A002334 L`EROTIZZAZIONE DEI BAMBINI NELLA PUBBLICITA

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A002334 L`EROTIZZAZIONE DEI BAMBINI NELLA PUBBLICITA
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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 15/1/2008, pag 19
<<L’EROTIZZAZIONE DEI BAMBINI NELLA PUBBLICITÀ>> di Anna Oliverio
Ferraris e Jolanda Stevani (vedi nota in fondo al pezzo)
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato.
Quando sentiamo parlare di abuso infantile, il nostro pensiero
e i nostri sentimenti vanno, in maniera quasi automatica, agli
sventurati piccoli protagonisti di squallide storie, fatte di
maltrattamenti fisici e sessuali ad opera di adulti.
La violenza all’infanzia è una realtà con la quale le cronache
ci costringono a fare i conti.
Esistono tuttavia manifestazioni più mascherate e subdole di
violazione dell’infanzia, ossia tutte quelle forme di sfruttamento
che il mondo adulto mette in atto nei confronti dell’universo
infantile e che, con un’unica espressione, potremmo definire
“furto dell’infanzia”.
Nella nostra società l’infanzia è spesso al centro di un
processo schizofrenico: da un lato, come mai nel passato, la
protezione del bambino è riconosciuta essere dalla collettività un
valore primario e inderogabile; dall’altro, appare invece diffusa
la tendenza a perseguire forme sempre più pervasive di
“adultizzazione” dei bambini, che violano questa età della vita
proprio nel suo principio costitutivo, il “diritto ad essere un
bambino”, di crescere cioè seguendo tempi e tappe fisiologiche.
La forma di adultizzazione precoce di cui ci occupiamo qui è
l’erotizzazione dei bambini, in particolar modo quella che viene
veicolata da alcuni messaggi pubblicitari.
L’EROTIZZAZIONE DEI BAMBINI NELLA PUBBLICITÀ
Bambini erotizzati
Innanzitutto è necessario chiarire che cosa si intende per
erotizzazione.
Secondo la definizione dell’American Psychological
Association, il concetto comprende quattro fattori, ciascuno dei
quali, preso singolarmente, può essere indice di
erotizzazione,tant’è che non è necessaria la compresenza di tutti
e quattro i fattori per determinare il fenomeno che, è bene
sottolinearlo, non ha niente a che vedere con una sana sessualità.
Si può parlare di erotizzazione quando:
1) il valore di una persona è ricondotto esclusivamente al suo
sex appeal o al suo comportamento sessuale;
2) una persona è tenuta a conformarsi ad un modo di pensare
che equipara l’attrattiva fisica con l’essere sexy;
3) una persona è considerata un oggetto sessuale, vale a dire
è destinata ad essere usata da altri come tale, piuttosto che
essere stimata per la sua autonomia e capacità decisionale;
4) la sessualità è imposta ad una persona in modo
inappropriato.
Per l’argomento che stiamo trattando, tra i fattori
sopraccitati quello che qui interessa è soprattutto l’ultimo.
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Freud ci ha insegnato che i bambini hanno una loro sessualità;
la sessualità infantile però è diversa per molti aspetti rilevanti
da quella degli adolescenti e degli adulti.
Inculcare perciò nei bambini modelli di comportamento o
atteggiamenti sessuali tipici degli adulti è una forma di
pressione che assomiglia a una violenza.
In termini generali, possiamo dire che il fenomeno rappresenta
purtroppo una tendenza di questi anni, in particolare dei media.
Oltre alle immagini pubblicitarie, argomento della nostra
indagine (si veda il Box 2), ci sono le riviste destinate alle
lettrici più giovani, le quali proliferano di messaggi che
rimarcano l’importanza di presentarsi sessualmente attraenti per
stuzzicare l’interesse dei maschi.
Internet, poi, è una miniera di materiali che propongono
soggetti in tenera età rappresentati in maniera erotizzata.
Stilisti alla moda seguono questa tendenza.
Da ricerche recenti emerge che, mentre in passato l’approccio
dei più piccoli a tematiche di tipo sessuale si realizzava in modo
prevalentemente indiretto, nel senso che si basava soprattutto
sull’esposizione a rappresentazioni erotizzate di adolescenti e
adulti, oggi per i più piccoli l’iniziazione a queste tematiche è
diventata più diretta ed immediata.
Sui media e in alcune pubblicità i bambini vengono oggi
proposti in pose e abbigliamenti che, in maniera più o meno
esplicita, veicolano messaggi di tipo erotico.
LA NOSTRA INDAGINE.
Box 1
Per verificare cosa pensano i genitori delle pubblicità che
erotizzano i bambini, abbiamo chiesto a 70 genitori (35 madri e 35
padri), di età compresa fra i 25 e i 57 anni, di esprimere una
valutazione libera e anonima su due immagini pubblicitarie di due
note aziende di moda per bambini comparse sui giornali (ricordiamo
che le immagini che compaiono nell’articolo non hanno niente a che
fare con tali pubblicità).
La prima immagine presentava due bambine di circa 6 anni, con
capi di abbigliamento che ricalcavano la moda adulta e con
atteggiamenti e pose “da grandi”.
La seconda immagine ritraeva due bambine di 7-8 anni che
mostravano caratteristiche fortemente adultizzate, sessualizzate e
decisamente provocanti: la posa, lo sguardo, l’acconciatura ...
Le valutazioni espresse dai genitori sono state raggruppate in
tre categorie: negativa su tutta la linea, né a favore né contro,
positiva (si vedano, rispettivamente, le Figure 1 e 2).
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Figura 1 valutazioni della prima pubblicità
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Figura 2 valutazioni sulla seconda pubblicità
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Box 2
Per quanto riguarda la prima pubblicità, i soggetti
intervistati, considerati nella loro totalità, hanno fornito una
percentuale maggiore di valutazioni negative (Fig. 1), le madri
più dei padri.
In merito alla seconda pubblicità, si evidenzia una differenza
estremamente significativa tra la valutazione del tutto negativa e
le altre (Fig. 2), e questa volta i padri più delle madri.
Di fronte alle immagini, molti genitori hanno espresso giudizi
di netta condanna mostrando una consapevolezza e uno sdegno
maggiori di quanto non emerga dalle indagini condotte negli USA.
Ne riportiamo alcuni a titolo di esempio:
• Sono terrificanti.
• Mercificazione e adultizzazione dei bambini.
• È un’oscenità.
• Sembrano prostitute.
• Sono bimbe oggetto.
• Sono davvero un obbrobrio.
• Sembrano delle minorenni a Bangkok.
• Oscene e patologiche.
• Una schifezza.
• Questa è da suicidio.
• Un invito ai pedofili.
BAMBINI ACCELERATI
Nel 1991, l’esperto di comunicazione Neil Postman denunciava
la scomparsa dell’infanzia, fenomeno già messo in luce da altri
studiosi, come Vance Packard, nel corso degli anni Sessanta e
Settanta.
Secondo Postman la società odierna, consumistica per
eccellenza, tende ad opacizzare le differenze tra adulti e
bambini, ponendoli sotto il comune denominatore di consumatori e,
come tali, sempre meno facilmente distinguibili, non solo nel
linguaggio, ma anche negli atteggiamenti e nelle aspirazioni,
persino nei comportamenti relativi alla sessualità.
Così, sempre più spesso, si vedono piccoli assumere
atteggiamenti, pose e movenze degli adulti.
L’influenza del consumismo ha trovato terreno fertile
nell’evoluzione delle relazioni familiari successiva agli anni
Sessanta, sintetizzabile nel passaggio da una struttura familiare
di tipo verticale ad un assetto basato su legami di tipo
orizzontale, ossia relazioni genitori-figli di tipo paritario,
fondate su una equiparazione di diritti all’interno della
famiglia, che di fatto cancella i confini generazionali e
indebolisce la scansione delle tappe evolutive.
C’è la tendenza ad accelerare la crescita dei bambini (hurried
child syndrome) in nome di una precocità che dovrebbe renderli
vincenti nell’arena sociale, quando invece soltanto una crescita
che rispetta i tempi dello sviluppo può garantire la formazione di
una personalità matura e autonoma.
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Tale tendenza è oggi sfruttata dal mercato che, nei bambini
accelerati, vede una grossa fonte di investimenti e di guadagni:
se sono dei doni degli adulti, sia pure in miniatura, ad essi e ai
loro genitori si può proporre una gamma di prodotti molto più
ampia e articolata di un tempo.
CONSUMATORI E OGGETTO DI CONSUMO
Per quanto concerne il mercato pubblicitario, i bambini
costituiscono una succulenta fetta della popolazione dei
consumatori: non a caso oggi si parla tanto di nag factor,
un’espressione con cui si intende il “tormento” (richieste
insistenti, capricci, paragoni con gli altri bambini ...) che un
bambino ben condizionato dalla pubblicità dà ai suoi genitori,
nonni, zii, ecc., affinché acquistino per lui un determinato
prodotto, gli consentano di vestire seguendo i dettami della moda,
di mangiare determinati alimenti (Oliverio Ferraris, 2005).
Che i bambini abbiano una posizione rilevante tra i
consumatori è confermato dai cliché di matrice commerciale
applicati ai giovanissimi utenti.
Un esempio sono le cosiddette tweens o tweenager, ossia la
fascia che sta tra due età e che comprende bambine tra i sei e i
dodici anni.
Un altro esempio è l’acronimo KGOY (Kids Growing Older
Younger), che bene illustra l’immagine di un’infanzia compressa e
accelerata.
L’erotizzazione del corpo infantile rispecchia una tendenza
diffusa tra gli operatori della pubblicità, secondo cui il sesso
può essere utilizzato per vendere qualsiasi cosa.
In questo caso si tratta di prodotti per bambini che vengono
acquistati dagli adulti, anche se spesso su richiesta degli stessi
bambini.
Lo stimolo erotico, quindi, è pensato per raggiungere gli
adulti, il che rende particolarmente ambiguo e inquietante questo
genere di operazioni commerciali.
Nel 2006 due ricercatrici dell’Australian Institute, Emma Rush
e Andrea La Nauze, hanno pubblicato due resoconti, intitolati
rispettivamente Corporate Paedophilia e Letting children be
children, in cui sono illustrati i risultati di ricerche compiute
sugli annunci pubblicitari rivolti ai bambini e ai loro genitori.
Da questi studi è emerso che le immagini erotizzate dei
bambini, perlopiù femmine, sono diventate sempre più comuni nella
pubblicità.
L’espressione “Corporate Paedophilia” è una metafora
utilizzata dalle due ricercatrici per descrivere la tendenza a
vendere prodotti ai bambini prima che essi siano in grado di
comprendere il significato dei messaggi pubblicitari: essa
sottolinea come una strumentalizzazione di questo genere possa
essere assimilata ad un vero e proprio abuso, traducendosi in uno
sfruttamento del bambino da parte dell’adulto al fine di trarne
vantaggi economici.
Negli Stati Uniti, sulla questione dell’erotizzazione del
corpo infantile, c’è stata una vera e propria mobilitazione di
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giornalisti, associazioni per la tutela dell’infanzia, genitori e
psicologi, che ha portato alla costituzione di una “task force” in
seno all’American Psychological Association.
Nel 2007 questo gruppo di Eileen L. Zurbriggen ha pubblicato
un rapporto dal titolo Report of the Apa task force on the
sexualization of the girls (APA, 2007) da cui emerge che
all’erotizzazione del corpo delle bambine non concorrono soltanto
pubblicità e mass media, ma anche molti genitori, insegnanti e
coetanei.
Ciò che si verifica è una sorta di circolo vizioso: attraverso
ricerche di mercato, i pubblicitari cercano di individuare delle
tendenze; tramite i potenti mezzi di cui dispongono (televisioni,
giornali, cartelloni stradali, ecc.), le pubblicità diffondono,
rilanciano e potenziano quelle tendenze che i pubblicitari pensano
di avere individuato (generalmente su fasce particolari della
popolazione); questa diffusione su vasta scala ha l’effetto di
modificare i gusti e la mentalità di ampie fette della popolazione
generando, a volte, effetti collaterali non previsti e dando
inizio ad un’escalation in una determinata direzione.
LE CONSEGUENZE
Ma quali possono essere le conseguenze di un’erotizzazione
così precoce delle bambine?
Le conseguenze possono riguardare diversi aspetti della
personalità.
Dal punto di vista cognitivo, è stato evidenziato che il
concentrarsi eccessivamente sul corpo e sul look in tenera età può
generare una negligenza nei confronti di altri aspetti
fondamentali dello sviluppo come il ragionamento, le attività
artistico-espressive, il calcolo matematico, ecc.
Per quanto riguarda invece la sfera emotiva, una
preoccupazione costante per l’aspetto fisico può creare, in chi si
scopre “inadeguato”, tensioni interne, insoddisfazioni o vergogna,
quando invece i bambini dovrebbero concentrarsi su altri aspetti
dell’esistenza e vivere il proprio corpo in modo spensierato.
Lo sviluppo di una sana immagine corporea e di una solida
autostima può essere ostacolato dallo sforzo di avere le stesse
fattezze e gli stessi gusti dei modelli proposti dalla moda e una
conseguenza di tale insensata tensione è la possibilità di cadere
nella trappola dei disturbi alimentari.
Infine, quando la preoccupazione per il proprio aspetto fisico
e il giudizio degli altri diventa un’ossessione, le bambine
preferiscono evitare di cimentarsi negli sport come in altre
attività fisiche.
L’erotizzazione precoce ha tra i suoi effetti anche quello di
incoraggiare le bambine ad impegnarsi in atteggiamenti seduttivi
che attirano l’attenzione dei maschi prima di essere in grado di
comprenderne le potenziali conseguenze sul piano fisico e
psicologico.
L’oggettivazione del corpo e l’identificazione con modelli
adulti conducono facilmente ad una rappresentazione del sesso di
tipo strumentale, nel senso che la sessualità può essere concepita
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e vissuta alla stregua di una merce di scambio, a completo
discapito della componente relazionale e affettiva.
Il fatto che, per imitazione e omologazione, una bambina
assuma atteggiamenti da Lolita, seduttivi nei confronti dell’altro
sesso, non fa che rafforzare questa tendenza.
A livello sociale tale fenomeno comporta insidie evidenti:
questi piccoli che sono sempre meno piccoli e sempre più prototipi
di un’adultità che li oggettivizza e li deruba del loro diritto di
essere bambini, rappresentano un allettante vivaio che soddisfa le
brame voyeuristiche e normalizza gli appetiti dei pedofili.
Trasformata in oggetto di consumo, la bambina che per la gioia
dello sponsor (e della mamma ...) assume pose seduttive: e
occhieggia allusiva dai cartelloni pubblicitari, lancia un chiaro
messaggio di disponibilità; il che ha l’effetto, nella realtà, di
rendere le sue coetanee più esposte e vulnerabili.
GLI ADULTI
Di fronte a forme di pubblicità deresponsabilizzate è
aggressive e a dei media che sfruttano ogni occasione per
spettacolarizzare la realtà, scioccare gli spettatori e dare
un’immagine morbosa dell’infanzia, genitori, insegnanti e tutti
coloro che vogliono il bene dei bambini si trovano oggi a dover
contrastare una tendenza diffusa e pericolosa.
Inutile dire che questo compito sarebbe notevolmente
facilitato se gli organismi di controllo (garanti, comitati,
disciplina pubblicitaria, ecc.) svolgessero un’azione più incisiva
e meno formale di quella che invece sembrano svolgere attualmente.
Si tratta però anche di prendere coscienza di come i propri
atteggiamenti possano incoraggiare questa tendenza invece di
ridurne l’impatto.
Lo studio condotto dalla “task force” dell’American
Psychological Association ha evidenziato il ruolo non trascurabile
di genitori e altri adulti, che vivono in stretto contatto con i
bambini, nell’erotizzazione del loro mondo e nel fiancheggiare
coloro che, per fini commerciali, cercano di trasformarli in
piccoli adulti. Evidentemente molti genitori si adeguano, senza
troppe riflessioni, alle mode del momento, quando invece
servirebbe riappropriarsi del proprio ruolo educativo.
Serve anche ribadire che, nonostante il forte impatto che
hanno i media e le pubblicità, genitori e insegnanti continuano ad
essere dei modelli “forti” per i bambini, assai più di quanto non
lo siano per gli adolescenti che, per le esigenze di emancipazione
legate all’età, tendono a prendere le distanze dagli adulti e ad
entrare in polemica con loro.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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on the sexualization of the girls, Washington, APA, www.apa.org/wpo/sexualization.html
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STEVANI J., Dalla pedofilia all’infantofilia, <Psicologia contemporanea>, 197,64-71.
GLI AUTORI.
ANNA OLIVERIO FERRARIS è Ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università
La Sapienza di Roma. Psicologa e psicoterapeuta, è autrice di numerosi saggi tra cui ricordiamo
nelle edizioni Giunti: Zone d’ombra. Storie di normale psicopatologia (1995), La macchina della
celebrità (1999), Sarò padre (2001), La ricerca dell’identità (2002, 2007), Non solo amore. I bisogni
psicologici dei bambini (2005).
JOLANDA STEVANI, psicologa clinica e di comunità, esperta in psicoterapie brevi e
psicologia giuridica, collabora con la cattedra di Psicologia dello sviluppo di Anna Oliverio Ferraris
sui temi della famiglia e del disagio infantile e adolescenziale. Per Giunti Demetra ha pubblicata
Mamme e poi? (2006).