imp. TRADURRE UN CONTINENTE:Imp. LUSSO

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imp. TRADURRE UN CONTINENTE:Imp. LUSSO
Cien años de soledad: lingua,
stile e implicazioni traduttive
Lorenzo Blini – Università Luspio, Roma
– ¿Te ha intrigado mucho el éxito de Cien años de
soledad?
– Sí, mucho.
– ¿Y no te ha interesado descubrir el secreto?
– No, no quiero saberlo. Me parece muy peligroso
descubrir por qué razones un libro que yo escribí
pensando sólo en unos cuantos amigos se vende en
todas partes como salchichas calientes.
(G. García Márquez, El olor de la guayaba.
Conversaciones con Plinio Apuleyo Mendoza)
Non è infrequente che nelle amplissime bibliografie che accompagnano libri fondamentali della letteratura mondiale scarseggino i
contributi dedicati ad analizzarne gli aspetti linguistici. Tutt’al più è
possibile trovare riflessioni di tipo stilistico, ma anche in questo caso il concetto di stile è spesso declinato in chiave prevalentemente retorica, trascurando aspetti essenziali quali il lessico, le caratteristiche
strutturali, il registro.
Non fa eccezione Cien años de soledad, il romanzo che impose in
modo definitivo a livello planetario la narrativa ispanoamericana
contemporanea e la cosiddetta generazione del boom, il testo che consacrò il cosiddetto realismo magico,1 «el Quijote americano», come lo
ha definito Carlos Fuentes. Ed è paradossale che nemmeno in un’occasione propizia come l’edizione commemorativa promossa dalla
Real Academia Española e dalla Asociación de Academias de la Lengua
Española2 – vale a dire da 22 istituzioni il cui fine è lavorare e vigilare sulla lingua spagnola – si possano trovare riflessioni linguistiche
1
Non è questa la sede per commentare l’adeguatezza della fortunata etichetta «realismo
magico». Trovo tuttavia suggestiva l’idea di designare l’insieme delle innovazioni discorsive originatesi nell’America ispanica contemporanea – non solo nella narrativa, ma in tutti i generi letterari – come «un altro Siglo de Oro, diciamo tra il 1880 e il 1980, della tradizione letteraria
ispanica» (cfr. H. Febles, «Prefazione», in R. Arenas, Lo sposo del mare, Roma, Libreria Croce, 2010, p. 5).
2
G. García Márquez, Cien años de soledad (1967), Madrid, Alfaguara, 2007.
21
degne di tal nome sul libro più venduto del romanziere più famoso
della narrativa ispanica contemporanea.3
Non sorprende dunque che sia stato un non accademico eclettico ed eterodosso come Francesco Varanini – ex socio-antropologo, oggi manager umanista – a dedicare un po’ di attenzione alla lingua e allo stile di García Márquez. Il suo Viaggio letterario in America Latina4 ha inizio proprio con Gabo – come spesso ama chiamarlo utilizzando il diminutivo colloquiale usato da amici e famigliari –, la cui
opera viene rivisitata in chiave originalmente critica e la cui scrittura
è analizzata nella sezione «Breve ricognizione dello stile nobel-marqueziano».5 Varanini lo descrive «come una macchina retorica codificata, facile da montare e smontare»,6 e cerca di svelarne i segreti, elencandone le regole: la ridondanza, la centralità dell’aggettivazione, l’abuso di effetti come manifestazione di autorevolezza, l’esotismo come giustificazione dell’assurdo e del grossolano, l’intertestualità autorefenziale, l’esclusione di ogni valore emotivo.7
Cito per dovere di cronaca le due uniche, inconsistenti, annotazioni trovate.
«[…] la lengua en que se encarna la historia de los Buendía y de Macondo no es en absoluto dialectal o costumbrista. La creación de García Márquez integra los registros de la mejor
tradición literaria oral y escrita, en la que, en efecto, resuenan algunas voces, ya hispanizadas,
que proceden del arahuaco, del náhuatl, del quechua o de otros dialectos [sic] caribes, y que,
amalgamadas con las viejas palabras castellanas, enriquecen el español universal» («Presentación», pp. IX-X) [la lingua in cui si incarna la storia dei Buendía e di Macondo non è assolutamente dialettale o costumbrista. La creazione di García Márquez integra i registri della migliore tradizione letteraria orale e scritta, nella quale, infatti, risuonano alcune voci, ormai ispanizzate, che provengono dall’arahuco, dal náhuatl, dal quechua e da altri dialetti caraibici, e che
amalgamate con le vecchie parole del castigliano, arricchiscono lo spagnolo universale].
«Las letras hispánicas conducen a un futuro saber […]. No así la lengua española, que es
todo lo contrario, lo más opuesto que hay a un proyecto. Esta lengua de todos es la raíz misma
de nuestra convivencia humana, es espontánea e, indiscutiblemente, el origen mismo de
nuestra conciencia de comunidad, la condición previa de todas las condiciones comunes. En la
escritura de García Márquez esta condición se vive en estado puro y absoluto. La lengua es lo
que confiere unidad a nuestros espacios y nuestros tiempos. Es lo que convoca y reúne a todos
nosotros. Es lo que consigue que todos nos hayamos incorporado, maravillados, al mundo de
Macondo» (C. Guillén, «Algunas literariedades de Cien años de soledad», p. CXXVI) [Le lettere ispaniche conducono a un futuro sapere. Ciò non vale per la lingua spagnola, che è l’esatto
contrario, quanto di più opposto ci possa essere a un progetto. Questa lingua di tutti è la radice stessa della nostra convivenza umana, è spontanea e costituisce indiscutibilmente l’origine
stessa della nostra coscienza di comunità, la condizione previa di tutte le condizioni comuni.
Nella scrittura di García Márquez tale scrittura si vive in forma pura e assoluta. È la lingua che
conferisce unità ai nostri spazi e ai nostri tempi. Che convoca e riunisce tutti noi. Che ci ha permesso di penetrare, meravigliati, nel mondo di Macondo]. Tutte le traduzioni dallo spagnolo
fornite nelle note sono mie.
4
F. Varanini, Viaggio letterario in America Latina (1988), Milano, IPOC, 2010.
5
Ivi, pp. 33-59.
6
Ivi, p. 38.
7
Ivi, pp. 39-42.
3
22
Va detto che Varanini è specialmente critico con il García Márquez
posteriore a El otoño del patriarca (1975), colpevole di essersi consegnato
alle logiche del mercato editoriale, di non aver saputo distinguersi dai
suoi stessi imitatori, di essere rimasto prigioniero dell’«ovvietà rassicurante di un esotismo di maniera».8 Riconosce quindi il carattere
eccezionale di Cien años de soledad, definendolo «il romanzo-che-non-c’era», «il libro necessario»,9 un’opera rivoluzionaria la cui prima traduzione pubblicata, quella italiana, per uno strano scherzo del destino esce
nel maggio del 1968, in coincidenza con l’inizio, a Berkeley e a Parigi,
della più importante rivoluzione socio-culturale del XX secolo. E per Varanini «Gabo è la persona giusta; lo scrittore esotico di cui abbiamo bisogno. Lui solo è il virtuoso, il Maradona della letteratura, il giullare, il
cantastorie di un villaggio lontano».10 Dunque il García Márquez «storicamente necessario»,11 colui che segna la storia della letteratura, è per
Varanini proprio l’erede dei cantastorie, e ciò grazie al fatto che «felicemente, non sapeva scrivere bene. Sapeva raccontare solo in un modo:
il trascinante e ingenuo modo dei narratori orali».12
Osservazioni non dissimili le aveva già formulate Pasolini, in contemporanea al grande successo, sia di critica che di pubblico, di Cien
años de soledad.
Un altro luogo comune (pare) è quello di considerare Cent’anni di solitudine (recentemente ristampato) di Gabriel García Márquez un capolavoro. Ciò mi sembra semplicemente ridicolo. Si tratta del romanzo di uno scenografo o di un costumista, scritto con grande vitalità e spreco di tradizionale
manierismo barocco latino-americano, quasi ad uso di una grande casa cinematografica americana (se ne esistessero ancora). I personaggi sono tutti
dei meccanismi inventati talvolta con splendida bravura da uno sceneggiatore: hanno tutti i « tic» demagogici destinati al successo spettacolare. […]
Márquez è indubbiamente un affascinante burlone, tanto è vero che gli sciocchi ci sono tutti cascati. Ma gli mancano le qualità della grande mistificazione
[…]: le qualità che ha, tanto per fare un esempio, Borges (o, molto più in
piccolo, Tomasi di Lampedusa, se Cent’anni di solitudine ricorda un po’ Il
Gattopardo anche per gli equivoci che ha suscitato nella palude del mondo
che decreta i successi letterari).13
Ivi, p. 22.
Ivi, p. 14.
10
Ivi, p. 24.
11
Ivi, p. 27.
12
Ivi, p. 26. Il corsivo è dell’autore.
13
P. P. Pasolini, «Louis-Ferdinand Céline, Il castello dei rifugiati. Gabriel García Márquez,
Cent’anni di solitudine. Giuseppe Berto, Oh, Serafina!», in Descrizioni di descrizioni (1979), a cura di Graziella Chiarcossi, Milano, Garzanti, 1996, pp. 176-177.
8
9
23
García Márquez cantastorie per Varanini, García Márquez scenografo-costumista-sceneggiatore per Pasolini, due letture in chiave
semiotica del suo straordinario successo, accomunate da un approccio decisamente critico. D’altra parte, è lo stesso García Márquez a
non essere tenero con la propria creazione, confermando in sostanza
le osservazioni precedenti.
– Es curioso: nunca mencionas entre tus mejores libros Cien años de soledad, libro que muchos críticos consideran insuperable. ¿Tanto rencor
le tienes realmente?
– Se lo tengo, sí. Estuvo a punto de desbaratarme la vida. Después de
publicado, nada fue igual que antes.
– ¿Por qué?
– Porque la fama perturba el sentido de la realidad, tal vez casi tanto como el poder, y además es una amenaza constante a la vida privada. Por
desgracia, esto no lo cree nadie mientras no lo padece.
– Quizás el éxito logrado con él no te parece justo respecto del resto de
tu obra.
– No lo es. Como te decía hace un momento, El otoño del patriarca es
un trabajo literario más importante. Pero habla de la soledad del poder y no de la soledad de la vida cotidiana. Lo que en Cien años de soledad se cuenta se parece a la vida de todo el mundo. Está escrito además de una manera simple, fluida, lineal, y yo diría (y lo he dicho ya)
que superficial.
– Pareces despreciarlo.
– No, pero el hecho de saber que está escrito con todos los trucos de la
vida y todos los trucos del oficio, me hizo pensar desde antes de escribirlo que podría superarlo.14
Tornando alla lingua di Cien años de soledad, si può comunque affermare che si tratta di un territorio in gran parte ancora inesplora14
[– È curioso: non citi mai fra i tuoi libri Cien años de soledad, libro che molti critici
ritengono insuperabile. Gli serbi davvero tanto rancore? – Sì. Mi ha quasi rovinato la vita.
Dopo che è uscito, niente è stato più come prima. – Perché? – Perché la fama deforma il senso della realtà, forse quasi quanto il potere, e poi è una minaccia costante per la vita privata.
Purtroppo non ci crede nessuno finché non lo prova personalmente. – Forse il successo ottenuto con questo libro non ti sembra giusto rispetto al resto della tua opera. – Non lo è. Come ti dicevo poco fa, El otoño del patriarca è un lavoro letterario più importante. Ma parla
della solitudine del potere e non della solitudine della vita quotidiana. Ciò che si narra in Cien
años de soledad assomiglia alla vita di chiunque. Inoltre è scritto in modo semplice, fluido,
lineare, e io direi anche (e l’ho già detto) superficiale. – Sembri disprezzarlo. – No, ma il fatto di sapere che è scritto con tutti i trucchi della vita e tutti i trucchi del mestiere, mi ha fatto pensare già prima di scriverlo che avrei potuto superarlo] G. García Márquez, El olor de
la guayaba. Conversaciones con Plinio Apuleyo Mendoza (1982), Buenos Aires, Editorial
Sudamericana, 1993, pp. 44-45.
24
to. Partendo dagli spunti offerti dalle citazioni precedenti, proverò
dunque in queste pagine a descriverne alcuni tratti, nella convinzione
che le parole, materia prima del linguaggio umano, siano un oggetto
di analisi indispensabile e privilegiato per la descrizione e l’interpretazione di qualsiasi forma espressiva e comunicativa verbale. Le
considerazioni linguistiche e stilistiche saranno poi applicate al piano traduttivo, con l’obiettivo di definire la traducibilità di Cien
años de soledad e osservare alcuni comportamenti dell’unica traduzione
italiana.
Prime impressioni
Cominciamo dall’inizio. Le prime pagine di un romanzo svolgono
sempre una funzione particolare nella costruzione del rapporto che
si instaura fra testo e lettore, sebbene talvolta possano essere poco
significative rispetto alle caratteristiche generali della narrazione.
Non è il caso di Cien años de soledad, che si presenta come un testo
molto coerente e uniforme. Fin dai primi paragrafi del romanzo sono subito presenti quelli che José Miguel Oviedo definisce «tres círculos de fuego que se contienen concéntricamente», attraverso i quali García Márquez riesce nel «ciclopico compito» di raccontare l’universo di Macondo: il colonnello Aureliano Buendía (per adesso soltanto menzionato), la famiglia Buendía e Macondo stesso.15 Dopo
l’efficace incipit – non descrittivo ma narrativo, in cui passato,
presente e futuro si contraggono in un’unica dimensione – le uniche
coordinate spaziali dicono che «Macondo era entonces una aldea de
veinte casas de barro y cañabrava construidas a la orilla de un
río».16 Sull’asse temporale, il narratore informa che «El mundo
era tan reciente, que muchas cosas carecían de nombre, y para
mencionarlas había que señalarlas con el dedo».17 Nient’altro. Subito
dopo il romanzo si proietta nuovamente nella narrazione, nell’assenza
di fatto di una descrizione del contesto e dei personaggi, nonostante
l’aggettivazione sia più che presente: ecco una selezione degli ag15
J. M. Oviedo, «Macondo: un territorio mágico y americano», in Nueve asedios a
García Márquez, Santiago de Chile, Editorial Universitaria, 1969, pp. 93-94.
16
[Macondo era allora un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un
fiume] G. García Márquez, Cien años de soledad, cit., p. 9.
17
[Il mondo era così recente che molte cose non avevano un nome, e per citarle bisognava
indicarle con il dito] Ibidem. Anche se, subito prima, il riferimento a un plotone d’esecuzione
sembrerebbe ubicare la vicenda in un’epoca meno remota. Ma il García Márquez burlone e cantastorie può permettersi questo e altro.
25
gettivi utilizzati da García Márquez nelle prime quattro pagine di
Cien años de soledad.
ardiente
asombroso (3 volte)
áspero
augusto
complicado
corpulento
desaforado
desarrapado
desconocido
deshabitado
desmedrado
desmesurado
devastado
enorme (2 volte)
espléndido
febril
gigantesco
impasible
imposible
incógnito
incomprensible
irresistible
mágico
novedoso
peligroso
prehistórico
remoto
terminante
tormentoso
truculento
turbulento
Sembrano aggettivi estratti dalla sceneggiatura di un film di Indiana Jones, e invece si tratta del capolavoro di un premio Nobel. A
quali nomi si abbina questa serie di modificatori così estremizzanti,
in gran parte composta da superlativi? Ci si potrebbero aspettare sostantivi semanticamente solidali e che dunque ne giustifichino la presenza. Questi aggettivi, però, non assolvono a una funzione referenziale, poiché in molti casi qualificano parole molto comuni, dando luogo a collocazioni iperboliche – come tarde remota, truculenta demostración, desaforada imaginación, enorme calabazo, asombrosa claridad, pantanos desmesurados, ríos tormentosos, mares incógnitos, territorios deshabitados, seres espléndidos – in cui la realtà viene esagerata
e amplificata per fini espressivi.
Niente di nuovo, ovviamente. Il linguaggio letterario è caratterizzato proprio dalla predominanza della funzione espressiva, e la realtà del realismo magico non poteva essere diversa da
come appare in Cien años de soledad. Peraltro, nonostante si
debba ancora assistere agli innumerevoli avvenimenti sovrannaturali che costellano la storia di Macondo e della stirpe dei
Buendía, la sfera della magia sembra presente fin da queste prime
pagine, grazie alle parole gitanos, alquimistas, magia, conjuro, relicario, hechizado.
Lessico e stile in Cien años de soledad
Trasferiamoci ora dalle episodiche e contingenti note sull’inizio
di Cien años de soledad a considerare l’intero romanzo. Il testo è com26
posto da un totale di 138.003 parole, organizzate in 5.518 periodi.18
García Márquez ha utilizzato per scriverlo 15.548 lessemi della lingua spagnola. La lunghezza media di un periodo è di 25 parole, valore
che corrisponde a un livello medio-basso di complessità sintattica e
che influisce positivamente sulla leggibilità del testo. Questo dato numerico è confermato dall’analisi qualitativa, che rivela una prevalenza
della paratassi.
La lista delle unità lessicali usate con maggior frequenza – depurata dalle parole funzionali (articoli, congiunzioni, preposizioni), e
da pronomi, ausiliari, nomi propri e altre forme poco significative semanticamente – è la seguente.19
casa 463+35
tiempo 269+55
vez 227+94
día 157+111
año 31+187
hombre 127+105
noche 181+34
primero 73+29+82+11
hijo 69+62+42+17
mujer 140+41
niño 59+85+22+2
tarde 149+18
hora 82+85
guerra 152+15
nadie 162
cuarto 141+11
último 55+39+39+17
único 84+9+40+7
puerta 108+30
muerte 136
nunca 136
mundo 109
muerto 41+15+44+7
cama 94+6
padre 69+32
amor 87+9
ojo 2+90
familia 86+5
madre 81+5
tierra 71+14
nombre 64+18
corazón 79+2
semana 48+30
lugar 64+13
momento 76+1
hermano 51+6+11+8
carta 35+39
oro 71+1
grande 43+26
cabeza 63+5
patio 65+2
voz 62+5
aire 58+2
ventana 31+29
noticia 30+30
ocasión 53+6
ropa 41+17
orden 49+9
compañía 56+1
gente 56+1
época 51+5
principio 45+11
marido 55
sala 51+3
instante 50+4
recuerdo 24+30
fin 49+4
gitanos 14+39
corredor 52
cuerpo 45+5
agua 42+8
triste 44+5
sueño 35+14
18
I dati si riferiscono alla versione elettronica del testo disponibile presso il sito della biblioteca dell’Universidad Rafael Landívar del Guatemala (http://www.url.edu.gt/PortalURL/Biblioteca/?s=49) e sono stati raccolti utilizzando il programma WordSmith Tools 4.0
(per maggiori dettagli cfr. http://www.lexically.net/wordsmith/).
19
Anche per ovvie ragioni di spazio, l’elenco si limita alle parole che hanno almeno 40 occorrenze nel testo, ordinate per frequenza d’uso. A fianco di ogni lessema figura il numero delle occorrenze nel romanzo; se i numeri sono due, indicano, nell’ordine, le occorrenze delle forme singolari e plurali; se i numeri sono quattro, indicano, nell’ordine, le occorrenze delle forme maschili singolari, femminili singolari, maschili plurali e femminili plurali. Non sono stati considerati ai fini del conteggio gli usi di alcune parole come appellativi o in locuzioni semanticamente non affini al significato principale (es: padre come appellativo per i sacerdoti).
27
siempre 131
mano 85+45
pueblo 115+11
vida 124+1
mes 9+110
dormitorio 97+18
calle 80+30
regreso 44+1
dinero 40+1
sangre 41
dios 66
lluvia 60+6
parte 42+22
taller 60+3
punto 59+4
mañana 58+5
mesa 56+5
idea 37+4
contrario 40
trabajo 39+1
cocina 47+1
amanecer 47
tren 42+5
cambio 39+8
verdad 42+4
pared 7+39
palabra 28+18
costumbre 34+6
brazo 16+24
La prima, immediata, osservazione che nasce scorrendo questo elenco è che risulta formato interamente da parole appartenenti al lessico
di base dello spagnolo. I campi semantici prevalenti sono lo spazio, in
particolare domestico (casa, cuarto, puerta, dormitorio, cama, patio,
castaño, taller, mesa, corredor, sala, cocina, pared, ventana; e mundo, pueblo, calle, tierra, lugar, aire); il tempo (año, tiempo, vez, noche, día, tarde,
nunca, siempre, mes, hora, momento, mañana, época, instante, fin, semana,
amanecer, principio); le persone, viste soprattutto nella rete dei rapporti
famigliari (hombre, mujer, padre, madre, familia, niño/a, hijo/a, nombre,
gente, marido, hermano/a, muerto/a). Affine a quest’ultimo ambito è un
insieme di parole relative al corpo umano (cabeza, ojo, mano, brazo, corazón, cuerpo, voz, palabra, sangre, ropa). Si può riscontrare infine una
breve serie, meno omogenea, legata alla vita e, per così dire, alle passioni (muerte, vida, sueño, amor, dios, oro, dinero).
Proseguendo nell’esame del repertorio lessicale di Cien años de soledad, questa impressione di semplicità linguistica viene confermata
anche dalle parole con un numero minore di occorrenze. Infatti, se da
un lato si assiste a un ovvio ampliamento dei campi semantici, il lessico utilizzato è prevalentemente molto comune e appartiene a un registro medio dello spagnolo. L’uniformità del testo è favorita dal fatto che la voce che occupa quasi tutta la scena è quella del narratore
onnisciente, il quale lascia pochissimo spazio al discorso diretto dei
suoi personaggi. E questi si esprimono comunque tutti con la stessa
varietà linguistica, senza apprezzabili elementi di variazione, come testimonia la limitata presenza di varianti marcate quali forme sub-standard che definiscono l’appartenenza a determinati gruppi sociali o la
provenienza geografica – come gli ispanoamericanismi, sui quali
torneremo più avanti –, o di modifiche contestuali (per esempio è quasi totalmente assente il ricorso al turpiloquio).20
20
Le voci volgari si limitano alla seguente brevissima serie di parole: mierda (14), puta/o
(10), cagar (6), cabrones (4), carajo (4), pendejo (2), collons (1), culo (1).
28
Riprendendo l’ambito della magia, rispetto alle pagine iniziali il lessico più utilizzato da García Márquez in Cien años de soledad delude le
aspettative, e il risultato non cambia nemmeno andando a considerare
anche le forme meno frequenti, come dimostra la tabella che segue.
presagio 17
alquimia 8
fascinación 8
mágico 7
encantado 6
prodigio 5
hechizo 5
magia 4
conjurar 3
conjuro 3
fantasma 3
pócima 3
hechizado 2
sortilegio 2
amuleto 1
bebedizo 1
encantamiento 1
espiritista 1
espíritus 1
fantasmal 1
hechicero 1
hechicería 1
maleficio 1
nigromante 1
Un numero ben più consistente di parole e occorrenze si attesta invece per il lessico legato alla religione, rappresentato dalle seguenti voci:
dios 66
padre 48
santo 28
misa 24
cruz 19
monja 16
alma 15
bautizar 15
milagro 15
papa 14
templo 14
cura 12
vocación 12
iglesia 10
cristianizar 1
hereje 1
madre superiora 1
mesiánico 1
paraíso 10
párroco 10
altar 9
superstición 9
piedad 8
seminario 8
ángel 6
cristiano 6
fe 6
bautismo 5
novicia 5
católico 4
pecado 4
religioso 4
novenario 1
relicario 1
sacristán 1
sacristía 1
reliquia 4
sagrado 4
arcángel 3
encíclica 3
rosario 3
sacrílego 3
vírgen 3
monaguillo 2
primera comunión 2
votos 2
blasfemias 1
breviario 1
cardenal 1
catolicismo 1
santificar 1
trono celeste 1
viático 1
Uno spazio a sé merita il discorso sull’aggettivazione, poiché, come si è notato fin dalle prime pagine, svolge un ruolo fondamentale
nello stile narrativo di García Márquez. Osserviamo anche in questo
caso la lista degli aggettivi più utilizzati in Cien años de soledad.21
21
L’elenco comprende gli aggettivi con almeno 10 occorrenze nel testo. Non figurano gli
aggettivi possessivi e dimostrativi. Nel conteggio delle occorrenze non si è ovviamente tenuto conto dei casi in cui le parole in questione sono usate come nomi comuni (es.: viejo, negro)
o propri (es.: Aureliano Triste), voci verbali (es.: muerto, abierto) o segnali discorsivi (es.: bueno), né quando hanno funzione avverbiale (es.: por último).
29
primero 174
único 140
último 132
nuevo 77
bueno 75
antiguo 74
grande 69
solo 63
viejo 59
vivo 55
malo 53
mayor 45
negro 44
solitario 43
largo 40
alto 39
feliz 36
blanco 33
público 32
inútil 30
natural 30
muerto 29
humano 29
triste 29
azul 28
invisible 28
pequeño 28
secreto 27
amarillo 26
abierto 25
joven 25
doméstico 24
puro 23
remoto 23
cotidiano 22
desnudo 21
escrito 21
verde 21
asustado 20
armado 19
enorme 19
duro 19
interminable 19
lleno 19
pálido 19
rojo 19
imposible 18
profundo 18
ciego 17
entero 17
eterno 17
posible 17
raro 17
simple 17
olvidado 16
silencioso 16
cubierto 15
loco 15
vacío 15
ardiente 14
especial 14
alegre 13
atormentado 13
hondo 13
indiferente 13
pobre 13
común 12
desconocido 12
extraño 12
incontables 12
inmenso 12
misterioso 12
necesario 12
cansado 11
colorado 11
inocente 11
lúgubre 11
terminante 11
absorto 10
asombrado 10
contiguo 10
corto 10
descomunal 10
implacable 10
insoportable 10
intenso 10
pacífico 10
prodigioso 10
redondo 10
terrible 10
La lettura di questi dati numerici propone molti spunti di riflessione a livello qualitativo. Qui mi sembra il caso di sottolineare il
fatto che gli aggettivi scelti da García Márquez in Cien años de soledad tendono a essere assoluti, saturi, periferici, estremi. I primi
tre, di gran lunga i più usati, ne sono una dimostrazione evidente. Primero e último sono modificatori che collocano il modificato alle
estremità di una gamma, mentre único riassume in sé la gamma intera,
è l’estremo assoluto.22 Coerentemente con questa tendenza, nella lis22
Si noti inoltre l’alta frequenza d’uso di due aggettivi semanticamente affini a único: solo e solitario. Questi dati integrano le osservazioni di Cesare Segre a proposito della «gamma
estesissima» della solitudine in Cien años de soledad («Il tempo curvo di García Márquez», in
C. Segre, I segni e la critica, Torino, Einaudi, 1969, pp. 251-295).
30
ta figurano diverse coppie di antonimi: antiguo/nuevo; bueno/malo;
grande/pequeño; viejo/joven; vivo/muerto; triste/feliz-alegre; lleno/vacío;
imposible/posible. Si tratta di aggettivi che qualificano la realtà attraverso un filtro che privilegia relazioni di tipo tutto/niente, e che
ben si adattano alla descrizione del mondo primario, prototipico, mitologico – totale, secondo Vargas Llosa23 – di Macondo e all’epica saga dei Buendía.
Interessante è la presenza dei colori nell’elenco. In un’ambientazione esotica e tropicale come è spesso definita, a torto o a ragione, quella di Cien años de soledad, ci si potrebbe aspettare un ampio
ricorso a tinte e sfumature diverse. Così non avviene, dato che non
è la denotazione realistica a interessare García Márquez (e Macondo
è forse meno esotico e tropicale di quanto comunemente si creda). Ma
c’è di più: persino in una gamma di aggettivi che non si sviluppa su
un asse centro/periferia, com’è lo spettro dei colori, prevale una coppia antonimica, l’unica possibile, negro/blanco. Si tratta anzi degli unici due non-colori della gamma, curiosamente i meno tropicali. Per il
resto, l’elenco ne propone solo altri quattro: azul, verde, amarillo e
rojo/colorado.24 Pochi colori primari, scarso o nessuno spazio per le
mezze tinte e le sfumature.25
Così come trovano poco spazio gli stati d’animo, o le forme, a
vantaggio di aggettivi meno realistici – soprattutto nell’uso che se
ne fa in Cien años de soledad – ma portatori di un carico espressivo
che svolge una funzione fondamentale nella costruzione dello stile
di García Márquez. È il tipo di aggettivi che avevamo già notato
nelle prime pagine, parole che per tutto il romanzo contribuiscono
a creare l’effetto di meraviglia che il narratore intende suscitare nei
lettori. Trova pertanto conferma il ricorso di García Márquez a un
modello di sintagma già osservato nelle prime pagine del romanzo,
e che possiamo considerare tipico del suo stile, formato da un nome abbinato a un modificatore saturo, estremizzante, assoluto,
periferico. La tabella che segue riporta gli aggettivi più utilizzati in
23
M. Vargas Llosa, «Cien años de soledad. Realidad total, novela total», in G. García
Márquez, Cien años de soledad, cit., pp. XXV-LVIII.
24
Si può inoltre osservare che, tra questi, due aggettivi – amarillo e colorado – vengono
usati prevalentemente per denominare degli insetti, rispettivamente farfalle e formiche, venendo
quindi a mancare la loro funzione attributiva.
25
Accanto ai colori, infatti, non ci sono mai altri elementi che li specificano meglio
(tipo azul claro, verde agua), né sono presenti aggettivi di colori formati con suffissi (come -ecino,-áceo,-usco, -izo), con l’unica eccezione di amarillento. Altri colori presenti, in
misura minore, sono pardo, rosado e violeta, mentre non figurano l’arancione, il grigio e
il marrone.
31
tal senso, accompagnati dai nomi con cui costituiscono i sintagmi
più frequenti e significativi.
AGGETTIVI
Ardiente
descomunal
desconocido
Enorme
Especial
Extraño
Hondo
implacable
incontable
Inmenso
insoportable
interminable
Lúgubre
misterioso
prodigioso
Raro
Remoto
Secreto
terminante
Terrible
32
NOMI
cama, humedad, líquido, lavados, lugar, mediodía, nudos, piel, polvo
conmoción, empresa, energía, fuerza, hombre, llanto, potencia, respiración, tetas
adolescentes, ciudad, estilo, estremecimiento, huéspedes, invento,
palabra, pueblo, sangre, temor, teoría
anciano, animal, calabazo, casa, cajón, cuerpo, desnudez, hormigas,
hueco, murciélago, ollas, piedras, rostro, sombrero
ataúd, comisión, cuarto, estilete, estuche, guardia, pantalones,
párrafo, vagón
aire, cosas, lengua, mensajero, nave, ruido, sortilegio
cariño, desprecio, nostalgia, rumor, sentimiento, silencios, suspiro
concentración, decisión, evocación, horario, hostilidad, labor, vigilancia, zumbido
amores, batallas, desastres, destrozos, ejemplos, incomodidades,
hombres, mujeres, privaciones, verdades, viajes
capacidad, casa, curiosidad, desolación, fracaso, llanura, poder, posibilidad, prestigio, sabiduría, salón, ternura
calor, dolor, espectáculo, estado, peso, sueño, tufo
aguacero, avenidas, baños, calles, correspondencia, discusión,
espera, hora, mortaja, noche, oración, parrandas, partidos, plantaciones, tren, tripa
anciano, cafetines, ciudad, hombre, hotel, lamento, madrugada,
quejido, resplandor, salmo
ámbito, corazón, intuición, recursos, sentidos, señales, solemnidad,
temblor, viento
experiencia, fábulas, instante, juguetes, mundo, ser, tarde, variedad
cosas, enfermedades, facultad, fascinación, hombre, instinto, intuición,
libros, muestra, oficios, sabiduría, sensibilidad, sentimiento, virtud
circunstancia, ciudad, hechos, horizonte, lugares, madrugada, mañana, mujer, novios, países, persecución, pesadilla, población, referencia, tarde
alianzas, anuncios, clepsidra, cripta, designios, determinación,
dolencias, fuerza, gustos, hostilidad, informes, labor, lugar, llanto,
magia, noches, pacto, pasión, perfumen, relaciones, reunión, rincones, sufrimientos, ternura
bandos, convicción, influencia, investigación, mensaje, opinión,
prueba, respuesta, severidad
animal, deseos, dolor, estado, expiación, martirio, prueba, sentido,
soledad
Più in generale, è l’attribuzione – di cui l’aggettivazione è solo
una fra le varie modalità – a essere fondata sull’utilizzo di caratteristiche estreme e periferiche. Possiamo osservarlo nel modo in cui
García Márquez introduce il personaggio di Nigromanta.
[…] la bisnieta, una negra grande, de huesos sólidos, caderas de
yegua y tetas de melones vivos, y una cabeza redonda, perfecta, acorazada por un duro capacete de pelos de alambre, que parecía el almófar de un guerrero medieval.26
Oltre all’uso di diversi aggettivi saturi e assoluti, la caratterizzazione è qui ottenuta attraverso alcuni riferimenti (appartenenti al
mondo naturale e alla storia) che ne enfatizzano il tratto esotico, peraltro già evidente nella figura della ragazza nera delle Antille. È chiaro che l’esotismo di Nigromanta, come di molti altri elementi del testo, è tale solo in culture diverse da quella a cui appartiene il romanzo. Eppure Cien años de soledad lascia a bocca aperta anche il lettore autoctono, perché non sono tanto l’alterità del contesto o la
straordinarietà degli eventi narrati a creare il clima di meraviglia e magia che pervade il romanzo, ma è soprattutto lo statuto di straordinarietà che García Márquez attribuisce in pratica a ogni componente –
fatto, cosa o persona – della narrazione.
In particolare, in questo esempio si può inoltre osservare il ricorso
a un arcaismo, culturale prima che linguistico, rappresentato dalla parola almófar, all’interno di una similitudine che permette a García
Márquez di connotare, più che descrivere, ulteriormente Nigromanta, con un’operazione dalla triplice valenza: linguistica, con
l’inserimento di una parola arcaica e desueta; culturale, mediante l’evocazione del Medio Evo, mondo diacronicamente lontano, e quindi esotico, per qualsiasi lettore; narrativa, grazie all’originale accostamento di una femminilità sensuale, seppur vitalmente energica, con
la figura di un antico guerriero.
Soffermandoci sul piano linguistico, l’uso di una parola di registro
diverso – arcaico, colto, specialistico – sembrerebbe contrastare
con quanto osservato in precedenza riguardo alla natura basilare del
lessico utilizzato in Cien años de soledad. Vale dunque la pena di approfondire questo ulteriore aspetto. Una ricognizione effettuata sull’intero corpus lessicale del romanzo ha evidenziato la presenza di una
26
[la bisnipote, una negra grande, con ossa solide, fianchi da cavalla e tette come meloni vivi, e una testa rotonda, perfetta, corazzata da un duro casco di capelli di fil di ferro, che
sembrava la cuffia di maglia metallica di un guerriero medievale] G. García Márquez, Cien años
de soledad, cit., p. 436.
33
serie di lessemi di uso meno comune, in molti casi con una sola occorrenza nel testo. Si tratta di unità lessicali che si riferiscono nella
maggior parte dei casi a oggetti materiali, con una significativa presenza di sostanze e composti di vario tipo, spesso per uso medicinale, e di nomi di tessuti e capi di vestiario. Ci limitiamo qui a fornirne
schematicamente alcuni esempi.
SOSTANZE E COMPOSTI
TESSUTI E VESTIARIO
TECNICISMI E OGGETTI VARI
arnica, bórax, calomel, cinabrio, láudano, nuez
vómica, oropimente, piedralipe, quenopodio, ruibarbo, solimán
balandrán, cáliga, cordobán, crochet, dormán, espuma, etamina, levita, madapolán, miriñaque, mitón, organdí, percal, rebozo
alcuza, anafe, atanor, caliche, camándula, clavicordio, daguerrotipo, escapulario, esclava, falleba,
golondrino, granatario, leontina, penca, pesario, rebenque, retorta, sinapismo, trinche, victrola
Una prima osservazione, di tipo quantitativo, riguarda il fatto che
queste forme corrispondono a una percentuale assai modesta rispetto all’insieme del lessico di Cien años de soledad. La loro presenza non
supera complessivamente i 200 casi, circa lo 0,14% delle 138.003 parole di cui è composto il romanzo. Ne consegue che l’alto grado di leggibilità del testo – risultato, ricordiamo, della semplicità e dell’uniformità lessicale, sintattica e stilistica – non ne è interessato. Ciò
non significa tuttavia che il loro impiego sia marginale e trascurabile. Costituiscono infatti un ulteriore strumento a disposizione di
García Márquez per conferire alla narrazione l’aura magica e meravigliosa che ne ha determinato il successo. Come nel caso di almófar
nella caratterizzazione di Nigromanta, queste parole si rivelano perfettamente funzionali a tale scopo, consentendo di rafforzare l’effetto
esotizzante attraverso fattori linguistici e culturali.27
Nella descrizione di Nigromanta è possibile notare un’ulteriore caratteristica dello stile di García Márquez, vale a dire un procedimento accumulativo che lo porta al frequente uso di serie ternarie (nella citazione huesos sólidos/caderas de yegua/tetas de melones vivos e redonda/perfecta/acorazada). Gli elementi interessati da questo espediente retorico, di cui il testo di Cien años de soledad è letteralmente costellato,
27
È interessante notare come la valenza esotizzante delle forme desuete diventi più sensibile con il passare degli anni, fenomeno che può compensare parzialmente la minore distanza
culturale e psicologica che il turismo di massa ha determinato rispetto ai Caraibi e all’America Latina.
34
possono essere nomi, aggettivi, sintagmi e frasi, talvolta anche in numero maggiore di tre. A titolo di esempio si riporta il brano seguente,
in cui si può apprezzare la densità del ricorso alle serie ternarie.
Después de envenenar a los animales, clausuraron puertas y ventanas con
ladrillos y argamasa, y se dispersaron por el mundo con sus baúles de madera,
tapizados por dentro con estampas de santos, cromos de revistas y retratos
de novios efímeros, remotos y fantásticos, que cagaban diamantes, o se
comían a los caníbales, o eran coronados reyes de barajas en altamar.28
La dimensione culturale è l’ultimo filtro attraverso il quale osservare in queste pagine il lessico di Cien años de soledad. Si utilizzerà
a tal fine il concetto di culturema, che, applicato a un testo letterario,
designa un elemento verbale29 dotato di una valenza culturale specifica
nella cultura di origine del testo. Si tratta tuttavia di una nozione relativa e dinamica, non a caso affermatasi fra i teorici funzionalisti della traduzione. La specificità culturale può infatti emergere solo dal contatto fra due culture diverse. In questo caso prendiamo in esame le parole che assumono la valenza di culturemi rispetto alla cultura italiana, e che dunque determinano l’adozione di particolari strategie nella traduzione in italiano. Per ora se ne registrerà l’entità della presenza
nel testo, per tornare a considerarle in seguito, nel quadro delle riflessioni di tipo traduttivo. Consideriamo i culturemi suddividendoli schematicamente in quattro categorie, in base all’appartenenza alle dimensioni naturale, enciclopedica, sociale e linguistica.30
In Cien años de soledad gli elementi culturalmente specifici appartenenti alla dimensione naturale si limitano ad alcune parole che
si riferiscono al mondo animale (alcaraván, gallinazo, gorgojo, guacamaya, gusarapo, marimonda, mico, sábalo, turpial) e vegetale (ahuyama,
alhucena, ají, bejuco, cañabrava, carreto, ceiba, guayaba, guineo, malanga,
ñame, paico, sábila, totumo, trinitaria, yuca). Sia per numero che per
frequenza d’uso, la loro presenza e il loro impatto sul testo appaiono
28
[Dopo aver avvelenato gli animali, murarono porte e finestre con calce e mattoni, e si
dispersero per il mondo con i loro bauli di legno, tappezzati all’interno con immagini di santi, figurine di riviste e ritratti di fidanzati effimeri, remoti e fantastici, che cagavano diamanti,
o si mangiavano i cannibali, o erano incoronati re di briscola in alto mare] G. García Márquez,
Cien años de soledad, cit., p. 451.
29
Applicata alla comunicazione in generale, la nozione di culturema designa invece sia elementi verbali che paraverbali.
30
Esistono proposte più analitiche per la classificazione degli elementi culturali – o parole
culturali, o realia – che oggi definiamo culturemi (ricordiamo i contributi di Nida, Newmark,
Vlakhov e Florin). Tuttavia, alla luce delle riflessioni teoriche più recenti (House, Nord), nonché
per i limitati orizzonti di questa analisi, è preferibile ridurre al minimo il numero delle categorie.
35
modesti, ridimensionando ulteriormente il luogo comune dell’esotismo e del tropicalismo che accompagna Cien años de soledad.
Il livello che definiamo enciclopedico comprende una serie di nomi – in gran parte luoghi e persone – relativi a riferimenti geografici, storici e letterari (Duque de Alba, Arnaldo de Vilanova, Artemio
Cruz, Cabo de la Vela, capitulación de Neerlandia, Compañía de las Indias, Curazao, destrucción de Cantabria, Guacamayal, Isaac el Ciego, La
Guadalupe, La Guajira, Manaure, Rafael Escalona, Riohacha, Rocamadour, Tucurinca, Urumita, Valle de Upar, Villanueva, Zorrilla).
Anche in questo caso si tratta soltanto di poco più di 20 unità – di
natura peraltro molto eterogenea, includendo elementi colombiani,
ispanoamericani e spagnoli – che non determinano particolari effetti sul romanzo e sulla sua lettura.31
La dimensione sociale offre ancor meno materiale di analisi,
data la prossimità socioculturale fra l’Italia e l’America ispanica. In
assenza di culturemi legati alle convenzioni e alle abitudini sociali, ai
valori etici e religiosi, all’organizzazione della vita pubblica e sociale, si segnalano pochi elementi relativi alle forme allocutive, al cibo
e al denaro (compadre/comadre, don/doña; bizcochuelo, bocadillo,
dulce de leche, guarapo, sancocho; centavos, dinero colonial, doblones,
pesos, reales). In questo insieme possono essere considerati anche tre
americanismi che designano gruppi o tipi sociali: cachaco (peggiorativo con cui in Colombia ci si riferisce agli abitanti delle zone centrali
del paese), chafarote (peggiorativo per militare di carriera) e godo (persona di idee politiche conservatrici).
A prima vista molto più interessanti potrebbero apparire i culturemi a livello linguistico, data l’inevitabile presenza di ispanoamericanismi in Cien años de soledad, sebbene siamo ben lontani da un
testo che possa definirsi scritto in una delle varietà americane del castigliano,32 come avviene ad esempio con il contemporaneo Tres tristes tigres del cubano Guillermo Cabrera Infante. Tuttavia, le voci
ispanoamericane, meno di un centinaio, solo in pochi casi assumono
la valenza di culturemi per il lettore italiano, e ciò avviene quando
coincidono con un elemento che appartiene a una delle tre categorie
precedenti. Per il resto il significato della maggior parte degli ispa31
C’è anche una serie di elementi culturali «internazionali», soprattutto europei, che non
riportiamo in quanto estranei a entrambi i sistemi culturali considerati. Per i lettori di Cien años
de soledad resta comunque molto più rilevante e impegnativo destreggiarsi fra i nomi dei personaggi dell’albero genealogico della famiglia Buendía e della società che li circonda.
32
Gli ispanoamericanismi utilizzati in Cien años de soledad appartengono in prevalenza alle varietà caraibiche del castigliano. Si registra tuttavia anche la presenza di voci di provenienza
diversa, in particolare dal Messico, paese in cui García Márquez scrisse il romanzo.
36
noamericanismi non è rilevante rispetto alla cultura italiana, come è
evidente se pensiamo a parole come almacén, cantaleta, cuadra, ensopar,
fierro, montuno, parranda, saco, vaina, nomi che designano referenti extralinguistici a cui corrisponde un equivalente in italiano. Pertanto
queste unità lessicali possono avere una portata culturale solo per i
parlanti di varietà del castigliano diverse da quelle presenti in Cien
años de soledad. L’unica eccezione è rappresentata dalla parola gringo, ispanoamericanismo acclimatato nel lessico italiano, la cui valenza
culturale è dunque trasferibile nella traduzione. Nel complesso, per
il pubblico italiano la rilevanza dei culturemi di Cien años de soledad
appare dunque trascurabile.
Tradurre Cien años de soledad
Passiamo adesso ad applicare le osservazioni precedenti alla dimensione traduttiva. Sintetizzando i risultati dell’analisi, Cien años
de soledad risulta essere un testo che utilizza quasi esclusivamente lessico fondamentale, di alto uso e di alta disponibilità, con una sintassi
tendente all’uso di periodi brevi e alla paratassi, un testo dunque caratterizzato da un buon indice di leggibilità.33 La variazione sociolinguistica è praticamente assente, vista la modesta presenza di forme marcate e di ispanoamericanismi, così come limitato è il numero
dei culturemi. Né si apprezzano variazioni di tipo stilistico, grazie all’uniformità della voce del narratore. Sappiamo inoltre che García
Márquez è un romanziere di tipo tradizionale, alieno agli sperimentalismi che contraddistinguono altre opere emblematiche della generazione del boom – si pensi ad esempio, negli stessi anni di Cien
años de soledad, a La muerte di Artemio Cruz (1962) di Carlos Fuentes, a La casa verde di Mario Vargas Llosa (1965) o al già citato Tres
tristes tigres –, opere che non a caso sono state accolte con grande favore dalla critica ma che non sono certo entrate nelle classifiche dei
best-seller.
Ne consegue che Cien años de soledad è un romanzo nel complesso
facile da leggere, il che è perfettamente coerente con il suo grandissimo successo di vendite. Ma è anche un testo facile da tradurre? Proviamo a rispondere passando rapidamente in rassegna le caratteristiche
evidenziate.
33
Il concetto di leggibilità è qui utilizzato seguendo la proposta di Rudolph Flesch, il primo a interpretarlo in senso quantitativo, in base a parametri legati alla complessità lessicale e
sintattica di un testo.
37
In primo luogo, la prevalenza di un lessico di base e di una sintassi
non complessa non può che agevolare il compito di chi traduce Cien
años de soledad. Lo stesso si può dire dell’uniformità stilistica e linguistica del romanzo, fattori che risparmiano al traduttore il compito
di registrarne i vari livelli e sintonizzarvisi ripetutamente in base alle
variazioni presenti nel testo. Analogo discorso vale per l’«ortodossia»
narrativa di García Márquez, la cui scrittura tradizionalista non costringe alla ricerca di soluzioni sperimentali nella traduzione.
Cien años de soledad appare quindi un’opera che, nel suo complesso, non comporta particolari difficoltà per i traduttori a livello stilistico e linguistico. Resta da considerare la dimensione culturale, ambito che spesso si rivela insidioso nel processo di traduzione. Come
si è osservato in precedenza, il testo contiene diverse categorie di elementi che possono essere considerati rilevanti sotto il profilo culturale. Rivediamole in sequenza, al fine di valutarne la portata a livello
traduttivo.
La prima categoria è costituita da parole di registro alto e a
basso uso, prevalentemente arcaismi linguistici la cui desuetudine è
motivata da fattori culturali, in quanto si riferiscono a oggetti (sostanze, abiti, utensili…) appartenenti a epoche remote. Questi lessemi, seppur in numero limitato, contribuiscono alla creazione dell’aura magico-meravigliosa che è una delle caratteristiche principali di
Cien años de soledad. Sul piano della traduzione, tuttavia, non comportano difficoltà particolari, in quanto la distanza culturale non viene alterata dal contatto fra il testo di partenza e la cultura d’arrivo.
Ciò significa che questi elementi rimangono estranei alla dimensione
interculturale, e dunque al bipolarismo fra addomesticamento e forestierizzazione, in quanto la funzione che svolgono è la stessa sia nel
testo originario che nelle versioni tradotte. Il traduttore deve dunque
limitarsi a trovare nella lingua d’arrivo un equivalente dello stesso registro linguistico, se possibile. Tuttavia, anche nel caso di soluzioni
e riformulazioni di registro meno marcato o neutro, la valenza arcaicizzante di queste parole è comunque insita nella loro semantica.
Il secondo gruppo riguarda gli ispanoamericanismi utilizzati da
García Márquez, la cui rilevanza culturale è in realtà un fenomeno interno alla sociolinguistica del castigliano. Infatti, se da un lato queste
parole non vengono notate dal pubblico colombiano, la loro presenza
è sempre più sensibile mano a mano che la varietà dello spagnolo utilizzata dai lettori si allontana da quella originaria. È pertanto il pubblico
spagnolo a essere più soggetto all’effetto esotizzante di questi elementi,
peraltro non numerosi in Cien años de soledad. Nel processo di traduzione, però, tale distanza viene a essere neutralizzata, dato che non è
38
possibile riproporre efficacemente in altre lingue la variabilità diatopica
di un altro sistema linguistico, a meno che non si voglia incorrere in
strategie ridicole come quella che ci condanna a sentir parlare in siciliano i personaggi dei film gangster americani. Anche in questo caso,
dunque, i problemi per il traduttore sono minimi, limitandosi alla necessità di riconoscere e interpretare adeguatamente voci ispanoamericane che hanno degli equivalenti nella lingua d’arrivo.
Alcuni ispanoamericanismi di Cien años de soledad, tuttavia,
non hanno equivalenti in altre lingue. Queste parole, insieme a una
serie di nomi propri e a qualche forma allocutiva, costituiscono la terza categoria, quella degli elementi che assumono la valenza di culturemi rispetto al contesto di ricezione italiano. Se le osservazioni fatte a proposito dei due gruppi precedenti potevano applicarsi in senso assoluto alla traducibilità di Cien años de soledad, ora ci limiteremo quindi a considerare il possibile impatto dei culturemi sulla traduzione italiana del romanzo.
Il culturema è sempre un elemento problematico per il traduttore,
perché il suo trattamento comporta necessariamente l’adozione di una
norma precisa e la conseguente applicazione di una strategia. Norme
e strategie che si collocano sul già citato asse compreso fra i poli opposti dell’addomesticamento e della forestierizzazione del testo.
Tuttavia, come si è visto in precedenza, i culturemi presenti in
Cien años de soledad sono comunque pochi. Fra questi, i nomi propri
appartenenti alla dimensione che abbiamo definito enciclopedica
sono i meno problematici, dando per scontato che non debbano essere tradotti, se non nel caso di calchi acclimatati, come Compañía de
las Indias/Compagnia delle Indie. Al traduttore (e/o all’editore) rimane
solo la scelta di corredare questi elementi con l’aggiunta di eventuali
informazioni esplicative, nel testo o in nota. I culturemi che rimandano al mondo naturale presentano normalmente maggiori difficoltà di traduzione, consistenti in genere nella ricerca di un equilibrio fra la riproposizione di elementi culturalmente estranei e la loro comprensibilità, ma il loro esiguo numero in Cien años de soledad
li rende una componente trascurabile. Gli unici culturemi che meritano attenzione appartengono alla dimensione sociale e sono gli appellattivi don/doña e compadre/comadre. Dato il notevole numero di
occorrenze,34 il modo in cui vengono tradotti può influire sulla percezione del testo. Il traduttore dovrebbe dunque valutare con attenzione le scelte possibili in entrambi i casi.
34
50 occorrenze per don/doña e 11 per compadre/comadre.
39
Tornando all’interrogativo sulla traducibilità di Cien años de soledad, si può dunque affermare che si tratta di un testo piuttosto facile da tradurre sia dal punto di vista linguistico che stilistico.
Quanto alla dimensione interculturale, se consideriamo la specificità
del contatto fra Cien años de soledad e il contesto italiano, anche in
questo caso possiamo concludere che la traduzione del romanzo
non si rivela problematica.
La traduzione italiana
Per concludere, alcune note sull’unica traduzione italiana, ad opera di Enrico Cicogna, edita nel 1968 da Feltrinelli e successivamente ripubblicata da svariati altri editori.35 Anche in questo caso partiamo dalle prime pagine, anzi, dal celebre incipit.
Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo
llevó a conocer el hielo.36
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.37
Un periodo privo di difficoltà traduttive, con un primo esempio
– il sintagma tarde remota – di un tratto caratteristico dello stile di
García Márquez, riproposto senza problemi in italiano. Eppure,
viene introdotta una variazione di registro rispetto al testo originario, traducendo il verbo llevar, forma fondamentale e non marcata del
lessico dello spagnolo, con «condurre», invece del prevedibile e più
comune «portare». Un esempio analogo si ritrova poco più avanti.
A marzo tornarono gli zingari. Questa volta traevano un cannocchiale
e una lente grande come un tamburo, che esibirono come l’ultima scoperta
degli ebrei di Amsterdam.39
Anche qui si decide di non tradurre llevar con «portare», optando
per un discutibile uso di «trarre», variante di registro più alto.
Ancora nelle prime pagine, annotiamo esempi analoghi: pito/zufolo, sabios/savi, chivos/capri, hueco/vacuo, novedoso/inusitato, peste/paludismo, devastado/consunto, envuelto/permeato, de viejo/senile, hechizo/malia, gritos/trilli, lograr/pervenire. Tralasciamo ogni considerazione di ordine semantico per osservare il dato comune dell’innalzamento del registro nelle scelte del traduttore, atteggiamento che altera in modo notevole la natura basilare del lessico di Cien
años de soledad.40
Proseguendo la ricerca nel testo, lo stesso tipo di intervento sul
registro si rileva in numerosi altri casi, tra i quali spiccano alcune scelte di difficile interpretabilità, raccolte nella seguente tabella.
amortajada/insudariata
bacinillas/pitalini
bucles/buccolotti
cacareo/crocidio
cetrino/citrigno
chilabas/baracani
cítara/citara
cucurrucuteo/grugare
desbandada/sbrancata
desenclavarse/schiavarsi
despejar/illimpidire
desvarío/farnetico
golilla/gorgeretta
limpiadora/sbrattatrice
manoseos/brancicamenti
mariscos/peoci
médanos/sirti
parrandero-cumbiambero/sgavazzatore
polvo/impolverimento
ronquido/ronfio
transparentada/indiafanata
vaina/fottitura
En marzo volvieron los gitanos. Esta vez llevaban un catalejo y una lupa del tamaño de un tambor, que exhibieron como el último descubrimiento
de los judíos de Amsterdam.38
Un aspetto affine al precedente, in quanto contribuisce all’effetto
di innalzamento del registro del testo italiano ostacolandone la comprensibilità, è il ricorso ad alcuni prestiti e numerosi calchi. A questo
proposito è opportuno segnalare che nella versione italiana non si ricorre a informazioni esplicative all’interno del testo, e che le note del
35
Nel catalogo OPAC SBN figurano ben 112 edizioni di Cent’anni di solitudine, pubblicate
dalle case editrici A. Mondadori, Centro Internazionale del Libro Parlato, CDE, Club degli Editori, Euroclub, Famiglia Cristiana, Feltrinelli, La Biblioteca di Repubblica, Mondadori,
Mondadori-De Agostini, Oscar Mondadori, Periodici San Paolo, Telecom Italia, UTET.
Per questo studio è stato utilizzato il testo dell’edizione Feltrinelli 2005.
36
G. García Márquez, Cien años de soledad, cit., p. 9.
37
G. García Márquez, Cent’anni di solitudine, cit., p. 7.
38
G. García Márquez, Cien años de soledad, cit., p. 10.
G. García Márquez, Cent’anni di solitudine, cit., p. 8.
È questa una prassi piuttosto comune nel panorama editoriale italiano, testimonianza
di una sorta di complesso di inferiorità, di provincialismo linguistico, che caratterizza i parlanti
italiani, e a cui purtroppo non sono immuni nemmeno professionisti della comunicazione come i traduttori. L’aspirazione ad affrancarsi dal dialetto è così recente nella nostra storia linguistica, da portare ancora oggi al rifiuto – nella lingua scritta, nei contesti formali – delle forme non marcate e di uso comune, erroneamente considerate «basse», alle quali si preferiscono varianti di registro elevato, o anche forestierismi, percepiti come di maggior prestigio.
40
39
40
41
traduttore sono soltanto due, relative all’espressione niños-en-cruz e
alla parola carnicero, presente nel cognome del personaggio Roque
Carnicero.41 Le tabelle che seguono contengono i casi di prestito e i
calchi più significativi.
PRESTITI
ceiba
drill
guajira
guayaba
idalga
niños-en-cruz
paico
CALCHI
aduraznado/duracinato
ajedrezado/scaccheggiato
amelazados/melassati
animadversión/animavversione
atigrados/intigriti
bija/bissa
borceguíes/borzacchini
cloquear/chioccare
corregidor/correggitore
cromos/cromi
detectores/detettori
hospitalarios/ospitaliere
latinajos/slatinate
milimetría/millimetria
parpadeante/palpebrante
perjudicator/pregiudicatore
recapacitación/ricapacitazione
rifarse/riffarsi
silletería/panchetteria
telaragnado/ragnatelata
tronera/troniera
I dati numerici confermano le osservazioni precedenti. La traduzione italiana è composta da un totale di 135.302 parole (tokens),
quasi 4.000 unità in meno rispetto al testo originario. Nonostante ciò,
41
Queste sono le due note, inserite a piè di pagina: «Nella leggenda popolare esistono certe persone che nascono con una croce sotto la pelle del polso. Tali persone, dotate di forza
straordinaria e di eccezionali poteri erotici, portano un bracciale di rame sladato [sic] al polso
a protezione della croce»; «Carnicero: macellaio».
42
le singole parole del lessico dell’italiano (types) utilizzate dal traduttore sono più numerose delle parole dello spagnolo usate da García
Márquez. Di conseguenza il rapporto fra i due valori (TTR), vale a dire l’indice della variazione lessicale nei due testi, risulta più alto nella traduzione, dato che tipicamente si manifesta in una maggiore presenza della sinonimia.
Cien años de soledad
Cent’anni di solitudine
Tokens
138.003
135.302
Types
15.548
15.958
11
12
standardised TTR42
46,74
50,59
Sentences
5.518
5.503
type/token ratio (TTR)
Sembra dunque che Cicogna si sia complicato le cose senza motivo, e le abbia complicate un po’ anche ai lettori italiani. Da un lato propone soluzioni di registro elevato per parole non marcate, che
si sarebbe potuto tradurre in modo letterale senza particolari problemi; dall’altro utilizza invece un approccio iperletterale nei numerosi calchi, ricorrendo a forme bizzarre, spesso inventate e comunque di difficile interpretazione, giungendo purtroppo anche a
effetti comici, come avviene con il ripetuto uso di «compare» per
compadre.
Nel primo caso si tratta forse di scelte poco consapevoli, nel secondo potrebbero essere il frutto del tentativo di accentuare l’esotismo del testo, come segnala Varanini riferendosi al complesso delle traduzioni italiane del realismo magico.43 Per esserne certi bisognerebbe analizzare altre traduzioni di Cicogna, cimentatosi con
varie opere di García Márquez, nonché con diversi altri autori e ge42
L’indice TTR è calcolato da WordSmith Tools 4.0 sia come valore assoluto che in misura standardizzata, al fine di renderlo confrontabile con altri testi.
43
F. Varanini, Viaggio letterario, cit., pp. 15 e 48.
43
neri, e non solo dallo spagnolo.44 Una sua intervista, apparsa pochi
mesi dopo la pubblicazione del libro, dice infatti ben poco sugli obiettivi perseguiti e le scelte adottate traducendo Cien años de soledad.
Nel caso di Cent’anni di solitudine, mi sono trovato di fronte a un grande gioco di ritmi, di cadenze, di assonanze, di dissonanze, di concordanze,
di radicali, che andava rigorosamente rispettato, insieme a numerosi arcaismi, se non si voleva ridurre il libro nella versione in italiano a una mera sequela di avvenimenti.45
Cicogna si autocompiace del lavoro svolto, citando una serie di
presunte caratteristiche del libro, senza in realtà analizzare né spiegare nulla. L’unico dato concreto che fornisce è il fatto di aver
avuto solo un mese di tempo a disposizione – circostanza per cui ha
diritto a tutta la mia solidarietà –, anche se questa informazione sembra in contrasto con ciò che dirà diversi anni più tardi García Márquez parlando di Cien años de soledad: «Trabajé mucho con el traductor italiano y con el traductor francés. Las dos traducciones son
buenas».46 Il quadro si complica ulteriormente – o forse si chiarisce?
– grazie a una testimonianza di Valerio Riva, che in quegli anni fece
conoscere al pubblico italiano molti scrittori latinoamericani contemporanei, curandone le edizioni per Feltrinelli.
[…] io stesso avevo affidato a Cicogna la traduzione di Cent’anni di solitudine, ma mi ero sbagliato: il risultato era stato a dir poco deprimente. Lo
dovemmo ritradurre interamente, mot à mot, io e Marcelo Ravoni […]. Fu
un lavoro massacrante, di quelli che si ricordano con sgomento.47
44
Di García Márquez Cicogna ha tradotto anche El coronel no tiene quien le escriba, La
mala hora, Los funerales de la Mamá Grande, El otoño del patriarca, La increíble y triste historia
de la cándida Eréndira y de su abuela desalmada, Cuando era feliz e indocumentado. Segnaliamo inoltre sue traduzioni di Alfredo Bryce Echenique (Un mundo para Julius), Mario Vargas
Llosa (La ciudad y los perros, La casa verde, Conversación en la catedral), Juan Carlos Onetti
(Para esta noche, La vida breve, Juntacadaveres), Luis Martín-Santos (Tiempo de silencio). Altri autori di lingua spagnola tradotti da Cicogna sono Gustavo Álvarez Gardeazabal, Salvador
Elizondo, Ernesto «Che» Guevara, Manuel Puig e Manuel Scorza. Fra le sue traduzioni figurano anche opere dall’inglese (in particolare diverse avventure di 007, di Ian Fleming), dal
francese, dal tedesco e dal portoghese.
45
L’intervista, pubblicata in Uomini e libri (dicembre 1968), è tuttoggi consultabile in rete all’indirizzo http://www.feltrinellieditore.it/SchedaTesti?id_testo=1614&id_speclibro=1040.
46
G. García Márquez, El olor de la guayaba, cit., p. 56. Forse García Márquez, a distanza
di tempo, potrebbe aver confuso i ricordi di altre collaborazioni con Cicogna, che tradusse diversi suoi libri e che frequentò anche personalmente.
47
V. Riva, «Autore e traduttore», in J. Lezama Lima, Paradiso, Milano, Rizzoli, 1990, p. LXI.
La nota di Riva contiene altre interessanti informazioni su Cicogna e la sua attività di traduttore.
44
Temo che non sapremo mai come siano andate davvero le cose,
visto che Cicogna, Riva e Ravoni sono morti. Lo sgomento è comunque la sensazione che condividiamo constatando che il pubblico
italiano deve continuare ad acquistare e a leggere una traduzione con
questa storia e con le caratteristiche evidenziate in precedenza.
Chiunque ne sia stato l’autore, l’edizione italiana del 1968 ha fatto
il suo tempo: se è comprensibile che allora, in assenza di un’adeguata
riflessione teorica, il livello di consapevolezza dei traduttori fosse limitato, e che le politiche editoriali fossero faccende che si sbrigavano in ristretti circoli elitari, non è accettabile che oggi continuino a
essere proposti nelle librerie testi condizionati da pregiudizi linguistici
e ingenuità traduttive, continuando a spacciarli per operazioni colte
e raffinate.
Conclusioni
Cien años de soledad, il romanzo-che-non-c’era, il libro di cui aveva bisogno il ’68, letto immediatamente dai nostri genitori ma già letto anche dai nostri figli, convertitosi in fretta in un classico, entrato
nei programmi scolastici, è meno magico e meno tropicale di quanto
comunemente si creda. In fondo, non è niente di più di ciò che
García Márquez stesso ha spiegato.
Un día, yendo para Acapulco con Mercedes y los niños, tuve la revelación: debía contar la historia como mi abuela me contaba las suyas, partiendo de aquella tarde en que el niño es llevado por su padre para conocer
el hielo. […] Una historia lineal, donde con toda inocencia lo extraordinario entrara en lo cotidiano.48
Cien años de soledad è proprio questo, un racconto lineare con un
ritmo narrativo eccezionale, scritto con la lingua e nello stile dei cantastorie, in una formula i cui ingredienti lessicali – in grandissima parte basilari, quotidiani appunto – sono miscelati in modo tale da
conferire a ogni elemento uno statuto di straordinarietà. Puro e
tradizionale piacere narrativo, che dà luogo a un altrettanto puro piacere di lettura, alla portata di qualunque lettore.
48
[Un giorno, andando ad Acapulco con Mercedes e i bambini, ebbi la rivelazione: dovevo
raccontare la storia come mia nonna mi raccontava le sue, partendo da quel pomeriggio in cui
il bambino è portato dal padre a conoscere il ghiaccio. Una storia lineare, nella quale con ogni
innocenza lo straordinario entrasse a far parte del quotidiano] Ivi, p. 52.
45
Tradurre Cien años de soledad è facile. L’enorme successo internazionale è dovuto anche a questo. E sono tali la linearità e la semplicità tecnica del romanzo da essere immuni a molti dei possibili guasti delle traduzioni. Grazie a questo l’«accessibilità illimitata» che
Vargas Llosa49 attribuisce a Cien años de soledad è diventata tale in
tutto il mondo.
Quanto alla traduzione italiana, resta il fatto che la versione firmata da Cicogna, l’unica disponibile, è ben lungi dall’essere perfetta e ha ormai quasi mezzo secolo, un lasso di tempo spesso sufficiente
a far sì che le versioni tradotte invecchino più dei testi originari (e che
dovrebbe peraltro aver consentito di ammortizzare l’impegno economico necessario per il compenso del traduttore). Saremo condannati anche noi a cent’anni di solitudine, senza una traduzione all’altezza di un libro così importante, famoso e venduto? Io spero che
gli editori italiani siano tanto capaci, responsabili e generosi da permetterci di avere, diversamente dalla stirpe dei Buendía, una seconda
opportunità sulla terra.
49
46
Cfr. M. Vargas Llosa, «Cien años de soledad: realidad total, novela total», cit., p. XXVI.
Le infinite versioni. Alcuni bivi de
«La casa de Asterión» di Jorge Luis Borges
Francesco Fava – Università IULM, Milano
1. Un’ascia e una fiaccola – o una scure e una torcia, se si preferisce – sono due oggetti piuttosto diversi tra loro ed è difficile immaginare che l’una si possa confondere con l’altra. Eppure, leggendo
due diverse edizioni italiane de «La casa de Asterión»,1 racconto tra
i più noti di Jorge Luis Borges, proprio asce e fiaccole si vedono coinvolte in un caso di apparente interscambiabilità. Il sintagma «templo
de las Hachas», che compare due volte in quel testo, risulta difatti
tradotto come «tempio delle Fiaccole» nella prima edizione italiana
del racconto,2 mentre diventa «tempio delle Scuri» in una delle
sue successive riedizioni.3 In effetti, al sostantivo spagnolo hacha corrispondono tanto il significato di antorcha (fiaccola, torcia) quanto
quello di segur (ascia, scure). La coincidenza di due referenti tanto
difformi in un unico significante origina da un’etimologia duplice: hacha, infatti, è l’esito castigliano sia del latino facula, che dà luogo anche all’italiano “fiaccola”, sia del francese hache, a sua volta derivante
da un etimo germanico.4 Appurato che questo sostantivo è per così dire una parola doppia, rimane da stabilire se quelle del racconto di Borges siano fiaccole o siano scuri. Dare un’occhiata al paesaggio narrativo circostante quel «templo de las Hachas» è l’unico modo per risolvere il dilemma.
«La casa de Asterión» è un racconto che rievoca la storia del Minotauro (Asterione altro non è che un appellativo, meno comune, di
quella creatura mitologica) e della sua reclusione nel Labirinto. Mi1
Il racconto, originariamente pubblicato sulla rivista Los anales de Buenos Aires (II, 1516, mayo-junio 1947, pp. 47-48), è incluso nella raccolta El Aleph (Buenos Aires, Losada, 1949).
D’ora in avanti, per i testi di Jorge Luis Borges, si farà riferimento all’edizione completa della sua opera: J.L. Borges, Obras completas (4 voll.), ed. de Carlos V. Frías, Buenos Aires, Emecé,
1989. «La casa de Asterión» compare alle pagine 569-570 del primo tomo.
2
J.L. Borges, L’aleph, trad. di Francesco Tentori Montalto, Milano, Feltrinelli, 1959, pp.
97-100. Si tratta, in realtà, della prima pubblicazione italiana in volume, dato che, in rivista,
il racconto era stato proposto già un paio d’anni prima su Tempo presente (III, 3, marzo 1957,
pp. 209-210), con traduzione sempre di Francesco Tentori Montalto.
3
J.L. Borges, L’aleph, a cura di Tommaso Scarano, Milano, Adelphi, 1998, pp. 57-59.
4
Nel primo caso la voce facula, diminutivo di fax, passa presumibilmente attraverso una
forma *fascula che giustifica foneticamente l’esito hacha. Nel secondo, il francese ricava la voce hache dall’antico tedesco hâppa. Cfr. J. Corominas, J.A. Pascual, Diccionario crítico etimológico castellano e hispánico (6 voll.), Madrid, Gredos, 1980, t. III, pp. 301-303.
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