I FONT

Transcript

I FONT
I FONT
INTRODUZIONE GENERALE
Gli esperti
in grafica
computerizzata
hanno delle
conscenze
che i grafici
tradizionali
non hanno.
Ma vi sono
delle conoscenze
che vanno al di là
della grafica
computerizzata
o di quella
tradizionale,
che tutti
coloro che si
occupano di
comunicazione
dovrebbero
conoscere...
Negli ultimi anni si è visto un vero boom della grafica
computerizzata. Questo boom ha portato professionalità e
conoscenze nuove tra coloro occupano di grafica, ma (come capita
spesso) si stanno anche perdendo professionalità e conoscenze di
altro genere.
In altre parole, l'avvento della grafica computerizzata e in particolare
quella web (sia essa intranet o internet) ha portato a delle nozioni
non si sommano alle conoscenze che avevano i grafici precedenti,
ma in qualche maniera sono complementari. Molti studiano tuttavia
il linguaggio HTML o come si usano i programmi di grafica, ma
pochi conoscono le nozioni di base delle grafica. Quindi,
professionalità molto alte ma su temi diversi.
Questo è dovuto a molte cause, compreso il fatto che la grafica
computerizzata è accessibile a molte persone, fortunatamente è
uscita dal cerchio di una conoscenza per pochi e molte persone vi si
cimentano.
Spesso anche all'interno di un'azienda non ci si rivolge più ad un
grafico specializzato, ma "ciascuno fa da sé".
Si pensa che un programma che ha molte funzioni grafiche possa
sostituirsi alla scuola di grafica e con un po' di esperienza e un po'
di professionalità si fanno le cose (diapositive per presentazioni,
impaginazione dei bollettini aziendali...) che prima erano compito di
una figura professionale specifica, che però non aveva imparato da
sola ma aveva avuto scuola.
In secondo luogo, la grafica computerizzata è tanto affascinante
che ha invaso il campo della grafica tradizionale, senza che
avvenisse il contrario: su giornali e riviste domina una specie di
grafica elettronica, perfino in TV vanno per la maggiore schermate e
cornici pseudo-informatiche. Mentre i grafici tradizionali hanno
fornito minor contributo alla grafica computerizzata.
Questo in fondo è un peccato, perchè vi sono delle regole che si
sono affinate addirittura con i secoli, che sono delle pietre miliari
nella comunicazione, e che sono basate su dei presupposti
psicologici importanti.
Chi impara l'HTML non parte insomma dalla conoscenza di quali
sono i criteri di leggibilità, gli equilibri, le proporzioni, eccetera, che
erano la base di chi imparava non troppi anni fa a produrre una
pagina, un dépliant o un libro. Oggi si parte da altre basi, con
conoscenza nuove e avanzate, ma che mancano spesso di alcuni
elementi che potrebbero essergli utili. Volete qualche esempio?
Mi sono accorto ultimamente che pochi programmatori HTML
sanno quali sono le caratteristiche fondamentali dei caratteri di
stampa (sia essa una stampa su carta che su uno schermo video).
Mi sono anche accorto che alcune persone (magari sono un
punto di riferimento internazionale nella programmazione HTML o
almeno di certa professionalità) dimenticano alcune regole
fondamentali della comunicazione.
Mi rendo conto che sta per andare persa una conoscenza dei
quali debbano essere le proporzioni tra le colonne, tra i caratteri,
quali siano le regole degli allineamenti e del perchè possano essere
leggibili più facilmente.
Vi dico queste cose per spiegare perchè nella prossima pagina farò
un accenno (anche se sommario ed incompleto) ad alcuni elementi
fondamentali della comunicazione in generale.
IL PRIMO COMANDAMENTO
V
i è un comandamento, una regola fondamentale che deve ispirare
il lavoro del grafico. E' una regola che vale per tutte le sue scelte,
deve essere sempre tenuta presente.
Come se ciò non bastasse, è una regola che non riguarda solo il
lavoro ( e tutto il lavoro) del grafico, ma deve ispirare anche altri lavori
(quello del giornalista, dell'insegnante, del presentatore televisivo...),
dove svolge un ruolo altrettanto primario.
La regola è: dovete sempre mettervi nei panni del destinatario del
vostro messaggio.
Tutto qui? Si, tutto qui. Ma non è poco. Se riuscirete a comrpendere a
fondo la enorme portata di questa regola, siete già a buon punto del
vostro lavoro.
Perchè ci si renda conto della portata di questa regola, vi farò due
esempi.
Un famoso giornalista italiano dirige un quotidiano. Il target del suo
giornale è un pubblico benpensante e conservatore. Ad un certo
punto si rende conto di fare un giornale che lavora di fioretto in
mezzo ad una moda di carta stampata che riporta scandali, titoloni
cubitali, eccetera.
Cosa fa? Si adegua e propone fotomontaggi spinti, tesi ardite. Cosa
succede? Il suo pubblico si disaffeziona. A questo giornalista
(potrebbe essere -che so- Montanelli) si può dare 10 e lode come
giornalista, o come editorialista, ma una brutta pagella come
direttore.
Meglio che cambi mestiere, non c'è che dire!
Altro caso. Altro pubblico.
Un pubblico che aderisce ad un partito estremista.
Il direttore fa esattamente come il precedente:mette titoloni cubitali,
pensa di esporre tesi ardite e paventare complotti internazionali
contro la propria ideologia.
Dal punto di vista della ragione sarà quel che sarà, ma dal punto di
vista della comunicazione questo secondo direttore fa benissino il
suo mestiere: si adegua alle esigenze e alle aspettattive del suo
target.
Notate che i due direttori hanno fatto più o meno le stesse cose, ma
uno sbaglia l'altro fa bene il proprio mestiere.
La regola esposta sopra può essere detta anche in altro modo:
Quando impostate la grafica, tenete sempre conto non della
situazione ambientale in cui vi trovate voi che componete, ma da
contesto in cui si trova chi vi legge!
Ad esempio, non ha nessuna impostanza come vedete la vostra
pagina web su uno schermo da 20", quando sapete che il lettore
userà nel 90% dei casi un 14". E' un errore che vedo fare anche da
grafici famosi, ma è un errore marchiano!
Altro esempio di come tener conto del contesto in cui sta il
lettore..
Tenete presente il lettore tipico delle vostre pagine web è collegato
da casa e gli scatti salgono. Permettetegli di scaricare le pagine e di
leggerle poi off-line, oppure mettete messaggi coincisi.
Statoistiche alla mano, nessuno sta molto tempo davanti ad una certa
pagina web. Si clicca e si va. Ormai i tempi di lettura devono essere
molto accorciati!
Il fatto che voi (il grafico o il giornalista) siete magari in azienda con
un collegamento fisso e non pagate gli scatti vi porta ad una
"discrepanza" con i tempi ottimali di lettura da parte del vostro lettore
che ha fretta perchè sta pagando. Quindi, anche qui occorre uno
sforzo per mettervi nei panni del vostro destinatario!
Senza entrare nel merito della scelta del messaggio, anche la sua
presentazione grafica conta. E molto.
La presentazione grafica infatti
1 - dev'essere coerente. Ad esempio, che senso ha sparare titoloni
enormi su un nonnulla? Il lettore sarà dapprima incuriosito, ma poi
resterà deluso e sconcertato.
2- deve facilitare la lettura. Non deve infastidire l'occhio, affaticarlo
con font inadatti, corpi troppo piccoli, interlinee inadeguate, troppe
parole per colonna, eccetera.
Ciascuno di questi punti (es. "quante parole vanno in una colonna?")
sono stati studiati a fondo. Sono tutti punti che occorre conoscere,
perchè obbediscono ai "comandamenti" fondamentali della
comunicazione in generale (più che della grafica) e dovrebbero essere
sempre tenuti presenti dal grafico.
A ciascuno di questi punti cercherò di dare una risposta : sarà
purtroppo una risposta veloce e un po' affrettata, non potrò
dimostrare il perché e il per come do per buono il risultato, senza
dimostrare la sua importanza e confutare le tesi opposte : ma questo
non vuole pretendere di sostituire un corso che sostituisce gli anni e
anni di un corso di grafica professionale.
FONT
L
a parola “font” indica il disegno del
carattere.
I caratteri oggi usati nel mindo occidentale
sono quelli romani.
Diverse informazioni sulla proprietà,
catalogazione e consigli d'uso circa i vari
caratteri si hanno visitando questa pagina
(storia dei font).
Qui si riprenderanno solo alcuni concetti
sulle loro dimensioni e leggibilità, e poi si
passerà (nella prossima pagina) a discutere
dell' interlinea e della carenatura.
LE CARATTERISTICHE DEL FONT
Le dimensioni del font sono descritte come
“punti tipografici” o “corpo” Si dice ad
esempio: “times in corpo 12”, ovvero “il cui
corpo misura 12 punti tipografici”.
IL CORPO
I punti si misurano in altezza, e si leggono su
un normografo sovrapposto a un gruppo di
caratteri, leggendo la distanza tra il loro punto
più basso, ovvero quello di un’asta
discendente (ad esempio, la gamba di una q
minuscola) e il punto più alto (ad esempio,
l’asta di una d minuscola). Misurare un font
sotto forma di punti ha dei notevoli svantaggi,
perchè ci dice molto ma non ci dice
abbastanza. Ad esempio, vi sono dei font che
hanno delle aste molto lunghe, e una scritta
con un certo corpo risulta meno leggibile
rispetto ad un’altra scritta con il medesimo
corpo ma con aste più brevi ed invece
occhielli più grandi (vedi figura). Si parla per
questo anche del “nero” di un font, che viene
espresso come la misura tra i due punti più in
alto e più in basso di una lettera x. Non
confondete il nero col neretto ( o “bold”) , che
è una delle alterazioni, assieme al corsivo
(italic), eccetera. Notate che il corpo indica
solo una misura in senso verticale. Non è
detto che una lettera in corpo 12 sia più
grande di una lettera in corpo 10. Significa
solo che è più “alta”. Quindi, una lettera in
corpo 10 (es americana) può essere “più
grande” (= occupare una superficie totale
maggiore ) di una lettera in corpo 10 (es
Helvetica condensed).
Le dimensioni di una lettera sono legate
dunque al corpo ma anche al disegno del
font.
Quindi, quando valutate il corpo da attribuire
ad un testo, valutatelo assieme al font
prescelto, e non da solo. Provate a fare un
esempio. Impaginate una pagina con un
times. Scalate il font fino a renderlo leggibile
appena, magari con fatica. Ora trasformate il
font times in americana, a parità di corpo:
vedrete che di colpo il vostro testo scende di
qualche riga (sembra che diventi più lungo!) e
pare che sia di corpo maggiore!
A parità di corpo vi sono dunque caratteri più
o meno leggibili.
Come regola generale, i caratteri più antichi
(ad esempio, il settecentesco “Bodoni”) ha
degli occhielli più piccoli e aste più lunghe. I
caratteri più moderni (il Times) ha aste più
corte. Ne consegue che se volete far stare più
testo in una pagian conviene ricorrere al
times, se volete dargli più respiro o occupare
più spazio a parità di font vi conviene usare
un carattere come il Bodoni. Notate che il
Bodoni dà alla pagina una sensazione di
maggiore vuoto, mentre il times conferisce
una sensazione di maggior compattezza,
risulta più estetica in molte situazioni.
Il corpo non è un buon indicatore delle
dimensioni del font, ma solo del suo
ingombro verticale. Non si direbbe, ma queste
due scritte hanno lo stesso corpo. Quello a
destra ha infatti le spalle - i tratti discendenti
molto lunghi, e l'occhio piccolo. Quello a
destra il contrario...
L'UNITA' DI MISURA
Come si diceva- è il "punto tipografico". Tutti
coloro che preparano pagine web o sono
espeti di grafica computerizzata conoscono
questa unità di misura, ma probabilmente
pochi sanno a cosa corrispone.
I punti sono misure molto complicate, sia
perchè vi sono "punti" non uguali tra di loro
(si parla di "punto Cicero", "Didot", "Pica"...)
e poi perchè non sono basati sul sistema
metrico decimale. Anche qui si tratta di
residui che ci si trascina dietro per ragioni
storiche. L'unità di misura "punto tipografico"
viene incontrata dal disegnatore quando
questi sceglie il font per le scritte in "truetype". A cosa corrisponde questa unità?
Il "punto" è un dodicesimo della "riga"
tipografica.
- La riga nella trazione europea è di 4,512 mm
e quindi il "punto Didot" è di 0,376 mm.
-Oggi si usa molto il sistema anglosassone,
basato su una riga di 4,217 mm
e quindi su un punto di 0,351 (che sarebbe il
"punto Pica").
La dimensione in punti di un carattere va dal
punto più basso dei caratteri che hanno
un'asta discendente (come la q o la g) al
punto più alto di un carattere che ha un'asta
che sale (ad esempio, la d). Per questo, se si
vuol sapere quanti punti ha una riga scritta ad
emempio su un quotidiano o su una rivista,
occorre andare per tentativi, valutando non
solo un carattere ma un gruppo di caratteri.
Un gruppo più o meno numeroso a seconda
del contenuto in aste che salgono o
scendono. Per compiere questa operazione si
usa un righello trasparente (chimato
"normografo) che riporta i valori in punti, e
che viene sovrapposto alla riga che si vuol
misurare. Si fa coincidere il punto più basso e
quello più alto del gruppo di caratteri con una
serie di marcature sul normografo, fin che
coincidono. E si legge il valore in punti sul
normografo.
E' invece impossibile leggere i punti sullo
schermo. Anche se si riduce il "foglio"
elettronico a uno zoom 1:1, vi è una
approssimazione notevole.
Quali "FONT" devo scegliere per la mia
pagina?
a - il tipo di font.
Scegliete il font in base
1-alla sua leggibilità e
2-alla destinazione dello stampato (AL
GENERE di stampato e al TIPO di stampa)
- IL GENERE: un manifesto dev'essere di
grande richiamo, non potete imporre alla
gente di fermarsi e leggere con cura. Un
quotidiano può essere di lettura più
impegnativa.
- IL TIPO di stampante: un conto è se dovete
stampare ad aghi (180 punti per pollice) o con
stampa tipografica (1200 punti per pollice...)
Un font con grazie è molto leggibile e
scorrevole. Non a caso molti programmi per
computer partono attribuendo d’ufficio il font
“Times” ai documenti nuovi. Per titoli e brevi
testi è spesso usato un altro font senza grazie
(tipo Arial o Helvetica) che conferisce la
sensazione di maggior “richiamo”, è più duro
e un po’ più “gridato”. Ricordate che anche i
caratteri senza grazie hanno una loro
eleganza, molto “pulita” e moderna.
A volte questa eleganza è molto spinta (si
veda l’Avant Garde) ma proprio per questo va
bene per una scritta molto breve e raffinata
(es. per il logo di uno stilista, il marchio per
un profumo o per una pagina grafica) ma se
applicato ad un testo qualunque (un cartello
di divieto di sosta o un biglietto ferroviario)
questa sua eleganza può apparire una
leziosaggine.
Siate sempre cauti nell’usare font strani e di
fantasia, rischiate di dare un’impressione di
dilettantismo e di cattivo gusto.
In ogni caso, potete mettere più font in una
pagina, a seconda dello scopo espressivo
che si prefigge. Ad esempio, potete scegliere
l’Arial per i titoli e il Times per il testo. Non
eccedete comunque con la varietà dei font.
Avere sul computer molti font può forzare la
mano, e molti principianti si lasciano
prendere dall’entusiasmo. Non ho mai visto
una buona grafica con più di tre font sulla
stessa pagina. Al punto che ho coniato una
battuta : la qualità di un impaginato è spesso
inversamente proporzionale al numero di
font impiegati.
Quindi, due regole : per prima cosa, non
usate font strani per testi lunghi. Usate
caratteri fantasiosi solo per pagine molto
grafiche, d’impatto e comunque fate prima un
po’ di pratica coi font più comuni. In secondo
luogo, non mescolate troppi font.
b - le dimensioni del font.
Il font dev’essere ben leggibile e non deve
affaticare l’occhio. Scegliete le dimensioni
(=ovvero, scegliete i numerini che
corrispondono al corpo) in base alla
stampante che userete. Per una stampante
relativamente economica (tipo quelle a getto
d’inchiosto normalmente in uso nelle case e
negli uffici) potrebbe andare bene un font tipo
Times a 10 o (meglio ancora) 12 punti. Se la
stampante è migliore (ad esempio, la stampa
professionale fatta in tipografia) la risoluzione
è molto superiore, e quindi potete usare un
corpo più piccolo, certi che il risultato sarà
più nitido di quello che vedete a schermo. Ad
esempio, potete scegliere lo stesso font a 10
punti. Siccome il Times è molto leggibile a
parità di corpo (per quanto detto sopra) per la
stampa professionale potete scegliere anche
un corpo inferiore. Non a caso molte riviste o
quotidiani sono stampati a 9/10 punti.
Le righe rosse dimostrano che queste tre scritte hanno lo
stesso corpo.
La leggibilità tuttavia è molto diversa: l'arial al centro può
essere letto ocn molta maggior facilità, e comunque ad una
distanza maggiore...
c - le alterazioni del font.
E’ noto che un font può essere reso sia in grassetto che in
corsivo che come “sottolineato”. Vi è anche qualche altra
alterazione meno nota , il “barrato” (gli anglosassoni lo usano
in certi documenti legali ecc, ma lo ritengo di importanza
irrilevante) e il maiuscoletto, su cui invece ci soffermeremo un
po’. Il “grassetto” (in inglese “bold”) aumenta lo spessore del
tratto del carattere a parità di corpo. Conferisce alla pagina più
“nero” e (sempre a parità di corpo) rende il carattere più
leggibile anche se non di rado lo rende anche molto meno
elegante. Lo si può usare per evidenziare frasi o parole nel
testo oppure per i titoli e/o titoletti.
Il corsivo prevede l’inclinazione verso destra del disegno
del font. Serve a differenziare parti del testo rispetto al resto.
Vi sono font che hanno un corsivo che io trovo molto elegante
(come il Garamond) altri corsivi lo sono molto meno del testo
in tondo. Il testo che non è in corsivo si chiama “in tondo”
quello che non è grassetto è chiamato “in chiaro”.
Tutte queste varianti (grassetto, corsivo, ecc.) possono
essere a loro volta sotto forma di maiuscolo o di minuscolo.
Anche qui si tratta di una particolarità troppo nota per parlarne.
Vi è anche il maiuscoletto, ovvero un maiuscolo ma con un
corpo inferiore. Il maiuscoletto potrebbe essere definito come
l’introduzione in un testo minuscolo di un maiuscolo con un
corpo inferiore : ad esempio, l’introduzione in un testo in corpo
10 di un maiuscolo ma in corpo 7. Questo espediente permette
di introdurre un maiuscolo ma che non abbia un impatto così
forte come quando si introduce un maiuscolo vero e proprio, e
lascia l’aspetto generale del testo più uniforme.
Il maiuscolo “strappa” la continuità del testo, altera
sgradevolmente la continuità dell’interlinea. Il maiuscoletto
evidenzia un parola senza alterare il rapporto tra scrittura e il
bianco dell’interlinea, perché assume una dimensione che
assomiglia a quella dell’occhio dei caratteri minuscoli. Può
risultare quindi molto elegante al posto del maiuscolo quando
vi sono parole maiuscole dentro nel testo.
Non ha naturalmente alcun senso per titoli, che sono al di fuori
del testo. Per tradizione il maiuscoletto viene usato per le
bibliografie.
In genere il maiuscoletto è un maiuscolo con il 70% del corpo
del testo normale. Quindi in un testo in corpo 30 il
maiuscoletto è il maiuscolo ridotto in corpo 20, se il corpo è un
21 il maiuscoletto sarà un 14, e così via.
Le alterazioni descritte possono anche sommarsi in qualunque
modo. Quindi, si può trovare l’indicazione : “M/m” (testo in
minuscolo con le lettere maiuscole quando serve, ad esempio
dopo il punto fermo). “M” (tutto maiuscolo) “m” (tutto
minuscolo). Si possono dare allo stampatore indicazioni tipo :
“Times corpo 9 corsivo chiaro” (corsivo ma non grassetto) ,
oppure “Times corpo 9 grassetto tondo M/m” il che significa
che si vuole il documento in font Times, in corpo 9, in
grassetto - non in corsivo e con il tasto in maiuscolo eccetto
quando serve il maiuscolo (iniziali ecc.).
INTERLINEA E CRENATURA
Gli esperti
in grafica
computerizzata
hanno delle
conscenze
che i grafici
tradizionali
non hanno.
Ma vi sono
delle
conoscenze
che vanno al di
là
della grafica
computerizzata
o di quella
tradizionale,
che tutti
coloro che si
occupano di
comunicazione
dovrebbero
conoscere...
L’INTERLINEA Un altro elemento impostante è l’interlinea, ovvero la distanza
tra una riga e quella sotto. Come il corpo, anche l’interlinea è una misura che
ha un rilievo solo ed escluivamente in senso verticale. Qual’è l’interlinea
ideale? La risposta è piuttosto complicata. Se l’interlinea è ridotta, il testo
perde molto in leggibilità. Questo ha dei fondamenti di fisiologia: quando
l’occhio arriva alla fine della riga, va a capo, ma se gli inzi delle varie righe
sono molto vicini tra loro, ecco cjhe l’occhio resta incerto su quale sia la riga
successiva allaprima, e si fa una certa fatica.
Si fa anche fatica a seguire una riga a causa dell’interferenza delle righe
superiore ed inferiore che interferiscono con una lettura rilassata. Davanti ad
una interlinea scarsa si ha dunque una lettura faticosa e difficoltosa. Una
interlinea troppo grande non presenta questi problemi. Ma troppo spazio
verticale tra una riga e l’altra “annacqua” esteticamente il testo, lo rende
sparpagliato sulla pagina, e naturalmente fa in modo che un testo breve
occupi più pagine di quello che dovrebbe.
Si è andati allora alla ricerca di un’interlinea che fosse equilibrata ed estetica.
Per prima cosa, si è pensato che un’interlinea dovesse dipendere dal corpo. E’
chiaro che venti punti di intrelinea tra due righe in corpo 6 sono eccessivi,
mentre gli stessi venti punti per un corpo 70 sono troppo pochi. Si è pensato
di proporre una interlinea di tipo proporzionale, ad esempio, del 120% del
corpo. Un corpo 6 dovrebbe avere il 120% di interlinea, un corpo 12 il 120%...
Le cose funzionano abbastanza bene se i corpi sono piccoli. Per titoli o per
corpi grandi un’interlinea proprozionalmente adatta ad un cropo picoclo pare
all’occhio eccessiva. In altre parole, il 120% va benissimo per il corpo 10 o il
corpo 12, ma per il corpo 24 o per il corpo 60 è troppo grande.
Nelle pubblicazioni pregiate si adotta per i titoli una correzione manuale
dell’interlinea, in molti programmi che girano su personal si può ricorrere
all’opzione “auto” , che corregge l’interlinea in maniera standard. Anche con
“auto” quale grafico preferisce ridurre un pochino l’interlinea per i titoli più
grandi, che “stanno meglio” se un pochino ravvicinati verticalmente. Questo
equilibrio classico della pagina viene oggi spesso travolto, perchè si
preferisce per ragioni espressive adottare un’interlinea esageratamente
grande per i testi o tanto “compensata” per i titoli da far toccare ai font di una
riga quelli della riga sopra o sotto. Sono alterazioni finalizzate a dei fini
espressivi che di per sè sono molto interessanti, ma occorre che il grafco
conosca le regole prima di poterle trasgredire.
SPAZIATURA E CRENATURA
La spaziatura tra i caratteri è evidentemente inferiore a quella che vi è tra una
parola e l’altra. Se i due valori fossero vicini, la lettura sarebbe difficoltosa e
affaticante, perché il lettore dovrebbe prestare molta attenzione quando finisce
una parola e inizia una successiva, valutando la spaziatura poco differente
oppure addirittura il significato e l’ortografia della parola accorgendosi
quando essa è compiuta.
Se la spaziatura tra lettere e parole fosse eccessiva, le lettere sarebbero
addossate le une alle altre, rendendo difficile distinguere il loro disegno, e
rendendo altrettanto difficile la lettura. Nè è bene lasciare la spaziatura tra le
lettere in modo ottimale, e aumentare la spaziatura tra le parole, perché si
creerebbero delle “dilatazioni” negli spazi vuoti della pagina che non sono per
nulla estetici, appaiono come dei “buchi” bianchi. D’altra parte quando si
“giustifica” una riga la si “tira” verso il margine destro, e si introducono
comunque dei “buchi” bianchi. Occorre a forziori adottare una spaziatura
ottimale, per evitare che ad ogni lavoro della giustificazione vi sia un effetto
importante.
Tutti voi avrete senza dubbio notato che di solito ciascuna lettera non ha la
larghezza delle altre. La “i” di questo testo non ha la larghezza della “n”, e a
sua volta la “n” non ha la stessa larghezza della “m” o della “w”.
Quante lettere ci stanno in una riga ? Naturalmente il loro numero varia :
-a seconda di quante parole ci sono
-a seconda di quante lettere per parola ci sono
-a seconda di che spaziatura vi è tra lettere e parole
-a seconda di “quali” lettere vi sono.
In altre parole, una riga con molte parole brevi potrebbe contenere meno
lettere di una con poche parole lunghe, perché tra una parola e l’altra vi sono
degli spazi, e più parole ci sono più spazi ci devono essere.
Ma una riga con poche parole lunghissime potrebbe contenere anche meno
lettere, perché magari occorre andare a capo dopo solo due o tre parole
lunghe, e la quarta parola lunga è troppo lunga per star sulla stessa riga : tutto
lo spazio residuo va sprecato.
Questo discorso significa che vi è una certa casualità nella distribuzione del
numero di caratteri per riga, casualità accentuata dal fatto che occorre anche
valutare quante lettere più larghe o più strette vi sono in ciascuna riga.
Impossibile quindi definire il numero di battute per una riga. Questa
dimensione variabile dei font in senso orizzontale non è un grosso problema
per il computer, che calcola riga per riga e carattere per carattere lo spazio
appropriato. Era invece un problema molto grosso per le macchine da
scrivere, dove l’avanzamento di uno spazio del carrello non poteva dipendere
dalle dimensioni di ciascun carattere.
Per la macchina da scrivere è nato un carattere (corrispondente al Courier)
che “esagera” le grazie delle lettere strette, in modo che compensino il loro
disegno differente. Si ottiene così un carattere a spaziatura fissa, ovvero in cui
ciascuna lettera occupa uno spazio orizzontale fisso. Si diceva che oggi il
Courier non avrebbe più ragione di essere, visto che la macchina da scrivere
può essere efficacemente sostituita dal computer che calcola la spaziatura
variabile. Ma il Courier è un comunque carattere interessante nel suo disegno,
oltre che a richiamare le scritte fatte a macchina, è insomma interessante. E
non a caso lo si trova spesso anche nei vari computer, in mezzo ad altri font
proporzionali. Oggi come oggi i Courier rappresenta dunque un’eccezione ( e
il suo uso è persino un po’ stravagante) ma teniamo comunque conto che di
solito si usano dei font con un ingombro orizzontale proporzionale, eccetto il
Courier (nella sue varie versioni) che ha una spaziatura fissa.
Un’ ultima annotazione sulla spaziatura orizzontale riguarda la crenatura
(kerning). La distanza ottimale tra una lettera e l’altra varia a seconda del suo
disegno. Vi sono lettere che per un risultato estetico ottimale vanno
“avvicinate” più di altre, e certe parti di una lettera possono addirittura
“invadere” lo spazio orizzontale della lettera vicina. Si veda l’esempio in
figura. I programmi che gestiscono a video e in stampa i documenti hanno la
possibilità di controllare questo avvicinamento, mediante una “tabella” che
contiene tutte le possibili combinazioni tra le lettere. Ad esempio, se la A è
seguita dalla V inseriscono un certo spazio, se la M è seguita dalla E
inseriscono una quantità di spazio diversa, e così via (vedi a questo proposito
una apposita nota).
Combinando le lettere tra di loro per formare le varie parole, capita che la
"forma" dei caratteri possa generare delle "rarefazioni" di riempimento
piuttosto antiestetico. Notate come (a destra) le lettere siano state avvicinate
(la V è sovrapposta alle barre azzurre). .
Qui le prime tre lettere sono state avvicinate come a destra nella figura
precedente. L'avvicinamento genera un risultato estetico buono, di scrittura
uniforme. Ma qui è stato fatto solo tra la A e la V, non può essere fatto ad
esempio tra la A e la L, può essere fatta in modo differente tra la L e la O,
dove c'è ma è meno marcato, e così via.
Quindi, il kerning è una sofisticata tecnica di avvicinamento che non dipende
dal carattere (non confondetela con lo spazio occupato da ciascuna lettera
in modo diverso!) ma cambia da come capita la combinazionetra diversi
caratteri, qualunque sia lo spazio occupato da ciascun carattere preso
singolarmente.
LE COLONNE
L’allineamento
Si parla di allineamento a sinistra quando tutte le righe iniziano sotto
la stessa colonna. Si parla di allineamento a destra nel caso contrario :
quando ciascuna riga termina sulla stessa colonna. Si parla di
allineamento centrato quando ciascuna riga è posta al centro. E’ chiaro
che le varie righe sono composte da parole diverse, e quindi le varie
righe avranno ciascuna un numero di lettere differente. Le righe
saranno dunque un po’ più lunghe o un po’ più corte. Se iniziano o
terminano sulla stessa colonna, dalla parte opposta (alla fine o
all’inizio) si avrà una certa irregolarità del testo. Il quarto sistema di
allineamento è chiamato “giustificato”. Si inserisce o si comprime una
piccola quantità di spazio qua e là lungo la riga, in modo che ciascuna
riga diventi esattamente uguale alle altre, e divengano quindi tutte
uguali. Questo significa che viene alterato il rapporto tra “nero” e
“bianco” e la regolarità che si crea a livello di riga può essere
sacrificato a livello di “colpo d’occhio” sul testo.
Quindi :
a-se si usa un testo giustificato a sinistra la spaziatura tra lettere e
parole sarà resa in modo ottimale (=non ci si preoccupa delle
lunghezza della riga) ma ciascuna riga sarà un po’ diseguale e il bordo
destro del testo sarà frastagliato.
b-se invece si usa la giustificazione i due bordi destro e sinistro del
testo saranno regolari, ma nelle righe “ristrette” o “allargate” per far
loro raggiungere il bordo destro la spaziatura sarà “forzata” e quindi
apparirà all’occhio come non ottimale.
Vi sono programmi che gestiscono in modo più o meno intelligente
questo “micro-aggiustamento” degli spazi (microgiustificazione). Per
molti impieghi il testo giustificato assume quindi una qualità estetica e
una leggibilità molto buona.
Ho usato fin qui le parole maggiormente impiegate nell’ambito dei
programmi per computer. Nella tradizione della tipografia si usano dei
sinonimi che è bene conoscere :
allineato a sinistra = a bandiera
centrato = a epigrafe
giustificato = a pacchetto
Per testi lunghi è bene usare l’allineamento a sinistra o giustificato. In
particolare, sarebbe opportuno usare del testo giustificato solo quando
il numero di parole per colonna è sufficientemente elevato. Questo
perché quando vi sono poche parole in una colonna, il portare la riga
in fondo potrebbe necessitare dell’aggiunta di una grande quantità di
spazio, e rendere l’effetto molto irregolare (si creano dei “buchi” di
bianco). Ma d’altra parte se si usano colonne relativamente strette è
impensabile lasciare a destra tutto lo spazio che si crea con
l’allineamento a sinistra. Il risultato che deriva dall’uso di colonne
molto strette (ad esempio, quelle usate su molti quotidiani) è dunque
quello di colonne con del testo distribuito in modo irregolare, con dei
“buchi” tra le parole. Un metodo è quello di consentire di spezzare le
parole con l’andata a capo, ma molte interruzioni di parole rendono
accidentata la lettura, e non si può esagerare. La soluzione migliore
sarebbe quella di usare delle colonne un po’ più larghe.
L’allineamento a destra e quello centrato sono limitati a testi brevi o un
po’ particolari. Si usano per lo più per titoli o per didascalie. Non
usateli per testi standard e piuttosto lunghi. Naturalmente anche i titoli
e le didascalie possono andare bene allineati a sinistra o addirittura
giustificati. Ma i titoli, i sommari e le didascalie possono avere
qualunque altro allineamento (oltre all’allineamento a sinistra e
giustificato) ed essere esteticamente credibili. Cosa che difficilmente
accade per il testo.
Nota= Quando si parla di “testo giustificato” si intende che tutte le
righe vengono pareggiate in larghezza orizzontale, eccetto quelle in cui
termina il paragrafo, che restano allineate a bandiera. Quindi, se ci
fosse una riga corta, un punto e un a-capo, ecco che il programma di
giustificazione non tocca quella riga, che viene resa come fosse
allineata a sinistra. L’opzione (presente solo su certi programmi) che
consente di giustificare tutte le righe si chiama “giustificato forzato”.
LE COLONNE
Molto spesso la pagina è troppo larga per far stare una sola riga.
Quando l’occhio arriva in fondo alla riga e (quando deve tornare a
sinistra della pagina per andare a cogliere l’inizio della riga successiva)
deve percorrere uno spazio lungo. Perdendo riferimento con la fine
della riga precedente, “fa un po’ fatica” a cogliere al primo colpo la riga
successiva. Se la riga fosse composta da pochi caratteri, lo spazio per
andare a capo sarebbe minore, e si coglierebbe con più sicurezza
l’inizio della riga successiva. Quindi, le righe troppo lunghe creano un
certo disagio (più o meno conscio) nel lettore. Oggi si evita in tutti i
modi questo disagio, e si propongono (su quotidiani, riviste, stampati
di ogni genere) delle righe corte, a volte anche troppo. Si lasciano delle
righe a tutta pagina praticamente solo nelle lettere commerciali, dove il
mezzo usato (la stampa fatta in casa) ha una risoluzione tale da non
consentire di scendere al di sotto di un certo corpo, e quindi di
mantenere un numero di caratteri per riga ancora ragionevole. E
comunque -per produrre documenti di facile lettura e di presentazione
professionale- si usa spesso distribuire il testo su più colonne. Se le
colonne sono troppo strette, l’occhio deve andare a capo
continuamente, e la lettura diviene a singhiozzo, interrotta
continuamente da questi “a capo” continui.
Quindi, una colonna non dev’essere né troppo larga né troppo stretta.
Quanto dev’essere larga ?
Non si può dare un’idea di dimensioni assolute, perché dipende dal
corpo del testo. Una colonna larga 5 cm con un corpo elevato contiene
pochi caratteri e spezza le parole in modo insopportabile, mentre la
stessa colonna ma con un corpo 6 contiene magari un numero
adeguato di caratteri... Si dà allora un’ idea delle dimensioni delle
colonne ricorrendo al numero di parole per riga. Visto che sono giusto
le parole a dare il senso di disagio se sono troppo spezzettate o
comunque contenute in modo inadeguato su ciascuna riga. Si dà al
seguente regola: fate in modo che su ogni colonna vi siano dalle
quattro alle otto parole circa. Si tratta di una regola che impone delle
scelte necessariamente approssimative, perché le parole possono
essere molto lunghe o molto corte: possono essere costituite da una o
due lettere (come gli articoli i, il o l’ ) ma possono essere formate da
parole contenenti una ventina di lettere, come la parola
microgiustificazione... Raccomando pertanto di tenere presente questa
regola, ma di usarla con elasticità e buonsenso. Lo spazio suggerito
tra le colonne di un testo normale è di circa 0,5 cm. Naturalmente
questo spazio può essere variato, ma se diminuisce l’occhio viene
disturbato dalla riga vicina, e se aumenta si ha l’impressione di un
certo vuoto. Questo “vuoto” può essere riempito da un filetto verticale.
Il filetto “chiude” un po’ la struttura, la ingabbia, in certi casi piace in
altri meno, ma qui è questione di gusti e di contesto grafico. Se le
lettere sono molto grandi naturalmente uno spazio come quello
suggerito diventa troppo poco, perché potrebbe al limite avvicinarsi a
quello usato per la spaziatura tra le parole di una stessa riga. Il valore
della distanza tra le colonne potrebbe avvicinarsi a quello di
un’interlinea.
Ecco un esempio di quello
che succede quando il
numero di parole per
colonna è troppo basso. Il
rapporto tra parole e
larghezza delle colonne
dipende dalle dimensioni
del font. Nel caso a lato o si
aumenta la larghezza della
colonna, o si cambia
allineamento o si
diminuisce il corpo del font.
Se si si lasciano così le
cose, ecco che qui ci sono
parole "compresse " per
stare in una riga, e parole
"dilatate" con dei buchi
bianchi per farla arrivare in
fondo.
Capita spesso di vedere
queste brutture perchè chi
non è un buon grafico e
lavora a schermo ha
sott'occhio la risoluzione
bassa dello schermo, e
quindi aumenta troppo il
corpo dimenticando la
regola generale che ho
esposto nella prima pagina.
Mettetevi sempre nelle
condizioni di chi legge,
immaginate la risoluzione, i
colori e il tipo di carta e
non limitatevi a quel che
avete sotto gli occhi.
Ecco un altro
esempio,
tratto dal
Corriere
della Sera
(1998).
Anche qui si
vedono
colonne
troppo
strette,
combinate
con
l'allineament
o a pacchetto
che "forza" le
parole ad
arrivare in
fondo, e
lasciare dei
buchi (vedi
tra "to" e
"Cortina".
Questo è
brutto ma è
tollerabile nei
quotidiani
(da leggere e
buttare) non
è accettabile
in lavori che
abbiano una
qualche
pretesa di
buona
grafica.
RISOLUZIONE E DEFINIZIONE
Gli esperti
in grafica
computerizzata
hanno delle
conoscenze
che i grafici
tradizionali
non hanno.
Ma vi sono
delle
conoscenze
che vanno al di
là
della grafica
computerizzata
o di quella
tradizionale,
che tutti
coloro che si
occupano di
comunicazione
dovrebbero
conoscere...
Al giorno d’oggi si scrive e si impagina sullo schermo di un computer.
Questo schermo ha delle dimensioni molto variabili: alcuni schermi sono
da 20 pollici di diagonale, altri da 17, la maggior parte da 14-15”. Per inciso
ricordo che un pollice misura circa 2.4 cm.
Ma -dimensioni a parte- quello che conta è: quanti particolari posso
visualizzare? Questo non dipende tanto dalle dimensioni, ma dalla capacità
di elaborare molti dati da parte della scheda grafica. E' ovvio che uno
schermo economico magari non può reggere risolzioni elevate, ma ciò che
determina la risoluzione è la scheda grafica.
Gli schermi possono infatti rappresentare un numero massimo di dettagli
che è diverso a seconda della scheda grafica.
Anzi, lo stesso schermo può essere settato via software in maniera
diversa, e i tre standard tra più usati oggi sono: circa 600 x 400 (640 x 480,
ma sta andando in disuso) , 800 x 600 (il più usato) e circa 1200 x 800. Vi
sono degli schermi buoni che reggono anche risoluzioni superiori, ma la
stragrande maggioranza degli schermi lavora a queste risoluzioni.
La grande maggioranza degli utilizzatori si concentra sulla risoluzione di
800 x 600. E’ chiaro che se si ha uno schermo di grandi dimensioni (ad
esempio, 20”) è di regola conveniente impaginare su risoluzione elevate:
che senso ha avere una grande superficie se essa rappresenta solo un
numero molto limitato di pixel ?
Ma chi ha uno schermo di dimensioni relativamente piccole, spesso non ha
convenienza a salire oltre una carta risoluzione (in pratica, oltre gli 800 x
600) perché lo schermo non riuscirebbe a rendere tutta la risoluzione,
oppure si rappresenterebbero dettagli troppo piccoli, meno colori, ecc.
La differenza sta quindi nelle dimensioni dello schermo (a parità di
superficie e dimensioni dei pixel, ci sta un numero di pixel enormemente
superiore) nella risoluzione massima retta dello schermo, dalla risoluzione
massima della scheda e (all'interno di questi massimi) nel settaggio della
risoluzione (un sistema che regge i 1700 x 1200 punti può essere regolato
in modo che vada a 800 x 600).
Il risultato visivo della stessa pagina è molto diverso a seconda della
situazione. La stessa pagina può dare quindi un effetto se vista a 1200 x
800 punti su un 20”, tutt’altro effetto se vista a 600 x 400 su un 14”, un altro
effetto ancora se vista in 800 x 600 sullo stesso 14", e così via.
Questo grafico è tratto da un sito dove sono transitati centinaia di milgiaia
di utenti nella seconda metà del 2000. Per il 70-80 % sono italiani, per il 20%
stranieri. Il numero elevato di utenti rappresenta un campione significativo
dei visitatori e probabilmente anche dei navigatori italiani.
Ebbene, la prima colonna rappresenta i visitatori che avevano uno schermo
regolato su una risoluzione superiore al valore 800 x 600.
Sono meno del 20%.
La colonna la centro rappresenta coloro che dispongono di uno schermo
regolato a 800 x 600: come vedete è la netta maggioranza.
Una piccola minoranza (meno del 10%) ha schermi con una risoluzione più
bassa, come lo standard VGA (640 x 480) palmari, portatili, wap ecc. ecc..
Ne consegue che non ha senso preparare le vostre pagine web alla
massima risoluzione consentita dal vostro bel monitor: la stragrande
maggioranza dei visitatori le vedrà a 800 x 600!
E’ importante tenere presente alcuni suggerimenti, che si riferiscono a dei
casi molto comuni :
1-Se impaginate una pagina web e usate uno schermo di grandi dimensioni,
ricordate che chi leggerà ( o meglio, potrebbe tentare di leggere la vostra
pagina) con la massima probabilità avrà un 15” e una risoluzione inferiore.
Prima di considerarla fatta e finita , provate sempre la pagina su uno
schermo standard e una risoluzione standard 800 x 600.
Nel dubbio conviene stare bassi nei dettagli, lasciate una compatibilità
almeno discreta verso il basso.
2- Spesso invece voi preparerete un testo o un impaginato non tanto per lo
schermo del computer, ma per la carta. Qui le risoluzioni sono in genere più
alte di quello he vedete sullo schermo, e quindi si ha il caso contrario al
precedente.
3- Da qui la regola: quando impaginate o preparate qualcosa da stampare,
fatelo esagerando un po’ verso le risoluzioni più elevate. Quindi :
a-usate dei font più piccoli di quelli che sareste portati a fare guardando lo
schermo, che ha una risoluzione molto bassa: cica 75 punti per pollice. Le
fotounità lavorano a 1200 punti per pollice o a risoluzioni superiori, e il font
appena leggibile su schermo pare un font per cecuziente su carta!
b-mettete più oggetti e più immagini nella pagina rispetto a quello che
fareste mentre lavorate
c-fate quando possibile un’anteprima di stampa, e fate delle stampe di
prova con una stampante che sia il più vicino possibile a quella definitiva.
Questa differenza tra l’impressione che avete quando lavorate sullo
schermo e quando avrete tra le mani il testo stampato, è minima per le
stampe fatte con macchine scadenti o di bassa risoluzione, è sensibile per
le stampe fatte con le tipiche stampanti del giorno d’oggi (le stampanti laser
o meglio ancora le stampanti a getto d’inchiostro caratterizzate da 300-600
punti per pollice) ed è massima quando il testo viene stampato dalle
tipografie professionali (in cui si possono superare i 2000 punti per pollice).
Quindi, quando valutate la scelta del font, il “riempimento” della pagina, la
struttura generale della vostra pagina, fatelo considerando il dispositivo di
stampa.
Questi consigli (considerate lo schermo che hanno a disposizione gli utenti
normali, valutate il dispositivo di stampa) sono tutti dei corollari della
regola generale che ho posto all’inizio di questi scritti :
occorre sempre porsi nelle condizioni e nelle situazioni del destinatario del
vostro messaggio.
RISOLUZIONE E DEFINIZIONE
La maggior parte dei grafici che lavorano sul computer e che conosco ( e
quasi tutti coloro che conosco far grafica col computer senza essere dei
grafici veri e propri) hanno una vera ed autentica fissazione per la
definizione delle immagini.
Si preoccupano di comprare uno scanner che acquisisce a 900 punti per
pollice anziché 800, si preoccupano per la loro stampante che “arriva” solo
a 600 e non a 800, e così via. In realtà la risoluzione ben difficilmente è il
problema maggiore di un’immagine cattiva. O meglio, ci sono in giro molte
più immagini cattive per un sacco di altri motivi al di fuori della risoluzione
che hanno.
La rincorsa alla manipolazione di risoluzioni elevate comporta un dispiego
di risorse notevole (occupano spazio sull’hard disc, richiedono dischi
speciali per il lor trasporto, rendono insopportabile l’attesa quando si è in
Internet, eccetera eccetera ecc.) e per giunta rende penosa la loro
preparazione ed impaginazione, perché rallenta il computer.
Servisse a qualcosa, pazienza. Ma è del tutto inutile : pensate che la
destinazione più “professionale” che potete immaginare per una fotografia
trattata si ha quando la volete pubblicare su una rivista (ad esempio, su
una rivista specializzata in fotografia). Ebbene, il classico retino di stampa
usato è di 180 punti per pollice, e non di rado si incontrano retini con una
risoluzione inferiore (140-150 punti per pollice).
Le cose sono molto diverse per il testo (dove si può sale oltre i 1000 punti
per pollice), ma qui non serve “trasportare” la risoluzione, ovvero trattare il
testo come fosse formato da curve : si usano ormai diffusamente degli
standard che indicano che font vanno usati, come vanno disposti sulla
pagina, eccetera : la pagina vera e propria viene “ricostruita” dalle
macchine che ha in casa lo stampatore. Tanto è vero che quando si
impaginano delle riviste il problema sta nel passare alla tipografia le
immagini (che sono quelle con la risoluzione che potrebbe essere un
decimo delle lettere !) e non le pagine di testo stampato, che quasi quasi
potrebbero stare su qualche dischetto da 1,4M.
Ecco l’esempio di alcune risoluzioni caratteristiche, anche se
approssimative possono rendere l'idea. Si notino alcune differenze vistose:
la stampa professionale può avere una risoluzione di 60 come di circa 2000
punti per pollice (la differenza tra la stampa dei quotidiani e la stampa di
qualità delle lettere) o la differenza tra la risoluzione del nostro sistema
televisivo (che è oltre 800 punti) rispetto a quella massima permessa dai
videoregistratori VHS (circa 250 punti).
non si confonda la risoluzione della prima parte di mezzi (Tv e personal)
con la seconda parte (stampati). Nel primo caso si indica quanti punti di
risoluzione vi sono su tutta la ALTEZZA/LARGHEZZA dello schermo, nel
secondo caso si indica quanti sono i punti per ciascun pollice di
superficie.
Questo diverso metodo di misura sta nel fatto che coi primi mezzi si può
usare una visualizzazione diversa.
Ad esempio, se ci fosse uno schermo largo 25", il VHS avrebbe circa 1
punto per pollice di risoluzione, la stampa 2000. Ma se lo schermo fosse la
metà, la risoluzione per pollice dell'immagine VHS sarebbe doppia (2 punti
per pollice) mentre se il foglio stampato fosse la metà, la stampa
manterrebbe ovviamente sempre la sua risoluzione.
risoluzione tipica
mezzo
televisione (PAL)
lo schermo
800 x 600 punti circa
su tutto lo schermo
videoregistratore VHS
250 x 600 “
videoregistratore DV
400 x 600 “
personal tipico
800 x 600 “
personal con uno schermo molto buono
~1300 x 1000
stampante laser
300 punti per ciascun
pollice di superficie
stampa tipografica
1800 - 2400 punti per ciascun
pollice di superficie
immagini sui quotidiani
60 punti per ciascun pollice
di superficie
immagini nella stampa
180 punti per ciascun pollice
di superficie
SUNTO E NOTE
Quindi, concludendo :
1 - cos’è un font ?
- la parola “font” è difficilmente traducibile in italiano. Potrebbe
essere resa con “disegno del carattere”.
Un certo font può assumere dimensioni diverse. Può essere insomma
più grande o più piccolo. Le sue dimensioni (sia in tipografia che nei
programmi per computer) vengono scelte sulla base del “corpo”.
- Definizione di CORPO : è la misura della distanza verticale tra il
punto più alto e il punto più basso di un gruppo di caratteri.
Da questa osservazione deriva che il “corpo” fornisce un’idea molto
approssimativa delle dimensioni vere e proprie di un carattere (è una
misura solo in senso verticale) ed è molto approssimativo anche per
quel che riguarda la leggibilità (due font con lo stesso corpo possono
avere due livelli di leggibilità molto diversi). Il corpo si esprime in
PUNTI TIPOGRAFICI.
- Definizione di PUNTO TIPOGRAFICO: è un dodicesimo della RIGA
TIPOGRAFICA. Il sistema anglosassone prevede una riga tipografica
di circa 4,2 mm, per cui un “punto” è circa 0.35 (punto “Pica”).
Da qui si deduce che un corpo molto usato per la scrittura con il
computer sia a schermo che con stampanti economiche (il corpo 12)
corrisponde ad una riga tipografica, ovvero un po’ più di 4mm.
Il corpo e le “righe” ci dà informazioni in senso verticale (misura
“l’altezza” dei caratteri). Come si misura nel senso orizzontale ? In
molti casi si usano i punti “EM” o “N”. Sono espressi in percentuale
rispetto alla larghezza della lettera M (“emme”, per l’EM) e alla
larghezza della lettera N (“enne” per l’EM). Quindi, cambia al cambiare
del font. Questa unità di misura relativa al font viene usata con
profitto per la spaziatura tra i caratteri (carenatura o kerning) e per le
altre spaziature orizzontali (tra parole). Questa usanza complica un
po’ la vita a chi non è esperto, ma “allarga” o lo “stringe” le
spaziature all’interno di una riga in funzione del disegno del font : si
parla dunque di un aumento della spaziatura del 20% (o 0,2) EM,
eccetera. Evidentemente, se non si ha a disposizione un font non si
può usare la misura in EM o EN. Ad esempio, per misurare la distanza
tra una colonna o l’altra di una pagina vuota non si può usare l’EM o
l’EN, perché non si sa che M o N si userà per il testo. La distanza tra
le colonne viene misurata con misure (finalmente) generali, ad
esempio, in millimetri. Un valore di riferimento (buono per molte
occasioni) è 5mm.
-perché il corpo di un carattere viene misurato solo verticalmente?
Per la conformazione del carattere (specie se minuscolo) ciascuna
lettera occupa uno spazio orizzontale differente. Una “i” occupa uno
spazio minimo, una “o” occupa uno spazio maggiore, eccetera. Per
dare uniformità al testo, ciascuna lettera si prende dunque uno spazio
adatto al proprio “design”. Questo comportava un problema quando
si usavano delle macchine o dei codici che prevedevano una spazio
fisso per ciascun carattere : ad esempio, la macchina da scrivere
doveva poter spostare il carrello con una certa distanza fissa per tutte
le lettere, sarebbe stato assurdo avere un meccanismo che spostava
il carrello in modo diverso a seconda se si stava scrivendo una i o
una o. Sono nati per questo dei caratteri “a spaziatura fissa”, che
compensavano con il disegno le lettere strette, in modo che
occupassero più spazio e quindi potessero riempire bene il posto
prefissato, che doveva andar bene per tutti. Il carattere usato per
questo impiego ancora usato (anche nei sistemi più avanzati) è il font
“Courier” con le sue varianti. Oggi non avrebbe più motivo di essere
usato sui computer adeguati ad un lavoro di videoscrittura anche
elementare (tutti i programmi di oggi provvedono alla determinazione
degli spazi che servono lettera dopo lettera) , ma il disegno
caratteristico e tutto sommato interessante e gradevole del Courier lo
rende una delle possibili opzioni per il suo impiego qua e là.
- oltre il font
A -L’interlinea.
Molti conoscono il significato di interlinea: è la distanza verticale tra
una riga e l’altra. Si misura anch’essa in punti. L’interlinea è un valore
delicato sia per rendere il testo leggibile (occorre che non sia troppo
poca) ma per renderlo abbastanza compatto ed estetico (occorre che
non sia troppa). Molti programmi hanno un’interlineatura
“automatica”, nel senso che ne prevedono uno standard e che varia a
seconda delle dimensioni del font da voi scelte. Ma se create dei
documenti un po’ curati, dovrete spesso correggere l’interlinea dei
font di maggiori dimensioni, riducendola. Vi accorgerete che
l’interlineatura standard (=automatica) per i titoli è infatti eccessiva,
lascia delle aree bianche nella pagina che sono antiestetiche.
Avvicinando una riga del titolo a quella successiva il risultato estetico
migliora.
Quando componete dei titoli o titoletti dentro in una pagina di testo,
avvicinateli poi un po’ più al testo cui si riferiscono che al testo
sopra.
NOTA SUL KERNING
Nel corso di vari corsi e lezioni ho notato che molte persone hanno
già una nozione ragionevole di cosa sia l’interlinea, o cosa siano le
dimensioni di un font. Pochissimi hanno invece detto di sapere cos’è
il “kerning” o crenatura. Vediamo di cosa si tratta.
Immaginiamo di dover scrivere una parola qualunque, tipo la parola
latina “quare” in lettere romane. Possiamo immaginare di disporre le
nostre lettere ad eguale distanza tra di loro, ad esempio, distanziate
con un “filetto” come quello rosso riportato in figura. Se togliamo il
nostro “distanziatore, ecco il risultato della figura B. Se lo osserviamo
attentamente, vediamo che tra la V e la R ci pare vi sia uno strano
“buco”, la sensazione di un vuoto che toglie uniformità alla scritta. Se
spostiamo invece il gruppo QV più vicino alla A (è la figura c) ecco
che il tutto ci pare più uniforme. Ma la V e la A non sono distanziate
come le altre, anzi, il distanziatore risso non ci sta neppure, e noi
vediamo che lo spazio orizzontale destinato alla A è parzialmente
invaso da quello destinato alla V. Se tuttavia osserviamo il risultato
della figura D, ecco che le lettere ci paiono scritte con uniformità
migliore.
Ma la stessa cosa non la si può fare se le lettere fossero diverse. Ad
esempio, se la posto della V ci fosse un’altra A, avremmo bisogno di
tornare alla distanziatura originaria.
Se ci pensate infatti la forma della A potrebbe “chiamare” un
avvicinamento maggiore alla O, perché la sua asta destra va un po’
sotto la curva della O a ore 7. Potrebbe “chiamare” un avvicinamento
maggiore alla V, perché i disegni delle lettere sono quasi
complementari, e così via a seconda delle combinazioni tra le varie
lettere.
Ecco dunque che un grafico esperto o per un programma di
impaginazione intelligente la spaziatura tra i caratteri non è uniforme,
ma varia a seconda di che carattere si usa, o meglio a seconda della
combinazione dei vari caratteri tra di loro. Nei migliori programmi di
impaginazione vi è una tabella che contempla le varie combinazioni
possibili di caratteri, e provvede ad un “avvicinamento esperto” caso
per caso.
CENTRI DI ATTRAZIONE
Gli esperti
in grafica
computerizzata
hanno delle
conoscenze
che i grafici
tradizionali
non hanno.
Ma vi sono
delle
conoscenze
che vanno al di
là
della grafica
computerizzata
o di quella
tradizionale,
che tutti
coloro che si
occupano di
comunicazione
dovrebbero
conoscere...
La visione è un procedimento molto complesso, con molti aspetti ancora tutti
da scoprire, non ostante l'intenso studio.
Ci si può soffermare qui su un aspetto curioso: contrariamente a quanto molti
credono, la visione non funziona in modo "parallelo", ma "seriale".
In altre parole, quando guardiamo il volto di una persona o una fotografia con
un paesaggio, le parti dell'immagine "entrano" nel nostro cervello tutte
assieme. Ma non entrano con uguale dignità, nel senso che solo una piccola
parte è utile per il riconoscimento, la comprensione intelligente dell'oggetto.
L'occhio "si dirige" su dei punti uno dopo l'altro, "fa passare" le varie aree
dell'immagine e alla fine di questa scansione riconosce la persona o giudica il
paesaggio: noto o ignoto, bello o brutto, estivo o invernale, lussureggiante o
desertico, eccetera... Quindi, anche davanti ad una fotografia, ad una immagine
presente su una rivista o su una pagina web, l'occhio non si comporta come
una macchina fotografica, ma in un modo che non assomiglia nè a quello che
fa quando legge un foglio scritto, nè a quello di uno scanner (sequenziale). Si
posa invece qua e là attivamente, cercando di "saltare" le parti dell'immagine
che ritiene poco significative e "correre a individuare" le parti più importanti, le
"aree chiave" per riconoscere la situazione.
Quando si guarda qualcosa l'occhio non coglie allo
stesso modo tutte le aree. Esegue invece una una specie
di "scansione" attiva, spostandosi in sequenza da un'area
all'altra, fin che il cervello non riconosce quel che ci sta
davanti.
Questo meccanismo ci consente di trarre un paio di osservazioni interessanti:
1- se una pagina web, un manifesto pubblicitario, ecc. ha un solo punto
d'attrazione e un soggetto facilmente comprensibile, viene colto con maggior
velocità di un manifesto pubblicitario, di una pagina, ecc, con un soggetto
complicato o multiplo. Ad esempio, una pagina pubblicitaria tutta bianca con al
centro un cerchio nero impressiona più facilmente rispetto ad una pagina
pubblicitaria che riproduce una grande folla o un grande numero di
personaggi. Nel primo caso l'occhio con due o tre spostamenti si rende cubito
conto che ha davanti un cerchio nero. Nel secondo caso deve andare qua è là,
saltabeccare di colto in volto per valutare se vi è qualcuno di conosciuto,
controllare il tipo di vestiti per estrarre delle informazioni contestuali (sono
manager a un congresso? Sono studenti che partecipano a una manifestazione
di protesta? Sono una popolazione in fuga da una città assediata? Sono
europei o indiani? Sono con costumi attuali o antichi? Eccetera eccetera).
2 - a dirla in questo modo, sembrerebbe che quando si imbastisce una pagina
pubblicitaria o una pagina web si debba sempre mettere qualcosa di semplice
e immediato. Perchè costituisce un messaggio semplice ed immediato.
Potrebbe essere anche una buona scelta, e infatti in moltissimi casi lo sarebbe.
Ma ci potrebbe essere anche una scelta differente, e del tutto legittima.
Bisogna tener conto che anche un elemento molto semplice ha degli
svantaggi. Ad esempio, evita che ci si soffermi troppo, e se si obbliga la
persona a soffermarsi troppo su un elemento che è già stato riconosciuto,
l'occhio comincia a spazientirsi e va altrove. Ad esempio, se in uno spot
pubblicitario ci fosse un cerchio nero in campo bianco e basta, per alcuni
istanti lo spettatore sarebbe molto colpito da questa immagine del tutto
originale sulla TV. Ma dopo pochissimi istanti l'occhio disperato correrebbe
altrove, e comincerebbe a viaggiare attorno allo schermo, e in giro per la
stanza... Se la situazione si prolungasse oltre un certo limite, si avrebbe la
quasi certezza che lo spettatore cambi canale, o si alzi a fare qualcos'altro...
3 - per contro il porre molti punti di attrazione diviene in prima battuta meno
immediato e forse più dispersivo, il soggetto deve impiegare molto tempo per
riuscire a capire dove si trova, cosa ha davanti, che servizi offre quel sito o
l'azienda che propone quella pagina pubblicitaria... In prima battuta questo
arricchire la pagina con molti elementi apparirebbe insomma del tutto
negativo. In realtà anche l'arricchire il sito con molte opzioni ha dei vantaggi, o
meglio ne ha sostanzialmente uno: conferisce il senso di ricchezza, di
completezza. Se capitate sul sito della Ferrari (www. ferrari.it) potreste restare
colpiti, emozionati dal colore, dal marchio, dallo sbalzo della forma... E? un
messaggio con un contenuto d'emozione fortissima, ed infatti è costruito
attorno a pochi elementi. Se invece andate sul sito della Tiscali (www.
tiscalinet.it) ecco che vi si presentano mille opzioni, mille parole, finestrelle,
banner, immaginette... Insomma, in un sito come questo c'è da perdersi e vi è
poca emozione; ma il visitatore ha l'impressione che Tiscali non sia una
dittarella che vende solo cavatappi per l'esercito dell'Honduras e basta, si ha
l'impressione che dietro ci sia una grande azienda con un sacco di servizi da
offrire...
4 - La prima scelta (quella della Ferrari, quella dell'unico centro di attrazione)
attira dunque il visitatore giocando su un'emozione più "primaria", meno
razionalizzata. La secondo scelta tenta di "fidelizzare" il cliente spingendolo a
un soffermo più lungo sulla pagina, lasciandogli intendere che lì vi sono molte
cose da scoprire, e -in una parola chiave- da esplorare.
Si fa leva su questo istinto sia presupponendo che il navigatore sia un po' un
esploratore della Rete, e quindi gli si dà corda. E poi perchè lo si spinge
(mentre fruga per trovare quello che cerca) a analizzare le varie offerte che
stanno tutte attorno a ciò che egli cerca.
A questo punto dovrebbe essere chiaro che ciascuna delle due scelte ha
una propria dignità. Ma dovrebbero essere delle scelte consapevoli, delle
scelte operate a seconda del prodotto che si ha per le mani e del messaggio
che si è deciso di offrire.
E a questo punto dovrebbe essere anche ovvio che ciascuna scelta -al
bisogno- può essere "stemperata" in soluzioni intermedie. Purché
a-non siano soluzioni a metà, che non raggiungerebbero nè lo scopo della
prima scelta nè della seconda
b-non siano scelte eccessivamente estremiste. Questo discorso vale per lo più
per la scelta con molti punti di attrazione: se eccedete rischiate di generare un
effetto controproducente. Ad esempio, se vado su Lycos o su Yahoo, ci vado
solo per accedere alla casella di posta, e devo cercare due minuti l'accesso
alla posta in mezzo al bailamme di icone e di banner, ecco che posso anche
seccarmi. Allo stesso modo, non si può imporre di fare scorrere duecento voci
per trovare l'aiuto a chi vuol sapere come settare il POP della propria e-mail: si
sa che la tarifaf telefonica corre, la vita è breve e il visitatore si irrita...