10 medici senza frontiere 3/07 - Assistenza Infermieristica e Ricerca

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10 medici senza frontiere 3/07 - Assistenza Infermieristica e Ricerca
Le nuove sfide della risposta
alle emergenze umanitarie.
Lavorare con Medici Senza Frontiere
Camici candidi, strumenti sterilizzati, ambienti
asettici, odore di disinfettante misto al cibo fumante della mensa. Queste immagini consuete, un po’ stereotipate, degli ambiente ospedalieri a cui siamo abituati sfumano ben presto una
volta attraversato il confine di quella parte di
mondo che impropriamente chiamiamo occidentale. Negli ospedali africani, ma anche in molte aree del Sud-Est asiatico e dell’America Latina, le condizioni in cui il personale sanitario si
trova a lavorare sono spesso precarie. Carenza
di strumentazioni, medicinali, personale qualificato rendono il compito di un medico molto
diverso da quello che può avere in Italia.
Per questo a volte si tende a pensare che l’intervento umanitario sia una cosa per avventurieri, abili soprattutto ad improvvisare, o per
volontari spinti da pulsioni altruistiche. Certo
la flessibilità e lo spirito di adattamento restano caratteristiche fondamentali, ma la risposta
alle crisi sanitarie in situazioni di emergenza si
sta sempre più professionalizzando. Il contributo di uno staff infermieristico altamente qualificato, che sia in grado di intervenire in modo puntuale ed efficace in maniera relativamente autonoma è fondamentale. Molti infermieri italiani hanno deciso di lavorare nell’ambito dell’emergenza per portare soccorso
alle popolazioni colpite da un conflitto, da
un’epidemia, da una catastrofe naturale. “All’inizio magari si sfrutta un periodo di aspettativa generalmente di 6 mesi o un anno - spiega
Alessandra Tramontano, manager delle Risorse Umane di Medici Senza Frontiere Italia (MSF)
- Dopo una prima esperienza, molti decidono
di fare del lavoro con MSF una scelta di vita,
lasciando il loro impiego e andando ad operare nelle situazioni di emergenza in cui si trovano i nostri progetti”. Come Andrea Felappi,
32 anni di Aosta, che racconta: “La mia prima
Confronti
missione è stata nel 2001 in Guinea Conakry.
Gli obiettivi del progetto erano assistere i cittadini della Sierra Leone rifugiatisi oltre confine e iniziare la ricostruzione della rete di consultori distrutti dalla guerra. Il mio lavoro consisteva nel prendermi carico dell’assistenza infermieristica alla popolazione all’interno di un
campo rifugiati, mettendo in pratica le nozioni acquisite, sia cliniche sia di sanità pubblica.
Tornato in Italia, ho partecipato ad altre due
iniziative: a Lampedusa mi occupavo delle attività di soccorso agli immigrati, mentre a Roma ero impegnato in un progetto di accesso
alle cure per circa 500 persone che vivevano
in condizioni di vita precarie. Ora sto lavorando nella sede italiana dell’organizzazione, dove mi occupo della selezione di infermieri,
ostetriche e health promoters”.
Medici Senza Frontiere, fondata nel 1971 da un
gruppo di medici e giornalisti convinti che tutte le persone avessero diritto ad un’assistenza
medica di emergenza, è oggi la più grande organizzazione umanitaria indipendente di soccorso medico. MSF fornisce assistenza medica,
senza nessuna discriminazione di tipo religioso, politico o economico, a popolazioni che ne
hanno bisogno e, al contempo, testimonia le
loro tragedie. Per questo, nel 1999, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace. Oggi MSF
ha 19 sedi e missioni in più di 65 paesi. Ogni
anno sono circa 2000 i volontari internazionali che partono per missioni di terreno in 65 paesi. dove lavorano al fianco di oltre 22.000 collaboratori locali. L’anno scorso gli operatori di
MSF hanno curato più di 10milioni di persone,
effettuato più di 75.000 interventi chirurgici, assistito 12.000 donne vittime di violenza sessuale,
aiutato a nascere più di 90.000 bambini e vaccinato 1 milione di persone contro il morbillo
e la febbre gialla.
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MSF è sempre alla ricerca di staff qualificato
da reclutare e impegnare nelle proprie missioni. “In quanto organizzazione medica attiva in modo particolare nelle emergenze spiega Alessandra Tramontano - abbiamo
sempre bisogno di infermieri e ostetriche che
siano pronti a partire. L’anno scorso abbiamo
reclutato 175 operatori, di cui 33 profili infermieristici. Ma la domanda di assistenza
dalle aree in cui operiamo è alta e spesso non
abbiamo abbastanza candidati disposti a partire”.
Gli operatori umanitari di MSF lavorano spesso in contesti di conflitto o post conflitto per
portare assistenza sanitaria a popolazioni
vulnerabili che altrimenti non avrebbero accesso ad alcun tipo di cura. Talvolta MSF lavora anche in situazioni di stabilità dove l’accesso alle cure sanitarie non è garantito.
Grande impegno è dedicato in particolare alla cura delle epidemie (colera, malattia del
sonno, morbillo, tubercolosi, HIV/AIDS, malaria).
“Per quanto riguarda i requisiti indispensabili
- continua la Tramontano - chiediamo almeno
due anni di esperienza lavorativa nell’ambito
della clinica, un corso di medicina tropicale,
significative esperienze di cooperazione in paesi in via di sviluppo e la conoscenza di inglese e/o francese”. Informazioni più dettagliate
sui requisiti, ma anche sui termini e le condizioni del contratto, i progetti, le modalità di presentazione della candidatura sono disponibili
sul sito www.medicisenzafrontiere.it nella sezioni Parti con noi.
Per ogni altra informazione:
Medici Senza Frontiere
Via Volturno 58 - 00185 Roma
Tel: (+39) 06-4486921
Fax: (+39) 06-44869220
[email protected]
Michele Dal Cengio è un infermiere di Vicenza con una lunga esperienza in MSF.
Ha lavorato nei progetti in Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Angola,
Mozambico, Camerun
“Nel giugno 2003 sono partito per la Costa d’Avorio, in piena guerra civile. Sono rimasto per 6 mesi. Poi Congo,
Angola, Mozambico fino alla mia ultima missione in Camerun nell’estate del 2007. Ogni missione è come se fosse
la prima. Si parte perché si crede che sia giusto farlo, perché l’azione umanitaria inizia da un’indignazione, diventa
un’ostinazione, infine un metodo. Si parte carichi di conoscenze legate alla formazione e all’esperienza
professionale, e ci si trova in contesti dove le risorse sono minime e solo il lavoro d’equipe con lo staff locale
consente di colmare le lacune che sembrano insuperabili per fare corrette diagnosi e instaurare una cura
appropriata. È necessario essere aperti a culture diverse, possedere una spiccata sensibilità sociale, saper ascoltare
senza voler imporre i propri modelli culturali. L’incontro con la medicina tradizionale le diverse religioni o la
valutazione del ruolo della donna in diverse società sono banchi di prova.”
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