12. La vocazione di Isaia

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12. La vocazione di Isaia
«Eccomi, manda me!». (Isaia 6,8)
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in
mano un carbone ardente che aveva preso con le
molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato». (Isaia, 6, 6-7)
Ma ora il Serafino passi col suo carbone ardente
anche sulle mie labbra tremanti
e fuori dal tempio si dispieghi il canto.
(DAVID MARIA TUROLDO, Canti ultimi)
Isaia incontra “il Santo” in un tempo ed un luogo precisi: l’anno della morte di Ozia; nel
luogo più santo che Israele conosce, il tempio di Gerusalemme. E risponde come Abramo,
Mosè e Samuele: « eccomi! ».
Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del
suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due
si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro,
dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di
fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso
con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi:
«Eccomi, manda me!». (Isaia 6,1-8).
Vedere il volto di Dio – e restare vivo - non è concesso a nessuno. Isaia vede solamente
i lembi del mantello, attraverso una nuvola di fumo. La divina Presenza si manifesta come
una voce che lo consacra profeta, in vista di una missione. Gli effetti speciali – se così si può
dire – ricordano la manifestazione del Signore al Sinai, in occasione del dono della Legge
(Es 19,6; 34,5-7). Da peccatore, riesce a vedere Dio, il “tre volte Santo”. Condivide la colpa
del popolo: ha “visto” la santità di Dio, ma non l’ha proclamata. Deve passare il Serafino
per purificare le labbra del profeta, così che – espiata la colpa – possa annunciare la parola
del Signore.
Egli disse: «Va’ e riferisci a questo popolo:
“Ascoltate pure, ma non comprenderete,
osservate pure, ma non conoscerete”.
Rendi insensibile il cuore di questo popolo,
rendilo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi,
e non veda con gli occhi
né oda con gli orecchi
né comprenda con il cuore
né si converta in modo da essere guarito».
Io dissi: «Fino a quando, Signore?». Egli rispose:
«Fino a quando le città non siano devastate,
senza abitanti,
le case senza uomini
e la campagna resti deserta e desolata». (Isaia 6,9-11).
(vedi Mc 4,11-12)
Proclamare quello che ha visto e ascoltato è la missione impossibile affidata a Isaia. Perché
neanche il profeta si illuda, gli viene annunciato che il il popolo resterà insensibile
all’annuncio: il cuore, gli orecchi e gli occhi del popolo resteranno chiusi. Il risultato della
sua predicazione sarà, nell’immediato, l’indurimento del popolo. Solo in futuro, come
scriverà un suo discepolo, resterà un piccolo resto:
Il Signore scaccerà la gente
e grande sarà l’abbandono nella terra.
Ne rimarrà una decima parte,
ma sarà ancora preda della distruzione
come una quercia e come un terebinto,
di cui alla caduta resta il ceppo:
seme santo il suo ceppo. (Isaia 6,12-13).
Ciò che il Signore aveva annunciato si realizzerà un secolo e mezzo dopo, con la caduta
di Gerusalemme e l’esilio a Babilonia. Un discepolo di Isaia si assumerà il compito di
sostenere la speranza dei deportati:
«Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. (Isaia 42,6-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato. (Isaia 50,4)
Dopo il ritorno in patria, un altro discepolo esorterà il popolo di Dio – di allora e di
sempre - a continuare ad affidarsi alla parola di Dio, anche quando non coincide con “i
nostri pensieri”:
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata. (Isaia 55, 6-11)
Lo Spirito del Signore – che « ha parlato per mezzo dei profeti » - continua a parlare per
mezzo dei profeti di oggi. « Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti »:
Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state
una via di morte. Così il titolo dei giornali. […] Questa mattina, alla luce della Parola di Dio
che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza
di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti. […]
«Adamo dove sei?», «Dov'è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all'inizio
della storia dell'umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi.
Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e
per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto
per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro
bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?
Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del piangere, del "patire con": la
globalizzazione dell'indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo
ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli... perché non sono
più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone.
E questo continua a ripetersi. Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto
anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra
indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c'è nel mondo, in noi, anche in coloro che
nell'anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come
questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo? (il Vescovo di Roma, FRANCESCO, a
Lampedusa).