Prime pagine - Codice Edizioni

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Prime pagine - Codice Edizioni
Indice
IX
XIII
3
Prefazione.
Un nuovo sguardo sul lascito di Albert Einstein
Ringraziamenti
Parte I. Prima immagine.
La corsa contro un raggio di luce
Capitolo 1
5
La fisica prima di Einstein
Capitolo 2
15
Gli anni d’esordio
Capitolo 3
37
La relatività ristretta e l’annus mirabilis
61
Parte II. Seconda immagine.
La curvatura dello spazio-tempo
Capitolo 4
63
La relatività generale e “il pensiero più felice della mia vita”
Capitolo 5
81
Il nuovo Copernico
Capitolo 6
97
Il Big Bang e i buchi neri
109
Parte III. L’immagine incompiuta.
La teoria del campo unificato
Capitolo 7
111
L’unificazione e la sfida dei quanti
Capitolo 8
137
Guerra, pace ed E=mc 2
Capitolo 9
157
Il lascito profetico di Einstein
183
Bibliografia
Il cosmo di Einstein
Parte I. Prima immagine
La corsa contro un raggio di luce
Capitolo 1
La fisica prima di Einstein
Un giornalista una volta chiese ad Albert Einstein, il più grande genio
scientifico dopo Isaac Newton, di spiegare la formula del suo successo. Dopo una breve riflessione rispose: «Se A è il successo, direi che la
formula è: A= X+Y+Z, laddove X rappresenta il lavoro e Y il gioco».
«E Z cosa rappresenta?», chiese il giornalista.
«Tenere la bocca chiusa»1, replicò lui.
Erano la sua personalità, la generosità e l’arguzia ciò che i fisici,
i re, le regine e il pubblico trovavano irresistibili, che si stesse facendo paladino della causa della pace nel mondo o fosse intento a sondare i misteri dell’universo.
Anche i bambini accorrevano a frotte per vedere il “grande vecchio” della fisica che andava a spasso per le strade di Princeton, e lui
ricambiava la premura mostrando loro come riusciva a muovere le
orecchie. Ad Einstein piaceva chiacchierare in particolare con un
bimbo di cinque anni che lo accompagnava nelle sue passeggiate
verso l’Istituto per gli Studi Avanzati. Un giorno, mentre camminavano, all’improvviso Einstein scoppiò a ridere. Quando la madre del
bambino gli domandò di cosa avessero parlato, il figlio le rispose:
«Ho chiesto ad Einstein se oggi era andato in bagno». La donna rimase basita, ma Einstein replicò: «Sono lieto di avere qualcuno che
mi fa una domanda cui sono in grado di rispondere».
Come una volta ebbe modo di dire il fisico Jeremy Bernstein:
«Chiunque abbia avuto un vero contatto con Einstein conserva dell’uomo un irresistibile senso di nobiltà. L’espressione che ricorre
sempre è la sua “umanità”, […] la natura semplice e amabile del suo
carattere.»2
1
2
Pais, 1994, p. 152.
French, 1979, p. 19.
6
Parte I. Prima immagine. La corsa contro un raggio di luce
Einstein, che mostrava la medesima cortesia con i mendicanti, i
bambini e le teste coronate, era generoso anche nei confronti dei
suoi predecessori nell’insigne pantheon della scienza. Malgrado gli
scienziati, come tutti gli individui creativi, siano notoriamente
capaci di grandi gelosie verso i loro antagonisti e possano avventurarsi in dispute meschine, Einstein si diede la pena di far risalire le origini delle sue idee ai giganti della fisica, compresi Isaac
Newton e James Clerk Maxwell, i cui ritratti troneggiavano sulla
sua scrivania e sulle pareti del suo studio. Di fatto, il lavoro di
Newton sulla meccanica e la gravità e quello di Maxwell sulla
luce costituivano, al volgere del XX secolo, le due colonne portanti
della scienza. A quel tempo, incredibilmente, la quasi totalità delle
conoscenze di fisica era compresa nelle scoperte di quei due
scienziati.
È facile dimenticare che prima di Newton il moto degli oggetti sulla Terra e nei cieli era pressoché inspiegabile, e molti credevano che i nostri destini fossero determinati dai malefici disegni di
spiriti e demoni. La stregoneria, le arti magiche e le superstizioni
venivano animatamente discusse anche nei centri di studio più
avanzati d’Europa. La scienza così come la conosciamo oggi non
esisteva.
I filosofi greci e i teologi cristiani, in particolare, scrissero che
gli oggetti si muovevano agendo in base a desideri ed emozioni
paragonabili a quelli umani. Per i seguaci di Aristotele, gli oggetti
finivano per rallentare il loro moto perché “si stancavano”.
Cadevano al suolo perché “aspiravano” a riunirsi con la terra.
L’uomo che mise ordine in questo caotico mondo di spiriti era,
in un certo senso, l’opposto di Einstein, per temperamento e personalità. Mentre Einstein è sempre stato generoso con il suo tempo
e, per la delizia della stampa, fulmineo con le freddure, Newton era
notoriamente un solitario con tendenze paranoiche. Profondamente sospettoso nei confronti del suo prossimo, fu coinvolto in
lunghe e amare polemiche con altri scienziati riguardo gli obiettivi prioritari. La sua laconicità era leggendaria: durante il suo mandato al Parlamento britannico, nella sessione 1689-1690, l’unica
occasione in cui parlò di fronte all’augusto consesso fu quando,
avvertita una corrente d’aria, chiese a un messo di chiudere la finestra. Secondo il biografo Richard S.Westfall, Newton era «un uomo
La fisica prima di Einstein
7
tormentato, una personalità estremamente nevrotica che almeno per
tutta la mezza età vacillò sempre sull’orlo dell’esaurimento nervoso»3.
Nelle questioni di scienza, però, Newton e Einstein furono veri
maestri e condivisero molte caratteristiche. Entrambi riuscivano a
trascorrere ossessivamente settimane e mesi in uno stato di intensa
concentrazione, fino all’esaurimento e al collasso fisico, ed entrambi avevano la capacità di riassumere i segreti dell’universo in
un’immagine essenziale.
Nel 1666, a ventitré anni, Newton mise al bando gli spiriti che
infestavano il mondo aristotelico introducendo una nuova meccanica fondata sulle forze. Newton propose tre leggi del moto, per cui gli
oggetti si muovevano in quanto tirati o spinti da forze che potevano essere accuratamente misurate ed espresse da semplici equazioni.
Invece di fare illazioni sui desideri degli oggetti in movimento,
Newton riuscì a calcolare la traiettoria di ogni cosa – foglie cadenti, razzi che si librano in volo, palle di cannone e nuvole – sommando le forze che su di essa agivano. Non si trattava di una mera
questione accademica, perché contribuì a gettare le fondamenta
della Rivoluzione Industriale, in cui la potenza dei motori a vapore in grado di azionare imponenti locomotive e navi creò nuovi
imperi. Ponti, dighe e grattacieli ormai si potevano costruire con
grande sicurezza, perché era possibile calcolare le sollecitazioni cui
era sottoposto ogni singolo mattone o trave. La vittoria della teoria
delle forze di Newton fu talmente grande da farlo assurgere al
rango di celebrità già durante la sua vita e spingere Alexander Pope
ad acclamare:
Nature and Nature’s laws lay hid in night,
God said, Let Newton be! and all was light 4.
Newton applicò la sua teoria delle forze all’universo stesso, proponendo una nuova teoria della gravità. Gli piaceva raccontare la storia di quando tornò nella tenuta di famiglia a Woolsthorpe, nel
3
Cropper, 2001. La biografia scientifica più autorevole e accreditata è appunto quella di
Richard S.Westfall, Newton, Einaudi,Torino, 1989 [A Never at Rest. Biography of Isaac Newton,
Cambridge University Press, Cambridge, 1980].
4 La Natura e le sue leggi si celavano nel blu / Dio disse: Newton sia! E infine luce fu.
[N.d.T.]
8
Parte I. Prima immagine. La corsa contro un raggio di luce
Lincolnshire, dopo che la peste aveva obbligato l’Università di
Cambridge alla chiusura. Un giorno, vedendo una mela cadere da
un albero del suo giardino, si pose la fatidica domanda: se cade una
mela, allora cade anche la Luna? La forza gravitazionale che domina la mela sulla Terra può essere la stessa che dirige il moto dei
corpi celesti? Era un’eresia, dal momento che i pianeti si ritenevano poggiati su sfere fisse e governati da perfette leggi celestiali, in
contrasto con le leggi del peccato e della redenzione cui obbedivano le contorte condotte dell’umanità.
Newton intuì all’istante di poter unificare la fisica terrestre e
celeste in una sola immagine. La forza che attirava la mela al suolo
doveva essere la medesima che giungeva fino alla Luna per tracciarne la traiettoria. Inciampò così in una nuova visione della gravità. Immaginò di essere seduto in cima a una montagna e di lanciare un sasso. Scagliando il sasso a velocità sempre crescente, si
accorse di proiettarlo ogni volta più lontano. Fece dunque il salto
logico decisivo: cosa sarebbe successo se avesse scagliato il sasso a
una velocità tale da non farlo mai più tornare? Si rese conto che un
sasso, su cui la forza di gravità agisce facendolo cadere in continuazione, non avrebbe toccato terra, ma avrebbe fatto il giro, per tornare infine a colpire il suo lanciatore sulla nuca. In questa nuova
visione sostituì il sasso con la Luna, che era in caduta continua ma
non toccava mai il suolo perché, come il sasso, non smetteva mai di
muoversi intorno alla Terra in un’orbita circolare. La Luna non poggiava su una sfera celeste come credeva la chiesa, ma era in uno
stato di permanente caduta libera guidata dalla forza di gravità, proprio come un sasso o una mela. Fu quella la prima spiegazione del
moto del sistema solare.
Due decenni più tardi, nel 1682, Londra fu terrorizzata e sbalordita dal fulgore di una cometa che illuminò il cielo notturno.
Newton ne tracciò minuziosamente il moto con un telescopio a
riflessione (una delle sue invenzioni) e scoprì che, se si partiva dal
presupposto che fosse in caduta libera e sottoposta all’azione della
gravità, esso corrispondeva perfettamente alle sue equazioni. Con
l’aiuto dell’astronomo dilettante Edmund Halley riuscì a pronosticare con certezza quando la cometa (che più tardi prese proprio il
nome di Halley) sarebbe ritornata; fu la prima previsione fatta sul
moto delle comete. Le leggi di gravità che Newton usò per calco-
La fisica prima di Einstein
9
lare il moto della cometa di Halley e della Luna sono le stesse cui
oggi la NASA ricorre per guidare con impressionante accuratezza le
sue sonde spaziali oltre Urano e Nettuno.
Secondo Newton, queste forze agiscono istantaneamente. Ad
esempio, se il Sole dovesse scomparire all’improvviso, la Terra dovrebbe essere immediatamente proiettata fuori dalla sua orbita e congelerebbe nello spazio cosmico. Chiunque nell’universo saprebbe che il
Sole è scomparso nello stesso preciso istante. Sarebbe dunque possibile sincronizzare gli orologi in modo che scandiscano uniformemente il tempo in ogni luogo dell’universo. Un secondo sulla Terra
ha la stessa durata di un secondo su Marte o Giove. Come il tempo,
anche lo spazio è assoluto. La misura di un metro non cambia in lunghezza in alcun luogo dell’universo. I secondi e i metri quindi restano gli stessi a prescindere dal punto dello spazio in cui ci si trova.
Newton fondò dunque le sue idee sulla nozione di buon senso
dello spazio e tempo assoluti. Per lo scienziato, lo spazio e il tempo formavano un sistema di riferimento assoluto, in base al quale misurare il moto di tutti gli oggetti. Se viaggiamo su un treno, ad esempio,
siamo convinti che il treno si muova mentre la terra resta immobile. Nondimeno, vedendo gli alberi che sfilano davanti al nostro finestrino, potremmo ipotizzare che il treno in realtà sia fermo, e siano
le piante a viaggiare di fronte ai nostri occhi. Dato che ogni cosa a
bordo del treno sembra immobile, possiamo porci la domanda: cosa
si muove davvero, il treno o gli alberi? Per Newton, questo sistema
assoluto di riferimento poteva determinare la risposta.
Le leggi di Newton hanno costituito le fondamenta della fisica
per quasi due secoli. Poi, verso la fine dell’Ottocento, mentre nuove
invenzioni come il telegrafo e la lampadina rivoluzionavano le
grandi città d’Europa, lo studio dell’elettricità introdusse nelle
scienze un concetto del tutto nuovo. Per spiegare le misteriose forze
dell’elettricità e del magnetismo, James Clerk Maxwell, fisico scozzese attivo presso l’Università di Cambridge intorno al 1860, elaborò una teoria della luce che non si fondava sulle forze newtoniane, ma sul concetto inedito detto dei campi, secondo Einstein «il più
profondo e proficuo che la fisica abbia sperimentato dai tempi di
Newton»5.
5
Cropper, 2001, p. 173.
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Parte I. Prima immagine. La corsa contro un raggio di luce
Questi campi si possono rendere visibili spolverando della limatura
di ferro su un foglio di carta. Se mettiamo una calamita sotto il
foglio, la limatura magicamente formerà una struttura simile a una
tela di ragno, con linee che si estendono dal polo nord al polo sud.
Intorno a ogni magnete, dunque, ci deve essere un campo magnetico, un’invisibile schiera di linee di forza che penetrano l’intero
spazio.
Anche l’elettricità genera dei campi. Nei parchi di divertimento
scientifici i bambini ridono alla vista dei loro capelli che si rizzano
in piedi non appena toccano una fonte di elettricità statica. I capelli delineano le linee invisibili del campo elettrico originato dalla
fonte.
I campi, comunque, sono piuttosto diversi dalle forze teorizzate
da Newton. Queste ultime, sosteneva Newton, agiscono istantaneamente in tutto lo spazio, così che un disturbo che dovesse verificarsi
in un punto dello spazio si percepirebbe immediatamente in tutto
l’universo. La brillante osservazione di Maxwell fu che gli effetti
magnetici ed elettrici non viaggiano istantaneamente come le forze
di Newton, ma impiegano del tempo e si muovono a velocità definite. Il suo biografo Martin Goldman scrive: «L’idea del tempo dell’azione magnetica […] sembra aver colpito Maxwell come un fulmine a ciel sereno.»6 Maxwell dimostrò, ad esempio, che se si scuoteva il magnete, la limatura di ferro lo seguiva, ma con uno scarto
temporale.
Immaginiamo una tela di ragno che vibri al vento. Un disturbo
come il vento che soffia da una parte della ragnatela genera un’increspatura che si estende a tutti i suoi fili. I campi e le ragnatele,
contrariamente alle forze, consentono di concepire vibrazioni che
viaggiano a una velocità definita. Maxwell decise dunque di calcolare la velocità di quegli effetti magnetici ed elettrici, e di usarla per
risolvere il mistero della luce, dando vita a una delle maggiori conquiste del XIX secolo.
Dai precedenti lavori di Michael Faraday e altri, Maxwell aveva
appreso che un campo magnetico in movimento può creare un
campo elettrico, e viceversa. I generatori e i motori che elettrificano il nostro mondo sono una conseguenza di questa dialettica. (Lo
6
Cropper, 2001, p. 163.
La fisica prima di Einstein
11
stesso principio sta alla base dell’illuminazione delle nostre case. In
una diga, l’acqua che precipita fa girare un ingranaggio, che a sua
volta fa ruotare un magnete. Il campo magnetico in movimento
spinge gli elettroni in un cavo, che poi si collega a un altro cavo ad
alta tensione per arrivare fino alle prese di corrente dei nostri soggiorni. Analogamente, in un aspirapolvere l’elettricità che arriva
dalla nostra presa di corrente crea un campo magnetico che spinge
il meccanismo del motore a girare.)
Il colpo di genio di Maxwell fu la combinazione dei due effetti. Se un campo magnetico che cambia può generare un campo
elettrico e viceversa, allora può darsi che entrambi possano dar vita
a un movimento ciclico, in cui campi elettrici e magnetici incessantemente si nutrono e si trasformano a vicenda. Maxwell comprese in fretta che questa ripetizione ciclica avrebbe creato una successione di campi elettrici e magnetici, tutti vibranti all’unisono, e
in cui ognuno si sarebbe mutato nell’altro in un’onda infinita. Non
restava che calcolare la velocità di quell’onda.
Con sua grande sorpresa scoprì che si trattava della velocità della
luce. Inoltre, formulando l’affermazione forse più rivoluzionaria del
XIX secolo, disse che quella era la luce. Profeticamente, poi, Maxwell
annunciò ai suoi colleghi: «È difficile evitare la conclusione che la
luce consiste delle ondulazioni trasversali dello stesso mezzo che è causa dei
fenomeni elettrici e magnetici.»7 Dopo essersi interrogati per millenni
sulla natura della luce, gli scienziati erano riusciti finalmente ad
afferrare i suoi segreti più reconditi. Diversamente dalle forze di
Newton, che erano istantanee, questi campi viaggiavano a velocità
definita: la velocità della luce.
Il lavoro di Maxwell fu codificato in otto complesse equazioni
differenziali parziali (note come equazioni di Maxwell), che da un
secolo e mezzo ogni ingegnere elettrotecnico e fisico ha dovuto studiare a memoria. (Oggi si possono comprare magliette che riportano le otto equazioni in tutta la loro gloria, introdotte dall’affermazione «In principio, Dio disse» e chiuse con la frase «e luce fu».)
Alla fine del XIX secolo i successi sperimentali di Newton e
Maxwell erano tali che qualche fisico si sentì di vaticinare con cer-
7
Cropper, 2001, p. 164.
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Parte I. Prima immagine. La corsa contro un raggio di luce
tezza che i due scienziati avevano risposto a tutte le domande fondamentali sull’universo. Quando Max Planck (fondatore della teoria dei quanti) espresse al suo consigliere il desiderio di diventare
fisico, gli fu risposto di scegliere un altro campo, perché fondamentalmente la fisica era finita, e ormai non c’era nulla di veramente
nuovo da scoprire. Questi pensieri furono ripresi da Lord Kelvin,
grande fisico dell’Ottocento, il quale proclamò che la fisica in
essenza era completa, fatta eccezione per qualche “nuvoletta” all’orizzonte che non si poteva ancora spiegare.
Le lacune del mondo newtoniano, però, si facevano ogni anno
più lampanti. Le scoperte come l’isolamento del radio e della
radioattività da parte di Marie Curie scossero il mondo della scienza e catturarono l’immaginazione del pubblico. Anche poche once
di quella sostanza rara e luminosa riuscivano a illuminare una stanza buia. La scienziata dimostrò anche che da una fonte ignota all’interno dell’atomo si sprigionavano quantità d’energia apparentemente illimitate, a dispetto del principio della conservazione dell’energia, per cui quest’ultima non si può creare o distruggere. Quelle
“nuvolette”, comunque, ben presto avrebbero generato le due
grandi rivoluzioni gemelle del XX secolo, la teoria dei quanti e la
teoria della relatività.
Ciò che sembrò più imbarazzante, però, fu il fallimento di qualunque tentativo di combinare la meccanica di Newton e la teoria
dei campi di Maxwell. La teoria di Maxwell confermava il fatto che
la luce è un’onda, ma questo concetto lasciava aperta una domanda: che cos’è che oscilla? Gli scienziati sapevano che la luce può
viaggiare nel vuoto assoluto (e infatti viaggia per milioni di anni
luce da stelle remote attraverso il vuoto del cosmo), ma siccome la
definizione di vuoto assoluto è «nulla», si creava un paradosso per
cui a oscillare era il nulla!
I fisici newtoniani cercarono di rispondere a questa domanda
postulando che la luce era formata da onde che vibravano in un
etere invisibile, un gas stazionario che avrebbe riempito l’universo.
L’etere sarebbe stato il sistema di riferimento assoluto in base al
quale misurare tutte le velocità. Uno scettico avrebbe potuto dire
che siccome la Terra si muove intorno al Sole, e il Sole intorno alla
galassia, sarebbe stato impossibile affermare cosa si muovesse davvero. I fisici newtoniani replicavano che il sistema solare si muoveva
La fisica prima di Einstein
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in relazione all’etere stazionario, e questo rendeva possibile determinare cosa si muovesse realmente.
Ad ogni modo, l’etere prese ad assumere qualità sempre più
magiche e bizzarre. I fisici sapevano che le onde viaggiano a una
velocità maggiore in un mezzo più denso: le onde sonore, ad esempio, sono più rapide in acqua che in aria. Di conseguenza, poiché la
luce viaggia a una velocità quasi inimmaginabile (300 000 chilometri al secondo), per trasmetterla l’etere avrebbe dovuto essere
incredibilmente denso. Ma come poteva essere tale, se si supponeva
che fosse anche più leggero dell’aria? Con il tempo, l’etere divenne
una sostanza pressoché mistica: era assolutamente immobile, priva
di peso, invisibile, con una viscosità pari a zero, eppure più salda dell’acciaio e impossibile da rilevare con qualsivoglia strumento.
Nel 1900, le lacune della meccanica newtoniana si facevano
sempre più difficili da spiegare. Il mondo era pronto a una rivoluzione, ma chi l’avrebbe condotta? Malgrado fossero ben consapevoli delle falle nella teoria dell’etere, molti fisici timidamente cercavano di colmarle in un quadro newtoniano. Einstein, non avendo
nulla da perdere, riuscì a colpire al cuore il problema: le forze di
Newton e i campi di Maxwell erano incompatibili. Quando uno di questi due pilastri cadde, rovesciò oltre duecento anni di fisica, per rivoluzionare infine il modo in cui vediamo l’universo e la realtà stessa. Einstein avrebbe abbattuto la fisica newtoniana con un’immagine che anche un bambino avrebbe potuto capire.