slam e
arrivare sino in fondo. Poi, per carità, succede che possano
inciampare, ma se analizziamo i numeri degli ultimi Major,
ci accorgiamo che sono ancora loro a dettare legge, sempre e
comunque. Sanno come gestire la tensione di un match
importante, come addomesticare una partita importante,
come approcciarla e condurla in porto. La differenza sta in
questo. Raonic, Dimitrov e Nishikori, i tre che bussano alla
porta dei grandi, hanno qualità da vendere, ma non al punto,
a mio avviso, dal scalfire il predominio dei più grandi. In
campo femminile, la situazione è diversa», spiega ancora Di
Palermo, «anche perché sono le qualità fisiche a fare la
differenza. E allora può capitare che, se Serena non sta bene
o, magari, non ha voglia, le altre possono approfittarne. Qui
al Roland Garros, è successo di tutto. Serena e Na Li sono
uscite subito di scena e, in entrambe le metà del tabellone,
sono venute fuori giocatrici come Halep, Bouchard e
Muguruza, che hanno qualità fisiche notevoli e le hanno fatte
pesare, confermando come tra le donne, ci sia più
livellamento». In effetti, senza lo scivolone di Federer contro
Gulbis, il singolare maschile avrebbe presentato in semifinale
i quattro storici Fab Four.
La più bella partita mai
giocata
di Princy Jones
La finale di Wimbledon 2008 tra Federer e Nadal è considerata
dagli esperti una delle migliori partite mai giocate
Qualche decade fa, gli appassionati di calcio
erano soliti parlare di quanto fossero fortunati
ad aver vissuto in un’era che è stata testimone
del talento fenomenale di Diego Maradona. Noi
possiamo dire lo stesso di Roger Federer e Rafael
Nadal e della loro affascinante rivalità che ha
portato i fans all’euforia. Infatti, siamo fortunati
a guardare due degli scontri tra i migliori rivali e
combattuti l’uno contro l’altro, soprattutto nei
tornei del Grande Slam. Roger e Rafa, con i loro
stili contrastanti, fanno del tennis una gradevole
esperienza per gli spettatori. Entrambi sono stati
decisivi per tirare fuori il meglio l’uno dell’altro,
anche se una volta Nadal ha scherzato dicendo
che era stato sfortunato a dover giocare nella
stessa epoca del “miglior giocatore della storia,
Roger Federer”.
La finale di Wimbledon 2008 tra Federer e
Nadal è considerata dagli esperti una delle
migliori partite mai giocate. Tutti quelli che
hanno guardato la finale dal Campo Centrale e
dalla televisione seduti a casa concordano con
quanto detto. In un incontro interrotto dalla
pioggia che è durato 4 ore e 48 minuti, il 22enne
Nadal è emerso come campione, battendo
Federer, che stava puntando il suo sesto titolo
consecutivo a Wimbledon, 6-4 6-4 6-7(5) 6-7(8)
9-7.
Quella sera, le probabilità erano in
favore di Federer, nonostante
Nadal fosse in vantaggio sui testa a
testa per 11-6 sul maestro svizzero.
È stato un finale da mangiarsi le unghie quella domenica
sera, e chiunque di loro avrebbe potuto diventare campione;
non c’è stato un perdente. Nadal ha vinto 209 punti contro i
204 di Federer. Era anche la loro terza finale consecutiva a
Wimbledon, e anche la prima ed unica vittoria di Nadal
contro Federer a Wimbledon. Nel 2006, Federer batté Nadal
in quattro set, 6-0, 7-6(5), 6-7(2), 6-3; nel 2007, Nadal ha
mostrato un tennis brillante, ma Federer dimostrò ancora
una volta di essere troppo bravo per lui, abbattendo il suo
giovane opponente, 7-6(7), 4-6, 7-6(3), 2-6, 6-2.
Quella sera, le probabilità erano in favore di Federer,
nonostante Nadal fosse in vantaggio sui testa a testa per 11-6
sul maestro svizzero. Dopotutto, si trattava di Wimbledon,
non del Roland Garros; battere il “Re dell’Erba” sulla sua
superficie preferita era una grande impresa. Ma Nadal era in
forma incredibile, inoltre, era molto in fiducia dopo una
vittoria di grande misura per 6-1, 6-3, 6-0 su Federer agli
Open francesi il mese precedente.
Nadal ha fatto suo il primo set per 6-4, brekkando Federer
nel terzo game. Nel secondo set, Federer ha brekkato Nadal
nel secondo game lui stesso, e ha preso il comando per 1-4.
Lo spagnolo ha poi fatto un’incredibile rimonta vincendo i 5
game successivi per condurre di due set.
E' stata una finale che ha simbolizzato il trionfo
della volontà.
In un terzo set interrotto dalla pioggia, Federer è
tornato alla ribalta sigillando il suo primo set
con il tie-break. Federer che aveva finalmente
ritrovato il suo ritmo, ha negato a Nadal una
vittoria facile. Poi Nadal ha iniziato a mostrare
segni di cedimento di nervi quando era sul
punto di vincere. Sembrava avesse fretta di
chiudere il lavoro. Mentre Nadal serviva per il
match sul 8-7 del tie-break, Federer che aveva
percepito l’ansia del suo avversario, ha colto
l’opportunità di rispondere con un incredibile
vincente di rovescio. Uno scoraggiato Nadal
guardò incredulo Federer fare suo il set per un
punteggio di 10-8 nel tie-break.
Al termine di quattro set, entrambi i giocatori
avevano fatto esattamente lo stesso numero di
– 151! Mentre il duo si stava avviando al quinto
set, la folla era presa dall’eccitazione. Ancora una
volta la pioggia giocò il ruolo di guastafeste con il
punteggio fermo sul 2-2 nel quinto ed ultimo
set. Nonostante avessero le possibilità di
brekkare il servizio del loro avversario, entrambi
i giocatori sono arrivati sul punteggio di 7-7. Per
allora, era già buio, e le persone iniziavano a
chiedersi se la partita sarebbe stata spostata al
giorno successivo. Ma un errore di dritto di
Federer ha aiutato Nadal a brekkare finalmente
il servizio del suo avversario e a condurre sul
punteggio di 8-7. Durante il match-point, il
dritto di risposta di Federer atterrò sulla rete, ed
un esausto Nadal cadde per terra. Finalmente
era successo – Nadal era diventato il campione
di Wimbledon – mettendo fine alla mezza
decade di dominio su erba di Federer.
Quando il campione 22enne è salito sugli spalti
per celebrare la sua vittoria storica con la sua
famiglia e con i membri della famiglia reale
spagnola, Roger Federer stata seduto sulla sua
sedia cercando di tornare alla realtà. Era la
prima volta di sempre che doveva accontentarsi
del trofeo del secondo classificato a Wimbledon,
la sua superficie preferita.
Quella finale ha completamente cambiato
l’equazione della rivalità Federer-Nadal. Ha
annunciato l’inizio dell’era Nadal nel tennis.
Dopo quella sconfitta, Federer non è più stato
capace di battere Nadal in un evento Grande
Slam. Nei quindici incontri che sono seguiti, è
stato capace di battere Nadal solo quattro volte.
L’età ha infine pagato pegno sul gioco di Nadal.
Il suo rovescio impeccabile, che era la miglior
arma del suo arsenale, ha iniziato a perdere di
precisione ed è diventata ora il suo tallone
d’Achille, per il piacere di Nadal. Ora, la strategia
cardine dello spagnolo contro Federer è di
sparare ripetutamente i suoi colpi contro il
rovescio di Federer, costringendolo infine a
commettere un errore.
Sia Nadal che Federer hanno aggiunto altri due
titoli di Wimbledon sotto il loro nome dopo
l’epico incontro del 2008, ma non si sono più
dovuti scontrare l’uno contro l’altro. Federer ora
ha 32 anni; Nadal 28. Se si incontrassero ancora
in una finale di Wimbledon, non sarebbe tanto
emozionante quanto lo è stato quando i due
giocatori hanno debuttato. Siamo stati fortunati
ad essere testimoni di una finale così storica tra
due dei migliori giocatori – giocatore da serve
and volley e giocatore da fondo – che hanno
mostrato le loro migliori prestazioni nella caccia
del posto più alto.
È stata una finale che ha ispirato un libro –
“Strokes of Genius”, di Jon Wertheim; è stata
una finale che ha simbolizzato il trionfo della
volontà.
Taylor Townsend. Fame di
successo. Purtroppo non solo di
quello…
di Fabrizio Fidecaro
«Fat, lazy pigs». Per tradurla in maniera edulcorata, «grasse, pigre
“maialine”». Così nel 1992 Richard Krajicek definì «l’80 per cento» delle
colleghe del circuito Wta.
Taylor Townsend
Nata a Chicago, 16 aprile 1996.
Il suo fisico possente rappresenta
un'eccezione nel panorama tennistico
femminile: ha infatti una statura di 168 cm e
un peso di 80 chili.
Fa il suo esordio negli Slam in singolare a
Parigi 2014 dove raggiunge il terzo
turno eliminando la connazionale Vania
King e la tennista di casa Alizé Cornet
«Fat, lazy pigs». Per tradurla in maniera
edulcorata, «grasse, pigre “maialine”». Così nel
1992 Richard Krajicek definì «l’80 per cento»
delle colleghe del circuito Wta. Si scatenarono
polemiche a non finire e, giorni dopo, il futuro
campione di Wimbledon si corresse,
ammettendo di aver esagerato e precisando con
sarcasmo che intendeva riferirsi solo al «75 per
cento».
Vedendo all’opera Taylor Townsend non
possono non tornare alla mente le beffarde
parole dell’olandese. La giovanissima coloured
americana, diciotto anni compiuti ad aprile,
incanta con il suo potente e ispirato tennis
mancino, ma è inevitabile che la prima cosa che
salta all’occhio sia la sua possente stazza fisica.
Alta un metro e 68, ha un peso dichiarato di 80
chilogrammi, fra l’altro dopo essersi sottoposta a
una rigida dieta curata dai medici dell’Usta che
sembra le abbia fatto perdere parecchi chili.
Numero uno a dieta
Una storia, quella del sovrappeso, che la portò
alla ribalta già un paio d’anni fa. Nell’aprile del
2012, dopo aver vinto gli Australian Open
junior, Taylor era diventata numero uno del
mondo under 18. Ebbene, la federazione
statunitense decise comunque di non pagarle le
spese di viaggio e iscrizione ai successivi US
Open, una sorta di “punizione” per non essersi
messa d’impegno al fine di recuperare
un’accettabile forma fisica. Alla fine fu la madre
Sheila a occuparsi delle spese per far partecipare
la figlia all’evento newyorkese, dove, però,
Taylor, si fermò nei quarti.
«La nostra prima preoccupazione è la sua salute, e
il suo sviluppo a lungo termine come giocatrice»
«La nostra prima preoccupazione è la sua salute,
e il suo sviluppo a lungo termine come
giocatrice», spiegò Patrick McEnroe, presidente
dell’Usta. «In testa abbiamo un obiettivo: farla
giocare nell’Arthur Ashe Stadium da
protagonista nel tabellone principale e, quando
sarà il momento, vederla lottare per i titoli più
importanti. Nessun torneo vale più della carriera
di un giocatore, specie quando questi ha solo
sedici anni». Le spiegazioni vennero tutt’altro
che gradite dalla Townsend. «Fu scioccante»,
disse poi. «Ero molto delusa, piansi. Avevo
lavorato sodo e non ero certo diventata n.1 per
miracolo».
Taylor, a ogni modo, è passata professionista nel
novembre successivo, cominciando ad
affacciarsi nel circuito delle “grandi”.
Qui i risultati hanno stentato ad arrivare, e il
2013, al di là di un’affermazione a Indian Wells
sulla ceca Hradecka, si è rivelato più ostico delle
gloriose aspettative.
L’Usta ha comunque seguitato a riservarle wild
card per gli eventi di rilievo, ed è così che nel
2014 Taylor si è tolta nuovamente la
soddisfazione di passare un turno nel Premier
Mandatory californiano, ai danni dell’azzurra
Karin Knapp, strappando poi un set alla futura
vincitrice Flavia Pennetta.
Ad aprile sono giunti due centri di fila in prove
Itf da 50.000 dollari sulla terra, prima a
Charlottesville e poi a Indian Harbour Beach.
Il viatico ideale per affacciarsi all’ombra della
Tour Eiffel, dov’è stata ammessa al main draw
grazie a un nuovo invito degli organizzatori.
S’è mangiata la Cornet
Ebbene, Taylor si è meritata in pieno il favore,
approdando al terzo round dopo aver superato la
connazionale Vania King e, soprattutto, la
beniamina di casa Alize Cornet, ventesima del
seeding. È stato in quest’ultimo incontro che la
ragazzona di Chicago ha impressionato pubblico
e addetti ai lavori, mettendo alle corde la
francesina e trovando la forza d’animo per
chiudere la pratica in un delicatissimo terzo set.
Contro il pregevole rovescio della Suarez
Navarro c’è stato poco da fare, ma la Townsend,
arrivata a Parigi da numero 205 Wta, ne è
ripartita da n. 150, e con la “benedizione” di
Andy Murray, che le ha rivolto pubblici
complimenti su Twitter dopo il successo sulla
Cornet.
Soddisfazioni che per lei rappresentano nulla
più che un punto di partenza. Attualmente la
Townsend continua a non essere in rapporti
troppo amichevoli con la sua federazione ed è
solita allenarsi tra Chicago e Washington sotto la
guida del tecnico Kamau Murray, che la conosce
da quando aveva sei anni, e della finalista di
Wimbledon 1990 Zina Garrison.
È ben consapevole del suo talento, della capacità
innata di trovare angoli imprevedibili
utilizzando il campo al tempo stesso con fantasia
e precisione geometrica, potendo contare in ogni
scambio su diverse possibili soluzioni. «Avere
così tanta scelta sul da farsi è un dono e al tempo
stesso una maledizione, il rischio è ritrovarsi
molto confusi», ha ammesso Taylor.
Di questo passo l’attenzione generale non potrà
che spostarsi sulle sue qualità tennistiche, ed è
giusto così.
Restano gli innegabili problemi di peso, che le
provocano affaticamenti alle ginocchia
Attualmente la Townsend continua a non essere
in rapporti troppo amichevoli con la sua
federazione americana
limitandola negli spostamenti, anche se meno di
quanto si potrebbe immaginare.
Una che sa divertire
Non si tratta di essere longilinea o di fare
sciocchi paragoni con altre giocatrici dalla
corporatura diversa, ma semplicemente di
acquisire una condizione fisica degna di
un’atleta professionista, che le permetta di
rendere al meglio con continuità negli impegni
del Tour. Se Taylor ci riuscirà almeno in parte,
ecco che il tennis mondiale avrà trovato una
brillante top player in grado di vincere e
divertire.
Il toro e il matador
di Alex Bisi
Il torero ripone le sue spade nei foderi della sua borsa, la tensione
sale mentre si avvicina il momento di entrare nell’arena.
Il torero ripone le sue spade nei foderi della sua
borsa, la tensione sale mentre si avvicina il
momento di entrare nell’arena. Nella mente
ripete i movimenti cardini della sua
professione,gli stessi movimenti ripetuti milioni
di volte in allenamento. Sa cosa deve fare, o per
lo meno ne è convinto, deve entrare e prendere il
toro per le corna, non deve lasciarlo respirare,
deve anticipare le sue mosse, evitare ogni sua
carica altrimenti ne uscirà sconfitto.
Mentre perfeziona il suo abbigliamento, sente la
folla che si scalda, che lo attende ma cheallo
stesso tempo scalpita anche per il suo
avversario, sa che oggi è più importante delle
altre volte in cui lo ha incontrato, oggi vale di più
c’è in palio un pizzico di gloria in più in questa
calda domenica.
Il sole è alto nel cielo e la temperatura è rovente,
mentre i suoi piedi toccano la rossa terra
dell’arena, il suo nemico è già dentro il campo, lo
aspetta, e scalpita, voglioso di dominare.
La partenza è tutta per il torero, lo attacca, non
lascia respirare il suo avversario, evita ogni sua
carica con maestria e sembra poter dominare lo
scontro.
Ma quando affronti un toro non puoi mai esser
tranquillo, non sai mai quando lui si infurierà,
ed è proprio quando credi di esser tu a
comandare la battaglia che lui rialza la testa. Le
sue cariche si fanno più poderose, la sua corsa
più efficace, il torero lo schiva, non molla, ma è
solo questione di tempo, il tracollo è vicino, il
toro riporta in parità il duello, e fa pendere dalla
sua parte l’ago della bilancia di questa battaglia.
Il matador è in affanno, tutti i suoi piani
sembrano esser andati in fumo, la sua spada non
fa più male, si sposta barcolla ma tiene duro,
non vuole mollare, ha lavorato troppo per
lasciarsi sfuggire questa occasione.
Il caldo lo sta sfiancando, e anche il pubblico a
questo punto è tutto per il suo nemico, e mentre
sente le forze andarsene, il toro sembra esser
fresco come all’inizio della loro battaglia, e come
capita a volte in questi scontri è il toro ad avere
la meglio. Il torero deve arrendersi, ancora una
volta è Rafa Nadal il vincitore del Roland Garros.
Cosa serve per vincere uno Slam?
Riposo ed alimentazione sono
indispensabili!
di Alessandro Varassi
La CNN ha provato ad analizzare quali sono i fattori chiave
per trionfare in un torneo che si gioca su 2 settimane, ed al
meglio dei 5 set
Il Roland Garros 2014 è andato in archivio con
l'ennesimo successo del re della terra rossa,
Rafael Nadal. Niente per un tennista vale come
vincere una prova dello slam, ma qual è il
segreto per vincere?
Come ogni torneo, è richiesta una pianificazione
meticolosa, preparazione, supporto del proprio
team e, quando riesci a trovarla, anche la routine
nel fare tutto questo, con ritmi uguali nei diversi
giorni. La cosa più difficile negli Slam è
sicuramente quella di giocare alcuni,
teoricamente potrebbe capitare anche in tutti,
incontri sulla distanza dei 5 set, almeno nel
singolare maschile. Di base, c'è un giorno di
riposo tra un match e l'altro, ma pioggia e rinvii
per oscurità possono far saltare i piani.
Si potrebbero affrontare 5 set in più incontri di
fila, un avversario molto difficile per chiunque,
più di qualsiasi top player, per il dispendio fisico
e psicologico che questo comporta.
Bisogna poi sapersi adattare alla superficie;
prendiamo per esempio il French Open: sulla
terra gli scambi tendono ad essere più lunghi
rispetto all'erba o al cemento.
Queste ultime due superfici sono più dure, in
termini di sforzo delle articolazioni, ma non
richiedono di scivolare, come il clay.
I muscoli hanno così bisogno di riposare più
velocemente: come spiegano molti che bazzicano
le locker room, non è raro vedere i giocatori,
dopo 5 set, fare della cyclette per tirare fuori gli
eccessi di acido lattico.
Ecco quindi che vengono fuori i frullati di
proteine e calorie. Non sempre, ovviamente, è
questa la soluzione migliore, dipende da come va
il proprio incontro precedente: se Nadal, tanto
per fare un esempio, vince in 3 comodi set, in 1
ora e mezzo di gioco, dopo avrà probabilmente
un pasto light, senza rischiare di giocare con lo
stomaco pesante il giorno seguente.
Un perfetto recupero è indispensabile, ma non
sempre garantito. E' difficile conoscere la
propria programmazione giornaliera, non solo in
campo: se il match finisce tardi, per esempio,
probabilmente il tennista andrà a letto dopo, e il
suo sonno ne risentirà, compromettendo il
recupero fisico almeno parzialmente.
Giocare sulla distanza di 5 set di solito si fa
sentire a partire dalla seconda settimana; è
difficile sopravvivere a più di 2 match
consecutivi così lunghi. Gustavo Kuerten, per
esempio, riuscì nell'impresa di vincerne 3, nel
trionfale Roland Garros 1997.
Uno dei segreti del dominio di Roger Federer e
degli altri big è probabilmente quello di
sistemare la pratica velocemente nella prima
settimana dei tornei dello Slam.
Non basta quindi essere un grande giocatore per
trionfare: a fare la differenza in tornei così
dispendiosi sono tutti questi particolari, riposo
ed alimentazione su tutti.
E ciò non fa che confermare la straordinaria
forza di giocatori come Rafael Nadal, Roger
Federer e Novak Djokovic, non a caso diventato
numero 1 del mondo nel 2011, dopo aver
modificato la propria alimentazione e curato
meticolosamente tutti questi particolari, non
certo secondari per poter alzare il trofeo a
Melbourne, Parigi, Wimbledon o New York.
Non è uno sport per
giovani
di Brent Kruger
Generazione perduta
Aggiudicandosi per la nona volta il singolare
maschile agli Internazionali di Francia, lo
spagnolo Rafael Nadal ha rimesso la locomotiva
sui binari, dopo che la stessa aveva leggermente
sbandato in quel di Melbourne. Agli Australian
Open infatti, avevamo assistito all’inedita
incoronazione dello svizzero Stanislas
Wawrinka, giunto al miglior risultato della sua
carriera alla soglia dei 29 anni.
Dei quaranta major disputati nel decennio
2004-2013, ben trentacinque sono finiti nelle
mani del “triumvirato” composto da Federer
(16), Nadal (13) e Djokovic (6) mentre solo altri
quattro tennisti hanno avuto il piacere di
emularli: Gaudio, Safin, Del Potro e Murray (due
volte).
Roger aveva quasi 22 anni quando vinse, nel
2003, il suo primo slam a Wimbledon; Rafa era
diciannovenne da qualche giorno quando trionfò
al Roland Garros nel 2005 mentre Nole si
impose a Melbourne nel 2008 a 20 anni e otto
mesi.
Nell’attuale classifica ATP, nessun giocatore tra i
primi 100 può emulare il serbo e lo spagnolo
mentre, in via del tutto teorica, solo in 4
potrebbero tagliare il prestigioso traguardo
prima dell’elvetico: si tratta di Dominic Thiem,
Jiri Vesely, Jack Sock e Bernard Tomic.
Su Krygios e sul connazionale Kokkinakis,
sono riposte le speranze di rilancio del
tennis “down under” mentre l’Italia guarda
con fiducia ai progressi di Gianluigi Quinzi,
campione juniores a Wimbledon un anno
fa e spesso a segno nei Futures a cui partecipa.
Di questi, lo statunitense Sock ha trionfato nella prova
juniores degli US Open 2010, il ceco Vesely si è aggiudicato il
boys singles agli Australian Open 2011 mentre l’australiano
Tomic ha alzato il trofeo a Melbourne nel 2008 e a New York
l’anno successivo.
Che valore possono avere dunque le prove riservate agli
under 18 in uno sport, come il tennis, che, per diverse
ragioni, ha alzato considerevolmente l’età media dei suoi
principali protagonisti? E, soprattutto, che fine hanno fatto i
vincitori dei 40 tornei juniores nello stesso arco temporale?
Ebbene, dei 33 vincitori dell’ultimo decennio, solo il
britannico Andy Murray (che si aggiudicò gli US Open 2004)
ha saputo ripetersi tra i professionisti mentre nessun altro è
riuscito a giungere nemmeno in finale.
Alcuni di loro (Gael Monfils, Marin Cilic) si sono costruiti
una discreta carriera con tanto di ingresso nella Top-10 e
semifinale slam; Bernard Tomic, classe 1992, ha raggiunto i
quarti di finale a Wimbledon quando era ancora diciottenne
mentre Jeremy Chardy ha ottenuto lo stesso risultato (quarti
agli Australian Open 2013) ma con qualche anno di ritardo.
E poi c’è Grigor Dimitrov, il predestinato, campione juniores
a Wimbledon e New York nel 2008 e attualmente numero 13
del mondo, già vincitore di quattro prove ATP (su tre diverse
superfici) ma sempre piuttosto deludente nei major, eccezion
fatta per i quarti di finale conquistati nell’ultima
edizione degli Australian Open.
Fin qui quelli che ce l’hanno fatta.
E gli altri? Tra le tante promesse mancate, un
posto di rilievo lo occupa lo statunitense Donald
Young. Il colored di Chicago pareva avviato a
una carriera brillante dopo aver conquistato a
soli 15 anni il titolo juniores a Melbourne ma
l’eccesso di aspettative ha finito per
danneggiarlo e tuttora, dopo essere stato n°38
del ranking ATP nel febbraio del 2012, si
barcamena tra challenger e qualificazioni nei
tornei principali senza averne mai vinto uno.
Sempre scorrendo l’elenco troviamo lo slovacco
Martin Klizan, che vinse a Parigi nel 2006 ed è
stato numero 26 ATP con due tornei all’attivo, e
l’americano delle Bahamas Ryan Sweeting,
campione juniores agli US Open nel 2005 e
vincitore a Houston nel 2011.
Alcuni vincitori di slam juniores non sono mai
entrati tra i primi 100 giocatori della classifica
mondiale pur essendo nati prima del 1990.
Stiamo parlando del francese Alexandre
Sidorenko (best ranking al n°145),
dell’australiano Brydan Klein (174), del
bielorusso Uladzimir Ignatik (137), dello
statunitense di origine ucraina Alex Kuznetsov
(120) e del ceco Dusan Lojda (161).
Non ci resta dunque che sperare sui
giovanissimi, tra i quali l’australiano Nick
Kyrgios (classe 1995) sembra decisamente il più
promettente.
Il ragazzo di Canberra ha appena vinto il
challenger di Nottingham partendo dalle
qualificazioni e aggiudicandosi ben 8 incontri
consecutivi; in primavera si era imposto sulla
terra americana di Sarasota e Savannah dopo
aver superato un turno nel tabellone principale
degli Australian Open e aver destato ottima
impressione in Coppa Davis contro la Francia.
Statistiche tennistiche
di Roberto Marchesani
1
- I titoli vinti sull’erba da Grigor Dimitrov. Il
bulgaro ha battezzato anche questa superficie,
dopo aver trionato indoor (a Stoccolma nel
2013), sul cemento (ad Acalpulco) e sulla terra
rossa (a Bucarest). E’ il Queen’s Club di Londra a
consegnargli la prima gioia erbivora, battendo
Feliciano Lopez in tre tie-break (6-7 7-6 7-6)
salvando un match-point nel secondo set.
- la sconfitta – l’unica ancora oggi – di tutta la
carriera di Rafael Nadal, patita al Roland Garros.
Rimane Robin Soderling il fautore dell’impresa,
quando correva il giorno 31 maggio 2009. Nadal
ha chiuso ancora una volta imbattuto la sua
ennesima campagna parigina : 66-1 il bilancio.
- gli Slam vinti da Novak Djokovic negli ultimi 9.
Il successo degli Australian Open 2013 è l’unico
trionfo a fronte di 8 fallimenti, incluse 5 finali
(Roland Garros e US Open 2012, Wimbledon e
US Open 2013, Roland Garros 2014).
2
- i quarti di finale giocati da Ernests Gulbis nei
tornei dello Slam. A quello del Roland Garros
2014 va aggiunto quello giocato al Roland
Garros nel 2008. Il lettone si spingerà oltre,
andando in semifinale per la prima volta,
perdendo da Novak Djokovic.
3
- i futures vinti da Gianluigi Quinzi nell’ultimo
mese, in 3 settimane consecutive. Il marchigiano
ha conquistato in serie Galati (Romania), Sofi e
Casablanca (Marocco).
- le sconfitte consecutive sull’erba per Rafael
Nadal. Dopo quelle con Rosol e Darcis nelle
ultime due edizioni di Wimbledon, arriva la
terza battuta d’arresto contro Dustin Brown ad
Halle.
- le finali Slam perse in successione da Novak
Djokovic. Quella del Roland Garros 2014 si
aggiunge alle finali di Wimbledon 2013 e US
Open 2013.
4
- i mesi passati da Jerzy Janowicz senza vincere
una partita. Il polacco rompe l’incantesimo
negativo al Roland Garros, vincendo il suo
match di 1° turno. Era da febbraio che perdeva
ogni partita sul tour. E’ arrivato a collezionare 9
sconfitte consecutive.
5
- i titoli vinti da Philipp Kohlschreiber nella sua
carriera. Il tedesco taglia questo traguardo a
Dusseldorf, nel suo paese, battendo Ivo Karlovic
- le finali perse da Ivo Karlovic in carriera, con la
sconfitta a Dusseldorf contro Philipp
Kohlschreiber.
- i trionfi consecutivi di Rafael Nadal al Roland
Garros (2010,’11,’12,’13,’14). E’ il primo uomo
della storia a vincere 5 Roland Garros
consecutivi, battendo il record (fissato a 4) di
Borg.
6
- i titoli vinti da Ernest Gulbis in carriera, con
l’ultimo ottenuto a Nizza, in Francia, sul rosso. Il
lettone ha la particolare caratteristica di un
perfetto score di realizzazione nelle finali, pari al
100%. 6 finali giocate, 6 finali vinte.
- le sconfitte al 1° turno del Roland Garros per
Julien Benneteau, la prima subita dal 2009.
7
- le sconfitte in carriera di Grigor Dimitrov nel 1°
turno di un Grand Slam, con la sconfitta di
Parigi contro Ivo Karlovic.
- i titoli di Roger Federer ad Halle
(2003,’04,’05,’06,’08,’13,’14), l’ultimo battendo
Falla per la settima volta su 7 confronti diretti
con un doppio tie-break 7-6 7-6. Nel segno del 7.
8
- i match giocati da Stanislas Wawrinka dopo il
suo successo a Montecarlo. Il desolante bilancio
per lo svizzero, campione in carica dell’Open
d’Australia, è di 4 vittorie e 4 sconfitte.
9
- le partite giocate – e vinte – da Novak Djokovic
contro Marin Cilic. Il suo perfetto record
continua con il successo al Roland Garros, nel 3°
turno. Stessi risultati
– 9 su 9 – anche contro Chardy, battuto nel
turno precedente sul rosso di Parigi.
- i Roland Garros vinti da Rafael Nadal – un
record mostruoso. L’ultimo va ad aggiungersi a
quelli conquistati nel 2005,’06,’07,’08,’10,’11,’12
e’13
12
- le sconfitte consecutive di Marinko Matosevic
in un 1° turno Slam, prima di ottenere la sua
prima vittoria in un main draw al Roland
Garros, battendo Dustin Brown.
- gli ottavi di finale raggiunti da Federer al
Roland Garros, nuovo record all-time per il
torneo, battendo il precedente primato di
Guillermo Vilas, fermo a 11 partecipazioni nei
last 16.
16
- gli anni passati dall’ultima volta (era il 1998)
che il campione maschile dell’Australian Open
usciva al 1° turno dello Slam successivo, il
10
- i quarti di finale consecutivi per David Ferrer
nei tornei del Grande Slam, raggiunti al Roland
Garros 2014 battendo Kevin Anderson.
Roland Garros. Wawrinka eguaglia Korda
perdendo mestamente da Guillermo GarciaLopez all’esordio del torneo di Parigi.
17
- le sconfitte consecutive di Filippo Volandri in
un torneo dello Slam. A Parigi è stato Sam
Querrey a prolungare questa serie negativa.
39
- le partecipazioni Slam necessarie a Guillermo
Garcia-Lopez per accedere per la prima volta
nella seconda settimana di un Major. Traguardo
ottenuto al Roland Garros 2014.
Smart Court, Training
Technology
di Laura Saggio
Una sorta di Big Brother intelligente
Una sorta di Big Brother intelligente. O ancora,
un preparatore tecnologico. E anche, un coach
multi-tasking e interattivo. E' il neonato Smart
Court, innovativo sistema di raccolta dati,
originariamente concepito per il training dei
piloti di caccia. Il software altamente sofisticato,
ideato dalla società statunitense Play Sight,
mediante cinque telecamere HD posizionate in
modo strategico su vari lati del campo, raccoglie
e organizza le informazioni di gioco (velocità,
profondità e rotazione dei colpi, percentuali
errori, passi, gocce di sudore, calorie bruciate,
metri percorsi) per poi fornire analisi specifiche
di un match o di una semplice sessione di
allenamento, senza l'ausilio di alcun sensore.
Smart Court è dunque una speciale macchina
statistica capace di mostrare ogni dettaglio di un
match in tempo reale, attraverso un hardware
posto sul campo. Una delle caratteristiche di
questo sistema che più convince, è la sua
funzione di training.
Infatti, Smart Court permette di analizzare
puntualmente (anche alla fine del match) tattica,
visione del proprio gioco, l'esatta altezza della
pallina sopra la rete, selezionando i vari aspetti
tecnici di ogni colpo. Inoltre, a conferma della
tesi che la tecnologia ha senso solo se condivisa,
Smart Court invia con un click gli allenamenti a
PC, smartphone e agli amici in rete.
Certamente Smart Court fa notizia da solo. Non
solamente per la tecnologia all'avanguardia
sviluppata, ma anche per come e quanto riuscirà
a rivoluzionare i piani di allenamento pre e post
match. Ma a fare ancora più notizia, sembra
impossibile, ma è vero, è l'aspetto riguardante i
finanziamenti che la Società americana ha
ricevuto per l'espansione globale del progetto.
Ben 3 milioni e mezzo di dollari provenienti da
nomi eccellenti, quali, su tutti, il numero due al
mondo Novak Djokovic. E, ancora, la sei volte
vincitrice di Grand Slam, Billie Jean King; Bill
Ackman (fondatore di Pershing Capital
Managment LLC); Mark Ein (membro della
International Tennis Hall of Fame); e Jim Loehr
(co-fondatore di Human Performance Istitute e
coach di Jim Courier e Monica Seles).
la tecnologia di Shachar è molto potente,
è un grande strumento a disposizione
dell'allenatore e del giocatore
Cen Shachar, CEO di Play Sight, ha dichiarato che avere un
gruppo di investitori così importanti e noti che condivide le
potenzialità del progetto, è motivo di grande orgoglio per la
società: “Noi miriamo a una diffusione globale di Smart
Court, per mettere la nostra tecnologia a servizio sia dei Top
Player che dei club. Questa tecnologia cambierà per sempre il
modo di giocare a tennis”.
Attualmente la diffusione degli Smart Court è di 35 impianti
a livello internazionale, 19 nei soli Stati Uniti. La Play Sight si
è però prefissata l'obiettivo di installare 100 dispositivi Smart
Court entro la fine del 2014 nell'area tra New York, Florida e
California.
Certamente l'ambiziosa e rivoluzionaria sfida, da sempre
molto contrastata, di 'tecnologizzare' il tennis, con Smart
Court è iniziata definitivamente. Siamo certi che, visto anche
il peso dei supporters, questo sistema troverà spazio in
numerosi campi, anche di prestigio. D'altronde ha già
iniziato a mettere i suoi 'occhi intelligenti' al Roland Garros,
al Court Sense Tennis Training Center in New Jersey, al
Quees Club in Londra, alla Stefan Edberg's Academy in
Svezia, alla Holland's Laurense Tennis Academy, e infine, al
Ramat Hasharon Tennis Center in Israele.
E, anche se i romantici puristi di un tennis d'altri tempi
storceranno la bocca, il futuro passerà da qui.
Lo Slam che non ha mai
amato Pete Sampras
di Princy Jones
Pete Sampras è una leggenda, senza dubbio, ma gli è
sempre mancata una cosa....
Pete Sampras è una leggenda, senza dubbio;
vincitore di 14 titoli del Grande Slam, il suo
record di numero 1 del ranking per il maggior
numero di anni, anche consecutivi (1993-1998),
rimane ancora ineguagliato. Tuttavia, questa
icona del tennis, in tutta la sua gloria, non è mai
riuscito a sollevare il trofeo del Roland Garros.
In 14 anni di carriera, la sua miglior prestazione
a Parigi è stata raggiungere le semifinali nel
1996. È una leggenda, senza dubbio, ma la
sfortuna degli Open di Francia getterà sempre
un’ombra sulla magnificenza della sua carriera.
Di tutti i quattro Grandi Slam, l’Open di Francia
è il più duro e anche il più “fazioso” – la terra
rossa ha i suoi preferiti e ci vuole di più del solo
talento per conquistare questa superficie.
Lo Slam è famoso per far crollare le teste di serie,
di conseguenza rende vana ogni previsione;
nonostante ci siano delle eccezioni come Bjorn
Borg e Rafael Nadal. Storicamente però, il
Roland Garros ha voltato le spalle a molti
giocatori famosi – Boris Becker, Stefan Edberg,
John McEnroe, Jimmy Connors, ecc., per
menzionarne alcuni. Su un campo dove potenza
e velocità significano poco, questi giocatori sono
inciampati durante il loro percorso nonostante i
ripetuti tentativi. Il nome più significativo è
probabilmente quello di Pete Sampras, tenendo
a mente i suoi tanti record.
Agli Open di Francia, Sampras ha perso otto
volte sia nel primo sia nel secondo turno; ha
raggiunto i quarti di finale almeno tre volte e la
semifinale una volta durante la sua carriera. Nel
1994 si avvicinò al completamento del Career
Grand Slam dopo aver vinto Wimbledon, Open
degli Stati Uniti e Open d’Australia
consecutivamente ma è stato poi facilmente
smontato da Jim Courier, giocatore che aveva
precedentemente sconfitto nella finale di
Wimbledon.
L’anno successivo, subì una vergognosa uscita al
primo turno per mano di un relativamente
sconosciuto Gilbert Schaller dall’Austria.
Battendo il numero uno al mondo e seconda
testa di serie, Schaller dimostrò che Sampras
non era formidabile ma piuttosto un giocatore
vulnerabile sulla terra.
Nel 1996 però, con la sorpresa di tutti, Sampras,
testa di serie numero 1, raggiunse le semifinali
del torneo, sconfiggendo lungo il percorso
grandi favoriti come Sergi Bruguera e Jim
Courier. Quell’anno fu il suo miglior tentativo di
vincere il torneo sulla terra ma Yevgeny
Kafelnikov si dimostrò troppo bravo per lui. La
sesta testa di serie sconfisse Pete Sampras in tre
set netti 7-6, 6-0, 6-2; in seguito il russo vinse il
torneo quell’anno.
Più tardi Sampras dovette pagare il prezzo della
sua durata maggiore agli Open di Francia
subendo una prematura sconfitta a Wimbledon
il mese successivo. Nessuno aveva previsto la
sua sconfitta contro Richard Krajicek ai quarti di
finale e fisicamente prosciugato Sampras si
arrese facilmente all’avversario olandese, che era
testa di serie numero 17.
Il 1996 fu il suo miglior anno di sempre al
Roland Garros ma fu anche il suo peggiore a
Wimbledon. Non è giusto trarre conclusioni ma
Sampras non andò mai oltre il terzo turno agli
Open di Francia dopo quella volta. Tra l’altro,
per i quattro anni seguenti, vinse quattro titoli
consecutivi a Wimbledon.
È chiaro che lo stile di gioco di Sampras non è
mai stato adatto ai rimbalzi alti e lenti dei campi
in terra. I suoi servizi penetranti e le volée
affilate diventavano inerti sulla terra. A
differenza dell’erba, non è mai riuscito a tirar
fuori quella magia sulla terra – il campo era così
inadatto al suo gioco che faceva impazzire il
campione solitamente molto composto! Sampras
è conosciuto per il suo atteggiamento freddo ma
agli Open di Francia era un uomo diverso,
specialmente quando commetteva errori.
Calciava la terra, sbatteva la racchetta e d’un
Sfortunatamente, il suo fallimento nel completare il
Career Grand Slam gli ha impedito d’essere premiato
come G.O.A.T.
tratto, gettava l’asciugamano e faceva schizzare
la pallina sugli spalti. Una volta ricevette persino
un warning dall’arbitro per abuso di palla.
Dopo la sua uscita al secondo turno nel 1999, il
campione devastato disse alla stampa: “Ero
molto frustrato. Volevo darmi un contegno. Sono
ancora noioso, non dimentichiamolo. Ma ero sul
punto di rompere qualche manico.”
“Su tutte le superfici si tratta d’istinto naturale.
A volte sulla terra il mio istinto non è la scelta
giusta,” aggiunse.
Sampras arrivò persino ad assumere l’esperto di
terra Jose Higueras come allenatore in un
disperato tentativo di vincere a Parigi.
Nemmeno la magia di Jose fece granché per
aiutare l’americano.
Nonostante fosse il numero 1 al mondo e più
volte vincitore di Grandi Slam, Sampras fu il
meno temuto sulla terra. Come dice Andre
Agassi, “Pete era ovviamente impareggiabile sui
campi più veloci ma durante la stagione della
terra, i tennisti volevano giocare contro di lui.
Era l’occasione per ottenere una vittoria contro
di lui, era l’opportunità di batterlo.”
Agassi aveva ragione – gli Open di Francia è
l’unico torneo dove giocatori di bassa classifica
potevano far cadere Sampras. Era al livello di
qualunque altro principiante al Roland Garros.
La terra per Pete Sampras era come l’erba per
Ivan Lendl.
Poveri Futures....e se lo
dice Andy Murray
di Laura Saggio
Durante una recente intervista alla Bbc, Andy Murray, afferma
convito che il futuro del tennis passi attraverso un adeguamento
del prize-money dei tornei minori
“Molto spesso nei tornei Futures, non si
riescono a coprire le spese del viaggio e
dell'alloggio settimanale, nonostante la vittoria
del torneo. E' un gioco a perdere”. Queste le
parole del campione scozzese alla Bbc, che ha
posto l'attenzione su una questione cruciale: il
passaggio dal tennis dilettantistico a quello
professionistico. Il vincitore di Wimbledon
(guadagno netto di 1,7 milioni di sterline) ha
ricordato che il montepremi del circuito Future
Itf è rimasto invariato dal lontano 1998,
nonostante il 'rincaro' del 53% del costo della
vita. I numeri in denaro dei Futures parlano da
soli (specialmente se paragonati agli Slam), al
vincitore vanno 850 sterline, mentre chi si ferma
ai quarti di finale guadagna solo 175 sterline.
“Vogliamo rendere il tennis uno sport migliore,
permettendo a un maggior numero di giocatori
di riuscire a vivere di questo sport. In tanti
devono smettere a ventuno o ventidue anni
perché i loro guadagni non sono sufficienti. I
tornei dello Slam ovviamente consentono di
incassare molti soldi, e con essi i migliori del
mondo potrebbero certamente essere d'aiuto ai
più giovani”. Così Murray incalza e lancia una
sorta di appello ai suoi colleghi Top Player.
Sembra incredibile, ma l'obiettivo minimo per
un tennista che decida di intraprendere la strada
del professionismo è entrare nella top 100. Oltre
è off-limits. Un altro pianeta. Un altro sport.
Oltre servono investimenti, molti. E non tutte le
Federazioni hanno il coraggio di puntare su un
giovane talento.
Il paradosso ce lo spiega il caso Liam Broady,
talento britannico di 20 anni, attuale numero
390 ATP. Broady, finalista a Wimbledon e agli
US Open juniores e vincitore di un Australian
Open e di un'edizione di Wimbledon juniores
nel torneo di doppio, la scorsa annata ha chiuso
la
La strada è ancora lunga e in gioco c'è
sicuramente il bene e il futuro del
tennis, che, si sa, parte dai
talenti in erba.
sua stagione portando a casa appena 1.830 sterline. In suo
favore è intervenuta la Lawn Tennis Association, la
federazione britannica, che grazie al supporto economico che
gli ha fornito, ha permesso al giovane tennista di tentare la
scalata alla top 100 ATP. Queste le parole del britannico:“mi
è stato detto che nel circuito maschile bisogna essere almeno
nella top 160 per riuscire a guadagnare. Io conosco giocatori
di talento che non sono riusciti a raggiungere tale posizione
perché non avevano i soldi per andare avanti. Tra l'altro, è
difficilissimo arrivare nella top 100, ma è altrettanto
complicato uscirne e questo penalizza chi sta fuori dai primi
100”.
Certamente questa questione riguardante i montepremi dei
tornei minori e maggiori, è controversa e datata. In campo, a
giocare la partita sono in molti, compresi i Top (Politycal)
Players del tennis internazionale, che ovviamente puntano
tutto, o quasi, sullo spettacolo garantito. Ad ogni modo,
sembra che la Itf stia cercando di incrementare i guadagni
dei giovani tennisti. I tornei si sono moltiplicati ed è in
discussione una riforma del circuito, in collaborazione con la
WTA e l'ATP. E, recentemente, anche i comitati organizzatori
dei quattro Slam hanno dibattuto in favore di un accordo
riguardante l'aumento dei premi in denaro per i tennisti
eliminati ai primi turni. Vedremo.
Travaglia la rivincita e il
sogno
di Laura Saggio
Stefano Travaglia, attuale n. 258 al mondo, è entrato nel
tennis internazionale dopo l'eroico primo turno giocato, e
lottato, sulla terra rossa di Roma
Stefano Travaglia, classe 1991, segni particolari:
volontà, determinazione, coraggio e cuore.
Dentro, ma sopratutto fuori, il campo. La sua
storia personale: il suo punto vincente. A Roma,
durante le pre-qualifaczioni degli Internazionali,
si è presentato silenziosamente al grande
pubblico, che ha applaudito le sue vittorie
accompagnandolo a quel 'miracoloso' primo
turno del tabellone principale (perso poi di
misura contro l'azzurro Bolelli). “E' un sogno”,
questo è stato per Stefano quel traguardo, quel
posto tra i grandissimi, quella rivincita che vale
quanto una finale in uno Slam. E' così, senza
esagerazioni.
Il ventiduenne di Ascoli, allenato dall'argentino
Sebastian Vasquez, con il suo primo passo
nell'ATP, ci racconta una storia che vale la pena
riportare.
Tre anni fa, Stefano, infortunatosi gravemente a
causa di un incidente domestico, era sul punto
di smettere la sua promettente carriera
tennistica. Scivolato sulle scale di casa si era
procurato, finendo contro il vetro della finestra,
diverse lesioni ai tendini e ai muscoli del braccio
destro tagliandosi dal polso fino al gomito. Dopo
tre settimane in ospedale, due operazioni e oltre
un anno e mezzo di fisioterapia, Stefano è
ripartito.“Quando ho ripreso a giocare è stato un
vero incubo, non avevo la sensibilità alle prime
quattro dita della mano destra”. Queste le parole
dell'azzurro che a Roma, sorridendo, ha
dichiarato anche:“Sto vivendo un sogno, sto
giocando bene”.
Il suo sogno se l'è guadagnato, sul campo,
costruendolo punto dopo punto. Prima di Roma
Travaglia ha giocato quasi esclusivamente ai
Futures (il livello più basso dei tornei ATP)
vincendone tre: due sulla terra rossa in Egitto e
uno in Sardegna.
Figli di un tennis maggiore
di Sara Di Paolo
Essere campioni e genitori ha le sue peculiarità. Accanto alla felicità e ai
timori di ogni coppia, vi sono incombenze e interrogativi che vengono dal
mestiere.
«Sono felice, è il massimo... Non vedo l’ora di
vivere le situazioni da padre. La vedo in positivo.
Ti stanchi un pò ma un figlio ti dà nuova
energia. Cercherò di vincere tutti i tornei ma con
l’arrivo del bambino, il tennis non sarà più la
priorità». Segue la firma di Novak Djokovic,
prossimo padre (e prossimo marito, la data è il 9
luglio, subito dopo Wimbledon). L’annuncio che
Jelena Ristic, la fidanzata, è incinta è solo di
pochi settimane fa. Ma alla firma di Nole,
potrebbero aggiungersi di seguito molte altre.
Quella di Federer, di nuovo padre, e di nuovo
alle prese con una coppia di gemelli, Leo e
Lenny. E quelle di Haas, di Hewitt, di Bob
Bryan, di Agassi, e delle non poche mamme che
hanno tenuto alto il vessillo della maternità in
un circuito che sembrava creato solo per ragazze
disposte a qualsiasi rinuncia pur di vincere, e
che invece dall’esempio di Kim Clijsters, di
Lindsay Davenport e di Sybille Bammer hanno
potuto trarre insegnamenti e nuovi indirizzi.
Perché al contrario di quanto sostiene Serena
Williams («Sarebbe bello fare un figlio, ma c'è
sempre qualcosa a cui si deve rinunciare in
cambio del successo. Tutto ahimè ha un prezzo»,
disse a Roma, l’anno scorso) essere genitori e
campioni è possibile. Impegnativo, certo, e per le
ragazze molto di più, ma possibile. Tanto più
oggi, con questo tennis anni Duemila che spinge
le carriere dei nostri professionisti molto più
avanti nell’età, costringendoli inevitabilmente ad
affrontare problematiche che un tempo
avrebbero preso in considerazione solo più in là,
al termine della loro stagione agonistica.
Il primo cinguettio
Se tutte le coppie del mondo possono convenire
sul fatto che essere genitori sia da sempre il
mestiere più difficile, e condividere fra loro
innumerevoli aspetti quotidiani, dai mille timori
legati al cambiamento della vita, alle
ripercussioni sul proprio lavoro e sulle
dinamiche personali e sociali della coppia, non
v’è dubbio che essere campioni e figli di
campioni ha le sue peculiarità. Persino banali,
certe volte, dato che un campione ha l’obbligo di
annunciare al mondo il lieto evento, e non solo a
familiari e amici. In che modo procedere
dunque, per dare la notizia e al tempo stesso
difendere con le unghie e con i denti la propria
privacy familiare?
Come per tutti i personaggi noti, anche per i
frequentatori del circuito ATP e WTA, è ormai
buona abitudine annunciare l’allargamento della
propria dinastia attraverso dei post in rete e su
Twitter. Ognuno a modo suo… Kim Clijsters
(prima mamma numero uno del ranking),
annunciò così la nascita del secondogenito:
“Ciao a tutti, ho una news molto eccitante da
comunicarvi, Jada sta per diventare la sorella
maggiore”. E qualche mese dopo… «È nato Jack
Leon. Stiamo entrambi bene… Sua sorella, io e il
papà siamo davvero felici”. La vecchia fiamma di
Kim, Lleyton Hewitt (con cui finì a un passo
dall’altare), postò invece: “Bec, Mia, Cruz e io
diamo il benvenuto a una bellissima bambina.
La mamma e la neonata stanno benissimo, il
papà e i fratellini sono raggianti”.
E chi altro? La polacca Klaudia Jans-Ignacik
(28ma posizione in doppio nel 2012), in
un’intervista molto approfondita raccontò: «La
mia gravidanza è andata molto bene, non ho
avuto alcun problema. Ho addirittura giocato un
po' a tennis fino al settimo mese e ho fatto un
sacco di yoga, mi sono preparata in modo di
tornare molto più velocemente dopo il parto. Tre
mesi dopo la nascita di mia figlia, ho ripreso ad
allenarmi e fare tutta la preparazione fisica. È
stata dura e sapevo che sarebbe stata un po' più
difficile del solito, ma volevo tornare ed essere
nuovamente in forma».
Mantenersi in allenamento nonostante il
pancione quindi; è forse questo il vero segreto?
Stando ad alcune testimonianze, sì. Ed ecco che i
casi della Davenport o della Bammer, ne
divengono in tal modo la prova palese. Il breve
lasso di tempo che separò la maternità della
statunitense, dalla vittoria dei tornei di Bali e
Quebec City; o la foto che ritrasse l’austriaca
mentre sollevava la coppa vinta a Pattaya
insieme alla sua bambina, non lasciano dubbi.
Anche se sulla questione “maternità”, come si è
visto, non tutte le giocatrici la vedono a quanto
pare alla stessa maniera…
Ma “lo scotto da pagare”, indicato da Serena
Williams, riguarda solo le tenniste, o ha ragione
Djokovic nel dire che la nascita di un figlio
strappa al tennis qualsiasi priorità, e dunque
può incidere anche nella carriera di un uomo?
Certo molto meno, e le esperienze di Agassi, dei
gemelli Brian, o di Haas, ne sono la conferma. Il
motivo? Per prima cosa, l’uomo è molto meno
coinvolto fisicamente; per non parlare inoltre del
numero di fatiche quotidiane a cui viene per
natura e cultura sottratto (l’allattamento, la cura
dei figli).
Lo sanno bene Roger Federer e sua moglie
Mirka, che il 6 maggio scorso ha dato alla luce
altri due gemelli. Dopo Charlene Riva e Myla
Rose, ecco Leo e Lenny, maschietti. Il padre ha
rinunciato al torneo di Madrid, poi è venuto in
fretta e furia a Roma, perdendo subito da
Chardy. «Finora tutto procede bene e speriamo
che rimanga così. Quattro anni fa, quando
abbiamo saputo che aspettava due bambine, ci
spaventammo. Ma poi invece tutto è andato nel
migliore dei modi e ora sembra tutto più facile;
soprattutto perché Myla e Charlene stanno
ormai crescendo. Ho molta meno paura rispetto
a quando seppi di loro.
Certo altri due gemelli... È un grande
impegno...».
Ma non tutti i genitori hanno lasciato che vi
fosse un’intercapedine fra lavoro e famiglia, fra
lo sport e il cuore. Anzi… Quante testimonianze
abbiamo, di tennisti finiti nei guai per colpa di
parenti incapaci di dispensare amore e scinderlo
dagli allenamenti o dai match? Normalmente i
“genitori ingombranti” non sono quelli che
hanno vissuto una dimensione sportiva da
campioni, loro, anzi, hanno capito (magari a loro
spese) che lasciare liberi i pargoli di compiere le
loro scelte è la strada migliore per crescerli
felici.
Ma la strada dello sport è tappezzata di storie di
inenarrabili forzature ai danni di figli destinati
allo sport. Capriati, Sharapova, Dokic… Tutti
uniti da un unico destino, quello di esser stati
partoriti già in forma di campioni, senza infanzia
apparente.
"Se si decide di allenare il proprio figlio, diventa
difficile separare il ruolo di genitore da quello di
coach"
Genitori ingombranti
“A casa mia mi hanno rovinata; grazie ai miei ho
enormi debiti con il Paese. Quando ero una
giocatrice, mia madre decideva tutto: la mia
acconciatura, i miei vestiti, le mie scarpe”.
Questo è quanto si legge all’interno
dell’autobiografia firmata Arantxa Sanchez del
2012. E ancora… “Se si decide di allenare il
proprio figlio, diventa difficile separare il ruolo
di genitore da quello di coach. È impossibile
riuscire a parlare di qualcosa che non sia tennis
ed è facile che un giovane tennista possa
pensare: ok, lasciami vivere un po' la mia vita.
Non voglio che influenzi ogni parte di essa....
Vivere i propri sogni attraverso i ragazzi è
sbagliato e controproducente".
Ben altra esperienza ha vissuto Ana Ivanovic: «I
miei genitori non mi hanno mai messo
pressione, mi dicevano solo quanto fosse
importante essere felici e di comportarmi bene
sul campo. Quella era la cosa più importante per
loro. Guardandomi indietro penso a come sia
stato bello averli al mio fianco».
È questa la strada? Se si deve arrivare ad
assumere delle guardie del corpo, per porre fine
agli inseguimenti di un proprio caro (come
avvenne a Mary Pierce), la risposta appare
assolutamente scontata. Altro è chiedersi quanto
sia giusto tagliare fuori gli affetti più stretti, nei
periodi più bui di una carriera... La verità, è che
basterebbe sapersi attenere al proprio ruolo.
Anche con un po’ di testa… Tutto qui.
n° p
Come girano....le palle
di Andrea Guarracino
Senam in vivasdam Natum is es Marem escessi licaventis.
Ahabesin dem es ce tam
Il conseguimento della massima potenza
controllata è indispensabile per raggiungere le
vette del tennis professionistico moderno. A tal
fine la conoscenza e il corretto utilizzo delle
rotazioni che è possibile imprimere alla palla è
assolutamente fondamentale. La palla può
essere fatta ruotare su assi paralleli,
perpendicolari o obliqui al terreno. In questa
prima parte ci soffermeremo sulle rotazioni che
si sviluppano su un asse parallelo al terreno di
gioco. Se la palla ruota dall’alto verso il basso nel
suo senso di direzione avremo ottenuto una
rotazione in topspin, viceversa se essa ruoterà
dal basso verso l’alto avremo conseguito una
rotazione in backspin. Soffermiamoci ora
soprattutto sulla rotazione in topspin
fondamentale nel gioco moderno. Essa è
ottenibile sia di diritto che di rovescio
spazzolando la palla dal basso verso l’alto,
attaccandola da un piano inferiore a quello
d’impatto. Imprimendo alla palla la rotazione in
topspin è possibile ottenere i seguenti vantaggi
fondamentali :
1- ridurre drasticamente gli errori di rete, in
quanto la traiettoria arcuata tipica del colpo
consente alla palla di passare ben alta sopra la
rete. Pensate che i colpi di Nadal passano
mediamente circa 1 metro sopra il net.
2 - ottenere più facilmente profondità nei colpi,
in quanto dopo il rimbalzo nel campo avversario
la palla tenderà ad aver comunque un rimbalzo
più alto e lungo rispetto a un colpo piatto,
mantenendo quindi il nostro avversario più
lontano dalla rete e quindi meno pericoloso.
3- Possibilità di sfruttare angolazioni strette
irraggiungibili con un colpo piatto, che ci
consentiranno di ottenere fondamentali aperture
di campo laterali.
4- Conseguimento di una maggiore complessità
di palla. La palla di un buon professionista gira
in avanti sul proprio asse orizzontale più di
duemila giri al minuto. Quella di Nadal è stata
misurata fino a cinquemila giri al minuto: una
palla che gira così tanto è molto difficile da
controllare.
5- Possibilità di variare la velocità della palla,
miscelando a piacimento la spinta sull’asse
orizzontale e quella sull’asse verticale,
modificando quindi il tempo tecnico a
disposizione dell’avversario, infastidendo quindi
il suo timing.
6- Destabilizzazione dei punti di impatto
dell’avversario, con la possibilità di farlo giocare
a varie altezze. Nadal sulla terra battuta con il
suo diritto mancino incrociato in super topspin
fa impazzire anche un grande campione come
Roger Federer, costringendolo a giocare
costantemente il suo rovescio a una mano sopra
il piano delle spalle.
7- Drastica diminuzione anche degli errori di
lunghezza grazie all’effetto Magnus : la palla nel
suo ruotare in avanti sul proprio asse orizzontale
tende a perdere velocità nella sua parte
superiore che ruota contro la resistenza dell’aria
e invece tende ad acquisire velocità nella sua
parte inferiore che invece la asseconda. Di
conseguenza nella parte superiore della palla la
pressione esercitata su di essa tenderà ad
aumentare, mentre nella parte inferiore a
diminuire. Questo effetto fisico porta la palla,
attirata ovviamente anche dalla gravità terrestre,
a cercare prima il campo di gioco.
8- Possibilità di diversificare poco la velocità di
esecuzione dei colpi per ottenere profondità ed
altezze diverse: basterà miscelare sapientemente
spinta orizzontale e spinta verticale del colpo e
questo facilita soprattutto i giocatori non dotati
di una grande sensibilità.
9- Miglioramento della sensibilità del giocatore
in quanto la palla resterà più a lungo sulle corde,
arricchendo notevolmente le memorie motorie
del tennista e la sua capacità di sentire meglio i
colpi , in una sorta di “ spelling” tennistico.
precedentemente elencati acquisirà sempre
maggiore confidenza nel proprio gioco.
Nei colpi in topspin l’angolo di rimbalzo al suolo
sarà sempre inferiore all’angolo di incidenza e
questo a causa della rotazione. L’ampiezza
dell’angolo di rimbalzo dipenderà dalle
caratteristiche della superficie di gioco. Ogni
terreno di gioco ha un attrito e una restituzione
che ne determinano la velocità. L’attrito del
terreno di gioco influisce sulla spinta orizzontale
della palla e la restituzione su quella verticale. La
terra battuta, ad esempio, ha una restituzione
sulla palla medio-bassa, ma un attrito alto ed è
per questo che la palla tende a frenare al
10- Grande aumento dell’autostima e della
fiducia nei propri mezzi del giocatore, che
accortosi di aver acquisito tutti i vantaggi
rimbalzo e ad alzarsi molto rispetto alle altre
superfici. E’ questo il principale motivo delle
numerose sconfitte di Federer con Nadal sui
campi in terra rossa, come ho già spiegato in
precedenza. Un colpo può definirsi in topspin
quando la sua componente di spinta orizzontale
risulta minore o uguale a quella verticale,
mentre lo definiremo lift nel caso della
prevalenza dell’azione verso l’alto, come ad
esempio nel caso di un pallonetto con rotazione (
lob ). In conclusione, imparare a far girare… le
palle nel tennis, al contrario di quanto accade
nella vita normale, è di grande e fondamentale
aiuto per conseguire l’unico vero obiettivo di
ogni tennista che si rispetti : vincere.
Aspetti psicologici nel
tennis
di Laura Saggio
La Capacità Attentiva
L'idea di una rubrica incentrata sui principali
aspetti psicologici legati al tennis,
professionistico e non solo, nasce dall'intento di
analizzare da vicino uno dei fattori più
importanti che caratterizzano la performance
agonistica: la mente e le sue capacità cognitive.
Oggi, a differenza di alcuni decenni fa, si è
consolidata la conoscenza che doti fisiche e
tecniche da sole, se non supportate da solide
caratteristiche mentali, non bastano ad un atleta
che vuole raggiungere risultati e obiettivi elevati.
Perché alcuni atleti durante il match hanno
ripetuti cali di attenzione, con conseguenziale
calo del gioco espresso, mentre altri riescono a
mantenere uno standard di concentrazione più
costante?
L'attenzione è una delle principali varianti che
influenzano l'andamento di un incontro e può
essere determinante ai fini del risultato. Per
questo la psicologia dello sport è parte
integrante della preparazione di un atleta,
supportandolo sia nella gestione e nel
superamento di problematiche che impediscono
l'ottimizzazione del suo lavoro, che nel
miglioramento della prestazione agonistica
attraverso specifiche tecniche di allenamento
mentale (capaci di incrementare notevolmente la
sensibilità psico-fisica dell'atleta). Riassumendo
possiamo dire che la prestazione di un giocatore
è condizionata prevalentemente da quattro
requisiti fortemente collegati tra loro:
1.requisiti tecnico-tattici
2. requisiti coordinativi
3. requisiti condizionali (resistenza, forza,
velocità)
4. requisiti psicologici (capacità attentive,
cognitive, psicomotorie e controllo delle
emozioni)
Iniziamo dunque a vedere più da vicino la
capacità attentiva nel tennis, provando a
rispondere alla domanda che ci siamo posti poco
sopra.
L'attenzione in medicina viene definita come il
processo che consente di indirizzare e
concentrare l'attività psichica su un determinato
oggetto, di ordine sia sensoriale che
rappresentativo.
Chi pratica uno sport di situazione, come il
tennis, deve sviluppare e allenare una
caratteristica specifica dell'attenzione che è la
'selettività': l'atleta, non potendo elaborare
contemporaneamente tutti gli stimoli che gli
arrivano, deve selezionare e dividere quelli
rilevanti da quelli irrilevanti, che possono essere
quindi tralasciati.
La risposta di questa azione selettiva porta ad
ottenere un sistema attentivo ampio o ristretto e
interno o esterno. Per il tennista il focus
attentivo dovrebbe essere circoscritto all'interno
del campo da gioco e la sua attenzione rivolta a
stimoli specifici (quali il posizionamento dei
piedi dell'avversario, i movimenti attuati per
colpire la palla e il tipo di rotazione scelta); e a
stimoli generali (la lettura rapida del gioco
dell'avversario, la visione completa del campo
per decidere dove e come indirizzare i propri
colpi). Ovviamente più il livello del tennista è
alto, più il gesto tecnico diventa automatico e
l'attenzione rivolta all'aspetto tecnico e motorio
si indirizza verso l'aspetto tattico/strategico.
Veniamo ora all'attenzione durante il match.
Come abbiamo precedentemente detto, i
problemi di concentrazione durante una partita
possono essere diversi e frequenti e spesso
rappresentano l'ago della bilancia che proietta
un incontro verso la vittoria o la sconfitta.
La partita, essendo il momento di verifica di
tutto il lavoro svolto e tavolo di confronto tra
potenzialità, capacità e personalità tra i due
avversari, crea inevitabilmente uno stato
emotivo alterato, a volte causa di 'disattenzione'.
Per evitare problemi attentivi, gli atleti entrano in
campo in piena “trance” agonistica
Per evitare problemi attentivi, gli atleti entrano
in campo in piena “trance” agonistica grazie
all'ausilio di alcuni modelli di preparazione che
portano alla giusta concentrazione e attenzione
da gara (quali la pratica del Mental Traning-che
analizzeremo successivamente-, il
riscaldamento, la ripetizione di rituali).
Solitamente i giocatori che evidenziano maggiori
problemi attentivi sono quelli che praticano un
gioco assoggettato a una continua analisi di
situazione e adattamento delle scelte tattiche.
Mentre i giocatori mono-tattici come, i serve and
volley puri alla Edberg, o i maratoneti alla
Muster, riescono a mantenere alta l'attenzione
per tutta la durata del match, forti (in questo
caso) delle poche scelte da compiere.
In sostanza, per i giocatori più completi sia
tatticamente che tecnicamente, avendo a
disposizione un ventaglio ampio di colpi, il
lavoro attentivo dovrà essere ancora più curato e
rafforzato, per ridurre al minimo scelte sbagliate
e dunque errori.
L'avere un maggior numero di soluzioni però
spesso gioca anche a favore, infatti il tennista
pluri-tattico riesce a trovare più facilmente vie
d'uscita durante la partita, consapevole di avere
più mezzi per riaddrizzare un match che si sta
mettendo male.
Questo il primo quadro generale su un fattore
cognitivo determinante di prestazione, quale
appunto la capacità attentiva.