I santi sauroctoni
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I santi sauroctoni
Santi Sauroctoni con particolare riferimento a Giorgio e Giulio Fiorella Mattioli Carcano questo breve saggio è dedicato agli amici Angelo Molinari, Franco Belluati e Franco Ruga... e loro sanno perché serpente di Genesi 1,3 ss, il tentatore per eccellenza che persuadendo l’uomo a disobbedire al comando divino, ne provoca il decadimento. In effetti alcuni commentari medievali al Genesi significano come questo serpente dell’Eden fosse in effetti un drago e che proprio la maledizione del Signore (che dice “sul tuo ventre striscerai e polvere mangerai”) significò la perdita delle ali che quel serpente-drago aveva. Scorrendo l’Antico Testamento li ritroviamo, senza un nome proprio, nel libro di Giobbe (40-41) e chiamati Behemoth e Leviathan, cioè il mare; in Isaia si descrive il secondo come “serpente tortuoso...abita il mare” (Is 27,11). Meno caratterizzati sono i draghi nei Salmi. Il Salmo 90, 13, riferendosi al Giusto, protetto da Dio, recita “camminerai sull’aspide e sulla vipera / calpesterai il leone e il drago”. La negatività della figura del drago sembra però attenuata nel Salmo 148,7 quando recita: “creature tutte della terra, draghi della terra e dei mari, lodate il Signore”. Il drago è comunque simbolo del demonio. Sant’Agostino, in particolare nei commenti che fa ai Salmi, definisce il drago come l’immagine di Satana, il nostro antico nemico, il traditore. In realtà il drago, soprattutto nell’agiografia alto medievale è la forza della natura. I testi sacri che, come dicevo, si rifanno ampiamente alla Sacra Scrittura trovano poi un vuoto all’interno dei Vangeli, dove il drago non compare, ma fa il suo ritorno nella sua più importante rappresentazione nell’Apocalisse ed è il “draco rufus” il drago con sette teste sconfitto dalla donna vestita di sole. Questo è il drago che la Chiesa, la Chiesa istituzionale, la Chiesa dotta, la Chiesa dei chierici, porta avanti nelle leggende di alcuni santi e, non solo, nelle rappresentazioni. Le leggende dei santi che nella loro vita si incontrano coi draghi sono moltissime e in effetti sono molte volte un rimando all’incontro fra il Male (inteso anche come forza avversa della Natura) rappresentato dal drago e il “vir Dei”, quella persona che è collocata tra l’umano e il divino, che appartiene alla storia e alla Una riflessione a tutto campo sulla figura del drago porta all’immediato ed evidente riscontro sulla duplicità di significato e di ruolo che l’immaginario, la tradizione e la letteratura attribuiscono a questo personaggio. Egli per alcune culture può essere simbolo e apportatore di positività, per altre di negatività e, addirittura, essere rappresentatività tangibile del Male per eccellenza. Questa è, in una lettura generale, la figura del drago nell’ambito del Cristianesimo, e in particolare all’interno della letteratura agiografica, cioè quella che narra la vita dei santi, e nella fattispecie di quei santi che si impegnarono contro questo personaggio simbolo del Male, e che sono detti sauroctoni, cioè uccisori di draghi. Ma il termine per sé non è del tutto corretto, infatti anche all’interno di questo discorso che io andrò a condurre, un po’ a volo di drago, troveremo che l’incontro santodrago sarà raramente un incontro cruento, se non per quello che l’iconografia, in particolare la pittura, ci hanno consegnato, ma non all’interno dei testi agiografici. Fatta comunque la dovuta eccezione per l’iconografia teologicamente corretta della Madonna che schiaccia col piede la testa del drago-serpente. Siccome il fondamento di ogni vita di santo è comunque la Sacra Scrittura, è opportuno segnalare come la figura del drago-serpente, è comunque abbastanza confusa anche all’interno dell’Antico Testamento, ma sia significata con una valenza in genere negativa. Infatti il drago si collega con la rappresentazione di Lucifero, l’angelo ribelle precipitato all’inferno e imprigionato dall’arcangelo Michele nelle viscere della terra, ma che talvolta, passando dalle caverne, esce di nuovo sulla terra per insidiare gli uomini. Nell’Antico Testamento i draghi, o meglio i serpenti-drago sono numerosi. Primo fra tutti il 11 metastoria: il santo, che sempre sta tra noi e il metafisico. Nella prima parte del medioevo, quindi grosso modo fino al VI–VII secolo, incontriamo parecchi santi che sul loro cammino, per poter dare atto della loro virtù, hanno la necessità di incontrare questa forza così potente e così rappresentativa di Satana, del Diavolo, che secondo il significato greco del termine, è “colui che divide”, che separa l’uomo dal suo Creatore. Il più antico drago che compare nella vita di un santo è forse proprio quello di Giorgio, una leggenda che recuperiamo attraverso varie fonti medievali. La più importante è naturalmente la Legenda Aurea di Iacopo da Varagine, redatta nella seconda metà del sec. XIII, che è una narrazione certo molto tarda rispetto agli accadimenti narrati. Secondo la «prima» leggenda e i successivi ampliamenti, fin dalla concezione San Giorgio è predestinato a grandi cose; la sua nascita porta grande gioia ai genitori Geronzio, persiano, e Policronia, cappadoce, che lo educano religiosamente fino al momento in cui entra nel servizio militare. La data della nascita sembra doversi fissare verso il 280 tenendo presente la data della morte (303) La sua professione di militare sembra derivare dalla identificazione con il tribuno che strappò l’editto di Galerio contro i cristiani in Nicomedia. Il martirio avviene sotto Daciano imperatore dei Persiani (che però in molte recensioni è sostituito da Diocleziano, imperatore dei romani), il quale convoca settantadue re per decidere le misure da prendere contro i cristiani. Giorgio di Cappadocia, ufficiale delle milizie, distribuisce i beni ai poveri, e davanti alla corte si confessa cristiano; all’invito dell’imperatore di sacrificare agli dei si rifiuta ed iniziano le numerose e spettacolari scene di martirio. Egli viene battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ha una visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione; quindi ha la meglio sul mago Atanasio che si converte e viene martirizzato. Tagliato in due con una ruota irta di chiodi e spade Giorgio risuscita convertendo il magister militum Anatolio e tutte le sue schiere, che vengono passate a fil di spada. A richiesta del re Tranquillino, il santo risuscita diciassette persone morte da quattrocentosessant’anni, le battezza e le fa sparire; entra in un tempio pagano e con un alito abbatte gli idoli. L’imperatrice Alessandra si converte e viene martirizzata; l’imperatore lo condanna nuovamente a morte, ed il santo, prima di essere decapitato, implora da Dio che l’imperatore ed i settantadue re siano inceneriti; esaudita la sua preghiera Giorgio si lascia decapitare promettendo protezione a chi onorerà le sue reliquie. La leggenda della fanciulla liberata dal drago per opera di Giorgio sorse successivamente; sembra che il racconto di tale episodio sia nato, al tempo dei Crociati, dalla falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore Costantino che si trovava allora a Costantinopoli. La fantasia popolare ricamò sopra tutto ciò, ed il racconto, passando per l’Egitto, dove S. Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante la cui diffusione fu probabilmente facilitata anche da una scena (di cui un esemplare si trova ora al Louvre) raffigurante il dio Horus, purificatore del Nilo, cavaliere dalla testa di falco, con uniforme romana, in atto di trafiggere un coccodrillo tra le zampe del cavallo. Inoltre, la qualità dei supplizi richiama la leggenda greca di Perseo e di Andromeda, e la celebre storia del drago senza il quale non possiamo immaginare la figura del Santo, si legge con tutti i suoi particolari nel Martirio di S. Teodoro. La parte di leggenda relativa alla liberazione della fanciulla liberata dal drago narrava che in una città della Libia ci fosse un lago in cui viveva un drago che avvicinandosi alla città uccideva con il fiato coloro in cui si imbatteva. Per tenerlo lontano i cittadini traevano a sorte giovani vittime da dargli in pasto, finché toccò alla figlia del re, che invano il padre tentò di sottrarre al sacrificio; a questo punto intervenne l’eroe mitologico divenuto san Giorgio nella leggenda cristiana, egli esortò la principessa a non temere e sfidò il drago in un terribile combattimento in cui riuscì ad abbatterlo e a liberare la popolazione. Egli agisce in questo modo nel nome del Signore ed in cambio chiede alla popolazione di convertirsi al cristianesimo e di lasciarsi battezzare. La forza del santo cavaliere è dunque al servizio di Dio. La figura di San Giorgio su un cavallo bianco che trafigge con una spada o una lancia il drago è diventato anche un topos iconografico e il 12 culto del santo cavaliere si è diffuso tanto in letteratura quanto in arte. A Lydda, in Palestina vi era una basilica sorta sulla tomba di San Giorgio e compagni martirizzati nel 284, il culto di san Giorgio si diffonde sin dal IV secolo sia in Oriente che in Europa. Sulla vita di San Giorgio non si hanno notizie storicamente fondate, se non che fu un militare originario della Cappadocia; tutto il resto è frutto di scritti fantastici che hanno generato leggende diventate patrimonio della tradizione popolare, che riferisce la data del martirio al 23 aprile. Nel medioevo la popolarità di san Giorgio, il cui nome non rimanda alla figura del guerriero, in quanto è la traduzione del tardo greco Gheorghios, derivato a sua volta da Gheorgos, agricoltore, era cresciuta a tal punto da ispirare una letteratura che gareggiava con quella dei cavalieri dei cicli bretone e carolingio. L’episodio che lo collega al drago in alcune versioni non ha un epilogo cruento, bensì viene collegato con il ruolo più consono allo scontro fra uomo e drago, e cioè quello che si conclude con l’atto di “domare il drago”, che in effetti, quale rappresentante, come si vedrà, delle forze della natura, non può essere ucciso. Anche Giorgio avrebbe reso il drago mansueto al punto che la principessa lo conduceva legato con la propria cintura a guisa di guinzaglio, come un animale da compagnia. Ma in genere l’iconografia rappresenta l’episodio di San Giorgio e il drago con un epilogo di uccisione del drago. Forse nessun santo ha riscosso tanta venerazione popolare quanto S. Giorgio e a testimonianza di ciò vi sono le innumerevoli chiese dedicate al suo nome: a Gerusalemme, a Gerico, a Beiruth, a Costantinopoli. Anche in Italia il culto di S. Giorgio fu assai diffuso. A Roma Belisario (ca. 527) affidò alla protezione del santo la porta di S. Sebastiano e ai due santi insieme è dedicata la chiesa al Velabro. Circa il patrocinio di San Giorgio ricordiamo ancora come il santo sia stato scelto come speciale patrono sia dai militari che dai cavalieri e venne pertanto rappresentato in piedi con lo scudo o la lancia o anche a cavallo con la lancia mentre trafigge il drago, salvando la principessa destinata al sacrificio. Questo legame con il mondo militare lo rese particolarmente caro ai cavalieri medievali e in particolare al mondo longobardo perché è il mondo dei guerrieri. Tra l’altro Casale Corte Cerro, luogo la cui la chiesa è dedicata a Giorgio, è sita nella corte di Cerro, che fu terra legata al mondo longobardo. Infatti tale era l’ascendenza dei signori di Cerro, legati ai conti Biandrate, a loro volta discendenti dagli Anscarici che erano di stirpe longobarda. Questo rafforza il riscontro che con molta frequenza appare fra la scelta e il radicarsi di un tipo di culto, un preciso indirizzo di affidamento a un particolare titolo, sia esso divino, che mariano, che santoriale. Noi ci troviamo in presenza, proprio in questo luogo, di un culto dedicato ad un santo antico: difficilmente una dedicazione di questo tipo avverrebbe dopo il Concilio di Trento. L’incontro fra il santo e il drago, come si è detto, avviene per moltissimi altri santi che in genere sono detti sauroctoni, termine generico usato per “uccisori di drago”, ma che in verità sono quasi sempre domatori di draghi. Quindi Giorgio, con questa sua prerogativa, attraversa tutta la storia dell’immaginario dell’occidente medievale, per la figura di cavaliere soprattutto, per questo voler difendere la situazione di debolezza di una persona: ma non è il solo. Prima di arrivare a san Giulio, ritroviamo altri santi che si collegano addirittura ad una presenza che non è una realtà terrena, ma ultraterrena: quella dell’arcangelo Michele, che è il primo se vogliamo, al di là del racconto di San Giorgio, che scaccia agli inferi Satana=drago= serpente = “colui che divide”, il nostro nemico, come dice l’Apocalisse, l’antico nemico. Quindi il culto micaelitico, di san Michele Arcangelo, strettamente si collega a volte col culto di altri santi e ne esiste tutta una serie collegata al monte Gargano, tutta una serie di santi sauroctoni nella fascia tra il Lazio e l’Umbria, strettamente connessi a quell’altro fenomeno tipico del culto micaelitico, rappresentato della stilla, cioè l’acqua che gronda dalla grotta dedicata all’arcangelo e che ha poteri taumaturgici, situazione collegata al racconto evangelico in cui si narra di una piscina dove si potevano portare i malati, e dalla quale talora essi uscivano risanati, perché passava un angelo ad immergere l’ala in quell’acqua e la benediceva. Questo collegamento con il tocco d’ala dell’angelo, identificato con Michele (Michele, 13 “forza di Dio”) si collega ai luoghi micaelitici, Gargano, Mont Saint-Michel, la Sacra di San Michele, laddove sempre troviamo luoghi con grotte che stillano acqua che ha poteri taumaturgici e poteri anche di scacciare demoni, serpenti, draghi e quant’altro. Un altro esempio molto antico di incontro fra un uomo di Dio e un drago è contenuto nel racconto riferito a san Silvestro papa, il primo pontefice romano che esercitò il suo ministero liberamente: infatti durante il regno di Costantino si stabilì un accordo politico tra il capo dei cristiani e l’imperatore, quindi la religione cristiana non fu più costretta ad essere vissuta e praticata nella clandestinità, non tanto nelle catacombe, che sono stati sempre luoghi di sepoltura e non di culto, quanto piuttosto presso alcune case dove la fede in Cristo poteva esprimersi nella forma cultuale. Anche papa Silvestro ha scacciato dal Tevere un grosso mostro che terrorizzava la città. Lo stesso accade, secondo il racconto che ce ne fa Venanzio Fortunato, uno scrittore latino del VI secolo, nella vita di Marcello. Anche l’episodio di Marcello, vescovo di Parigi (la cui vita fu fatta scrivere a Venanzio Fortunato proprio dal successore di Marcello, Germano) è collegato con una situazione di paura e pericolo. Esisteva un drago, nei sobborghi di Parigi, che usciva da un sepolcro e col suo fiato mefitico appestava, ammorbava, creava malattie. Marcello, così come Silvestro, doma questo drago e lo scaccia. Il racconto di Venanzio Fortunato è molto suggestivo dal punto di vista letterario, infatti egli narra che con il bastone episcopale Marcello tocca leggermente il drago e questo immediatamente diventa un buon animale domestico. Addirittura gli pone la stola sulla testa e il drago si lascia condurre fuori dalla vallata paludosa dove era insediato. Tutta una serie di santi sauroctoni umbri, studiati da Mario Sensi, sono collegati con zone paludose: i draghi, nella letteratura agiografica sono forse solo all’apparenza simbolo del Male, il combattimento in effetti vede il prevalere dell’uomo di Dio, ma più sulle forze della natura che il drago rappresenta e, in senso traslato, con la deificazione che delle stesse il non cristiano ne faceva. In questa visione ben si comprende perché il drago diventa alla fine sempre un essere che non viene ucciso, ma domato, addomesticato, mandato da qualche parte dove non poteva nuocere, così come l’intervento del lavoro umano giungeva a bonificare le paludi, arroncare terreni, conquistare nuovi spazi alla natura (opera sovente dovuta ai monaci) e, nel contempo il cristianesimo prendeva posizione rispetto alle forme di religione locali precedenti. Ma che cos’era allora questo drago? Era veramente simbolo di Satana, di tutto quello che l’Apocalisse ci racconta e l’immagine che nei testi agiografici una Chiesa dotta ci vuole dare? O è invece la trasposizione di una lotta che sempre e comunque avviene fra delle forze preesistenti e una forza nuova che si vuole immettere? E allora possiamo leggere la lotta fra il santo e il drago come episodio di rifondazione di un luogo con un altro tipo di culto: è il caso di Giulio ma non solo. È il caso dell’isola Gallinara, con Ilario. Anche Ilario, come san Giulio, scaccia dei serpenti dall’Isola Gallinara. Non li manda via, li manda a vivere in un luogo determinato, confinato: si dividono in definitiva due territori. E questo è veramente, se vogliamo, il racconto allegorico di situazioni che davvero sono avvenute. L’impianto del cristianesimo non avviene sul nulla. La gente che si converte al cristianesimo aveva già comunque una sua religione, una sua sfera di sacralità e di sacertà e allora si arrivava alla coesistenza, come alla Gallinara, o alla rifondazione totale, come nel caso dell’Isola di San Giulio Non riferisco il racconto di san Giulio peraltro molto noto: significo soltanto che ci troviamo di fronte ad un testo molto antico, la cui prima versione a noi giunta è dell’VIII secolo, quindi andiamo molto indietro nel tempo. La Vita di Giulio, così emblematica sia come testo agiografico sia per i suoi rimandi simbolici e i “segnali” storici, andrebbe maggiormente studiata, o meglio fatta conoscere, infatti contiene al suo interno dei dati che rimandano all’archeologia, alla filologia, all’epigrafia. Nel caso di Giulio e della sua fondazione religiosa sull’isola, e all’evangelizzazione del Cusio siamo di fronte ad un’evangelizzazione precoce delle zone extra urbane che viaggia separata da un potere centrale, che potrebbe essere quello metropolita di Milano, e che ha radici più antiche o perlomeno coeve con l’evangelizzazione del Novarese. 14 Giulio è un personaggio storico: infatti l’incrocio degli studi interdisciplinari, compreso lo scavo archeologico, ci porta a concludere che in quel tempo, alla fine del IV secolo, è davvero esistito qualcuno che è stato in questo luogo e lì ha operato una fondazione cristiana. Sono ormai dati tanto consolidati che ci portano sicuramente a dire come Giulio è arrivato lì e perché. Il perché credo sia ormai stato scoperto da Réginald Grégoire: Giulio è un cappellano militare, che si muove al seguito dell’esercito bizantino. Infatti la vita di Giulio lo dice chiaro, egli parte con un rescritto di Teodosio che gli impone di andare, battezzare e fare cosa? Estirpare l’eresia ariana. All’interno dell’esercito si era diffusa ampiamente questa eresia, che era la più famosa dei primi secoli del cristianesimo: i seguaci del prete Ario non riconoscevano la coesistenza in Cristo della doppia natura divina e umana. Questa eresia si era grandemente diffusa nell’esercito e continuò per molto a caratterizzare grandemente l’esercito. È molto più semplice credere ad un dio solo umano, piuttosto che ad un dio misto divino umano. L’eresia ariana che è poi diffusissima nel mondo barbarico e nel mondo longobardo, fino all’imposizione della volontà conciliare voluta da Teodolinda. Ecco che allora il serpente è simbolo del male: in questo caso sia il paganesimo, sia l’arianesimo. L’isola doveva certamente essere sede di un luogo di culto precristiano, infatti la connotazione naturale dell’isola la porta ad essere luogo di sacralità per eccellenza. Il luogo sacro ha come sua peculiarità il fatto di essere isolato, recintato: la separazione reale del luogo sacro è simbolo precipuo della separazione ideale fra il mondo e il luogo dove si manifesta la ierofania, luogo dove l’uomo può sentirsi vicino al divino. Ogni luogo sacro è un luogo recintato: da un’isola, ad una montagna sacra, un sacro monte; è un luogo che ha dei precisi confini. Del resto Isaia lo scrive “metti dei confini al monte – dice il Signore – e ne farò la mia casa”. Quindi “Fa di me altro dal mondo”. E’ legittimo pensare per l’isola ad una presenza di sacralità, almeno di un bosco sacro, così isolato, ma presente all’interno di che cosa? Del lago che è una delle simbologie più grandi di tutti i tempi. Il lago come “occhio della terra” attraverso cui i defunti possono ancora vedere questo mondo. Ecco questi collegamenti, con culti sicuramente preesistenti e con quella che era la missione di Giulio: estirpare i serpenti del dubbio e dell’eresia, che sono collegati con il mondo pagano e con il credo ariano. Giulio naturalmente diventa poi il santo patrono del luogo, così come avvenne per Marcello. A Parigi poi, in epoca illuminista ci fu un tentativo di rendere per così dire tangibile il combattimento col drago, creando un “reperto” costituito da un animale impagliato posto nella chiesa di san Marcello. Anche all’isola si mostrava ai devoti pellegrini, una vertebra di un serpente scacciato da Giulio. E’ la necessità di dare una “prova” di qualcosa che sfugge, perché è più nella fantasia che nella reale dimensione. Abbiamo parlato dei santi sauroctoni fino all’alto Medioevo. Ma cosa diventano dopo il 1300? Diventano soprattutto santi, che continuano a liberare una palude da una situazione, collegata con la malaria, con malattie del tipo anemia mediterranea. Diventano risanatori naturali del luogo e scacciando quella malattia, quella febbre che è identificata nell’azione malefica del drago e soprattutto nel suo alito appestatore. E ancora, se vogliamo fare un ulteriore passo di collegamento, accanto ai santi sauroctoni ci sono le sante sauroctone, la più famosa è naturalmente santa Marta con la sua Tarasca. Il culto provenzale di Marta, collocato nella città di Tarascona, che appunto ricorda nel nome il mostro domato da questa santa, personaggio evangelico, sorella del resuscitato Lazzaro, e che la tradizione vuole approdata dopo un avventuroso viaggio assieme alle altre Marie, nella Camargue, ha grande diffusione nel Novarese, e la sua rappresentazione iconica è sempre unita alla raffigurazione di questo rettile, che potrebbe essere stato, secondo alcune interpretazioni, un coccodrillo sfuggito dai circhi romani della tarda romanità, quando vi era l’uso di animali mostruosi nei circhi. Anche Marta doma la sua Tarasca buttandole addosso dell’acqua santa e poi prendendosela al guinzaglio. Nel Cusio, fra l’altro, abbiamo una vasta rappresentazione iconica di Marta con le più diverse, e improbabili, Tarasche nate sia dai modelli che circolavano, sia dall’agile fantasia del pittore: in Valle Strona una Tarasca al 15 guinzaglio di Marta non ha le caratteristiche di un sauro, ma di un cane arrabbiato. Si vede che per quel pittore un drago poteva essere anche un cane arrabbiato, terribilmente arrabbiato... Ricordo che nel culto di Giulio rimane il suo legame con i draghi, anche in una delle sue caratteristiche taumaturgiche, cioè quella di scacciare i demoni. Sappiamo che Giulio è un grande scacciatore di demoni e tutto il Medioevo è pervaso da questi viaggi all’Isola di San Giulio per condurvi gli indemoniati, di cui si hanno memorie ad esempio nei graffiti: uno di essi annota che nel 1523, per intercessione di Giulio fu liberata una donna ossessa di Borgomanero. Per di più negli atti di visita della fine del Cinquecento noi troviamo descrizione di una gabbia per gli indemoniati. Colui che arrivava all’isola in preda alla possessione – forse era solo un malato di nervi, un isterico – veniva messo in questa gabbia di legno, perché non nocesse, collocato presso il cenotafio di Giulio attendeva che il preposito, cioè il capo del Capitolo isolano andasse a benedirlo ed esorcizzarlo: per questo suo servizio il religioso non poteva accettare alcun denaro. Nella liturgia il drago divenne anche un attrezzo liturgico. Nella vita di San Marcello sono descritte le spire del drago e quando viene ammansito egli “fa le feste” al santo, scodinzolando, perché la coda è il luogo dove è insita la forza del drago. Diventa molto mellifluo nei confronti del santo, fa quasi “le fusa”. Ecco quindi che il ricordo di questo Satana che poi alla fine la Chiesa deve ridurre all’impotenza – perché l’Apocalisse stessa ci dice che alla fine dei tempi la donna vestita di sole lo schiaccerà definitivamente (ecco tra l’altro il ruolo della Madonna come grande sauroctona, insieme alle sante Marta, Cristina di Bolsena, Margherita d’Antiochia, ma quante altre donne scacciatrici di draghi!) – prende forma in un attrezzo liturgico usato durante le rogazioni, cioè l’antichissimo rito, che vede le sue origini nel V secolo nella diocesi di Vienne in Francia, atto a invocare Dio, la Vergine e i Santi con formule propiziatorie e richieste di liberazione da ogni tipo di male, affinché proteggano il territorio e le campagne e qui con scopi soprattutto propiziatori per la fertilità, ma anche di liberazione. Chiamato anche “uccellaccio”, il drago delle rogazioni, che si può trovare anche all’isola di San Giulio, aveva una specifica funzione all’interno dell’apparato liturgico, che comunque sempre è un grande apparato scenico. Il drago veniva utilizzato appunto nelle rogazioni, cerimonie propiziatorie della natura che venivano fatte proprio in primavera, nel periodo tra san Giorgio e san Marco, in cui si richiedeva l’intervento di tutte le potenze perché ci fossero buoni raccolti, piogge opportune e si impetrava affinché “a peste, bello, malo, libera nos Domino”. Questi riti svolti in forma processionale duravano tre giorni ed erano sempre accompagnati dal drago processionale, che veniva collocato in tre punti diversi della processione e in tre situazioni diverse. Il primo giorno se ne andava baldanzoso, a capo della processione, con la famosa coda dritta e la bocca piena di fiori (a Parigi addirittura venivano buttati dolci e fiori nella bocca di questo drago che era in vimini, mentre i nostri sono di metallo). Il secondo giorno era collocato a metà della processione, ed aveva un aspetto meno fiero, procedendo con la coda allineata al corpo, adorno di pochi fiori L’ultimo giorno, quello del trionfo di Cristo sulle forze del male, il drago chiudeva il corteo, con la coda a penzoloni, l’aspetto mogio e la bocca aperta priva di fiori. Ma il collegamento tra Giorgio, il drago e i miti e i riti della primavera non è del tutto scomparso, perché la festa del santo è collegata ad un ritorno della primavera al punto che in alcune aree particolari, a tutt’oggi in certe aree della Dalmazia e dei Balcani, è proprio la festa di san Giorgio che dà l’avvio alla primavera. In quell’occasione si prende un albero, lo si riveste di verdi fronde, lo si porta tutto intorno, mentre i giovani lo accompagnano: si vuole così simboleggiare la continuità della vita. Questo albero è chiamato “il Verde Giorgio”. 16 BIBLIOGRAFIA BIBLIOTHECA SANCTORUM alle voci : Giorgio, Giulio d’Orta, Marcello di Parigi, Marta, Silvestro I. A. CATTABIANI, Lunario, Milano, 1994. M. ELIADE, Traité d’histoire des religions, Paris, 1964. J. LE GOFF, Tempo della Chiesa, tempo del mercante, pp. 210-255, Torini 1977. J. G. FRAZER, Le folklore dans l’Ancien Testament, Paris, 1924. M. DE VAHA, Sain-Michel et sa symbolisme, Bruxelles, 1979. L. DUMONT, La Tarasque. Essai de description d’un fait local d’un poin de vue ethnographique, Paris 1951 A. DUPRONT, Problèmes et méthodes d’une histoire de la psycologie collective, « Annalles ESC », 1961. R. GREGOIRE, L’interpretazione agiografica di san Giulio d’Orta, in San Giulio e la sua Isola, Novara, 2000. R. 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