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n° 320 - maggio 2005
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Alberto Burri a Città di Castello
Ricordo vivamente la
grande antologica di Alberto Burri con cui si inaugurava a Milano nel 1984
Palazzo Citterio, sede di
Brera 2, secondo il progetto Grande Brera di Russoli. Un unicum la bella mostra. La stessa Brera 2, dopo
improvvidi lavori di restauro, non è stata più riaperta. Un unicum l’emozione che conduceva di
piano in piano fino all’attico luminoso e strutturalmente spoglio, attraverso
l’iter artistico di questo chirurgo, provato dalla guerra
e dal campo di concentramento americano di Hereford, che trasferì la disciplina di Ippocrate nell’espressione artistica, sentita come urgente e brutale, in un primordiale rapporto con la realtà, violento, drammatico ma anche colto e raffinato. Negli anni iniziali del primo
dopoguerra, criticato e incompreso da molti, Burri
in modo originale procedeva alla ricerca di
un’espressione alternativa,
diretta, moderna, che facesse ricorso non alle vecchie tecniche pittoriche
ma a vie nuove, rivoluzionarie, sperimentali, fatte
di un provocatorio, esplicito uso di materie povere,
inerti, scartate. Sacchi, plastiche, legni bruciati, ferri
arrugginiti, stracci, muffe,
catrami risorgono nobilitati in opere d’arte di raffinato equilibrio e sobrietà.
Due splendide esposizioni
stabili donò l’artista alla
sua Castello, come la chiamano i suoi abitanti tifernati. La Fondazione Burri,
del 1981, che allestì personalmente, essenziale nelle
soluzioni architettoniche,
efficace nella distribuzione
spaziata e cromaticamente
accordata dei quadri sulle
pareti, la volle nel bel palazzo quattrocentesco degli Albizzini. Gli Essicatoi, di cui aveva avviato
l’acquisto con dissanguante
leasing per rendere spettacolari in quell’atmosfera
che profuma ancora di tabacco le sue più grandi e
numerosissime realizzazioni, li rese volumi nuovi,
intriganti, dipingendoli
semplicemente di nero, accompagnandoli già nel
prato antistante con gigantesche sculture concave di
ferro. A questo grande protagonista del secolo scorso,
nato nel 1915, che ora
avrebbe compiuto 90 anni,
mentre, invece, se ne ricorda il decennale della
morte, la città natale ha
dedicato ora, fino al 12 giugno, a latere dei due osservatori privilegiati, una mostra che getta uno sguardo
intelligente sugli artisti
che Burri, parco di lodi com’era, stimava e considerava amici. E’ una mostra
che intende rivelare ipotesi di affinità, indicare un
fil rouge di emozioni che
porta da Cezanne al preferito Picasso, da De Chirico
a Schwitters, Mirò, Calder,
Capogrossi, Morandi. E
non solo. Anche altri più
diretti amici che coltivò in
Umbria o a Roma, da Nuvolo a Mafai e Scipione, a
Marcarelli a Toti Scialoja,
a Afro, a Ballocco e Ettore
Colla. Burri però fu sempre un outsider, un po’ sde-
Alberto Burri: Composizione, 1950
Alberto Burri: Sacco, 1952
gnoso, non si riconobbe
mai seriamente in un
gruppo artistico, anche se
fece per una sola mostra, e
amichevolmente, parte di
Origine, fondato da Ballocco nel 1950. I lavori d’allora di Burri, oli, smalti
e catrami lustri e materici
rispondevano perfettamente
all’enunciato di «coerenza,
intesa come libero svolgersi ed esprimersi della
personalità. Origine perciò come punto di partenza
dal principio interiore,
come bisogno di attingere
alla più ingenua libera pri-
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mordiale natura...Origine
come liberazione dalle molteplici sovrastrutture e
come identificazione con
la verità in noi stessi contenuta». L’attuale mostra
intitolata Prima di e con
Burri va visitata dopo le
due grandi esposizioni di
Burri perché si possano notare meglio le sottili tangenze: Morandi è nelle raffinate monocromie dei sacchi di juta ricuciti, suturati direi, a spago, grumosi,
contrapposti a campi oro
o lisci neri. Colla, Magnelli,
Ballocco, Nicholson evocati nelle spaccature, nelle
texture asimmetriche, profonde dei suoi Cretti, che
sembrano pelle solcata al
microscopio. Mafai e Scipione nei rossi sanguigni
come squarci dolorosi nella
carne, laghi di sangue tra
stracci di materia, brandelli di sacchi, a memoria
forse di quanto vil cosa
siamo, materia noi stessi,
drammatica, straziata, imperfetta sempre, anche se
ricucita, rattoppata, addirittura verginizzata come
nel Grande bianco Burri ’56.
C’è poi l’accademica ricerca
di priorità, disputata sul
filo delle date, verso il ’54,
tra i polimaterici di Prampolini e quelli di Burri, o
i collages di Nuvolo. Burri
in questa mostra acquista
nuova luce, interpretazione
e lettura tra i suoi amici.
Si ricrea qui il clima dello
studio romano condiviso
con alcuni, l’atmosfera dei
ritorni a Castello per andare a caccia o tirare al piattello in allegra competizione ed esibizione della
sua abilità. La mostra è nell’ala nuova di palazzo Vitelli alla Cannoniera dove
si sono ora sistemate anche collezioni di altri do-
Alberto Burri nel suo studio
natori tifernati, le sculture
bronzee figurative di Bartoccini, i gessi di Palazzi
e, più importante, quella
del dottor Ruggeri, con
splendidi Mafai, Carrà, De
Chirico, Omiccioli, Rosai,
Dettori. E’ lo stesso palazzo
cinquecentesco, dalla bella
retrofacciata graffita su disegno di Vasari, sede della
Pinacoteca Civica, ricca di
lavori di Signorelli, Della
Robbia, Vasari e soprattutto dell’unica delle quattro opere che Raffaello dipinse giovanissimo per la
città, la sua opera prima,
lo Stendardo della Confraternita del Gonfalone, dall’emozionante sospensione
della Creazione di Eva, contrapposta al Crocefisso giovanile.
Così Città di Castello, erroneamente considerata
marginale per le distanze
dai centri maggiori, crogiuolo di diverse culture,
d’imprevedibile parlata
emiliana, di misticismo
umbro, di nobile architettura rinascimentale toscana,
è in effetti già centro privilegiato di attrazione dell’arte contemporanea grazie a questa fioritura di do-
Alberto Burri: Combustione, 1960
nazioni avviate da Alberto
Burri, cui prossimamente
verrà intitolata e riordinata su suo puntiglioso
progetto l’attuale piazza
Garibaldi.
maria antonietta zancan