Elisabetta Rasy: una letteratura della concentrazione

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Elisabetta Rasy: una letteratura della concentrazione
giornalino 06 ok
12-05-2006
9:41
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Elisabetta Rasy
martedì 20 giugno
con la musica di Javier Girotto in duo con Luciano Biondini
Elisabetta Rasy: una letteratura della concentrazione
di Emanuele Trevi
Da La prima estasi al
recentissimo La scienza
degli addii, da Posillipo a
Tra noi due, la scrittura di
Elisabetta Rasy è segnata
da un tasso di originalità
che ha pochi paragoni
nella letteratura italiana
contemporanea.
valida per tutta l’opera il
modo di lavorare di
questa scrittrice, parlerei di
una letteratura della
concentrazione.
Questa non è solo una premessa
esterna, sulla quale poco ci sarebbe
da dedurre. No, la concentrazione è
evidente in ogni pagina della Rasy,
liminari, di incerta definizione (un bellissimo esempio di questa “terra di
confine” o addirittura di waste land
esplorata senza tregua dalla Rasy è il
rapporto madre-figlia raccontato in
Tra noi due). Allora, bisognerà pensare a un modello di rappresentazione più complesso, e insieme più
obliquo, per questa scrittrice che
persegue sì una strenua fedeltà alle
cose, ma non ha nessuna fiducia
Nasce nel 1947 a Roma, dove torna a vivere dopo aver trascorso l’infanzia a Napoli. L’ambiente
familiare precario e cosmopolita e l’alternarsi in casa di molte lingue, influenzeranno il suo stile
di scrittura. A Roma studia all’Università Storia dell’arte e collabora con numerose riviste culturali. Negli anni Settanta è attiva nel movimento femminista ed è tra le fondatrici delle
Edizioni delle donne. Negli anni Ottanta fonda con Pier Vittorio Tondelli e Alain Elkann la rivista
«Panta», scrivendo inoltre articoli per il quotidiano «Paese Sera» ed altre testate giornalistiche. Nel
1985 esordisce nella narrativa con La prima estasi, romanzo che inaugura la “storiografia dell’interiorità”. La Rasy si muove su due registri: da un lato narra storie di personaggi realmente
esistiti come in L’ombra della luna, dall’altro intreccia autobiografia e fiction come nei romanzi
Posillipo e Tra noi due. Autrice largamente apprezzata all’estero, in Italia Elisabetta Rasy ha ricevuto numerosi premi, tra i quali il Campiello, il Flaiano e il Premio Napoli. Bibliografia La lingua della nutrice, Edizioni delle Donne, 1978; Le donne e la letteratura, Editori Riuniti, 1984; La
prima estasi, Mondadori, 1985; Il finale della battaglia, Feltrinelli, 1988; L’altra amante,
Garzanti, 1990; Mezzi di trasporto, Garzanti, 1993; Ritratti di signora, Rizzoli, 1995; Esercizi di
lettura, Corraini,1996; Posillipo, Rizzoli, 1997; L’ombra della luna, Rizzoli, 1999; Tra noi due,
Rizzoli, 2002; Succede a Roma, Corraini, 2004; La scienza degli addii, Rizzoli, 2005.
Personalmente, mi vengono in mente
solo due autori altrettanto restii alle
strade maestre ed altrettanto difficili
da sottomettere a rassicuranti classificazioni: Cristina Campo e Raffaele La
Capria. Ma si sa che queste
“famiglie” di irregolari non sono in
grado di creare vincoli o di suggerire
strategie prevedibili. Tanto più che
la Rasy, al momento di
concepire un suo nuovo
libro, sembra venir posseduta da una forza centripeta, da un richiamo
che pervade lo spazio
della mente senza consentire vie di fuga o prevedere
distrazioni. Ecco, se
proprio dovessi definire
con una formula
dove svolge un ruolo attivo, direttamente sperimentabile all’atto della
lettura, allo stesso titolo di una figura
retorica o di un movimento dello stile.
La sentiamo all’opera sia che la scrittrice affondi il bisturi della memoria
nella sua stessa esistenza, sia che, per
esempio, ci racconti la storia
d’amore, meravigliosa ed infelice, di
Osip Maldel’stam e della sua indimenticabile Nadezda. Non c’è differenza perché lo sforzo, e la meta di
questo sforzo, sono identici in un caso
e nell’altro: dare all’oggetto inseguito
con le parole il massimo di evidenza,
di definizione, di nitore. Ma attenzione: questa purezza di contorni non
appartiene mai, a meno di non cadere
nell’eterno equivoco “realista”, alla
cosa in sé. Tanto più che l’indagine
della Rasy punta spesso e volentieri
verso territori psicologici ambigui,
forma, che si distingue per
un certo grado di elaborazione, potrà ambire,
una volta arrivati
all’ultimo colpo di lima,
all’autenticità che si
desiderava in partenza, e
che in letteratura (come
in ogni altra forma d’arte)
è un risultato che bisogna
meritarsi, e non un dono
di natura ricevuto una
volta per tutte. Per usare il
celebre binomio di Angelo
Maria Ripellino: dove c’è
l’anima, c’è anche il
trucco – e viceversa.
nella frontalità, nello sguardo diretto.
La precisione dello sguardo, insomma, ricorda quella di chi contempla
un oggetto riflesso in uno specchio, o
rovesciato sul fondo di una camera
oscura. La Rasy, che conosce a fondo
la storia dell’arte, sa bene quanto
questi “trucchi” hanno reso possibile,
nella pittura, un autentico contatto
con quella realtà che, proprio per il
suo carattere di realtà, ha continuamente bisogno di essere inventata per
risultare in effetti visibile.
In altre parole,
Elisabetta non arretra mai
di fronte alla convenzione
e all’artificio, come vorrebbe un certo populismo
estetico contemporaneo,
perché sa che solo ciò che
ha stile, che possiede una
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