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...Sconfinare...
Numero 1 - Giugno 2006
Direttrice: Annalisa Turel
Una storia ripresa
C’era una volta un confine...
Inizierebbe probabilmente
così la favola dei rapporti
tra le due città. Ma la realtà
impone un altro attacco. C’è
ancora il confine tra Gorizia e
Nova Goriza. C’è, nonostante
due fatti storici. L’apertura
dell’integrazione
europea
alla Slovenia nel 1 maggio
2004, e la prossima entrata
del paese nella zona euro nel
1 gennaio 2007, non sono
ingredienti fantastici di un
racconto popolare. Eppure,
né lo sventolio di una stessa
bandiera (accanto a quelle
nazionali) né il tintinnio
di una stessa moneta,
sembrerebbero
sufficienti
a far assumere alla realtà la
conclusione
fiabesca del
“vissero tutti felici e contenti”.
La Storia, si sa, non è
raccontata dai cantastorie. Ne
è consapevole il neopresidente
della
Provincia.
Per
Gherghetta, come potrete
leggere tra queste colonne, la
storia di Gorizia è “una storia
interrotta” dalle due guerre,
che solo ora si presta a
diventare “una storia ripresa”;
perché spiega nell’intervista:
“La storia ripresa è la
vocazione naturale di Gorizia,
un’idea
multiculturale”
che fa diventare Gorizia
la porta per l’Europa.
La storia di una città globale,
dunque, che corre sui binari
di Piazza Transalpina. Quella
piazza centenaria che, come
spiega tra le righe di questo
numero Giangiacomo Dalla
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sconfi[email protected]
Caro Presidente
Bush
L’Arte per sconfinare
Un semplice muretto con una rete. Un’apparenza
modesta per quello che è stato uno dei confini caldi
dello scorso secolo, la divisione tra est ed ovest, tra
comunismo e capitalismo, tra Gorizia e Nova Goriza. Questo confine però sta subendo un processo
di cambiamento inesorabile che ha avuto inizio ben
prima della fine della guerra fredda, grazie alla volontà di cooperazione fra le due parti di quella che
era stata un’unica realtà isontina. Arcipelago 06 è
la seconda edizione del Festival d’arte contempora-
“Signor George Bush,, è da tempo
che mi chiedo come si possono giustificare le innegabili contraddizioni che
esistono sulla scena internazionale”.
Così comincia la lettera che l’8 maggio il Presidente iraniano Mahmud
Ahmadinejad ha inviato al collega
statunitense. Molti ne hanno parlato,
chi enfatizzando la storica apertura di
Theran, chi smascherando la falsità di
tale mossa, chi altro giusto per sentito
dire. Probabilmente sono pochi però
ad averla letta davvero. Troppo lunga,
forse, per gli standard occidentali? O
semplicemente di troppo? Parliamone, anzi no, prima lasciamola parlare.
Il leader iraniano introduce le proprie
argomentazioni chiedendosi: “Si può
essere seguaci di Gesù Cristo […] sentirsi obbligati a rispettare i diritti umani, presentare il liberalismo come un
modello di civiltà […] fare della ‘Guerra contro il Terrore’ il proprio slogan
[…] ma allo stesso tempo…” ottenere
risultati completamente opposti? E da
qui inizia la rassegna degli errori (o se
preferite orrori) che, secondo Ahmadinejad, sono poi gli stessi aspetti contradditori del modus operandi statunitense.
Innanzi tutto la guerra in Iraq. “A causa della possibile esistenza di armi di
distruzione di massa in un certo Paese
questo viene occupato, circa 100 mila
persone uccise[…]180 mila soldati
stranieri spiegati a terra[…]e il Paese catapultato indietro di 50 anni”.
Nel dar voce ad un bisogno collettivo
di chiarezza, continua: “ […]i giovani, gli studenti universitari, le persone
comuni hanno alcune domande circa il
fenomeno Israele”. Entra così nel vivo
della lettera. “Storicamente molti paesi sono stati occupati, ma penso che
lo stabilirsi di un nuovo paese con un
nuovo popolo sia un fenomeno esclusivo dei nostri tempi. I miei studenti
dicono che 60 anni fa questo stato non
esisteva.[…] Ho detto loro di studiare
la storia della seconda guerra mondiale. […] Dopo la guerra sostennero
che 6 milioni di ebrei erano stati uccisi. […] Supponiamo che questi eventi
siano veri. Questo deve logicamente
tradursi nella fondazione dello Stato di
Israele o nel sostegno di quello stato?”
La questione israeliana è, con il recente
programma di sviluppo energetico, uno
dei punti a cui la comunità internazionale è più sensibile. Non stupisce pertanto che il tema successivo sia appunto
il nucleare. Parola scomoda, mai usata
nella lettera, che risalta con evidenza
dal contesto: “Perché ogni progresso
tecnologico raggiunto in Medio Oriente è tradotto e dipinto come una minac-
nea trasfrontaliero e si terrà dall’1 all’8 luglio
principalmente lungo la linea del confine che
porta dal valico di San Gabriele a quello di
Salcano oltre che ovviamente in piazza transalpina, il punto nevralgico ed emblematico
del nostro confine. Questa piazza infatti è un
po’ la porta di Brandeburgo goriziana, uno dei
punti importanti di quando la città era unita ed
ora invece è una piazza divisa fra le due realtà.
Eppure, come può aver senso una piazza che
a pagina 2
a pagina 4
Italia
Intervista ad Ettore Rosato
Se potessi avere cento giorni...
Gorizia e Nova Gorica
Intervista ad Enrico Gherghetta
PAGINE 3 E 4
Cinema
Il codice Da Vinci
Stile libero
Speciale viaggi: Santiago, Parigi,
Colombia
PAGINA 10 E 11
Università
Eletto il nuovo rettore
dell’Università di Trieste
Cultura Glocale
Piazza Transalpina:l’ombelico del
mondo
PAGINE 5,6 E 7
De Boca Bona
Pane e sale
Sport
Al Cska il torneo universitario
PAGINE 12 E 13
Scripta manent
Speciale Michelstaedter
Musica
Belle and Sebastian, Goran
Bregovic, Nick Odds, Ligabue
PAGINE 8 E 9
Rubrika Go and Go
BOHINJSKA ŽELEZNICA
Umetnost, ki prekoraci vse meje
PAGINE 15 E 16
2
16 maggio USA-LIBIA
L’amministrazione Bush ha deciso di ristabilire i rapporti diplomatici con la Libia, che da 25 anni era nella lista dei cosiddetti “paesi canaglia”. La mossa di
Washington arriva in risposta alla decisione di Tripoli di rinunciare al terrorismo e alle armi non convenzionali. Gli
Usa sperano soprattutto che il paese apra
i suoi mercati agli investitori stranieri.
15 maggio
28 maggio COLOMBIA
Il presidente colombiano uscente Álvaro
Uribe Vélez è stato confermato con il 62
per cento dei voti, stabilendo due record:
il massimo mai raggiunto dei consensi e
la prima rielezione della storia colombiana. Affluenza molto bassa, appena il 45%.
Sconfinare
Mondo
30 maggio NUCLEARE
L’Iran ha affermato che prenderà in considerazione le proposte della troika europea per
mettere fine alle polemiche sul suo controverso
programma nucleare. Il ministro degli esteri iraniano Manushehr Mottaki ha dichiarato che “il
suo paese è disposto a riprendere i negoziati sul
nucleare senza alcuna condizione preliminare”.
Giugno 2006
6 giugno SOMALIA
L’Unione delle corti islamiche, una milizia fondamentalista musulmana, ha preso il controllo della capitale somala, unificando la città per la prima volta da quindici anni
e lanciando una sfida al governo appoggiato dalle Nazioni Unite. L’avanzata dei radicali contro l’alleanza dei signori della guerra, appoggiata da Washington, è avvenuta
dopo alcune settimane di violenti scontri, facendo temere che la Somalia finisca sotto il controllo di al Qaeda.
15 giugno
5 giugno PERU’
Il leader dell’Alleanza popolare rivoluzionaria americana
(Apra), Alan García Pérez, si è aggiudicato il secondo turno
delle elezioni presidenziali in Perù. Ha ottenuto il 54,69 per
cento delle preferenze contro il 45,30 per cento del suo avversario, il candidato nazionalista Ollanta Humala. È la seconda volta che Alan García viene eletto presidente del Perù.
8 giugno IRAQ
Abu Mussab al Zarqawi, il leader di al
Qaeda in Iraq, è stato ucciso nel corso di
un raid aereo. L’ha annunciato il primo
ministro iracheno Nuri al Maliki nel corso di una conferenza stampa a Baghdad.
Caro Presidente degli Stati Uniti d’America
Ahmadinejad e le ‘innegabili contraddizioni’
cia allo stato sionista? La ricerca e lo sviluppo
non è uno dei basilari diritti delle nazioni?”.
La discussione sul progresso tecnologico
spinge il Presidente iraniano a riflettere sui
paesi meno sviluppati: perché in America Latina e in Africa i governi “eletti sono
contrastati mentre vengono sostenuti leader
golpisti” ed “enormi ricchezze sono saccheggiate. Anche il popolo dell’Iran ha molte domande e motivi di lagnanza, inclusi il
colpo di stato del 1953[…]l’opposizione
alla Rivoluzione islamica[…], il sostegno a
Saddam nella guerra mossa contro l’Iran.”
L’analisi degli ultimi avvenimenti passa ovviamente attraverso l’11 settembre che, riconosce Ahmadinejad: “è stato un avvenimento spaventoso”. Non senza esprimere quei
riserbi inquietanti di cronaca recente:“non è
stata un’operazione semplice. Possibile che
sia stata preparata ed eseguita senza alcun
coordinamento con l’intelligence ed i servizi
segreti?”. Decisivo, a suo avviso, il ruolo dei
medi che “hanno parlato costantemente della
possibilità di nuovi attacchi terroristici e tenuto la gente nel terrore[…]. Alcuni credono
che l’esagerazione mediatica abbia aperto
la strada per l’attacco all’Afghanistan[…]”.
Dall’informazione manipolata alla critica
del potere democratico il passo è breve. “Nei
paesi di tutto il mondo, i cittadini pagano le
spese dei propri governi, in modo che i governi possano a loro volta servirli”. Ahamadinejad allora si chiede “che cosa hanno
prodotto per i cittadini le centinaia di miliardi di dollari spese ogni anno per pagare la
campagna irachena?” e ricorda al Presidente
Bush le ‘regole democratiche’. “Chi si trova
CONTINUA DALLA PRIMA
al potere ha un mandato con una scadenza,
e non governa per sempre. Però i loro nomi
saranno registrati nella storia, e verranno
giudicati costantemente, nel futuro prossimo e lontano[…]. Siamo riusciti a portare la
pace, la sicurezza e la prosperità per il popolo, oppure insicurezza e disoccupazione?”
Si apre così la parte finale della lettera nella
quale emerge con forza il parallelismo tra i
valori di due universalismi: quello cristiano e
il suo pari musulmano. Valori e toni altrettanto profetici, che considerati con un po’ di
relativismo, fanno assomigliare gli ayathollah di Theran ai teocon
dell’amministrazione
di Washington. D’altronde guardando alla
storia il fondamentalismo cristiano e quello
musulmano non sono
poi così lontani. Un
raffronto religioso di
cui è intarsiata tutta
la lettera: al richiamo dei principi della
tradizione cristiana, è
continuo l’alternarsi
dei versetti del corano.
Il tutto in una ricercata continuità di quella
parola condivisa da
“Tutte le religioni divine […] che è “monoteismo”. E quindi:
“Tutti i versetti di
cui sopra si possono ritrovare in un modo o
nell’altro anche nel Vangelo[…].Non pensate che la fede in questi principi promuova e
garantisca la pace, l’amicizia e la giustizia?
[…]. Non accetterete (l’invito ad) un ritorno
autentico agli insegnamenti dei profeti[…]?”.
Il crescendo sui principi del monoteismo si
accoppia alla constatazione del risveglio dei
popoli. “I popoli protestano contro il crescente divario tra coloro che hanno e coloro
che non hanno”, e si celebra il funerale del
“liberalismo e la democrazia di tipo occiden-
tale” che “non sono stati in grado di realizzare gli ideali dell’umanità […]. Sempre di
più vediamo che i popoli di tutto il mondo
si stanno rivolgendo verso un punto focale
– Dio l’Altissimo. […]La domanda che io vi
rivolgo è questa: non volete unirvi a loro?”.
Questa la lettera di Ahmadinejad dunque.
Resta, a nostro avviso, una considerazione da fare. La colpa dell’amministrazione
Bush sarebbe, a detta di Ahmadinejad, quella
di praticare i principi professati, andando a
sbattere in ‘innegabili contraddizioni’. Ma
come l’America, così l’Iran vive di contraddizioni. Non espresse nella lettera, come era
d’aspettarselo, ma presenti nella realtà. Tutta
la società ne è pervasa dall’economia e dalla
politica fino alla stessa religione. Da un lato
la censura, la legge islamica, la battaglia sul
nucleare, gli interventi autoritari sulla vita
pubblica delle persone (vedi l’hijab, l’abbigliamento previsto dall’ortodossia islamica
per le donne); dall’altro la massa di giovani
affamata di libertà (il 70% della popolazione
ha meno di trent’anni), il fascino del modello
di vita americano, la benzina che costa meno
dell’acqua minerale seppur raffinata all’estero, e, soprattutto, la voglia di modernità di
un paese che, come dice, Ramin Jahanbegloo, giovane filosofo di Teheran, vive in
silenzio la sua rivoluzione culturale. “E’ il
nostro maggio ’68, un maggio silenzioso”.
Davide Lessi
Emmanuel Dalle Mulle
L’Iran visto da un esperto
Intervista a Giovanni Curatola, profondo conoscitore del Paese
.Il professore Giovanni Curatola, docente dell’Università Cattolica di Milano e
dell’Università di Udine, esperto di arte
islamica e profondo conoscitore dell’Iran,
si è recato proprio in questo Paese dal 23
aprile al 7 maggio 2006, visitando le città
più importanti dello Stato. Dato l’interesse sollevato dalle recenti dichiarazioni del
primo ministro iraniano Ahmadinejad, e
dal contrasto sorto in particolare con gli
Stati Uniti sul tema della costruzione di
centrali nucleari e centri di ricerca che
potrebbero portare, in futuro, alla produzione della bomba atomica, il professore
farà un po’ di luce su questo Paese, poco
conosciuto, che desta così tante perplessità.
Cominciamo con il presentare la figura dell’attuale primo ministro
iraniano
Mahmoud
Ahmadinejad.
Dopo aver ricoperto la carica di sindaco
della capitale Teheran nel 2003, dove si
è distinto per una buona amministrazione, è stato eletto nel 2005 dopo un’accesa
campagna elettorale in contrapposizione
al partito riformista, precedentemente al
potere. Per la sua vittoria è risultato determinante l’appoggio dell’ayatollah Ali
Khamenei, leader spirituale del Paese e
figura di grande carisma. Egli quindi non
è uno sprovveduto,ha governato la capitale del Paese che conta 8 milioni di abitanti e,come in molti altri Stati accade,
è giunto fino alla guida dell’intero Iran.
A un anno dalla sua elezione, come viene giudicato il suo operato in patria?
Ahmadinejad aveva incentrato la sua candidatura sulla promessa di riforme sociali,
sentite come assolutamente necessarie dalla
popolazione, ma che al giorno d’oggi risultano ancora inattuate. In particolare la lotta
alla disoccupazione, l’adeguamento dei salari al costo della vita e la risoluzione del
delicato problema riguardante l’indennità ai
veterani della guerra contro l’Iraq negli anni
‘80, i punti principali del suo programma di
governo, sono ancora lontani dal trovare una
soluzione stabile e duratura. La via verso il
risanamento è ancora molto lunga. Da ciò la
necessità del leader dell’Iran di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dai proble-
mi interni, concentrandola sulla fantomatica minaccia da parte di un nemico esterno.
Come giudica le sue recenti dichiarazioni di stampo anti-occidentale
ed antisemita che hanno destato tanto scalpore in ambito internazionale?
Tutto nasce dalla necessità di nuove risorse
energetiche per sostenere il forte incremento demografico; la risposta di Ahmadinejad
risiede nell’impiego dell’energia nucleare,
potendo l’Iran vantare di abbondanti giacimenti di uranio. L’eventualità di una corsa al
nucleare in Iran ha suscitato opposizioni all’interno della comunità internazionale e in
particolare degli Stati Uniti. Il loro tentativo
di dissuadere l’Iran dall’approfondire le sue
ricerche sul nucleare ha dato la possibilità
al premier di organizzare una crociata contro l’occidente, accusato di voler interferire
negli affari di politica interna iraniana. Da
qui le pesanti esternazioni e minacce indirizzate a Israele e agli Stati Uniti, che hanno scatenato una crisi diplomatica fra questi
stati. A mio parere non c’è da preoccuparsi
sulla reale portata delle dichiarazioni di Ah-
madinejad. Esse fungono da collante tra i
diversi strati sociali al fine di risolvere i problemi di politica interna prima denunciati.
Quali
possono
essere
i
possibili
risvolti
di
questa
crisi?
All’interno della comunità internazionale
tre sembrano essere le vie di risoluzione
della crisi iraniana: quella più probabile
ed auspicabile è la via del negoziato, con
l’obiettivo di raggiungere un compromesso tra le ambizioni nucleari iraniane, considerate legittime e necessarie dal premier
Ahmadinejad e i timori più o meno fondati
degli stati occidentali. Le altre due vie prese in considerazione sono l’attacco armato
preventivo, misura adottata nel vicino Iraq,
e in alternativa un bombardamento mirato
dei centri di ricerca nucleare in territorio
iraniano. Entrambe risultano impraticabili
rispettivamente a causa dell’estensione del
Paese e della disposizione sotterranea dei
principali siti di ricerca e sperimentazione.
Leonetta Pajer
Davide Goruppi
Sconfinare
Italia
2006 Giugno
2 giugno
15 maggio
La sfilata militare per la festa della Repubblica
si svolge fra le polemiche: la sinistra radicale
ne chiede la soppressione,fra le critiche di
alleati e centro-destra. Emblema della giornata,
Bertinotti che, in qualità di Presidente della
Camera, assiste alla sfilata, indossando però un
spilla con la bandiera della pace.
3
12 giugno
Il ministro per la solidarietà sociale, Ferrero(PRC), afferma in
un’intervista di non essere contrario alle “stanze del buco”; si tratta di
luoghi protetti in cui assumere eroina, nati con l’obiettivo di ridurre le
possibilitàdicontagio.Ilcentro-destrascatenaunapolemica,sostenendo
che
l’Unione
incentiverebbe
i
giovani
a
drogarsi.
25 giugno
7 giugno
Sconfitta per il centro-sinistra alla commissione
difesa:l’Unionepresenta Lidia Menapace,PRC,
come candidato presidente. A spuntarla è però
Di Gregorio, senatore dipietrista e già di Forza
italia, eletto coi voti del centro-destra e, naturalmente, col suo. Decisiva una polemica della
Menapace contro le Frecce Tricolori.
25-26 giugno
Si svolge il referendum per la conferma delle riforme costituzionali
introdotte dal precedente governo.Non
è previsto alcun quorum.
22 giugno
Il procuratore federale, Stefano Palazzi, chiede il rinvio a
giudizio
di
Juventus,
Milan,
Lazio
e
Fiorentina,
contestando,
a
seconda
dei
casi, la violazione degli obblighi generali o la commissione di illecito
sportivo. Si sottolinea l’insoddisfazione di Borrelli, capo ufficio indagini
FIGC, secondo cui Palazzi non avrebbe agito con la necessaria durezza.
Il Governo visto dall’Interno
Intervista al sottosegretario agli Interni Ettore Rosato
Per un punto di vista più serio e ufficiale
sui primi 100 giorni del Governo Prodi,
abbiamo rivolto alcune domande al
Sottosegretario triestino Ettore Rosato.
Impegnato in politica fin dal 1987,
inizialmente nel Comune di Trieste, in
seguito anche in Provincia e in Regione,
nel 2005 annuncia la sua intenzione di
candidarsi a sindaco di Trieste: vince le
elezioni primarie dell’Unione ma l’anno
seguente viene sconfitto,dal candidato della
destra Roberto Dipiazza. Dal 18 maggio del
2006 fa parte del secondo Governo Prodi in
qualità di Sottosegretario agli Interni.
Quando Berlusconi ha presentato il
Governo nel 2001 il centro-sinistra ha
criticato duramente il numero elevato di
incarichi distribuiti; l’8 giugno Prodi ha
nominato altri 3 sottosegretari portando
così il Governo a 102 componenti: non
le sembra una mancanza di coerenza?
Che efficienza può avere un Governo
così numeroso? La coerenza non è sempre
la migliore delle virtù della politica.
Purtroppo, l’attuale sistema elettorale voluto
dal centro-destra, rende necessario ogni
singolo voto per la tenuta della coalizione,
e in questo modo anche il più piccolo dei
partiti pretende e ha il diritto di avere una
rappresentanza governativa. Per quanto
riguarda l’efficienza nella maggior parte
dei ministeri il numero dei sottosegretari
è giustificato dalla necessità di coprire
diverse funzioni e di essere presenti anche
sul territorio.
Alcuni ritengono che le quote rosa siano
poco lusinghiere nei confronti delle donne
in politica in quanto attribuiscono loro il
ruolo di “minoranza da tutelare”. Lei
che cosa ne pensa? Crede che il Governo
riuscirà a farle approvare? Non sono
mai stato innamorato delle quote rosa e del
principio che c’è sotto ma devo ammettere
che oggi i partiti non riescono ad adottare
strumenti autonomi per coinvolgere in
maniera più forte le donne in politica,
questo vuol dire che sarà necessario uno
strumento legislativo. A livello economico
e finanziario la manovra bis cercherà di
portare il rapporto deficit/pil sotto il 4% e
di realizzare un avanzo primario del 3,5%.
Nel Dpef invece, uno degli snodi principali
è la diminuzione del cuneo fiscale di 5
punti.
Come sono possibili tali riduzioni in un
Paese dove il debito è al 108%? Da dove
si attingeranno i soldi per attuarle? La
situazione economica del nostro Paese è
difficile sotto due profili: innanzitutto vi è
la necessità di riprendere competitività sui
mercati mondiali; in secondo luogo bisogna
risanare il bilancio delle Stato riducendo
la spesa pubblica. Il taglio del cuneo
fiscale, che sostanzialmente comporta una
riduzione del costo del lavoro per le imprese
e un aumento del denaro in busta paga per
i lavoratori, rivestirà assieme alla riduzione
dell’Iva sugli aumenti dei carburanti un
ruolo centrale nel rilancio dell’economia.
Centri di Permanenza Temporanea:
lei cosa ne pensa? Crede siano
la soluzione adatta per limitare
l’immigrazione clandestina e che
rispettino adeguatamente i diritti degli
immigrati? Oggi dobbiamo riformulare la
politica in materia, poiché l’immigrazione
è necessaria per il nostro Paese: facciamo
pochi figli ma sappiamo che è necessario
avere molte braccia che lavorino nelle
nostre aziende. C’è sicuramente bisogno di
regole, ma dobbiamo renderle più civili. I
centri di permanenza temporanea sono stati
voluti da una legge del centro-sinistra, la
Turco-Napolitano ma sono stati gestiti con
le modalità del centro-destra ,cioè come
centri di detenzione e non di identificazione.
Se potessi avere cento giorni al mese
Adesso c’è la mania dei 100 giorni.
L’ultima, insopportabile fissazione della
politica-spettacolo,quella che ormai è solo
comunicazione, velocità, sorpresa. Il corpo
elettorale va steso con un paio di ganci
da k.o.tecnico, rincretinito a tal punto da
guadagnare un consenso sufficiente ad
agonizzare per i restanti quattro anni e
nove mesi di governo. Del resto, ce lo
insegna Zapatero, mantenere uno straccio
di promessa in tempi ragionevoli può
pagare:sembra impossibile, ma è così; e
già li vediamo, i nostri cervelloni, a darsi
di gomito, a teorizzare l’impatto dei 100
giorni con la luce in fondo agli occhi,
convinti di aver trovato la pietra filosofale
della politica. A dire il vero, ci aveva
già pensato il Berlusca, promettendo di
risolvere il conflitto d’interessi entro i primi
100 giorni; e pazienza se ci ha messo più
di dieci volte tanto. Aveva colto l’essenza:
il 100 è un numero magico, è 10 volte 10,
è Baggio per Platini, cioè molto più di
Maradona. Non lo si scorda, impressiona.
E ,forse, tentare di indirizzare chiaramente
la linea di governo sin dal principio
non è un’idea del tutto peregrina. Anzi,
sembrerebbe persino furba. Solo che il
teatrino della politica italiana non può fare
a meno di renderla una commedia; e poi,
diciamo la verità, anche noi ci mettiamo
del nostro, con le nostre aspettative più
vive e recondite. Quando ho votato per
Prodi, non sognavo un DPEF equilibrato
o una manovra correttiva esemplare.
No, segretamente sognavo che la vita
cambiasse davvero, che il vento girasse
e andasse a chiudere un bel po’di porte
in faccia. Che Agnoletto interrompesse
Ferrara e gli tirasse un calcio nelle palle.
Che Montezemolo venisse rapato a forza,
gli rimanesse solo una cresta viola da punk
dei sobborghi di Tokyo, e che fosse costretto
a girare su una 500 a manovella del ’67.
Che a Vespa si incastrassero le mani mentre
le sfrega davanti al plastico della villetta
di Cogne. Che la Palombelli smettesse
di parlare della Franzoni, o almeno che
Rutelli divorziasse. O, meglio, che Rutelli
la piantasse di dirsi di centro-sinistra. Che
Fede fosse condannato a inseguire in tanga
per l’eternità decine e decine di pulzelle
senza poterle mai raggiungere .Che
mitraglietta Mentana s’inceppasse. Che il
chirurgo di Berlusconi gli impiantasse un
capello sì e sette no. Che La Russa fosse
rinchiuso in sala di registrazione con gli
Intillimani. Che gli Intillimani fossero
rinchiusi in sala di registrazione con La
Russa. Che Buttiglione e Nino D’angelo
dichiarassero il loro amore. Che tutte le
Porsche s’ingolfassero sulla via di Cortina
sotto una nevicata giustizialista. Che Afef
facesse la fila alla posta con thermos e
coperte per regolarizzarsi. E che Briatore
fosse costretto a passare le vacanze a
Rapallo su una barchetta a remi,cazzo! E
tutto questo per un decreto divino passato
solo grazie al voto della Montalcini.
Questi sarebbero 100 giorni… Però io
sono un po’astioso, per cui posso capire
se i prodiani più buoni non condividono
proprio tutti i miei desideri e cambiano
regolarmente l’olio delle loro Porsche.
Ma, se non proprio sogniamo, almeno
speriamo. E sono comunque molte, anche
se meno viscerali, le cose in cui sperare: a
partire da un ritiro dall’Iraq senza troppe
manfrine, passando per una discussione
seria, con la società civile e non solo coi
vescovi, su PACS, precariato, indipendenza
dell’informazione e riforma dell’istruzione.
E se non finiremo in 100 giorni, pazienza.
Sarà comunque un buon inizio. E invece,
finora abbiamo visto solo l’ennesimo
miracolo di moltiplicazione delle poltrone,
liti su ministeri e presidenze, dichiarazioni
arruffone e avventate sullo scibile
umano e le prime ,fatali, spaccature.
Se avessi cento euro, li scommetterei sul
fatto che, il centesimo giorno, di fronte
alla centesima polemica, pressato da
cento sottosegretari, Prodi scapperà
a cento all’ora nel bel mezzo della
via. E che, al grido di “meglio tardi
che mai!”, finirà per imbarcarsi come
pianista su un traghetto per la Sardegna.
Andrea Luchetta
Bisogna diminuire i giorni di permanenza
nelle strutture e dare garanzie perché le
persone che vogliono contribuire allo
sviluppo del nostro Paese possano entrare
in Italia con gli strumenti della legalità.
Per concludere, le chiediamo un
parere sulla realtà che ci riguarda più
da vicino, quella universitaria. Cosa
intende fare il Governo per migliorarla?
E per il successivo inserimento
nel mondo lavorativo? Per come è
impostata attualmente, l’università da una
preparazione scarsamente applicabile nel
mondo lavorativo. C’è necessità di una
riforma che consenta maggior rapidità negli
studi, esperienze a più stretto contatto con
la realtà e la possibilità per chi arriva dal
mondo dell’impresa di dare un contributo
alla formazione dei giovani. E’ utile che ci
sia flessibilità dell’ingresso nel mondo del
lavoro ma questa flessibilità non deve essere
eterna. Lavoreremo in questa direzione.
Monica Muggia
Athena Tommasini
...Sconfinare...
periodico regolarmente registrato presso il
Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n°
di registrazione 4/06.
Direttrice Responsabile
Annalisa Turel
Editore e Propietario
A.S.S.I.D.
“Associazione studenti di scienze
internazionali e diplomatiche”.
Sconfinare non è il giornale ufficiale dell’Assid
nè identifica la sua posizione politica, in quanto è
semplicemente la libera espressione di alcuni suoi
membri che costituiscono il Comitato di redazione.
Redazione
Andrea Bonetti, Marco Brandolin, Edoardo
Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Giulia Cragnolini, Allan Francesco
Cudicio, Emmanuel Dalle Mulle, Marco Di
Liddo, Nicoletta Favaretto, Antonino Ferrara, Giorgia Ferrarese, Michela Francescutto, Francesca Fuoli, Francesco Gallio,
Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Hussam
Hussein, Isabella Ius, Davide Lessi, Andrea
Luchetta, Mattia Mazza, Monica Muggia,
Luca Nicolai, Arianna Olivero, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti,
Massimo Pieretti, Giulia Pizzini, Bojan
Starec, Rodolfo Toè, Athena Tomasini,
Federico Vidic, Zeriali Samuele.
Si ringraziano per la collaborazione
Federico Butkovic, Giangiacomo Della
Chiesa e Andrea Grisilla.
Se vuoi contattare la redazione scrivi a
sconfi[email protected]
4
Sconfinare
Gorizia
Rifiuti
Pronti a scattare i correttivi al nuovo sistema di raccolta dei
rifiuti. Gli abitanti di Gorizia si vedranno prelevare i rifiuti
umidi (ovvero gli scarti di cucina e i resti alimentari) tre volte alla settimana invece di due. Verranno raccolti a domicilio
anche i riciclabili: carta, cartone, vetro, lattine, contenitori
di plastica. Dopo le proteste dei residenti in città e le conseguenti richieste dell’opposizione, l’amministrazione comunale partirà con il sistema riveduto e corretto dal 10 luglio.
15 maggio
Parcheggi
Novità per chi a Gorizia si sposta in automobile: diminuisce il ticket nelle zone blu del centro mentre
aumenta l’abbonamento giornaliero. Sono le iniziative studiate dalla giunta-Brancati per agevolare il
posteggio in città. L’invito rivolto da sindaco e giunta, comunque, resta quello di utilizzare i parcheggi periferici in modo da disintasare le vie centrali.
Maggio 2006
Atti vandalici
Mese nero per gli atti vandalici. In città si sono ripetuti raid
notturni, concentrati nei fine settimana. Oltre ai danneggiamenti al parco della Valletta del Corno e gli incendi di cassonetti e
contenitori di immondizie, l’episodio più grave è stato quello ai
danni del polo scolastico sloveno di via Puccini. Scritte razziste sono comparse sui muri esterni e nel cortile dell’edificio che
ospita gli istituti superiori con insegnamento in lingua slovena.
16 giugno
Consorzio industriale
Polemiche sulla fusione dei due consorzi industriali che operano in provincia di Gorizia. Quello di Monfalcone preme perché si arrivi al più presto
a una fusione delle due realtà, in modo da avere – uniti – un peso specifico maggiore. Gorizia teme però che il suo ruolo venga sminuito e punta
quindi a rimandare l’operazione di accorpamento a tempi migliori, dopo la
concretizzazione di alcuni progetti destinati a rinforzare il settore industriale.
Università, giovani ed Europa
Intervista al Presidente della provincia Enrico Gherghetta
Martedì 20 maggio abbiamo incontrato il
Presidente della provincia di Gorizia Enrico Gherghetta per porgli alcune domande.
Presidente, potrebbe tracciare brevemente le linee d’azione dell’amministrazione nel campo delle politiche giovanili?
Possiamo affermare che un po’ tutta l’azione dell’amministrazione è orientata verso
i giovani: abbiamo l’ambito universitario;
l’ambito ricreativo, in cui stiamo organizzando una serie di rassegne musicali; l’ambito del lavoro in cui stiamo riorganizzando
il settore dell’impiego. Da questo punto di
vista siamo dunque piuttosto attivi. Infine ci
sono i contributi stanziati con legge regionale che eroghiamo alle politiche giovanili.
Concentrandoci sull’Università, che
cosa intende fare l’amministrazione
per lo sviluppo del polo universitario?
Ci sono due tipi di problemi da risolvere. Il
primo è un problema edificatorio che riguarda soprattutto l’università di Udine. Stiamo
cercando di dare una risposta mettendo a disposizione Palazzo de Bassa e la sala auditorium all’Itis Galilei. Inoltre la regione ha
stanziato 4,5 milioni di euro per la ristrutturazione del complesso Stella Matutina.
Il secondo problema è un problema politico
legato alla sostanza dell’insegnamento. In
provincia noi abbiamo due corsi di laurea
importanti, il corso in Scienze internazionali e diplomatiche dell’Università di Trieste
e il corso in Relazioni pubbliche dell’Universtià di Udine. Noi mettiamo a disposizione un’intera città e spendiamo ingenti
capitali, senza un adeguato riconoscimento.
Sta prospettando
l’unione dei due
corsi di laurea sotto un’ipotetica Università
di
Gorizia?
No, la nostra idea è che i
due corsi di laurea rimangano legati ai rispettivi
Atenei, ma assumano lo
status di facoltà autonome,
questo perché la conoscenza diventa l’elemento fondamentale verso il nostro
obiettivo di rendere Gorizia una provincia europea.
Quello che era una volta
una cosa brutta da vedere, il muro, era anche una
cosa a cui ti potevi appoggiare. Ora questo non c’è
più e quindi diventa necessario uno strumento di
accompagnamento, e che
cosa meglio del sapere?
A questo punto le pongo
una domanda che se esula dal contesto universitario appare necessaria.
Che cosa significa concretamente lo slogan “Gorizia provincia europea”?
Mettiamola così, siamo nell’epoca della
globalizzazione. La mia globalizzazione è
quella rete a 500 metri da qui e le persone
che abitano al di là. Io dico sempre che noi
siamo la prima linea della globalizzazione.
Lei mi ha chiesto quali sono gli aspetti che
coinvolgono un’ottica globale. Io potrei
chiederle invece quali sono gli aspetti che
non posso affrontare se
non in un’ottica globale.
A Milano o da qualsiasi
altra parte un ragionamento simile è letteratura, qui
è quotidianità. Ci sono poi
degli assi portanti. Il 60%
dell’economia provinciale è orientata all’esportazione. Inoltre, un domani
quando aprirà il confine,
quando non avremo più
gli aiuti comunitari, quando non potremo più sostenere di essere un’area
emarginata, che cosa ci
rimarrà? Ci rimangono il
porto di Monfalcone , il
più vicino al centro Europa e la porta di Gorizia,
ovvero la nostra centralità
geografica. Dunque l’asse
economico naturale Villesse-Lubjana diventerà
uno dei grandi assi dello sviluppo economico.
Questo significa che di
qui a due anni sarà più facile andare a Lubiana che andare a Pordenone.
Tornando al nostro ambito specifico,
le sottopongo una critica che serpeggia tra i giovani goriziani universitari e
L’Arte per sconfinare
Le due Gorizie sede di una rassegna d’arte contemporanea sempre più
trasfrontaliera ed europea.
è per definizione punto d’incontro di vie e
genti, nel momento in cui diventa confine?
La mostra Arcipelago riconsegna alla piazza la sua valenza unificatrice e di scambio,
le sue opere d’arte, sparse e diverse, sono
come isole, appunto, di un arcipelago, separate dal mare di un confine di burocrazie
e leggi ma unite dalla loro forma, la loro
essenza artistica che supera senza difficoltà ogni confine. Questa rassegna diventa
anche occasione di numerose altre attività
culturali, dalla performance alla poesia,
prosa, teatro, film, animazione e concerti
musicali. Le opere d’arte che sono presentate quest’anno sono emblematiche del
successo di questa iniziativa: in una anno il
numero egli artisti è più che raddoppiato ed
ora sono presenti nomi dalla Bosnia Erzegovina, Croazia, Germania, Italia, Olanda,
CONTINUA DALLA PRIMA
Serbia, Scozia e Slovenia. Nell’arco di due
edizioni la rassegna si apre immediatamente al resto d’Europa dimostrando quanto è
importante e sentito il tema del confine e
della ricerca del suo superamento, oltre che
ricordarci che questo è un confine europeo
e rappresenta quelle barriere che dai Pirenei
all’Egeo stiamo lentamente cercando di togliere. Le opere d’arte che saranno esposte
saranno molto all’avanguardia, utilizzando
mezzi spesso inusuali per comunicare al visitatore e giungendo ad effetti più o meno
apprezzabili a dipendere dei propri gusti
( ed alla bravura dell’artista); il mio consiglio è quello di osservare queste opere,
più che esclusivamente come singoli pezzi, come un tutt’uno, un ”arcipelago” che
unisce e poi magari prendere spunto per
riflessioni sul confine, per sconfinare con
la mente. Sconfinare. Sì è proprio questa la
cosa secondo noi più importante, il pensiero che deve dominare non solo l’osservatore di questa mostra ma ognuno che vive e
visita questa cittadina di “confine”. Siamo
giunti, noi studenti, infatti a Gorizia con il
sogno di andare oltre le barriere, di andare
oltreconfine per l’abbattimento del confine
stesso, per sconfinare. Appoggiamo quindi
pienamente lo splendido lavoro che stanno
facendo per questa mostra la PROLOGO di
Gorizia e KREA e LIMB di Nova Goriza
e ci auguriamo che quando ognuno di noi
osserverà le varie opere d’arte ,butterà l’occhio dall’altra parte per vedere quello che
vi si trova, focalizzandolo fino a far scomparire il reticolato bianco dalla sua vista.
Cudicio Allan-Francesco
non, secondo la quale Gorizia sarebbe
afflitta da una sorta di immobilismo.
Come valuta questa posizione e, se ritiene contenga del vero, cosa pensa di
fare per imprimere un nuovo corso?
È vero, però posso darvi una chiave di lettura. Prendiamo due concetti, quello della
storia interrotta e quello della storia ripresa.
Il primo vede Gorizia al centro dell’arcivescovado di Aquileia prima e dell’Impero
Austro-Ungarico poi. Un’idea multiculturale, che fa dire a chi arriva da ovest che
Gorizia è la prima città dell’est, mentre a
chi arriva da est, che è la prima città dell’ovest. Quindi Gorizia ha una sua vocazione globale, costruita nei millenni. A un
certo punto c’è la storia interrotta: la Prima
guerra mondiale, la Seconda guerra mondiale. Finita la guerra, il compagno di una
volta è diventato il nemico di ora e tutto il
secondo dopoguerra è segnato da lotte e
contrapposizioni. Ad un certo punto arriva
l’Europa. Si capisce che laggiù è caduto
il muro, iniziano allora i primi contatti tra
Gorizia e Nova Gorica. Questa è la storia
ripresa. Tuttavia non è possibile che tutto
questo riparta così in un attimo. C’è un sacco di gente che non è ancora mai andata in
Slovenia e probabilmente non attraverserà mai la frontiera. Questa storia ripresa è
la vocazione naturale di Gorizia, solo che
non è facile. La città è diffidente, non ha
metabolizzato e probabilmente alcuni non
metabolizzeranno neanche, ma le cose
stanno cambiando, solo ci vuole tempo.
Per concludere le sottopongo un’altra
critica.Guardando all’offerta culturale
di Gorizia, sembra che manchi un adeguata pubblicizzazione o se non altro
un coordinamento tra gli eventi ospitati
dalla città.Che cosa pensa al riguardo?
Io dico sempre che Gorizia è la città dei
cortili interni, e questo è un modo di essere,
a Roma hanno le terrazze e noi abbiamo i
giardini interni. La società quindi manca un
po’ di sinergia. Ma faccio io una domanda
a voi studenti. Voi, cosa sapete delle opportunità che avete? Avete delle idee? Benissimo. Chiederò al mio assessore alla cultura
di creare un gruppo di studenti delle due
università che collaborino con noi, perché il
problema non è tanto quanto noi sappiamo
degli studenti, ma quanto loro sanno di noi.
La vera opportunità è attivare le vostre teste.
Emmanuel Dalle Mulle
2006 Maggio
5
Sconfinare
Università
Habemus Rectorem
Ecco il nuovo Magnifico Francesco Peroni
Secondo le più rosee previsioni Francesco
Peroni è stato eletto Magnifico Rettore
dell’Università di Trieste. È accaduto
giovedì 15 giugno quando, al quarto
scrutinio, il preside della Facoltà di
Giurisprudenza dell’Ateneo giuliano ha
ottenuto a suo favore 549 voti, mentre
il suo rivale principale, Walter Gerbino
(già pro-rettore e docente alla Facoltà
di Psicologia), ne ha conseguiti 166. Va
ricordato che gli elettori, tra docenti e
rappresentanti degli studenti e del personale
amministrativo, erano 1127 ma soltanto
744 aventi diritto si sono recati alle urne.
La competizione elettorale si era già
aperta ai primi di maggio, quando il
professor Peroni accettò di candidarsi alla
massima carica universitaria in seguito
alle numerose richieste che gli erano state
rivolte in tal senso da parte di colleghi
docenti e di studenti di Giurisprudenza e
non, e divenne man mano più intensa nei
vari faccia a faccia tra Peroni ed il rettore
uscente Domenico Romeo (ricandidato per
il secondo mandato). Proprio in tali incontri
è emersa la debolezza programmatica di
Romeo e soprattutto la sua reticenza a
parlare di temi significativi come l’aumento
delle tasse universitarie e soprattutto la
riforma dello Statuto di Ateneo, problema
che da tempo suscita aspre polemiche
nella sede del Senato accademico. Al
contrario Peroni si è dimostrato molto
deciso nell’evidenziare le carenze sul piano
amministrativo e finanziario registrate
durante i tre anni di mandato dell’ormai ex
rettore e non ha mancato di sottolineare che,
una volta eletto, egli avrebbe dato maggiore
sostegno alle strutture scientifiche e
didattiche (dipartimenti e facoltà) e avrebbe
razionalizzato la macchina amministrativa
così da renderla più efficiente e più
competitiva nei confronti degli altri atenei.
La prima tornata elettorale si è dunque
svolta il 31 maggio facendo registrare
immediatamente un successo per Peroni,
che con 451 voti contro i 258 di Romeo
si mostrava il favorito. Il mancato
raggiungimento della maggioranza assoluta
(il quorum era di 564 voti) richiesta per i
primi tre turni non ha però consentito la sua
elezione. Il copione è stato pressoché lo stesso
per la seconda votazione (6 giugno) dove il
Preside di Giurisprudenza ha aumentato di
poco il suo consenso, ma il colpo di scena
si è verificato il giorno successivo con
l’annuncio da parte di Romeo del suo ritiro
dalla competizione. Il posto del rettore
uscente è stato quindi preso dal professor
Gerbino, che al terzo turno elettorale dell’8
giugno si è piazzato al secondo posto con
soli 62 voti a fronte dei 494 di Peroni.
Il problema della nomina del nuovo rettore
si è quindi sciolto giovedì 15 giugno con il
ballottaggio tra i due candidati più votati,
Peroni e Gerbino appunto, e la scontata
elezione del primo che, appena conosciuti
i risultati delle votazioni, non ha mancato
di ringraziare in primo luogo gli studenti
per averlo unanimemente appoggiato. E
proprio con gli studenti il neo-rettore ha
voluto festeggiare la vittoria. A suo giudizio
è stato premiato il carattere istituzionale
e non politico della sua candidatura
come evidenziato dall’ampio consenso
ricevuto da parte dei docenti, del personale
tecnico-amministrativo e degli studenti.
Diamo ora un breve sguardo alla vita
professionale di Francesco Peroni. Nel
1961 nasce a Brescia ma la sua vita si
svolge quasi interamente a Pavia, dove nel
1985 si laurea a pieni voti e con lode in
Giurisprudenza. Nel 1987 ottiene l’idoneità
alla professione di avvocato e nel 1992
lascia Pavia per Trieste essendo diventato
ricercatore presso la locale Università.
Il 1996 lo vede designato dal Consiglio
superiore della Magistratura magistrato
esperto del Tribunale di sorveglianza del
Distretto di Corte d’appello di Trieste. In
tempi brevissimi Peroni diviene professore
universitario di seconda fascia (1998),
professore associato (sempre 1998),
professore di prima fascia con cattedra
di Procedura penale (2000) e quindi, nel
2004, professore ordinario. Dal 2003 è
preside della Facoltà di Giurisprudenza,
incarico che continuerà a ricoprire anche
da rettore. È autore di un’ottantina di
pubblicazioni, tra monografie, articoli, voci
enciclopediche e contributi a convegni.
Con i suoi 45 anni è il più giovane rettore
d’Italia, ma ricordiamo che inizierà il suo
mandato soltanto a partire dal 1° novembre.
Confidando nella prestigiosa esperienza
alle sue spalle, formuliamo i migliori
auguri di buon lavoro a Francesco Peroni,
neo-rettore dell’Università di Trieste.
Andrea Grisilla
Summer school un impegno di verso
per l’estate.
Come ben sappiamo l’estate è
arrivata, e con lei anche il caldo
insopportabile che rende difficile
lo studio anche agli studenti più
diligenti. Ma proprio nella
stagione
meno
propizia
allo studio, esiste un modo
diverso per apprendere. Stò
ovviamente parlando delle
Summer School, definibili
anche come dei seminari di
più giorni, all’interno dei quali
gli studenti si confrontano,
dibattono e partecipano alle
lezioni in modo profondamente
differente rispetto alla realtà
universitaria italiana. Ed
è proprio questa maggior
interattività delle lezioni
a rendere particolarmente
piacevole lo studio durante
la
Summer
School.
Altro fiore all’occhiello di
questa esperienza è il fortissimo
legame che si viene a formare
tra i vari partecipanti; nella
quasi totalità dei casi infatti i
seminari estivi sono aperti anche a
studenti provenienti da atri paesi,
e quindi ancor di più il confronto
tra studenti diviene importante.
Ovviamente le diverse Summer
School
si
differenziano
profondamente per le tematiche
trattate, ne esistono infatti per tutti
i gusti, da quelle specifiche
per le discipline politiche
a quelle trattanti tematiche
economiche o sociologiche.
Anche nella nostra piccola realtà
universitaria, ogni estate viene
organizzata dall’ I.S.I.G. (Istituto
di Sociologia Internazionale)
una Summer School trattante
tematiche
sociologiche
di
portata
transfrontaliera
o
internazionale (per maggiori
informazioni
www.isig.it).
Anche la Summer School come i
campi di lavoro, od altre attività
è un modo diverso di passare
una parte del periodo estivo,
nel quale si possono conoscere
persone nuove, venire a contatto
con esperienze differenti e perché
no anche apprendere nuovi
aspetti delle diverse materie.
Marco Brandolin
Appuntamenti
universitari
TROPHEAUM
ATHENORUM
GORITIAE
28 GIUGNO 2006
presso “Pacassi”
Pallavolo ore 14.00
Calcio 16.00
Calcetto femminile 18.00
Alla sera premiazione e festa
in “Bastione” 23.00
Partecipate numerosi!!!!
Aiutateci a
...Sconfinare...
Ti è piaciuto questo numero? Se
vuoi contribuire anche tu, con
la tua azienda o con l’ente di cui
fai parte non aspettare. Valuteremo ogni proposta pubblica
o privata. Manda un email a:
sconfi[email protected]. Oppure
chiama il num.: 3294742459
6
Sconfinare
Università
Maggio 2006
ERASMUS ERASMUS
Vienna:una città da scoprire
Ormai siamo agli sgoccioli, tra 37 giorni
il mio periodo Erasmus sarà finito,
quindi devo approfittarne per fare tutto il
possibile nel poco tempo che mi rimane…
Facendo un bilancio. devo dire che
l’esperienza è stata indubbiamente
positiva, ho imparato a conoscere
meglio una realtà, che seppur così
vicina all’Italia, se ne differenzia.
Prima di tutto, parliamo della gente: non è
facile stringere dei rapporti con i cittadini
austriaci e sono loro i primi ad ammetterlo;
una spiegazione fornitami da un indigeno
descrive tra le cause la difficoltà che si
ha nell’affrontare lo straniero con una
lingua che non è la propria,ovvero il
tedesco…eh, già, perché qui in Austria si
parla austriaco con l’uso di parole spesso
completamente diverse e molte espressioni
tipiche;e così i classici Kartoffel e Tomate
diventano Erdapfel e Paradeiser. E ce
se ne rende conto già quando si arriva,
la gente si rivolge a te lungo la strada
e tu non capisci niente, nonostante 5
anni di tedesco e tanta buona volontà.
Anche l’organizzazione universitaria
cambia: somma pagata per l’iscrizione e
le tasse uguale per tutti indipendentemente
dalla facoltà, numero aperto e 5-6 tipi diversi
di corsi:dalla classica lezione frontale al
seminario, passando per esercitazioni,
proseminari e chi più ne ha più ne metta…
con tanto di tamburellare con le nocche
sul banco alla fine della lezione in segno
di approvazione (?!?) . E dimenticatevi le
lunghe file ad aspettare l’arrivo del prof per
l’esame orale: ognuno sa a che ora si deve
presentare perché si va per appuntamento.
Tutto organizzato, dunque,forse troppo.
Vienna appare nelle sue molteplici forme,
con i suoi palazzi beige e bianchi e tanta storia
da raccontare. Con la cultura dei teatri ogni
giorno pieni e delle Cafehaus, ma anche con
la vita notturna piena di sorprese. Con la sua
rete di mezzi pubblici attiva sempre, vista
la presenza di autobus notturni nel periodo
non coperto dal servizio normale. Con i
piatti unici delle osterie e la birra che costa
meno del caffè. Con la “festa” nazionale
il 26 ottobre, una parata militare priva di
entusiasmo e grida ma con un chiaro NO
alla guerra. Con le riunioni dell’ONU nei
palazzi di vetro e cemento della cittadella
e con il suo ruolo di “Centro dell’Europa”
dopo l’allargamento a 10 nuovi Stati.
Insomma,una città da vivere e da scoprire:
mi sono trovata benissimo qui, merito anche
delle persone che ho incontrato lungo il
cammino e delle esperienze fatte….ma porca
miseria, almeno al bidet e alle tapparelle
potevano pensarci,o no? Aufwiedersehen!
Lisa Cuccato
Una storia ripresa
di Davide Lessi e Marco Brandolin
Chiesa, da luogo di passaggio
di merci e di genti dell’impero
austro-ungarico
è
diventata
luogo di passaggio di un confine
innaturale, di una rete divisoria.
E’ proprio l’immagine stilizzata del
muretto con la rete, che vedete qui a
lato, una delle opere più espressive
presentate allo scorso festival d’arte
contemporanea transfrontaliero. Per
quest’anno la mostra, denominata
Arcipelago 06’, prevede un
raddoppio del numero d’artisti che
esibiranno le proprie opere, dal valico
San Gabriele a quello di Salcano,
CONTINUA DALLA PRIMA
dal 1 all’8 luglio. Per ammirarle l’occasione dagli organizzatori
certo, ma anche per ricordare a dell’Università di Udine e dalla
tutti che l’arte visiva è un modo FERPI. In tutti la consapevolezza
di comunicare diretto, universale, che, per andare oltre ai confini fisici,
che non conosce la parola confine. non bisogna limitarsi a dei rapporti
Del resto, quella della comunicazione, statuali ma valorizzare le questioni
rappresenta una delle sfide più ardite locali. Con le parole dell’assessore
per l’UE, nonché il tema dibattuto Marincic:
“E’
necessario
lunedì 26 giugno nella Sala dei Musei rivalutare il ruolo del cittadino e
del Borgo Castello dal direttore il suo essere cittadino europeo”.
della rappresentanza in Italia della Lasciare spazio ad un’integrazione
Comissione Europea Pier Virgilio costruita dal basso, insomma, che
Dastoli, assieme a Milos Budin ha come protagonista la società
sottosegretario alle politiche europee, civile, tanto cara ai sociologi, o più
e ad altri parlamentari invitati per semplicemente la gente comune.
Hanno contribuito a questo numero:
Solo così il confine potrà un giorno
scomparire. Non sarà una favol a
lieto fine probabilmente, ma sarà una
storia migliore, “una storia ripresa”.
Sconfinare
Cultura Glocale
2006 Giugno
1906-2006
I cent’anni di Piazza Transalpina
Viaggio sui binari della storia
A cura di:
Giangiacomo Dalla Chiesa
L’arrivo nel 1906 della ferrovia
Transalpina nella città di Gorizia,
fu il completamento di un lungo
processo di ammodernamento della
vie di comunicazione che collegavano
tale città con il resto dell’Impero
asburgico. Tale processo iniziò
dapprima in maniera teorica con lo
studio di C.v.Czoernig, il funzionario
imperiale arrivato nella ”Principesca
Contea di Gorizia e Gradisca” come
allora si chiamava, commissionatogli
dal governo imperiale per verificare
quali potessero essere le possibilità di
sviluppo di tale parte del Kustenland
(Litorale) e si avviò concretamente
con l’arrivo dei Ritter a Gorizia. I
Ritter infatti, famiglia di industriali di
origine tedesca trasferitisi dopo varie
vicissitudini a Trieste, scelsero nel 1850
Gorizia come sede delle proprie attività.
Questa scelta fu fondamentale per
Gorizia in quanto per esportare i propri
prodotti da Gorizia a Trieste e verso
il resto dell’Impero, fecero pressione
presso le autorità imperiali affinché la
ferrovia “Meridionale”, costruita con i
finanziamenti dei Rothschild, che doveva
collegare Vienna con Trieste, passasse per
Gorizia: cosa che puntualmente avvenne
nel 1860. Tale scelta ebbe ripercussioni per
la città anche dal punto di vista urbanistico;
infatti per collegare il centro cittadino con
la nuova ferrovia, si dovette costruire una
nuova arteria che attualmente è il Corso
Italia, cioè la principale via di Gorizia.
Tale ferrovia però non bastava per il
completamento dell’ammodernamento
della vie di comunicazione.Infatti in
La Piazza Transalpina prima del 2004
seguito all’arrivo della linea ci fu uno
sviluppo delle attività commerciali della
città che non riguardavano solo le attività
Ritter, ma pure quelle attività dei piccoli e
medi commercianti che incominciarono a
popolare la città (artigiani, ma soprattutto
produttori di vino e alcolici che dal
Collio venivano spediti in tutto l’Impero,
povero di zone adatte per la coltivazione
dell’uva). Per far fronte a tale sviluppo
la classe dirigente locale capì che
ci sarebbe stato bisogno di un’altra
ferrovia che arrivasse direttamente
in Carinzia (il principale sbocco dei
prodotti della Contea di Gorizia).
Tale ferrovia è l’attuale Transalpina che
arrivò a Gorizia nel 1906 dopo una lunga
gestazione causata anche da problemi
tecnici, legati all’attraversamento di un
territorio particolarmente impervio che
fa di questa linea, però, una bellissima
ferrovia panoramica. In realtà per le
autorità austriache tale ferrovia non era
importante solo per il commercio ma
anche per una funzione militare,
in quanto costituiva una via
di comunicazione in grado di
trasportare le proprie truppe
con facilità sul confine di un
paese straniero(l’Italia). Valore
aggiunto che però fu calcolato
male dalle autorità austriache,
infatti proprio questa vicinanza
con il confine la rese vulnerabile
agli attacchi italiani durante
il primo conflitto mondiale.
Ciò non toglie che nel 1906,
con l’arrivo della Transalpina,
Gorizia attuò il completamento
dello sviluppo delle vie di
comunicazione: molte ditte
commerciali spostarono la
loro sede in prossimità della nuova
ferrovia (piazza Corno, l’attuale piazza
de Amicis, e vie adiacenti) per poter
agevolmente usarla per il trasporto
delle proprie merci verso la Carinzia.
Beffardamente tale apogeo dell’attività
commerciale avvenne nel 1906, cioè
solo otto anni prima del conflitto
mondiale che comportò, in seguito al
cambiamento dei confini, la recisione
completa di Gorizia dai suoi mercati
rendendo tali ferrovie di colpo inutili.
Nonostante ciò la Transalpina, fino alla
Seconda Guerra mondiale, continuò
ad avere un ruolo per le ditte locali
nello smercio dei propri prodotti verso
la valle dell’Isonzo. Purtroppo anche
questo residuo mercato venne a mancare,
dopo l’ultimo conflitto mondiale,
quando l’ennesimo cambiamento dei
confini fece sì che addirittura la stessa
ferrovia rimanesse separata dalla
città per la quale era stata costruita.
L’ombelico del mondo?
Come la piazza transalpina può essere il nuovo centro di una città finalmente europea
9 Luglio 1906 veniva inaugurata
la linea ferroviaria detta
“TRANSALPINA” collegava
Vienna a Trieste; unica stazione
intermedia degna di nota
Gorizia. Era il 1906 e da Gorizia
passava la linea ferroviaria
più importante dell’impero
Austro Ungarico quella che
connetteva la capitale Vienna
al suo unico porto Trieste.
In cent’anni come è cambiata
la città e come per ironia del
caso la piazza antistante la
stazione ha vissuto questo periodo.
Sono ormai lontani gli anni in
cui la Piazza era il centro della
vita economica di una città ricca,
culturalmente viva, e giovane. Sono
anche ormai lontani (per fortuna) gli
anni in cui questa piccola piazza era
il simbolo di una assurda spaccatura
ideologico/politica in un territorio
storicamente unico ed unito.
Ma sono (sempre per fortuna) ritornati
gli anni in cui ci si può confrontare
senza problemi ideologici con il
vicino, gli anni in cui dalle due
parti del confine si parla la stessa
lingua franca (l’inglese), gli anni
La targa in Piazza Transalpina dal 2004
in cui si utilizza la stessa moneta
(euro) gli anni in cui cominciano a
rifiorire i progetti transfrontalieri,
anche se con moltissime difficoltà.
Ed ecco cosa può salvare questa
città, che da fiorente polo economico
e culturale si è via via trasformata
in una città di servizi ed uffici
in completa balia dello stato, la
può salvare la via transfontaliera
se fatta, e non solo detta.
Al momento non è mio compito
risolvere questi problemi ma
sicuramente è giusto denunciarli ed
urlarli ad una città sempre più in balia
degli eventi e sempre meno
padrona del proprio futuro.
Gorizia ed il suo territorio
devono ritrovare un obbiettivo
di sviluppo che comprenda
anche tutto il territorio di
Nova Gorica devono riuscire a
ricreare quel microcosmo, quel
fermento, quello sviluppo che
per secoli ha contraddistinto
questa zona. Ma il tempo è
poco e soprattutto è sempre
minore, non possono bastare
più le conferenze i seminari,
accanto a questi devono nascere
industrie reti stradali e ferroviarie
poli universitari di visione e portata
europei, o almeno transfrontalieri.
Gorizia e Nova Gorica dovete
scegliere perché il tempo è poco,
solo così potrete avere un peso
importante sia a livello nazionale
che internazionale, e solo così la
Piazza Transalpina potrà ritornare
ad essere l’ombelico di quella nuova
realtà europea che comprende
le due città ed i loro territori,
in un Europa finalmente unita.
Marco Brandolin
7
Due facce della stessa realtà
Casinò e Cimitero
Nova Gorica
A circa cinquecento metri dal confine
della Casa Rossa di Gorizia, proprio
dietro al piccolo Casinò Fortuna,
accanto ad un paio di case modeste,
abbiamo scoperto un cimitero ebraico.
Ci si arriva attraversando un prato non
curato, costeggiando le due abitazioni:
a dir la verità, noi esploratrici entriamo
maldestramente nel cortiletto, facendoci
immediatamente notare dal padrone di
casa, il quale ci indica la strada giusta per
l’entrata. “Girate dietro quella rimessa per
gli attrezzi” ci urla in un italiano perfetto,
che pochi nostri connazionali potrebbero
ricambiargli con la stessa scioltezza in
sloveno. Dunque, Giorgia ed io seguiamo
le indicazioni senza invadere ulteriormente
la proprietà privata, scoprendo finalmente
l’ingresso: un cancello arrugginito, lasciato
aperto, posto al di là di un ponticello
che scavalca un ruscelletto, probabile
affluente dell’Isonzo. La vicinanza ad un
corso d’acqua è una delle peculiarità dei
cimiteri ebraici, considerata importante
come simbolo della vita che continua.
All’entrata rimaniamo in silenzio per
qualche minuto: non si tratta del tipico
mutismo rispettoso che si assume di fronte
agli ordinatissimi cimiteri italiani, simili
a tristi archivi di morte affacciati su lindi
vialetti di ghiaia, colorati da fiori di plastica
e lumini. No, è un silenzio del tutto diverso:
le lapidi escono infatti sconnesse dalla
terra bagnata, pietrone grezze sul procinto
di cadere, o già cadute, in un disordine
commovente ed angosciante allo stesso
tempo. Camminiamo con attenzione: sotto
i nostri piedi, sotto quelle primule timide
nell’erba ancora umida, c’è un’intera
comunità. La prima tomba che ci fermiamo
ad osservare ci dà la conferma dell’identità
ebraica: simboli aramaici celebrano
l’epitaffio di una giornalista, Luzzatti...la
pioggia, il vento, i licheni hanno divorato
quelle poche parole in italiano che forse
ci avrebbero permesso di sapere di più su
questa donna scomparsa quasi un secolo fa.
La natura presto si porterà via ogni dato,
ogni traccia, ogni accesso alla memoria
delle persone seppellite sotto di noi.
Ritroviamo con stupore su una serie
di lapidi la stessa data di morte:
1910...uomini e donne ebrei tra i 20 e
i 40 anni misteriosamente scomparsi,
senza nessun riferimento, nessuna
spiegazione. Ci sforziamo di ricondurre
questa data a qualche avvenimento
storico preciso, ma la ricerca è vana.
Camminiamo
ancora,
troviamo
gruppi famigliari consistenti, cognomi
come
Morpurgo,
Michaelstaeder...
Il paradosso più incredibile sta proprio
al di là del piccolo muro che delimita il
cimitero: la grossa insegna del casinò.
Una sadica torretta gonfiabile di circa sette
metri si eleva sopra le lapidi: è inquietante
la scelta di piazzare la scritta “casinò” alla
cima della torre, seguito da una freccia in
verticale che indica”Fortuna” (il nome
del locale), seguito da un’altra freccia
verticale che pare proprio condurre lo
sguardo a una lapide, più imponente delle
altre, forse perché di un medico o di un
personaggio dal ruolo importante...il gioco
che porta alla morte?O macabra ironia?
Ma più della discutibile scelta di costruire un
casinò a pochi metri da un luogo del genere,
mi colpisce l’incredibile abbandono in cui
sono lasciate quelle pietre. Là dentro c’è un
pezzo di storia, che io non comprendo, e che
non mi è permesso conoscere, parrebbe...
Arianna Olivero,Giorgia Turin
8
Sconfinare
Musica
23 Maggio 2006 ore 21
Stadio Fiuli
Il giorno dei giorni del Nordest
Per i fan di Ligabue del Nordest è arrivato il “Giorno dei giorni”, quello
in cui la musica del concerto dal vivo
scorrerà loro “dentro le vene”. L’atmosfera dei concerti è sempre qualcosa
di magico: è la completa commistione delle anime della folla esaltata con
quella del loro idolo, che si pone molto modestamente “tra palco e realtà”.
Si percepisce la sensazione di festa
già prima di varcare i cancelli: le autoradio delle macchine passano tutta la
rassegna di Ligabue, la tribù del rocker è pronta. Ma sono i primi accordi
a sprigionare le emozioni della massa:
ragazze che lodano la sua bellezza
(d’altra parte: “le donne lo sanno”) e
“urlando contro il cielo” si animano
anche gli spiriti più tranquilli. Subito si scatena una danza collettiva, i
15.000 fan accompagnano per due ore
e mezza l’emiliano senza sbagliare un
accento sia delle canzoni più vecchie
che di quelle di “Nome e Cognome”,
autentico inno alle donne. La pioggia
che arriva puntuale con le prime note
non li intimorisce, né fa retrocedere dal
magnifico palco La Banda, affiancata
per parte del concerto dai ClanDestino (band con cui Ligabue ha esordito) e dal violino di Mauro Pagani. Le
mani continuano a partorire applausi
scroscianti e le corde vocali dimostrano di non sapersi placare facilmente.
L’unico rammarico che pervade i giovani è l’esagerata spesa per il biglietto, 40 euro che certamente valgono
la serata ma comportano un notevole
sacrificio a uno studente universitario.
Così, “certe notti”, si va ai concerti
di Ligabue, coscienti che l’uscita dai
cancelli è solo un arrivederci: a presto Liga, “ci vediamo da Mario, prima o poi”... anzi, proprio QUESTA
NOTTE ci sentiamo sulle autoradio
delle macchine che ritornano a casa.
Giula Cragnolini
LA RECENSIONE
PINK MOON
Nick Drake
Ognuno ha conosciuto notti insonni. che mi raggiungono sono nient’altro che
Gli occhi aperti a intagliare la loro stanchezza ninnananne. Melodie intimiste, sussurrate in
nel buio. L’unico suono quello nervoso del una voce morbida e accogliente, come quella
fiato. Del cuore. Ho trascorso molte notti di una madre al bambino. Una voce che ti
insonni, e durante quelle notti mi piaceva ci vorresti nascondere, affondandoci dentro,
ascoltare Pink Moon. Anche Nick Drake era sperando sia possibile non riemergerne più.
solito giacere vegliando, inquieto nell’attesa Nick Drake non fa altro che aprire il suo cuore.
dell’alba; e per non essere costretto a Non fa altro che darlo a noi. Per liberarsi del
specchiarsi nel vuoto della sua anima aveva suo giogo. Ed è un balsamo lasciare che il
riposto negli antidepressivi la propria suo dolore si confonda con quello che mette
speranza. Grazie ad essi
radici quando il giorno
non soffriva, trascinandosi
finisce scoprendoci soli,
insensibile fino al risveglio.
lasciare che il suo dolore
La musica che si scopre
risani. Nel buio ascolto
in Pink Moon è fragile,
Pink Moon, ed è come
impalpabile,
eppure
se davvero Nick avesse
incredibilmente intensa.
voluto
accompagnarci
E suona insicura, come se
nella notte in questo modo.
da un momento all’altro
Blandendo la tristezza e la
potesse inciampare su se
malinconia,
rimanendoci
stessa e ripiegare, svanire;
accanto. Carezzando le
fuggire in preda alla
note che ti si conficcano
vergogna. Sono la purezza
nel petto. A tratti pare stia
e la semplicità che vi si
piangendo, mentre canta,
scoprono ad impreziosire
quasi come si sforzasse
La copertina del disco
quest’opera: un disco interamente acustico, per continuare a farlo. In tutto sono undici
di sole chitarra e voce. Nick Drake lo scrisse brani, che mantengono un’altezza e un tono
in riva al mare nell’estate del 1971, mentre omogenei. Perché, citando Aldo Palazzeschi,
cercava di fuggire dal fantasma della propria non ha che un colore la tavolozza della sua
depressione. E lo registrò in ottobre, in anima. Rimangono impresse fin dal primo
sole due serate. Nulla venne modificato. Fu ascolto ‘Pink Moon’, ‘Place To Be’, ‘Road’,
l’ultimo disco che incise, prima di morire ‘Things Behind the Sun’. Ma ogni momento
suicida, tre anni dopo, per un’overdose di questo lavoro è una gemma che brilla di
degli stessi medicinali cui era abituato, e luce propria. Drake era un cantautore. Non
che alla fine seppero mantenere ogni loro era però un Dylan, uno Springsteen, o un
promessa. Chiuse la porta alle sue spalle Cohen. Né era, pensando a casa nostra, un
dormendo, con i propri sogni ed amori non De André. De André è stato un poeta, un
ricambiati. Abbandonando il palcoscenico menestrello. Attento a ciò che lo circondava,
improvvisamente, come spesso aveva fatto nei agli altri. Con un proprio posto da occupare.
suoi pochi concerti, non riuscendo a sostenere Nick Drake ha parlato di sé. Era solo un
il peso dell’impatto con il pubblico. Con la uomo, dopotutto, lasciato con i suoi pochi
vita. Nel buio ascolto Pink Moon. E’ sempre stracci, lasciato con la sua debolezza,
buio, quando l’ascolto, ed il sole sembra non la sua solitudine. E con la sua chitarra.
sorgere mai. Tengo gli occhi chiusi e quelle
Rodolfo Toè [email protected]
Goran Bregovic, un nuovo ponte tra Ovest ed Est
Dalla Bosnia tutto il fascino della musica balcanica
Un piccolo villaggio ebraico fugge la follia
hitleriana e affida le sue speranze a un treno
che corre verso il fronte russo, un train
de vie, accompagnandosi con danze dal
sapore antico e accogliendo un popolo, i
Rom, rimasto senza terra. Una artista fugge
la follia di una guerra fratricida e affida
la propria vita a una musica che, come
un treno dei ricordi, profuma di Balcani
e di speranza che fatica a sopravvivere.
È sempre la stessa mente melodica dietro
a queste immagini: Goran Bregović.
Nato nel 1950 da madre serba e padre
croato, cresciuto nella Sarajevo multietnica
prebellica, Goran si è avvicinato alla
musica attraverso il violino a cui però ha
preferito la chitarra, la quale lo ha portato,
appena quattordicenne, ad inserirsi in rock
bands e a fondare poi, nel 1974, il gruppo
che l’ha reso uno dei più famosi artisti
slavi, i Bijelo Dugme (Bottone Bianco),
scioltosi nel 1989. Forse può stupire
questo suo passato, ma, come lui stesso
dice, il rock “...era un modo per esprimere
il malcontento senza finire in galera...”.
Poi è venuto il turno dei films, fra cui
quelli firmati Kusturica, suo concittadino,
come Il tempo dei gitani (1989), Arizona
Dream (1993), Underground (Palma
d’Oro al Festival di Cannes 1995), di cui
ha composto le colonne sonore, un mix
di temi zigani e slavi mescolati ai suoni
caldi degli ottoni. Musiche particolari,
lontane, che fanno venir voglia di ballare.
Infine la svolta: la creazione, nel 1995,
della Orchestra per i matrimoni e funerali,
con la quale ha ripreso a suonare musica
dal vivo. A causa dei problemi logistici
derivati dalle dimensioni (120 musicisti sul
palcoscenico!), l’orchestra è stata ridotta a
50 elementi, ma non ha certo perso il suo
carattere: Goran, infatti, ha continuato a
infiammare le folle durante i suoi concerti
e ha persino organizzato, all’inizio del tour
italiano del 2000, un “Grande matrimonio a
Palermo”, per la festa di S. Rosalia del 14
luglio, in cui ha riunito musicisti provenienti
da Belgrado, Sofia, Budapest e Istanbul.
Perché l’essenziale sta nell’originalità!
E proprio all’insegna dell’originalità, Goran
ha deciso di occuparsi anche di teatro e
lirica, scrivendo, ad esempio, una nuova
versione della Carmen presentata nell’aprile
2004 a Trieste: La Karmen di Goran
Bregović con lieto fine, in cui, finalmente,
scompare il tragico epilogo. Una speranza
che torna a fortificarsi, come quella che
accompagna l’ex Jugoslavia verso il futuro.
Ius Isabella
[email protected]
“E’ molto romantico pensare che noi
artisti possiamo cambiare le cose.
Purtroppo, però, la storia della Jugoslavia
la fanno i soldati, non i musicisti”
Giugno 2006
...fuori dal coro...
BELLE & SEBASTIAN:
If you feeling sinister
E’ stato quasi per caso che mi sono ritrovata
a lavare il pavimento di una cucina, con
la mia migliore amica, in una mattina di
sole di un paio d’anni fa, ascoltando i Belle
and Sebastian. Mi aveva detto che erano
forti e così me li ha fatti ascoltare, tra una
chiacchiera e l’altra. E’ stato quasi un colpo
di fulmine, credo. Una melodia così fresca,
un po’ retrò ( ho pensato subito ai Beatles, a
Simon & Garfunkel ma nello stesso tempo
era tutta un’altra cosa), una voce timida dalla
grazia disarmante. Come sentirsi catapultati
in un mondo parallelo in cui i suoni e i
colori rimbalzano mettendoti di buon umore,
facendoti sentire incredibilmente leggero.
Ma
è
meglio
parlare
di
loro...
I Belle and Sebastian sono un gruppo scozzese
nato a Glasgow nel 1996 grazie ad un progetto
di Stuart Murdoch che, dopo aver frequentato
un corso di musica professionale all’università,
pensò di mettere insieme una band composta
da studenti del college per registrare un album.
Tigermilk, il loro primo album, fu pubblicato
in sole mille copie, ma il loro folk-pop un
po’ retrò scatenò un passaparola generale
che li fece diventare una band di culto. Così
continuarono a partorire piccole meraviglie..
L’album If you feeling sinister, è uno dei loro
esperimenti migliori. Le note del primo pezzo
iniziano a diffondersi e già vi sembra di essere
nel piccolo mondo della ragazza di “The Stars
“Ci sono artisti
Of Track And
Field”
che silenziosi che entrano
spende
ore nella vostra vita in punta
ad
allenarsi di piedi perchè vogliono
per diventare
farvi scegliere se volete o
la stella di
atletica
del meno ospitarli nel vostro
mondo ”
college; poi
il pianoforte di “Seeing Other People” vi
guiderà verso un letto in cui osserverete
divertiti una coppia annoiata, in cerca nuovi
stimoli per evadere dal solito kissing just for
practice. Ed ecco “Me And The Major”, il
racconto ironico di un conflitto generazionale
nato in uno scompartimento del treno, tra chi
è cresciuto tra punks, hippies e droghe e una
nuova generazione, forse più indifesa, ma
in cerca di una propria identità. Poi arriva
la favolosa “Like Dylan In The Movies”, in
cui il Bob Dylan del film “Don’t look back”
viene preso come modello di chi non scende
a compromessi, ma subito si diffonde la
melodia candida e delicata di “Fox In The
Snow” e vi sembrerà di vederli, una volpe, un
ragazzo e una ragazza, immobili nella neve,
incapaci di prendere una decisione sulla loro
vita. A conquistarvi però sarà il ritmo folk di
“Get Me Away From Here, I’m Dying”, la più
travolgente, e la sua storia di amori finiti con
le lacrime invece che con le spade. Bambini
che giocano in cortile, voci, rumori, il ritmo
incalzante di una chitarra, un pianoforte e
il racconto un po’ sarcastico di tre aspiranti
suicidi che provano ad aggrapparsi ai consigli
di un sacerdote, ma capiscono che le uniche
risposte di cui hanno bisogno è meglio che
le trovino in loro stessi: è “If You’re Feeling
Sinister”. I Belle and Sebastian continuano
a giocare con le sfumature emozionali,
sempre stando al confine tra l’allegria e la
spensieratezza di “Mayfly”, il mondo dei
sogni di “Judy And The Dream Of Horses”
e la malinconia di “The Boy Done Wrong
Again”, in cui il protagonista dichiara “All
I wanted was to sing the saddest songs/ if
somebody sings along I will be happy now”.
Copertina rossa, ragazza sognante con
“Il processo di Kafka” sulle gambe e lo
sguardo perso nel vuoto: già osservando
l’album entrerete a contatto con la dolce
malinconia, la profondità, ma al tempo
stesso l’ingenuità disarmante di questi
ragazzi che non vogliono crescere nel nostro
mondo, ma preferiscono crearsene uno
parallelo, più vicino alla loro sensibilità.
Agnese Ortolani
Sconfinare
Scripta manent
2006 Maggio
9
Ha contribuito a questo numero:
Carlo Michelstaedter (1887-1910)
Un filosofo, un pensiero,una vita...
Gorizia, 1910, 17 ottobre, con un colpo di
rivoltella un giovane ragazzo di origine ebrea si
toglie la vita, solo a casa sua. Nessun messaggio,
nessun evento particolarmente traumatico
da poter spiegare questa prematura morte.
Era Carlo Michelstaedter, giovanissimo,
nato nel 1887, ed aveva appena concluso
la sua tesi di laurea. Il suo requiem. Chi
l’avesse conosciuto si sarebbe trovato
d’innanzi ad una ragazzo sia intellettualmente
che fisicamente sano e vitale, studente
tra la città d’origine, Gorizia, e Firenze.
Nella sua breve vita, Carlo Michelstaedter ci
ha lasciato poesie, dipinti, disegni e scritti;
poliedrico nella sua espressione artistica, tanto
da non essere immediatamente classificabile,
è però sicuramente brillato maggiormente
nella stesura del suo ultimo scritto. La sua
tesi di laurea: La Persuasione e la Rettorica.
Non sono moltissime le pagine ma sono dense
di contenuti, v’è rappresentata la sua visione
del mondo con tutto ciò che la ha influenzata.
È importante dire, innanzitutto, che questo
ragazzo, come Svevo a Trieste, fa parte di quel
mondo che si potrebbe dire (seppur la parola
è ultimamente abusata) “mitteleuropeo”: da
un lato influenze germaniche e nordeuropee,
dall’altro la forte influenza italiana.
In effetti, quando parla di Dio, come può
non venire in mente la “morte di Dio” di
Nietsche? Oppure Leopardi, quando traspare
la sua malinconica disillusione? Va poi
aggiunta la rilevanza che hanno avuto nella
sua formazione i filosofi della classicità, ben
visibile nelle numerose citazioni e riflessioni
che impregnano interamente la sua opera.
Ma arriviamo al dunque: cosa intende
dire Michelstaedter quando parla di
“persuasione” e di “rettorica”? C’è
qualche legame tra questo scritto e l’
immediatamente
successiva
morte?
La persuasione “falsa” è quella che ci nasconde
che anche la felicità ed i bei momenti della
vita, nascono in realtà dal dolore, che ogni
cosa è dolore, che in ogni momento c’è una
voce che ci sussurra
all’orecchio che non siamo
nulla che “non c’è alcun
dio, dio muore con te” e
che questa paura c’è fin
dalla culla dove sei nato.
La vita, mi verrebbe da
dire, sembra quasi un
negativo
fotografico
della morte, dove le
due cose coincidono e
l’una è semplicemente
l’altra faccia dell’altra.
Secondo Michaelstaedter,
dunque, va aborrita la
“rettorica”, che vede
incarnate nei pensieri
di Platone, Aristotele
ed Hegel, i quali,
come dice D. Fusaro,
vogliono
scavalcare
fittiziamente la nostra
“deficienza ontologica”
con
illusori
sistemi.
È retto invece l’uomo
“persuaso”
che
ha
abbandonato la “filopsichia” e la rettorica, che
attraverso una persuasione “illusoria” danno
soltanto un’ansia di vivere proiettati verso un
qualcosa di esterno che dia un senso alla vita.
L’uomo “persuaso” ha quindi la certezza
di non averne alcuna, se non la morte, e
vive la vita con una sua pienezza, senza
tormentose ricerche, ma soddisfatto nella
sua disillusione senza distinguere troppo
tra vita e morte, tra nulla ed esistenza.
Carlo
Michaelstaedter,
secondo
me,
rappresenta completamente questo ideale
di uomo e quindi me lo immagino, in modo
che azzarderei “romantico-esistenzialista”,
prendere in mano la sua rivoltella, fissare il
soffitto bianco in silenzio, con espressione
neutra, soddisfatto della sua indifferenza,
senza rimorsi premere il grilletto.
Allan-Francesco Cudicio
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La fine è il mio inizio
La differenza cristiana
Feltrinell
MondadoriMondadori
Longanesi
Einaudi
Fonte:
Libreria Antonini
Martin Page
“Come fosse l’ultimo” “Una perfetta giornata
Al Kulturnidom: Carlo
visto da
Paolo Magris
“Carlo, o Carlo, ma ti ricordi quando...?” Ha utilizzato il tempo presente,
il discorso diretto e la sensibilità di un affetto femminile Paolo Magris per
portare sul palcoscenico
l’attualità rivelatrice di
Carlo Michelstaedter. E’
un dialogo in assolo, o un
monologo a due, che dir
si voglia, il testo teatrale
“Come fosse l’ultimo”,
scritto da Paolo Magris,
figlio di Claudio, con l’attore Marcello Crea e portato in scena al Kulturnidom di Gorizia lo scorso
20 aprile. L’interlocutore
della figura femminile
protagonista–Un’amica?
Una fidanzata? Una sorella? In ogni caso interprete
di un difficile ed espressivo ruolo- non è Michelstaedter, genio filosofo morto suicida a 23 anni e ancora troppo
poco conosciuto e apprezzato, ma è Carlo,
ragazzo incompreso a cui molti volevano
bene, ma a cui di godersi quel mondo in cui
si trovava costretto a vivere, proprio non gli
riusciva. Quando sul palco sono in due, questa “lei” familiare e Carlo, il dialogo è acceso
e stimolante, a volte velatamente sarcastico
quando lei distrugge le riflessioni di lui sull’esistenza, trasportandole sul piano profano
della quotidianità. Quando invece lei è sola,
la luce è offuscata, e a parlare sono i rimpianti e rimorsi di una famiglia che non ha capito
suo figlio, di una società che non lo ha ascoltato, di un mondo che non è stato capace di
ospitarlo. Ma questa incomprensione è veramente a senso unico? E’ stato veramente Carlo a non essere accettato, aiutato, sostenuto?
In quel “Perché, Carlo, perché?” si nasconde
anche la rabbia verso questo ragazzo che ha
ceduto troppo presto, che non ha lottato, e
che se ne è andato egoisticamente, non solo
togliendo la vita a se stesso, ma facendo del
male anche agli altri. Non può essere, quindi,
un dialogo a raccontare il mondo di Carlo,
proprio perché Carlo non è mai riuscito a dialogare con il mondo, né ad entrarci fino in
fondo e a viverlo, ma lo ha sempre criticato
dall’esterno, ne ha giudicato i vizi senza uscire dal proprio io, ed è stato proprio quell’io
che, alla fine, l’ha guadagnato a sé. Il protagonista di questa breve opera teatrale non è
Carlo Michelstaedter, ma è tutto quel roteare
di affettività e familiarità cui ora non rimane
altro che il rimpianto per non essere riuscito
a far vivere al suo Carlo ogni giorno intensamente, fino in fondo, “Come fosse l’ultimo”.
Sara Pittonet Gaiarin
perfetta”
Martin Page, scrittore francese, autore del
libro cult “Come sono diventato stupido”
propone un romanzo comico, surreale, e
follemente tragico. La storia di un venticinquenne, la cui identità rimane sconosciuta,
nascosto in un grottesco quasi diabolico anonimato che descrive la sua “perfetta giornata soleggiata”. Una giornata accompagnata
dalla minuziosa narrazione della volontà di
togliersi la vita. In qualsiasi modo, in qualsiasi momento. Appena svegli, non in grado
di superare l’inarrestabile routine della vita
quotidiana; per strada, spazzati dal distacco
e dalla frenesia della gente; in ufficio, tra
la fredda indifferenza dei colleghi. Il lento
vivere di un uomo ormai apatico al mondo, che condivide la propria vita solamente
con uno squalo dentro al proprio corpo, con
l’illusione di essere accompagnato da una
band messi“Prima l’aria serviva
cana e con
a respirare, il cibo a
la
lettura nutrirsi, le armi ad uccidelle magnidere. Oggi le armi sono
fiche poesie
diluite in un’aria e in un
di
Emily
D i k i n s o n . cibo che avvelenano”
Un uomo che guarda con amara ironia
l’abulico scorrere dell’esistenza. Il personaggio imperfetto scappa dal mondo, inventa la propria personalità, si isola da ogni
tipo di contatto umano. Amicizie svanite,
sogni sfumati, progetti falliti. Tutto questo è parte inscindibile della sua esistenza. “Ho avuto successo nella vita perché
non sono riuscito a vivere”. La mancanza
di comunicazione, il senso di noia e depressione, la violenta competizione con
l’altro da sé. Queste le principali accuse
dell’autore alla società. Ogni singola frase della narrazione è guidata da un’ironia
sottile, a tratti impercettibile, che porta il
lettore ad amare e allo stesso tempo non
comprendere il tragicomico personaggio.
Una denuncia al “magnifico orrore” della
nostra sussistenza progressivamente segnata da un’ineluttabile omologazione. E
chissà se attorno a noi, tra le solide convinzioni del nostro quieto vivere non si nasconda un uomo così terribilmente solo...
Nicoletta Favaretto
10
FESTIVAL DI CANNES 2006
Sorprese e delusioni
alla kermesse
francese del cinema
Si è svolta dal 17 al 28 maggio la
59° edizione del prestigioso festival
francese, che ormai ha poco o nulla
da invidiare agli Oscar in fatto di
glamour, ed è anzi denotato da una
certa eleganza rispetto alle pacchiane
cerimonie hollywoodiane. D’altra
parte, dai cugini d’oltralpe non ci si
può aspettare nulla di meno. La giuria,
multinazionale, è stata presieduta
dal grande regista cinese Wong
Kar-Wai, con, fra gli altri, Helena
Bonham Carter, Samuel Jackson,
Zhang Ziyi e Monica Bellucci.
Fuori concorso, ad aprire la
manifestazione è stato l’attesissimo e
tanto discusso “Codice da Vinci”, ma
l’esordio è stato deludente: un minuto
scarso di applausi e qualche risata
hanno seguito la prima proiezione.
Molte, in compenso, le pellicole, che
hanno riscosso grande successo tra
il pubblico del Palais du Cinéma:in
particolare, applausi e standing ovation
per Kim Rossi Stuart, al suo esordio
come regista con “Anche libero va
bene”, e per “Il regista di matrimoni”
di Marco Bellocchio. Consensi anche
per “Il caimano” di Nanni Moretti,
dato per favorito ma poi rimasto a
mani vuote al momento della consegna
dei premi. Stessa sorte per Pedro
Almodóvar, in gara con “Volver”, a
cui è sfuggita anche questa volta la
Palma d’oro: si è però consolato con
il premio per la miglior sceneggiatura,
e con l’assegnazione del premio
per la miglior attrice all’intero cast
femminile del suo film (“capitanato”
da Penélope Cruz). Premio collettivo
pure per gli interpreti maschili di
“Indigènes” (di Rachid Bouchareb);
la Palma d’oro è invece andata
all’unanimità a Ken Loach e al suo
“The wind that shakes the barley”, film
sulla guerra d’indipendenza irlandese
del 1916-1921. Tra i rimanenti premi,
l’hanno fatta da padrona i film che
hanno affrontato il tema della guerra:
“Flandres” di Bruno Dumont (Gran
Premio della Giuria), “Babel” di
Alejandro González Iñárritu (miglior
regia). Sconvolti quindi tutti i pronostici,
ma anche quest’anno sulla Croisette
non sono mancate le forti emozioni.
Federico Permutti
Sconfinare
Cinema
Giugno 2006
FESTIVAL DI CANNES 2006
FILMESE
Serve un codice?
Volver
Vince Penelope,
vincono le donne...
Quando Dan Brown non è solo in libreria
Uscita la versione grande schermo
del Codice da Vinci, la redazione
di Sconfinare non poteva certo
sottrarsi alla “trappola Dan Brown”.
Ron Howard, già conosciuto per aver
firmato pellicole come “Apollo 13”
e “Cinderella Man”, questa volta
si è lanciato nella trasposizione
cinematografica del romanzo più
venduto del momento. Un misterioso
omicidio al Louvre, una setta segreta
(il Priorato di Sion), e una caccia
al tesoro tra i simboli e i misteri
della pittura di Leonardo sono gli
ingredienti di 149 minuti di azione
e fine logica. Tom Hanks nei panni
Robert Langdon, brillante storico dei
simboli, assieme alla poliziotta Sophie
Neveu (interpretata da Audrey Tautou)
si ritrova invischiato in un mistero
custodito da secoli che li metterà sulle
tracce del Sacro Graal. E se, nonostante
la loro innocenza, avessero anche
alle calcagna il più tenace mastino di
Parigi, Captain Fache interpretato (Jean
Reno)? E se dovessero chiedere aiuto a
Sir Leigh Teabing, esperto di storia del
Priorato? Nella loro perenne fuga i nostri
protagonisti non avranno un secondo
di respiro e il numero di rompicapo
che “Sherlock Hanks” si troverà a
risolvere potrà addirittura disorientarvi.
Il tocco di Howard è inoltre evidente
negli espedienti cinematografici usati
per visualizzare le deduzioni del
protagonista. Comunque, a parte il
senso di dejà vu che proverete di fronte a
anagrammi e lettere illuminate (sempre
che abbiate visto “A Beautiful Mind”),
azione e suspance sono ben calibrate
e il film non risulta affatto noioso.
Francesca Fuoli
Il codice da Vinci
Neveu, e immenso come sempre Ian
McKellen nel ruolo dell’ambiguo
studioso inglese Sir Leigh Teabing.
Federico Permutti
Voto: 8Nazione: USA
Cast: Tom Hanks
Audrey Tatou
Jean Reno
Durata: 149’
La riduzione cinematografica del best
seller di Dan Brown, com’era prevedibile,
ha suscitato molte discussioni e
polemiche per il suo contenuto giudicato
da alcuni “blasfemo”, mentre i critici
cinematografici l’hanno stroncata con
l’accusa di essere il solito, pacchiano
“polpettone” à la Hollywood. Ma è meglio
lasciar da parte le dispute teologiche e
come pure certe inesattezze storiche di
Brown, per concentrarsi su quello che
è veramente il “Codice da Vinci”: una
bella storia d’azione e di fantasia, su
un argomento tutto sommato insolito
nel mondo del cinema. La vicenda
si apre con Jacques Saunière (JeanPierre Marielle), custode del Louvre,
che viene inseguito e assassinato da un
sinistro monaco albino (Paul Bettany) al
servizio dell’Opus Dei, organizzazione
disposta a tutto pur di impossessarsi
del segreto che fa da filo conduttore del
film; il tutto è intervallato dalle scene
dove viene introdotto il personaggio di
Robert Langdon (un sottile Tom Hanks),
professore di simbologia religiosa a
Harvard. Ciò che segue è un avvincente
thriller, ricco di colpi di scena per chi non
conosce il libro, e comunque piacevole
per chi sa già come va a finire. Il regista
Ron Howard riesce a intrecciare molto
bene le diverse storie di inseguimenti tra
Londra e Parigi, con anche degli efficaci
momenti di “spiegazione” e flashback
storici a completare la frenetica ricerca
del “Santo Graal”. Azzeccatissimo Jean
Reno nella parte del poliziotto francese
Bezu Fache, bella e brava Audrey
Tatou nei panni della crittologa Sophie
Ooops!
Come tutti sappiamo nulla è perfetto. E per i
perfezionisti del cinema, la redazione cinema
è andata scovare i piccoli e immancabili errori
che vengono commessi nel girare anche le migliori pellicole. Aguzzate la vista per vedere se
riuscite a scovare altri dettagli che sono sfuggiti ai migliori professionisti di Hollywood!
1- Quando Teabing punta la pistola a Sophie
per costringerla ad aprire il cryptex, c’è
un primo piano su Langdon che dice “un
momento”con le mani alzate. Nella sequenza successiva, che riprende Teabing e Langdon, le mani di quest’ultimo sono abbassate.
2- Nella scena finale in cui Langdon è sulla piramide capovolta del Louvre, si vedono il camera man e il suo assistente riflessi nei vetri.
3- Quando Langdon e Sophie sono inginocchiati a tiro di pistola, la posizione del cryptex per terra cambia.
4- A casa di Sir Leigh Teabing, la mattina,
il momento della giornata continua a cambiare (notare il cielo e il sorgere del sole)
5- Alessandro Pope non fece mai nulla per il funerale di Newton, solo scrisse su di lui una poesia.
6- Mentre Silas parla in latino al telefono, chiama
“Parigi” come “Parisi”. Peccato che il nome latino
della città sia “Lutetia” e i “Parisi” i suoi abitanti!
7- Quando Sophie posa il suo piede sull’acque, le
sue scarpe sono già macchiate di un’alga verde.
8- Mentre sta scoprendo la cripta della Maddalena,
Langdon sposta un tappeto. Ovviamente il pavimento sotto il tappeto è abbastanza pulito ma nella scena successiva è pieno di sporco e di polvere.
Francesco Gallio
Voto: 8 (ma solo perché “La mala educatión merita 10” )
Anno: 2006
Nazione: Spagna
Durata: 120’
Sceneggiatura: Pedro Almodovar
Fotografia: José Luis Alcaine
Musiche: Alberto Iglesias
Montaggio: José Salcedo
Cast: Penélope Cruz
Carmen Maura
Lola Dueñas
Blanca Portillo
Yohana Cobo
Volver è il ritorno di
Pedro Almodovar a La Mancha, dove
è cresciuto. È il ritorno alle sue donne:
quelle che hanno fatto la sua storia, sia
dal punto di vista artistico (le attrici del
film), sia quelle della sua infanzia (la
madre e le altre donne della sua famiglia).
Il film è un intreccio di generazioni,
di madri e di figlie, di mezzi intrighi
in cui tutto ruota attorno alla presenza
incombente della madre che muore e
poi ricompare per risolvere e chiarire
ciò che il passato ha lasciato in sospeso.
L’universo maschile sembra non essere
nemmeno considerato, perché questa è
la visione almodovariana del mondo: le
eroine della quotidianità sono le donne.
In Volver vediamo un Almodovar che
ritorna alle sue origini più intime, che
ci fa partecipi della sua storia; è il film
che ha sempre voluto dirigere, forse per
fare pace con se stesso. Esteriormente
è come tutti i suoi lavori: colorato,
chiassoso, spregiudicato, ma non
aggiunge quella nota di clamore che
solitamente lo ha contraddistinto. La
trama non è di certo piatta e incolore
ma sembra mancare di quell’accento
particolare. La storia non decolla
esattamente come dovrebbe: si è sempre
pronti ad attendersi qualcosa di speciale
che non arriva e alla fine del film si
rimane con un lieve senso di delusione.
Francesca Fuoli
Sconfinare
Stile libero in viaggio
2006 Giugno
Il Cammino di Santiago de Compostela
Esperienza fisica, spirituale, sentimentale
Quando mio padre mi propose di partire con
lui per Santiago de Compostela fui subito
entusiasta, anche se pensavo che sarebbe
rimasto un sogno nel cassetto dato che non
facevamo un viaggio insieme dalla lontana
estate 2003. Invece non è stato così, e il 24
aprile siamo partiti per Madrid in aereo
da Venezia pronti per l’avventura.
Beh, dopo aver dormito per l’ultima notte in
un letto con lenzuola, la mattina del 25 aprile
abbiamo iniziato il nostro percorso a 160
KM da Santiago. Giustamente, per
cominciare, abbiamo pensato
bene di fare una tappa di “soli”
27 km, arrivando alla meta con le
gambe e la schiena a pezzi, il
collo bruciato dal sole e con tanta
voglia di lavarci e fare una bella
dormita. Il mattino seguente siamo
partiti di buon mattino anche
se le gambe facevano fatica ad
avanzare, abbiamo camminato
immersi in un paesaggio veramente
meraviglioso, quasi magico:
il Cammino infatti si snoda
parallelamente alla strada asfaltata e
attraversa dei borghi di 2-3 case, spesso
fattorie, che sembravano uscite da altre
epoche; inoltre molti tratti hanno una forte
pendenza e la fatica ti impedisce di parlare, ma
allo stesso tempo aumenta la tua capacità di
pensare, di concentrarti su te stesso, sui tuoi
sentimenti e sui tuoi rapporti con gli altri, in
una maniera che, almeno personalmente, non
avevo mai provato prima. Credo che questo
sia stato uno degli insegnamenti di questo
percorso: la possibilità di fermarsi, i non
dover far altro che camminare e pensare,
riflettere sulle cose importanti, ma che
normalmente
sono
sovrastate
da
scadenze
superflue.
L’altro grande regalo che mi ha fatto il
Cammino è stata la possibilità di passare ben
12 giorni con mio padre, sempre insieme,
poterci raccontare molte cose, e per conoscersi
meglio: abbiamo parlato molto anche di
argomenti più intimi, dei nostri sentimenti,
scoprendo un suo lato meraviglioso ma
a me fino a quel momento sconosciuto.
A partire dal quarto giorno i dolori si sono
calmati sensibilmente e quindi il percorso si
è fatto, per così dire più, semplice. In questo
modo ci siamo goduti di più ciò che ci
circondava e che si poteva attraversare solo a
piedi, abbiamo compreso il valore del tempo e
della possibilità di muoversi senza difficoltà.
Siamo riusciti a conoscere diverse persone,
perchè bene o male, i chilometri che si
percorrono in un giorno sono 25 e i luoghi dove
fermarsi a dormire sono talmente pochi che
hai difficoltà a non incontrarti: è così che
abbiamo conosciuto alcune persone con cui la
sera ci si ritrovava in albergue, distrutti
ma felici,e ci si raccontavano gli aneddoti
della giornata, sul coloro che erano oramai
diventate le macchiette del cammino.
L’ultima sera ci siamo fermati, dopo aver
camminato quasi ininterrottamente per 10 ore,
nel mega complesso che hanno costruito alle
porte di Santiago: eravamo proprio distrutti
ma abbiamo passato la serata più piacevole
dell’intero cammino, cenando con tre delle
persone con cui avevamo legato durante
il viaggio,parlando, senza far caso alla
differenza di età e ai problemi di comprensione
dovuti al fatto di parlare lingue differenti.
Il mattino seguente, siamo partiti tutti alla
volta della cattedrale di Santiago: per fortuna
era il Primo maggio e la città dormiva ancora
quando siamo l’abbiamo attraversata.
Quando siamo arrivati davanti alla chiesa tutti
ci siamo commossi. Non so se fosse dovuto
all’aspetto
religioso
della
nostra
impresa, o alla soddisfazione di
avercela fatta da soli con le nostre
gambe e le nostre spalle, ma le
lacrime di gioia venivano dal cuore
e non ero in grado di fermarle.
Poi siamo andati farci consegnare
la
Compostela,
il
certificato
che avevamo raggiunto Santiago
e, dopo al esserci riposati, siamo
andati alla messa di mezzogiorno,
durante la quale ho provato dei
sentimenti totalmente contrastanti:
l’emozione della messa,dedicata
a noi, a coloro che quel giorno
erano arrivati da mezzo mondo per
rendere onore al Santo, e la rabbia per tutti
quei turisti che durante la funzione, non
curanti della presenza di persone che avevano
camminato anche per 750 km per vivere
questo momento, facevano foto a tutto spiano,
parlando con un tono di voce totalmente
improprio per il luogo dove si trovavano.
Per concludere il mio tentativo di descrivere
questa esperienza, il mio consiglio, credenti
o meno, è di provarlo perché lascia un
segno dentro che rimarrà per tutta la vita,
che nessuno potrà togliervi e che chi non ha
fatto la medesima esperienza non potrà mai
capire a pieno.
Leonetta Pajer
Colombia: diversità culturale e globalizzazione
Scambio culturale finanziato dall’Unione Europea
Treno Venezia S. Lucia – Trieste Centrale.
Destinazione Gorizia. Il tempo sembra
essersi fermato. Guardo fuori dal finestrino
e mi perdo col pensiero... appena tornati da
un lungo viaggio si rimane sempre un po’
assopiti, passano davanti agli occhi mille
immagini che la mente tenta inutilmente di
afferrare, i ricordi sono aggrovigliati. Piano,
piano quasi
cullati
dal
lento scorrere
del tempo si
riprende il filo
conduttore
di
un
entusiasmante
viaggio
in
Colombia.
La pellicola è
finita, riavvolta, pronta per essere proiettata a
chi aspetta con ansia di sapere com’è andata.
Un giorno arriva improvvisamente la
proposta: viaggio in Colombia. Senza
sapere come, dove, quando e perché;
accompagnata
da
un
entusiasmo
irrefrenabile, accetto. Nei giorni successivi
sarà tutto più chiaro. Si chiama Programma
Gioventù. Programma della Commissione
Europea (2000 – 2006) relativo
all’educazione informale dei giovani
nell’ambito europeo. Un incentivo alla
partecipazione attiva e alla cooperazione
tra i giovani. Il progetto consta di 5 azioni:
la Gioventù con l’Europa, il Servizio
Volontario Europeo, Iniziative Giovanili,
Azioni Congiunte e Mezzi di Appoggio.
Quella a cui avrei partecipato, la prima,
prevede uno scambio multilaterale
finanziato per il 70% dall’Unione
europea tra gli Stati membri e paesi terzi
a cui possono partecipare giovani dai
15 ai 25 anni. Finalità dello scambio
sono lo sviluppo di una conoscenza e
comprensione migliore della diversità
culturale, l’incremento dell’uguaglianza
di opportunità e l’approfondimento di
problematiche legate al mondo giovanile.
Il mio scambio
dal
titolo
“
Diversidad
cultural en la
globalisación
juvenil”
si
sarebbe svolto
a
Baranquilla
a Nord della
C o l o m b i a
assieme
a
spagnoli, greci, salvadoregni e colombiani
appunto. Conoscenza della lingua:
zero. Voglia di conoscere un mondo
totalmente diverso dal mio: molta.
Dieci giorni accompagnati dal colore giallo.
Questo è il colore che predomina. La gente
è solare. La gente è comunicativa. La gente
balla. Tutta la giornata è accompagnata dal
ritmo giallo della musica, dal movimento
inarrestabile del corpo. Si balla nei
bar, si balla a casa, si balla per strada
e ballando con loro faccio il mio
primo incontro con la Colombia.
Grazie a conferenze, incontri formali
con il gruppo dirigente della regione ma
soprattutto attraverso le mille chiacchierate
con gli amici colombiani e i due indigeni
che partecipavano allo scambio con noi, ho
imparato a conoscere questo Paese. Una terra
che ospita mille culture, oltre ai colombiani
vi sono 90 comunità di gruppi indigeni,
una terra della mitologia kogui, fortemente
influenzata dallo spirito europeo, terra
di conquiste, della globalizzazione, della
contraddizione. Il binomio capitalismo povertà regna indisturbato nel Paese e il suo
apparato burocratico amministra il territorio
attraverso la corruzione, lo sfruttamento
minorile, la guerriglia che ha perso
ormai tutta la sua connotazione politica
e segue anch’essa le curve di domanda
e offerta nel mercato del narcotraffico.
Di tutto questo si parla in uno scambio,
dei problemi che affliggono i giovani. Ci
si rende conto di quanto sia importante
integrarsi in un gruppo, e di quanto si
possa imparare vivendo con persone che
affrontano realtà diverse dalla propria.
In un clima di condivisione si viene a far
parte di un’unica trama. Il progetto coglie
tutte le esigenze, le aspettative del mondo
giovanile e alla fine gli obiettivi dello
scambio sono perfettamente raggiunti...
La Colombia si impegna però a nascondere
quello che è il vero problema a chi arriva e
visita il Paese, parlarne si, ma non troppo. E
se proprio questa è l’immagine che si vuole
dare allo straniero, il mosaico non ha mai i
suoi tasselli al proprio posto. Ce n’è sempre
uno nero che spicca tra tutti gli altri. Una
vecchia donna che rovista tra i rifiuti per
cercare del cibo rimasto da un pranzo al
sacco. Quel tassello così importante vale
più di qualsiasi discorso. Il suo colore nero
è pronto a testimoniare che oltre il bene vi è
anche il male. Entrambi esistono all’interno
e all’esterno di ogni individuo come gli
Aruahki ci hanno saggiamente ricordato.
Nicoletta Favaretto
11
Shakespeare & Co.,
un piccolo angolo di
paradiso a Parigi
Parigi, un caldo luglio di due anni fa.
Ero appena approdata sulla rive Gauche,
lasciandomi Notre Dame alle spalle,
quando l’ho visto apparire al numero 37
di rue de la Bucherie: forse sono state le
pile accatastate di libri fuori dall’ingresso
o il gruppetto di ragazzi seduti per terra
intenti ad ascoltare una lettura di poesie,
ma appena è comparsa l’insegna di legno
di Shakespeare & Co. davanti ai miei
occhi ho capito che si trattava di un posto
speciale. Non potevo non entrare, e così
ho varcato la soglia, impaziente di vedere
cosa si nascondeva all’interno. Ed è stato
subito come essere catapultati in un mondo
lontano, tanti anni fa: infiniti scaffali fino
al soffitto colmi di libri polverosi, scalette
di legno appoggiate qua e là e un ragazzo
decisamente eccentrico dietro ad un vecchi
tavolo. Mi aggiravo con aria sognante tra
le montagne di volumi, per gli angoli della
libreria, quando ho notato una misteriosa
frase di Yeats vicino ad una scala di legno:
“I must go down where all the ledders start,
in the full rag and bone shop of the heart”.
Piena di curiosità sono salita per la scala
scricchiolante e mi sono trovata in una
vecchia biblioteca cosparsa di libri e letti
ovunque e sotto i letti zaini, vestiti e fogli
scritti. In cima alle scale poche lettere incise
sul muro: “Be not inhospitable to strangers,
lets they be angels in disguise”. Così,
rinfrancata dalle parole di accoglienza,
ho iniziato a curiosare per le stanze
indisturbata. C’erano ragazzi che leggevano
attorno ad un tavolo, qualcuno che faceva
il caffè in una piccola cucina installata in
corridoio e una macchina da scrivere in una
nicchia di legno. Decisamente sbalordita,
stavo iniziando a fantasticare su che
razza di posto avessi trovato, quando un
ragazzo, giunto al mio fianco, ha iniziato a
raccontarmi la storia di Shakespeare & Co.
Prima libreria americana di Parigi, aperta
negli anni ’20 da una ragazza americana
di nome Sylvia Beach, era diventata poi
anche un rifugio per poeti e ragazzi disposti
a lavorare tra i libri in cambio di un letto in
cui dormire. Così ho scoperto che era qui
che James Joyce aveva pubblicato l’Ulisse
per la prima volta, che Hemingway era uno
di casa e che tutti i migliori scrittori del
XX secolo si erano fermati qui almeno una
volta. Ho ascoltato i racconti delle vite dei
ragazzi che alloggiavano al Tumbleweed
hotel -questo è il nome dato alla parte della
libreria trasformata in ostello negli anni ’50, di chi era scappato di casa, di chi veniva
da molto lontano, di chi era rimasto una
notte soltanto. Come potete immaginare è
stato facile innamorarsi di un posto come
questo. Sono tornata a Shakespeare &
Co. tutti i pomeriggi per una settimana,
ho conosciuto personaggi folli dalle storie
più assurde, ho frugato ovunque, letto
intensamente, scoperto qualche segreto
degli abitanti di questo piccolo mondo
perduto. E’ stato qui che ho sognato, che
ho visto la Parigi d’altri tempi, che mi
sono sentita un po’ a casa. E’ incredibile
cosa possa succedere da Shakespeare &
Co., e comunque sia è un luogo da cui si
esce cambiati. Io mi auguro di tornarci
presto, e spero possiate farlo anche voi.
Agnese Ortolani
12
...CIACOLE LE XE
CIACOLE...
Il mondo è andato avanti, ma esistono
ancora, per chi compie lo sforzo di
ricercarli, sparuti baluardi di genuina
antichità. Vi sono luoghi che il tempo,
unito allo sforzo di canuti innamorati, ha
deciso di risparmiare; piccole locande
dove ogni viandante può trovare la calda
accoglienza e il conforto di un attempato
oste dai modi semplici e spontanei.
Luoghi sicuri dove riposarsi dalle
fatiche del viaggio e della vita, dove
assaporare il gusto di oziare seduti ad
un tavolo ad ascoltare ciò che la musica
soffusa e i sapori di pietanze vicine e
lontane hanno da narrare. Luoghi che
appaiono fantastiche mitizzazioni di
un passato romantico dove la persona
non è un cliente, ma un ospite atteso e
finalmente giunto, luoghi come l’osteria
“Pane e Sale”.
Arriviamo intorno alle otto, senza troppa
fretta, pregustando la serata che ci
attende. Troviamo il nostro tavolo già
pronto. Tre piatti, una bottiglia di vino,
dei fiori. Fuori dalle vetrate, la sera cala
su Gorizia con il suo plumbeo deserto.
La musica ci accoglie e accompagna
senza mai sommergerci. I quadri alla
parete si confondono nella luce fioca
creando la piacevole sensazione di
trovarsi in un ambiente domestico. Un
luogo dove essere liberi. Il mondo, le sue
preoccupazioni, la sua frenesia, le strade
desolate della città sono rimasti fuori.
Già dall’antipasto le portate paiono
minuziosamente curate, alla ricerca
d’una composizione armonica tra diversi
sapori. Piatto dopo piatto, l’impressione
non cambia: si assaporano soprattutto il
tempo di preparazione, la passione con
cui i sapori della tradizione si mescolano
alle spezie di località esotiche. Si
succedono pecorino fresco con rucola;
un’insalata balcanica con salsa di
yogurt e ajvar; frittata di erbe e funghi;
risotto al curry e zenzero; ravioli con
ripieno alle erbe e ricotta affumicata;
gnocchi con sfilacci di cavallo. L’oste
si affaccenda intorno a noi, rimane
sospeso in una dimensione in bilico tra
confidenza e dovere. S’allontana solo
per cucinare, poi siede per condividere
la sua vita, le sue opinioni ed esperienze.
Costruisce un rapporto, come se il fatto
di avere cucinato per noi fosse solo
il primo passo per una più profonda
liaison.
Giovanni De Senibus non è un
professionista. Non propone réclame
alcuna. La sua è una morale rigida,
che non cede terreno alla tentazione di
smerciare caramelle senza zucchero, o
gomme americane per l’igiene orale.
Giovanni De Senibus è un cuoco e,
come tale, è anche filosofo. Non è un
ristoratore. Non impiega listini. Non ha
cameriere. Ad accoglierti c’è lui solo;
e quando cucina, l’impressione è che
lo faccia per te, e per te unicamente,
e che in questo locale non si pasteggi
con i suoi piatti, ma con il suo pensiero.
La cucina è il suo modo di filtrare il
mondo. Perché Giovanni De Senibus non
possiede “Pane e Sale”. Lui è “Pane e
Sale”. Entrare dalla piccola porta in via
Verdi significa ritrovare un cantuccio
semplice. Spontaneo. All’antica, se
questa espressione significa l’antitesi
rispetto all’oggi. Il tutto a dei prezzi
sicuramente accessibili (visto che,
ahinoi, sempre su questo tasto si finisce
a battere). Il nostro consiglio è quello di
avvisare in anticipo del proprio arrivo, e
di affidarsi alla maestria del cuoco!!
Andrea Bonetti abonez85@libero.
it
Rodolfo Toè
[email protected]
Sconfinare
De Boca Bona
Giugno 2006
Amabile secco o fruttato: tutti i gusti dell’estate
Sta per iniziare la bella stagione! E con
il caldo e le vacanze sale la febbre da
aperitivo. Può dunque essere utile un
piccolo vademecum per conoscere meglio quello che, secondo molti esperti
intervenuti di recente a Vinitaly, sarà il
protagonista indiscusso dell’estate enogastronomica. Fruttato o
asciutto, secco o amabile, da aperitivo o da abbinare ai piatti di pesce,
senza dimenticare le bollicine, buone per le feste
non solo estive, il vino
dei prossimi mesi avrà
senza dubbio un solo colore: il bianco. Ecco allora dei piccoli consigli
per essere “alla moda”
anche a tavola, seguendo
le tendenze che maggiormente colpiranno i palati
degli amanti di Bacco.
Volendo cominciare con
i vini più vicini alla realtà goriziana, non si può
non citare il Tocai friulano (almeno finché si
chiamerà ancora così..),
il cui colore giallo paglierino con riflessi verdognoli promette aromi
floreali piacevolmente
fruttati e un gusto secco
ma vellutato, grazie alla
moderata acidità; ottimo
con i formaggi freschi.
La Malvasia istriana,
molto diffusa nella Venezia Giulia (ma anche
in Slovenia e Croazia) è
un vino dal colore giallo paglierino tenue; fresco, fruttato,
beverino e per nulla impegnativo; può
bersi come aperitivo o associarsi piacevolmente ad antipasti magri. Tra i vini
dolci segnaliamo il Picolit, dal colore
giallo paglierino intenso (tipico dei vini
da uve passite), come intenso è il profumo di fiori di campo, miele e uva passa;
dolce e vellutato al palato, denota subito la sua grande struttura. Altro vitigno
autoctono è il Verduzzo friulano, da cui
si ottiene un vino dal colore giallo carico, profumo intenso e fruttato, al pa-
lato può risultare amabile o dolce in base
alla lavorazione; eccellente per dessert e
pasticceria secca (ad esempio la Gubana).
Volendo poi allargare il nostro raggio
d’azione ad altre zone d’Italia, abbiamo
pensato di segnalarvi alcuni prodotti di altre regioni. Il primo a cui viene spontaneo
pensare in riferimento a dei vini freschi è
senz’altro un prodotto di caratura mondiale originario dell’alta marca trevigiana. Si
tratta del prosecco di Valdobbiadene, specialmente nella sua rinomata varietà Cartizze (dal nome di una fascia collinare nel
comune di Valdobbiadene). Si tratta di un
prosecco dal profumo fine, intenso, fruttato e aromatico, piacevolmente amabile e
armonico al palato. Si adatta a piatti non
impegnativi ed eccelle come aperitivo.
Non possiamo però non segnalare dei vini
in grado di accostarsi magnificamente con
i piatti di pesce, che notoriamente “colonizzano” le nostre tavole durante l’estate.
In particolare ve ne consigliamo alcuni
provenienti dal Trentino - Alto Adige, territorio per i cui vini chi scrive ha una particolare venerazione. Il Müller-Thurgau è
senz’altro uno di questi prodotti. Il colore
è giallo paglierino con riflessi verdolini, il profumo
delicato e lievemente aromatico, il sapore asciutto,
fresco, fruttato, armonico;
si accosta principalmente alla trota ma anche a
sfiziosi formaggi a pasta
morbida. Il Riesling renano
dell’Alto Adige è un vino
dal colore giallo tendente
al verdognolo e dall’aroma gradevole e delicato di
frutti, il gusto asciutto e
gradevolmente acidulo lo
rendono abbinabile ad antipasti magri e primi di pesce.
Vini di maggior struttura e
dunque ottimi con piatti più
impegnativi sempre a base
di pesce (ostriche, frutti di
mare e vari crostacei) sono
il marchigiano Verdicchio,
dal colore giallo paglierino
con riflessi dorati o verdognoli, e il Fiano, direttamente dai colli irpini, più
secco e strutturato. Ultimo,
ma non meno importante, è un vino meraviglioso quanto la terra da cui
proviene: il Vermentino di
Gallura. Il colore è giallo paglierino con leggeri
riflessi verdognoli, il profumo sottile e delicato, il sapore secco e
leggermente amarognolo; abbinatelo a
piatti di pesce per la gioia dei vostri palati.
Massimo Pieretti [email protected]
“Io sono di quelli a cui piace stare al caffè fino a tardi. Con tutti quelli che non vogliono
andare a letto. Con tutti quelli che hanno bisogno di una luce per la notte. [...]
Non è solo questione di giovinezza e di fiducia, anche se sono bellissime cose. Ogni notte
io sono restio a chiudere perché ci può essere qualcuno che ha bisogno del caffè. [...]
Non capisci. Questo è un caffè piacevole, pulito. E’ illuminato bene. La luce è molto buona
e, adesso, ci sono anche le ombre delle foglie.”[..]
“Mentre spegneva la luce elettrica continuò la conversazione con se stesso. E la luce, naturalmente, ma bisogna
che il locale sia piacevole e pulito. Non ci vuole la musica.
La musica non ci vuole di certo. E non puoi stare dignitosamente davanti a un banco, anche se per queste ore della
notte un banco è tutto quello che ti danno.
Ernest Hemingway “49 Racconti”
Pane e sale
Corso Verdi 11
Gorizia
tel. 0481
537050
2006 Giugno
Sconfinare
Sport
Torneo universitario
Al CSKA Turismo il torneo delle emozioni.
orizia. Dopo nove intense giornate e ben
quantotto partite cala il sipario sul torneo
universitario, l’evento più sentito dell’intero
anno accademico. L’ambito trofeo è stato
alzato al cielo del Pastor Angelicus da Marco
Iodice, capitano della CSKA Turismo, ed ha
avuto nel suo mattatore l’aitante centravanti
dei vincitori, Emmanuele Moretti.
Medaglie e tanti sinceri complimenti per
i secondi classificati, i Vulcan Bargains,
autentica rivelazione del campionato. La
finale, svoltasi in una bella serata di fine
maggio, è stata una partita avvincente,
ricca di capovolgimenti di fronte, con
il risultato perennemente in bilico. La
CSKA ha prodotto una gran mole di gioco,
prendendo il comando delle operazioni sin
dai primi minuti, dimostrandosi tuttavia
sterile nei metri conclusivi. Al contrario,
i Vulcan risultavano essere pungenti con
rapide azioni di contropiede non finalizzate
solo per la cattiva serata dell’acciaccato
Marraffa, limitato da un precedente
infortunio al ginocchio. Il primo tempo
terminava sullo zero a zero ma entrambe
le squadre sembravano non avere alcuna
intenzione di mollare. Il
secondo tempo iniziava
in modo spettacolare,
con la CSKA scatenata e
vicinissima alla segnatura
proprio con Moretti, prima
lesto ad intercettare un
superficiale retropassaggio
di Bellinghieri e poi
rabbioso nello scagliare
una fucilata verso la
porta. Il palo e la traversa
strozzanavano in entrambi
i casi l’urlo di gioia del
giocatore. Ironia del calcio:
nell’azione
successiva
Adriano Trampus, erculeo
centrocampista dei Vulcan,
prima ruba palla a centrocampo e poi,
con un preciso rasoterra ad incrociare,
supera imparabilmente l’estremo difensore
avversario. La felicità dei Vulcan dura
pochi minuti, precisamente sette; è il tempo
che passa tra il loro goal ed il pareggio di
Marco Iodice, felino nella deviazione su
corner di Faidutti. La partita si infiamma
e la CSKA attacca a testa bassa e sfiora
la marcatura per ben tre volte. Fuori
per questione di centimetri. Ancora una
volta i Vulcan sfruttano una ripartenza e
purgano in contropiede: bellissimo il cross
di Mezzaroba ed il destro ad incrociare
nell’angolo alto di Filippo. Nuovo vantaggio
e catenaccio per i Vulcan. Ma non basta.
Ancora una palla inattiva, precisamente
una rimessa laterale, ancora una dormita
del pacchetto arretrato e Faidutti realizza
un goal molto simile a quello di Crespo
in Argentina-Messico del campionato
mondiale. A quel punto le energie
svaniscono, i ritmi si abbassano finchè
non si arriva alla roulette russa dei rigori.
Decisivo l’errore del difensore dei Vulcan
Antonio Esperi, eletto migliore in campo.
CSKA campione, Vulcan ci proverà l’anno
prossimo. Onore ad entrambe le squadre.
Nella finalina, netta vittoria dei Siderurgici
sulle feccie rosse, forse unica delusione del
torneo, grazie ad un impressionante Lessi
ed un energico ed instancabile Gambardella.
Senza banalità alcuna affermo che un clima
turbato come quello che il nostro calcio
sta pesantemente vivendo a causa dello
scandalo di Moggiopoli, queste piccole
manifestazioni organizzate dall’università
possono riavvicinare la gente ad uno sport
tra i più belli del mondo e far dimenticare
l’inquinamento morale e materiale che
il business e gli interessi economici
hanno prodotto nell’universo del pallone.
L’obbiettivo sarebbe di sottolineare come
una partita sia sempre un gioco e non un
affare o peggio un lavoro. Infine, il livello
di gioco apprezzato durante il torneo è
stato discreto, lo spettacolo folkloristico
e l’ambiente quasi famigliare, ideale non
solo per gli studenti ma anche per tutti
coloro che volessero rilassarsi e divertirsi
semplicemente al martedì ed al mercoledì
sera. Tutto questo rappresenta un invito a
tutti quelli che amano
il calcio e la migliore
pubblicità per questo
meraviglioso sport.
Marco Di Liddo
13
Calcetto femminile
Una squadra insolita
E anche quest’anno è finalmente
arrivata l’estate, ed è arrivato anche
il momento di tirare le somme sulle
attività sportive del CUS. Noi,
assieme ad altre ragazze (Cate,
Mira, Susanna, Desirée, Valerie,
Carmen, Giulia, Francesca, Isabella,
Jane, Valeria, Elena, Erinda, e
Lydie) abbiamo deciso di provare
l’esperienza del calcetto femminile.
Nonostante i maliziosi commenti dei
nostri compagni maschi, ci siamo
divertite veramente tantissimo.
Ovviamente la tecnica non era molta,
ma la voglia si, e così ogni lunedì
sera ci trovavamo in qualche
palestra (che poi col caldo è
diventata campetto) per tirare 4 calci
“in
amicizia”.
Purtroppo
non
essendoci
un
torneo
femminile
non
abbiamo
avuto molte occasioni per mostrare
al mondo quanto siamo dei
fenomeni... Abbiamo disputato una
sola partita, formando squadre miste
con dei simpatici “volontari” del
SID, visto che la squadra femminile
di Udine (temendo le nostre grandi
doti) ha dato forfait. Il prossimo
appuntamento (a meno che
non vi siano cambiamenti
di
programma)
è
il
28 giugno, proprio contro il polo
di Udine al (...nome del campo...).
Aspettiamo dunque un pubblico
numeroso e, nel mentre, cogliamo
l’occasione
per
ringraziare
coach Domenico e la sua infinita
p a z i e n z a . . .
Giulia e Leonetta
Nuove frontiere dello sport universitario femminile
Intervista alle sette studentesse che hanno deciso di sperimentare il rugby
inglese
Da marzo 2006 Noemi De Lorenzo, Roberta (Cortina) De Martin, Francesca (Fra)
Fuoli, Arianna (Turin) Olivero, Francesca
(Rosy) Rosada, Chiara Taverna (tutte del
I S.I.D.) e Anna Rizzoli (III anno di Relazioni Pubbliche), si incontrano settimanalmente in via dei Faiti. Hanno deciso di
tentare una sfida davvero interessante, sotto
la guida dei loro “coaches”, Edoardo Buonerba (II S.I.D.) e Marco Chimenton (III
S.I.D.): imparare a giocare a rugby. “Sconfinare” le ha intervistate per scoprire le peculiarità di questa squadra tutta femminile!
Il rugby è tradizionalmente uno sport maschile: perché avete deciso di praticarlo?
Chiara: “Per rompere questi stereotipi maschili che limitano l’accesso
femminile a molti sport interessanti”.
Rosy: “E perché è uno sport inusuale, perlomeno tra le ragazze”.
Infatti...Voi, però, praticate rugby all’inglese. Quali sono le differenze rispetto a quello americano?
Rosy: “ Per prima cosa la palla, più
grande di quella americana, può essere passata solo indietro. Poi è ammesso
il placcaggio (bloccaggio dell’avversario) solo del giocatore che tiene la palla”.
Turin: “E non abbiamo le divise imbottite perché è meno violento”.
Anche se è meno violento, però, prevede degli
allenamenti intensi. Com’è stato all’inizio?
Tutte:
“Durissima!”
Rosy: “La prima volta che abbiamo fatto il giro del campo di corsa a
momenti ci lasciavo un polmone!”
Però...E come vi sembra questo sport
ora che lo conoscete direttamente?
Chiara: “E’ uno sport da signore!”
Anna: “C’è una filosofia dietro, che implica il rispetto non solo delle regole di gioco, ma anche dell’avversario”.
Rosy:
“Cosa
che
manca in altri sport più in voga...”
Concordo pienamente. Quindi lo consigliereste anche ad altre ragazze.
Anna: “Certo! Non esiste una taglia corporea
per praticarlo. Va bene per qualsiasi fisico”.
Chiara: “Anzi, speriamo che qualcuno si aggiunga, perché dobbiamo raggiungere i 15 elementi!”
Magari qualche lettrice raccoglierà l’invito! E sugli allenatori...?
Tutte:
“Sono
super-professional,
simpatici,
pazienti...”
L’anno
prossimo,
però,
andranno
all’estero.
Come
farete?
Fra:
“Giocheremo
a
tennis!”
Turin:
“Andremo
a
Lisbona
(meta
di
Edoardo)!”
Cortina:
“Beh,
Rosy
terrà
un
corso
di
can-can...”
Chiara: “No, dai. C’è un vice, Diego (Pinna, I S.I.D.). Ci seguirà lui.”
E a quando la prossima partita?
Cortina: “La prima vorrai dire!
Ancora
non
lo
sappiamo”.
Beh, ragazze, speriamo sia presto,
perché vi vogliamo vedere in campo. In bocca al lupo a tutte
voi!
Isabella Ius [email protected]
14
Sconfinare
Relax
Giugno 2006
Moda mondiale
di Mattia Mazza
Cari amici fashion, dopo un mesetto siamo di nuovo qui per parlare di glamour.
Come i più scaltri di voi sapranno, la moda
ci accompagna in qualsiasi ambito
della vita di tutti i giorni; ma oggi ci
troviamo a vivere una situazione che
si presenta solo una volta ogni quattro anni: chiaramente sto parlando
dei tanto amati mondiali di calcio!
Pensavate che i nostri illustri vati stilisti ci avrebbero abbandonati al caso
per questa meravigliosa circostanza?
Certo che no! Essi, infatti, hanno creato delle linee ad hoc per farci sentire
adeguati e in sia per recarci a vedere
le partite nelle piazze o nei locali o a
casa con gli amici, sia –per coloro i
quali avranno la fortuna di vederle dal
vivo- per far schiattare di invidia i tedeschi, i quali –tendenzialmente- non
brillano per eleganza (cito solo i famigerati Birkenstock –anche quelli creati
per i mondiali- con i calzetti bianchi)!
Ebbene per quelli che non vogliono
sbagliare e desiderano mantenere un
look sportivo, Adidas offre una linea
veramente completa dagli occhiali da
sole, alle scarpe, dai borsoni alle tute.
Sulla stessa scia ci sono anche Dirk
Bikkembergs (anche con la nuova linea
Bix), il quale offre un set total look coloratissimo e dai tagli puliti, e la classica Nike, che però delude per eccessiva
banalità proponendo le maglie dei giocatori e delle normalissime scarpe da
abbinarci. H&M presenta t-shirts, pantaloncini e costumi per uomini, donne
e bambini e il tutto a prezzi veramente
contenuti. Ma in quanto a costumi, imbattibile è la Parah, la quale ha creato un
bikini tricolore molto elegante per coinvolgere anche l’universo femminile e magari
far sentire tutte le fanciulle come la bellissima testimonial Elena Santarelli, sopravvissuta a “L’Isola dei Famosi 2”; per i
ragazzi Calvin Klein ha creato biancheria
intima tempestata da loghi tricolore per i
tifosi più “intimamente” convinti. Carine
sono le scarpe di Cesare Paciotti: il bianco-rosso-verde va bene, ma l’argento ricorda quello dei pacchianissimi giubbotti
sfoggiati dalla squadra azzurra nelle
recenti Olimpiadi invernali di Torino.
Per gli appassionati di orologi, Tissot
ha creato “one more time” un banale orologio in acciaio con due minuscoli palloncini da calcio: lasciamolo
tranquillamente ai collezionisti. Una
menzione speciale la merita Bulgari che ha creato una cravatta di
estrema finezza in quanto combina
piccoli particolari che ricordano il
mondiale, senza scadere nell’eccesso rendendola portabile anche nelle
occasioni più formali senza dare nell’occhio. L’oggetto più trendy, però,
è il chiccosissimo pallone di jeans e
pelle pregiatissima (forse umana!) di
DSquared2, forse non sarà adatto per
la spiaggia e l’acqua di mare, però
sicuramente non rovinerebbe il delicatissimo nuovo praticello dell’università di via Alviano! Ma di tutto
questo, cosa indossa la nostra nazionale? Dolce&Gabbana hanno pensato
ai nostri giocatori creando dei bellissimi vestiti per le trasferte e serate dei
mondiali, con abiti scuri dal taglio
sottile e fornendo loro degli occhiali
da sole semplicemente meravigliosi.
I due stilisti hanno creato anche una
linea di biancheria intima indossata
(solo quella!) dai nostri calciatori in
migliaia di cartelloni visibili da qualsiasi punto di una grande città come
Milano. Però, ahimè, a mio avviso la
coppa per l’eleganza la vincono gli Inglesi vestiti da Giorgio Armani...La coppa dei mondiali, invece, speriamo di vincerla noi, FORZA AZZURRI (e oro)!!!
IL GIOCO DEL MESE
di Giulia Pizzini & Valeria Setti
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Definizioni:
UNIVERSITÀ
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SORBONA
LAUREA
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TOCAI
PALAZZO ATTEMS
BAZZARINI
PUG
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VILLESSE
CORMONS
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FRIULI
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Strane storie:
i Veterani
delle Guerre
Future
Una delle più note abitudini degli universitari è la passione per gli scherzi complicati,
che i college americani hanno elevato allo
stato di arte. Una delle burle di maggior
successo nella storia degli Stati Uniti è senza dubbio l’Associazione dei Veterani delle
Guerre Future.
Questa poco nota organizzazione dal nome
ossimorico nasce nel 1936, negli Stati
Uniti. Nel gennaio di quell’anno, infatti,
la lobby dei veterani della Grande Guerra
era riuscita a far ratificare al Congresso un
anticipo di dieci anni nell’erogazione delle
pensioni di guerra, allo scopo di far fronte
alla Depressione. La notizia diede a Lewis
Gorin, studente a Princeton, un idea innovativa: perché non consegnare in anticipo
tutte le pensioni di guerra, anche quelle di
chi non aveva ancora avuto occasione di
combattere? Data la situazione internazionale dell’epoca, era chiaro che una guerra
era imminente, quindi perché non dare ai
futuri soldati il loro premio quando potevano goderselo, invece di aspettare il dopo,
quando molti di loro sarebbero stati morti?
Lewis discusse l’idea con un amico, Thomas Riggs Jr, e nel marzo del ’36 Patriotism Prepaid, il manifesto dei Veterani delle
Guerre Future, fu pubblicato. Il documento
richiedeva il pagamento anticipato di un
bonus di 1000 dollari più interessi (cifra
notevole per l’epoca) ad ogni cittadino maschio tra i 18 e i 36 anni, ed ebbe una tale
risonanza che nel giugno dello stesso anno
l’organizzazione contava 50.000 iscritti
paganti che avevano adottato il Saluto Sociale: braccio destro sollevato in direzione
di Washington, con il palmo rivolto verso
l’alto, in richiesta (una parodia del saluto
fascista, che si stava diffondendo in Europa). Sulla scia dei Veterani Futuri nacquero
altre associazioni simili, tra cui le Future
Madri dei Caduti (che richiedevano al Governo di essere inviate in Francia a visitare
le future tombe dei loro figli), i Futuri Corrispondenti di Guerra e addirittura i Futuri
Pescecani di Guerra. In origine l’intenzione dei Futuri Veterani era stata quella di ridicolizzare sia il bellicismo che la politica
assistenzialista, ma fu l’aspetto pacifista
dell’associazione a divenire dominante, e a
garantirle un importante articolo su Time.
Come era legittimo aspettarsi, le vere associazioni di veterani non gradirono l’iniziativa, e tacciarono ripetutamente i Futuri
Veterani di insufficiente patriottismo, mentre un rappresentante del Congresso dichiarò tale organizzazione “indegna di pubblica
attenzione” aggiungendo che sarebbe stato
compito di “ogni vero Americano” denunciarla. Non furono però le critiche a segnare
la fine dell’associazione, quanto piuttosto
la noia: per la fine dell’anno si decise che
lo scherzo era durato abbastanza, e le 584
cellule locali dei Futuri veterani si sciolsero senza clamore. A loro onore va detto che
la quasi totalità degli ex membri servirono
durante la Seconda Guerra mondiale
Luca Nicolai
15
Sconfinare
Go and Go
2006 Giugno
Univerza, mladi in Evropa
Pogovor s predsednikom Pokrajine Enricom Gherghetto
Gorica, 20. junija.
Začnemo s splošnim vprašanjem. Bi
lahko na kratko predstavili upravne načrte vaše politike za mladino?
Lahko rečemo, da cela uprava je usmerjena mladini: to velja za univerzitetne
zadeve; za rekreativni svet, kjer sedaj organiziramo vrsto glasbenih koncertov; za
delovni svet, kjer prenavljamo službeno
področje. Iz tega vidika smo torej zelo
aktivni. Potem obstajajo tudi prispevki iz
deželnega zakona za mladinske politike.
Če gledamo na Univerzo, kaj
misli vaša uprava storiti za
razvoj univerzitetnega središča?
Imamo dve težavi. Prva je težava s
stavbami posebno za videmsko univerzo. Skušamo rešiti ta problem s stavbo Palazzo de Bassa in dvorano pri
ITIS Galilei. Dežela pa je prispevala
4.500.000 evrov za prenovo kompleksa
Stella Mattutina. Naslednja je politična
težava povezana z učenjem. V pokrajini imamo dve pomembni univerzitetni smeri, Mednarodne in Diplomatske
Vede v Trstu in tečaj Javnih Odnosov v Vidmu. Dali smo na razpolago
celo mesto in porabili velike vsote denarja, ampak ni spodobnega priznanja.
Mislite združiti ta dva tečaja
v ipotetični Univerzi v Gorici?
Ne. Mislimo, da bi bila povezana vsak s
svojo Univerzo. Bil bi pa dve avtonomni fakulteti, ker znanje postaja osnovna
prvina če hočemo, da bo Gorica postala evropska pokrajina. Zid je bil na vi-
dezu nekaj grdega, ampak si se lahko bo več meje, ko ne bo več evropskih
prispevkov, kaj nam
naslanjal na njem.
bo ostalo? Ostane
Zdaj ga ni več in potržiško pristanišče,
staja potrebno neko
ki je najbližje srednji
pomožno orodje,
Evropi in predstavlja
kar je lahko znanje.
goriška vrata, oziroSedaj bom postavil vprašanje,
ma zemljepisni center.
ki ni v kontekstu
Naravni gospodarski
ampak se zdi poos Villesse-Lubjana
bo velika prvina gotrebno: Kaj pomeni dejansko geslo
spodarskega razvoja.
Gorica evropska
Čez dve leti bo lažje
pokrajina?
voziti se do LjubljaSmo v dobi globaline kot do Pordenona!
Vrnemo se k naši tezacije. Naša globalizacija je tista mreža
matiki. Vpostavljam
oddaljena 500 mevam kritiko goriških
študentov, ki menijo,
trov in ljudje, ki
da ima Gorica neko
živijo na oni strani.
vrsto imobilizacije.
Zmeraj pravim, da
Kaj vi mislite o tem?
smo prva črta gloČe je to resnično,
balizacije. Vprašali
kaj bi naredili, da bi
ste kateri so vidiki
rešili tako težavo?
globalizacijskega
Je vse res. Imamo
pogleda. Jaz pa bi
dva pojma: pojem
lahko vprašal kaprekinjene zgodovine
tere vidike lahko
in pojem obnovljene
pogledamo samo
zgodovine. Prvi pojem
iz vidika globalizapostavlja Gorico v
cije. V Milanu ali
središče Oglejskega
drugje kaj takega je
Patriarhata in Avknjiževnost, tukaj
je vsakdanjost. Obstroogrske Monarhije.
stajajo tudi nosilni osi. 60% pokrajin- To je večkulturni pojem. Za zahod Goskega gospodarstva je v izvozu. Ko ne rica je prvo vzhodno mesto, za vzhod je
prvo zahodno. Torej Gorica ima celoten
poklic, ki se je vzgradil v stoletjih. V
nekem trenutku se zgodovina prekini:
prva in druga svetovna vojna. Po vojni
prejšnji prijatelji postanejo sovražniki in
imamo razne boje in nasprotja. Ampak
prihaja Evropa, zid propada in imamo
prve odnose med Gorico in Novo Gorico. To je zgodovina obnove. Ni pa tako
enostavno. Veliko ljudi je, ki ni še nikoli
bilo v Slovenji in verjetno ne bo nikoli prekoračil meje. Ampak to je naravni
poklic za Gorico, tudi če ni enostavno.
Mesto je nezaupljivo. Stvari pa se spreminjajo, treba je imeti samo potrpljenje.
Postavim vam še eno kritiko. Če gledamo na kulturno ponudbo v Gorici se zdi, da manjka neka spodobna
reklama ali neko usklajevanje med
prireditvami. Kaj menite o tem?
Gorica je mesto notranjih dvorišč. To je
naš značaj. V Rimu pa imajo balkone.
Manjka pri nas malo sinergije. Ampak
bom jaz postavil vprašanje študentom.
Poznate vi vse vaše priložnosti? Imate
kakšne ideje? Dobro. Zmenil se bom
s svojim asesorjem za kulturo, da bi
ustvarili neko skupino študentov, ki
bi z nami sodelovala. Težava ni v tem,
če poznamo svet študentov ampak je v
tem, če študentje vedo kaj o nas. Prava priložnost je aktivirati vaše glave.
Emmanuel Dalle Mulle
Prevedel Federico Butkovic
Umetnost, ki prekoraci vse meje
Obe Gorici bosta sedež razstave sodobne umetnosti, ki postaja vedno bolj čezmejna in evropsko usmerjena
Preprost zidek in mreža, samo to
zaznamuje eno izmed najbolj vročih mej
prejšnjega stoletja, meja, ki je predstavljala
delitev med vzhodom in zahodom, med
komunizmom in kapitalizmom, med
Gorico in Novo Gorico. Stvari pa se
spreminjajo in spremembe so začele že
dolgo pred zaključkom hladne vojne.
To sta omogočili dobra volja in želja po
medsebojnem sodelovanju obeh enot
tistega ozemlja, ki je bilo nekoč zedinjeno.
»Arcipelago 06« je druga izdaja festivala
sodobne čezmejne umetnosti (Festival
d‘arte contemporanea transfrontaliera),
ki bo potekal od prvega do osmega
julija ob obmejni črti, ki gre od mejnega
prehoda »San Gabriele« do Solkana
in na trgu »Piazza Transalpina«, nekoč
ekonomski in kulturni center enotnega
ozemlja, pozneje pa obmejni trg, priča
dveh realnosti. Poraja se vprašanje,
kako lahko trg, točka, kjer se združujejo
ljudje in ulice, postane mejnik?
Trg naj bi imel vlogo združevanja in
razstava Arcipelago mu simbolično
predaja to vlogo. Umetniška dela
razpršena in različna so kot otoki, ki
morje zakonskih odlokov in birokracije
ločuje enega od drugega, a jih obenem
združuje oblika, saj umetniška dela
zlahka gredo skozi
najrazličnejše
m e j a .
Razstava obenem
je tudi povod
za mnoge druge
kulturne pobude,
kot
recitacije,
gledališke
predstave,
animacije
in
glasbeni koncerti.
U m e t n i š k a
dela, ki so letos
razstavljena
emblematično predstavljajo uspeh
te pobude, v enem samem letu se
je število prisotnih umetnikov kar
podvojilo in slednji predstavljajo
mnoge države; od Bosne-Hercegovine,
Hrvaške, Srbije in Slovenije do
Italije, Nizozemske ter Škotske.
Že v drugi izdaji se razstava odpre Evropi
in s tem potrjuje pomembnost kočljive
tematike, ki jo predstavljajo meje, obenem
pa predstavlja trud, da bi končno vse
meje bile premagane. Poleg vsega tega
trg sam predstavlja eno izmed evropskih
mej, ki gredo od Pirenejev do Egejskega
morja in ki jih skušamo odpraviti.
Razstavljena dela
so advangardna in
umetniki večkrat
uporabljajo
neobičajna
sredstva – več ali
manj
učinkovita
s
katerimi
pritegniti pozornost
obiskovalca in mu
posredovati svoja
čustva in ideje.
Nasvet
je,
da
si
zamislimo
razstavljena
dela kot eno celoto, v italijanščini
nam to prikazuje že sam naslov
Arcipelago-otočje, skupina otokov.
Obenem pa si lahko ob posameznem
umetniškem delu, otoku, zamislimo
in z mislijo prestopimo meje.
»Sconfinare« - prestopiti meje je za nas
najpomembnejša misel, ki ne predstavlja
samo rdečo nit, ki vodi gledalca skozi
razstavo, temveč mora postati vrednota
za vsakogar, ki se nahaja v tem
»obmejnem« mestu. Tudi mi študenti
smo prišli v Gorico s to zamislijo,
z voljo, da bi prestopili vse meje.
Prav zaradi vseh teg zgoraj omenjenih
razlogov popolnoma podpiramo trud vseh
organizatorjev razstave: PROLOGO iz
Gorice in KREA ter LIMB iz Nove Gorice
in si voščimo, da bi vsak obiskovalec
razstave za trenutek pogledal onstran
meje in si zamislil eno samo združeno
okolje, en sam trg brez zidka in mreže.
Francesco Allan Cudicio
Prevedel Samuele Zeriali
16
Sconfinare
Go and Go
Dva obraza iste realnosti
1906-2006
BOHINJSKA ŽELEZNICA
Dograditev
železnice
leta 1906 je bil zaključek
dolgoletnega procesa, ki je
obnovil prometno mrežo,
ki je povezovala Gorico
z ostalimi deli cesarstva.
Proces se je začel nekaj let
prej, ko so prišli v Gorico
C.V.Czoering, funkcionar,
ki je imel nalogo preveriti
vse možnosti, ki bi
omogočale razvoj tega dela
»Kustenlanda« in družina
nemškega izvora Ritter.
Slednja je izbrala Gorico
za sedež svojih dejavnosti.
Izbira je imela izredni
pomen za Gorico, saj so Ritterjevi
pritiskali na cesarsko oblast, da bi Južna
železnica, ki bi povezovala Dunaj s
Trstom in ki jo je finansirala družina
Rothscild, peljala mimo Gorice. Razlog
za to zahtevo je bila potreba povezav
za dostavo izdelkov in trgovanje s
Trstom ter drugimi centri AvstroOgrskege. Do tega je prišlo leta 1860.
Zgraditev železnice pa je povzročila
določene urbanistične spremembe.
Železnico je bilo treba povezati z mestnim
središčem in tako je nastala cesta, ki
danes ni nič drugega kot znameniti
»Corso Italia« oz. Najpomembnejša
ulica,
ki
pelje
skozi
mesto.
Južna železnica ni zadostvovala novim
potrebam po sodobnejših povezavah
za trgovanje. Železnica sama je
pospešila trgovanje ne samo družine
Ritter, temveč cele vrste manjših in
večjih trgovcev in družb (obrtniki in
proizvajalci vina) ki so se tako preselili
v Gorico in tu uspešno obratovali.
Lokalne oblasti so razumele, da le nova
železnica, ki bi peljala do Koroške,
to je najvažnejšega trgovskega centra
za goriške trgovce in obrtnike, bi
lahko bila kos povečanemu prometu.
Ta železnica je današnja tako zvana
»Bohinjska železnica«, ki je prišla v
Gorico šele leta 1906. Razlogi, da je bila
zgrajena komaj na začetku 20. stoletja
so bili tehnični problemi vezani na
nedostopnost ozemlja, ki pa obenem
nudi potniku lep razgled celotnega
ozemlja. Železnica je bila pomemba
avstrijskim oblastem ne samo zaradi
ekonomskih razlogov temveč tudi
vojaških,saj je dovoljevala hiter
premik vojaških enot do meje z Italijo.
Ta poteza pa se je pozneja pokazala
za strateško zelo šibko točko, saj je
postala med prvo svetovno vojno lahko
dosegljiva tarča za obstreljevanje.
Leta 1906 pa je prihod železnice
predstavljal za Gorico donos novih
moči in dohodkov z dograditvijo
novih ulic in zgradb v neposredni
bližini železniške postaje. Trgovci
so tako bili čim bližji postaji, kar
je pozitivno vplivalo na trgovanje s
Koroško. V čudni igri vsode je Gorica
dosegla svoj višek le osem let pred
vojno, po kateri so tu nastale nove
meje, ki so odrezale Gorico od njenega
zaledja in nenadoma vse te železniške
povezave so bile neuporabne in zamanj.
Vseeno do druge svetovne vojne so
lokalni trgovci uporabljali del železnice
za trgovanje z ozemljem ob Soči. Tudi
to ni trajalo dolgo. Po drugi svetovni
vojni pa je prišlo do novih sprememb,
ki so onemogočile še to poslednje
trgovanje in celo odrezale železnico od
mesta za katerega je bila le-ta zgrajena.
Giangiacomo Della Chiesa
Prevedel Samuele Zeriali
OMBELICO DEL MONDO
»Piazza Transalpina« bi lahko postal center mesta, ki je končno dobilo evropsko dimenzijo
9. julija 1906 je
potekala
slavnostna
otvoritev »tranzalpinske
železnice«,
ki
je
povezovala Dunaj s
Trstom z vmesno postajo
v Gorici. Tako je Gorica
postala
pomembno
postajališče in mesto
skozi katerega je potekala
najpomembnejša
železnica celotne AvstroOgrske; železnica, ki je
povezovala prestolnico
- Dunaj s Trstom edinim
pristaniščem cesarstva.
V sto letih pa se je
slika mesta Gorice
popolnoma spremenila.
Minuli so časi, ko je znameniti
trg predstavljal središče celotnega
ekonomskega življenja mesta Gorice.
Mesto je v tistem času bilo bogato,
kulturno pomembno in mlado. V
poznejših časih ( k sreči preminulih)
pa je isti trg predstavljal prelomnico
med dvema ideološko / politično
popolnoma različnima svetovoma.
Obdobje hudih ideoloških konfliktov
je mimo. Danes se lahko brez težav
primerjamo in sporazumevamo s
sosedom onstran meje predvsem z
uporabo angleščine, ki je dobila status
internacionalno uporabljenega jezika;
uporabljamo isto denarno enoto in
končno so napotili časi vzajemnega
sodelovanja v skupnih projektih, čeprav
se spopadajo z različnimi težavami.
Prav ti projekti bi lahko predstavljali
sredstvo, ki bi pomagalo Gorici pri
rekonstrukciji svoje preteklosti kot
pomemben kulturni in ekonomski center.
Ni moja naloga rešiti problema s
katerimi se mesto spopada, bil bi tudi
nemočen pri tem, menim pa, da je
moja dolžnost obveščati o težavah, ki
jih Gorica ni zmožna rešiti in postaja
vedno manj gospodinja same sebe.
Gorica s svojim ozemljem mora strmeti
za take cilje, ki vključujejo tudi Novo
Gorico in obe skupaj (Gorica in Nova
Giugno 2006
Gorica) morata ciljati
na uresničitev tistega
ozemlja, ki je že
obstajalo, ozemlja, ki
ni več ločeno temveč
edinstveno s skupnimi
cilji. Za uresničitev
tega cilja niso dovolj
le
predavanja
in
skupne
kulturne
pobude,
ob
njih
morajo stati projekti
za uresničitev skupnih
objektov:
cestni
promet,
železnica,
skupna univerza v
evropskem
duhu...
Gorica in Nova Gorica
napočil je čas izbire,
ki vama nudi možnost,
da postanete enotni in pomembni na
evropski ravni in samo tako bo lahko
»Piazza Transalpina« postala center
in simbol ozemlja v skupni Evropi.
Marco Brandolin
Prevedel Samuele Zeriali
Casino in pokopalisce Nove Gorice
Pred dnevi sva Giorgia in
jaz
aključno odkrila majhno,
nepoznano in zapuščeno židovsko
pokopališče, ki se nahaja v
neposredni bližini državne meje in
bolje znanega “Casino Fortuna”.
Pokopališče je težko dostopno
in nek mož, v katerega dvorišče
sva neopazno zašla, nama je
obrazložil, kako priti do njega.
Presenetljivo je bilo dejstvo, da nas
je ogovoril v perfektni italianščini,
medtem ko lahko na eni roki
preštejemo tiste, ki onstran meje
v Gorici obvladajo slovenščino.
Sledila sva danim navodilom
in dospela do pokopališča, v
bližini katerega nemoteno teče
potok. Voda je bila Židom zelo
pomembna, saj je bila simbol za
življenje, ki se nikoli ne prekine.
Predno bi vstopila se trenutek
vstaviva, ne samo kot znak
spoštovanja da kraja večnega počitka,
temveč predvsem zaradi zapuščenosti
v kateri se pokopališče nahaja.
Okrušeni in razmajani nagrobni
kamni, iz katerih se z veliko težavo
razbere ime tistega, ki tamle počiva,
med temi tudi imena pomembnih
družin Morpurgo, Michaelstaeder…
Burja in dež bosta kmalu zabrisala
za vedno še tisto malo čitljivih
napisov in tako izbrisala za vedno
pomemben del naše zgodovine.
Našo pozornost je nato pritegnila
vrsta grobov z istim datumom
smrti 1910, poleg tega pa nobena
razlaga o tem kar se je bilo zgodilo
vsem tistim, ki so v tako velikem
številu preminili v istem letu.
Paradoks predstavlja, ob zidu
postavljen napis “Casino Fortuna”,
ki obvešča o casinoju, obenem pa
nekako vodi pogled mimoidočega
na zapuščeno pokopališče…in
ironično povezuje igro s smrtjo.
Najbolj pa zaboli dejstvo, da je
bil Casino postavljen prav ob
pokopališču za katerega nihče
se ne zmeni in katerega sledi
bodo kmalu izbrisane, tako
da bomo za vedno prikrajšani
dela naše domače zgodovine.
Arianna Olivero
Giorgia Turel
Prevedel Samuele Zeriali