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Una stupenda Madonna trecentesca nel chiostro
del convento di San Salvatore a Orta di Atella
A Orta d’Atella, nel restaurato chiostro del convento francescano di San Salvatore, è
tomato a risplendere della cromia originaria, per i benefici effetti di un’opportuna
ripulitura, il prezioso affresco trecentesco raffigurante la Madonna in trono col
Bambino, angeli e donatori, che occupa l’edicola posta in fondo ad uno dei lati della
bella struttura conventuale; arricchita, per il resto, da un ciclo di affreschi, datato
1692, riproducente Fatti della Vita e miracoli di San Salvatore da Horta, nonché da
una decorazione a grottesche di gusto tardorinascimentale che racchiude, entro tralci
vegetali, tra satiri e ninfe, genietti e cherubini, numerosi tondi con le immagini di
santi e sante francescane, unitamente a raffigurazioni di scene di vita campestre e
vedute di castelli della Campania. L’edicola, già parte di un primo complesso
conventuale con annessa chiesetta fatto edificare nel Trecento dalla principessa di
Belmonte in ringraziamento dell’avvenuta guarigione da una grave malattia per
intercessione di san Salvatore, e andato diruto nei secoli successivi, fu inserita
nell’attuale ubicazione allorquando i Frati Minori, venuti da Napoli su espressa
richiesta di un sacerdote del luogo, tale don Selvaggio Tuocco, edificarono, tra il
1643 e la fine del secolo, il nuovo convento.
Nel dipinto, cui faceva il paio fino al 1963 un altro affresco trecentesco raffigurante
San Donato in trono (anch’esso recuperato dalla vecchia struttura e inglobato nel
muro del presbiterio dell’attuale chiesa, ma poi avventatamente distrutto e sostituito
in quell'anno con una nicchia atta ad accogliere la statua di gesso del Sacro Cuore di
Gesù) la Vergine è raffigurata, mentre, assisa frontalmente su un trono, regge il
Bambino; che, ammantato da una lunga veste, è in piedi, sul ginocchio sinistro della
madre, anche Ella avvolta da una lunga veste coperta da una mantella aperta sul petto
in due lembi, e col capo cinto da una corona (in bassorilievo) da cui diparte un manto
che le ricopre quasi tutta la testa e le spalle. Fanno corona alle due figure, diversi
angeli, di cui alcuni con leali spiegate, unitamente ai donatori, tutti a mani giunte, tra
cui si riconoscono due personaggi, una gentildonna e un monaco, che non abbiamo
molte difficolta a ipotizzare trattarsi, rispettivamente, della principessa di Belmonte e
del priore del convento. La datazione del dipinto sembra risalire alla prima metà del
Trecento: secolo di straordinario rinnovamento delle arti in Italia, e, soprattutto di un
deciso cambiamento di rotta dell’arte pittorica per la discesa in campo di Giotto, la
più illustre personalità artistica del tempo, destinato ad influenzare, pressoché
totalmente, la coeva produzione pittorica. E a un artista della cerchia di Roberto
d’Odorisio, che era stato allievo dei collaboratori di Giotto a Napoli durante il lungo
periodo in cui l’artista toscano aveva operato nella capitale angioina, va riferito,
secondo Pierluigi Leone de Castris - autore di un articolato studio sulla pittura
napoletana a cavallo dei secoli XIII e XIV - la madonna ortese. Lo studioso, infatti,
dopo aver ravvisato nell’affresco un atteggiamento di sgarberia masiana (Maso di
Banco fu il maggiore collaboratore di Giotto a Napoli, n. d. R.) assai simile a quello
manifestato dal giovane Roberto, avanza in proposito i nomi di due dei più preparati
allievi del delizioso maestro napoletano: il già noto Cristofaro Orimina e l’ancora
Ignoto pittore napoletano del primo Trecento, Madonna con il Bambino,
angeli e donatori, Orta di Atella, Convento di San Salvatore
misterioso artefice convenzionalmente indicato con il nome di Maestro del Seneca
dei Girolamini dal titolo dell’unico dipinto fin qui attribuitogli, giustappunto
raffigurante il filosofo greco, e conservato nella Pinacoteca dei Girolamini a Napoli.
Franco Pezzella