due parole per una storia

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due parole per una storia
Classe II C
Laboratorio di scrittura creativa
DUE PAROLE PER UNA STORIA
Brevi racconti ideati e scritti dai ragazzi e dalle
ragazze della classe II C dell' Istituto Lattanzio - Di
Vittorio di Roma.
Claudio Gradi
Giuseppe Marino
Mattia La Tona
Damiano Croce
Luciano Ilas
Patrizio Pesce
Daniele Libertone
Lucrezia Muratore
Silvia Emiliani
Gabriele Margani
Manuel Cecchetto
Sakib Siddiquei
Gianmarco Cangemi
Matteo Marzano
Simone Fruscella
Gianni Olaru
Matteo Testa
Stella Missaoui
Tutti sappiamo quale grande potere evocativo abbiano le parole. Esse ci
riportano ai ricordi e ci proiettano verso gli altri.
Dopo una lezione come tante nascono per caso questi racconti che parlano della
personalità, della fantasia, delle paure e della capacità di sognare dei vostri e
nostri ragazzi.
In totale libertà hanno scelto cosa raccontare e come raccontarlo.
Con tanta volontà hanno tessuto la trama delle piccole vicende.
Con profonda fiducia hanno accolto la sfida ed hanno condiviso i loro pensieri.
Leggerli è stato emozionante. Ciascuna storia parla dei sentimenti che agitano
questi adolescenti che, a volte con passo deciso, a volte con andatura incerta,
affrontano la vita.
Leggendoli scoprirete la bellezza della loro fantasia; la bellezza del riuscire a
raccontarsi raccontando.
28 Novembre 2014
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Il salto dell'uomo basso
In un paesino piccolo-piccolo sconosciuto dal resto del mondo
viveva un uomo talmente basso che tutti lo chiamavano Bassotto.
Bassotto era una persona con grande cuore, simpatico, con una
lunga e folta barba, grandi orecchie e una grande pancia. Come
nessuno si aspetterebbe Bassotto ogni quattr’anni si allenava per
partecipare alle Olimpiadi internazionali.
Nel suo paese c’erano altri campioni molto bravi nella lotta grecoromana,nel lancio del disco,del giavellotto e anche in altre
discipline. Invece, il punto di forza di Bassotto era la corsa. Vi
chiederete il perché?
Beh perché Bassotto era molto bravo a rotolare e siccome nessuna
regola delle Olimpiadi dice che non si può fare, Bassotto decise
tanti anni fa di sfruttare il suo corpo, diciamo per assumere una
forma come quella di un pallone, per giocare alle Olimpiadi.
In tutto questo però sorgeva un problema: la corsa comprende
anche la disciplina della corsa ad ostacoli .
Bassotto non si preoccupò di questo problema anche se invece di
saltare gli ostacoli poiché era obbligatorio era bravissimo ad
oltrepassarli senza neanche toccarli ,talmente era basso.
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Arrivò il giorno che quel paesino tanto aspettava. Tutti i
partecipanti si radunarono alla fine del villaggio per cominciare il
cammino verso Olimpia la città delle Olimpiadi.
Vespa,l’allenatore di Bassotto,l’unico al mondo in grado di
volare,era una persona di poche parole,molto calma,che passava
subito ai fatti e soprattutto era uno furbo. Vespa e Bassotto erano
molto amici e come allenatore Vespa era molto apprezzato da
Bassotto per gli aiuti che gli aveva dato fin’ora.
Durante il cammino verso Olimpia, che in pratica durò circa un
anno, i due ragionavano su come affrontare il problema dei salti.
Vespa con la sua furbizia pensò a uno stratagemma e una volta
deciso cosa fare disse a Bassotto di non preoccuparsi. Mancava
ormai una settimana all’inizio del concorso e Bassotto con il suo
amico, nonché allenatore, arrivarono alle porte della città di
Olimpia che come si può immaginare era affollatissima di gente.
Bassotto si chiese dove fossero finiti gli altri concorrenti provenienti
dal suo villaggio e Vespa gli rispose che c’era chi si era perso per
strada,chi rinunciò e chi addirittura mori. Passò una settimana e le
Olimpiadi ebbero inizio. C’erano concorrenti provenienti da tutto il
mondo,fatto sta che essi erano tutti alti,grossi e cosi robusti che in
mezzo a loro Bassotto neanche si riusciva a intravedere.
Iniziò la prima gara di velocità;Bassotto usando la sua innaturale
abilità:ruotare, riuscì a vincere.
Successivamente Bassotto vinse la corsa dei 100 metri, dei 400 e dei
1000 ottenendo a tutte, la medaglia d’oro. Bassotto riscaldandosi
per l’ultima corsa ,quella dei salti, notò che era talmente scarso da
non riuscire neanche a saltare una mela. A quel punto Vespa
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intervenne mettendo alla base delle scarpe di Bassotto delle molle
progettate da egli stesso che oltre al fatto di reggere il peso del suo
amico riuscivano anche a farlo saltare fino a raggiungere l’altezza
dell’ostacolo.
“Bassotto alla linea di partenza,la gara sta per avere inizio,scattato il
via per la prova,Bassotto iniziò la rincorsa avvicinandosi al primo
ostacolo. Bassotto saltò,attenzione Bassotto supera gli ostacoli con
un solo salto,tocca terra in un modo piuttosto doloroso rompendosi
l’osso del collo ma poi riesce ad assumere la sua solita forma a sfera
e taglia il traguardo “.
Fu cosi che Bassotto vinse le Olimpiadi nella sua disciplina anche se
fu Vespa ad assumere tutta la sua gloria poiché Bassotto mori dopo
pochi giorni dopo in ospedale a causa della rottura del collo.
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Il sarcofago di fuoco
In un villaggio molto lontano c’era una forte luce che proveniva
dalla cima della montagna ogni notte.
Tutte le persone del villaggio avevano sempre pensato che quella
forte luce fosse il sole della notte.
Un giorno però un signore prese coraggio andò in cima alla
montagna e tornò in paese dicendo a tutti che non era il sole della
notte ma un sarcofago che prendeva fuoco di notte; da quel giorno
venne chiamato il “Sarcofago di fuoco”. Tutte le persone del
villaggio, il giorno dopo, si precipitarono in cima alla montagna,
solo che ad un tratto videro un cartello dove c’era scritto che
bisognava pagare per poter visitare questa nuova scoperta del
signor Peppino e tutte le persone cominciarono a pagare una dietro
l’altra. Effettivamente all’entrata c’era un sarcofago, che però non
era infuocato. Il signor Peppino disse che dovevano tornare la sera
se lo volevano vedere. La sera stessa tornarono tutti e tutti videro
questo sarcofago infuocato e rimasero sbalorditi e cosi andò avanti
giorno dopo giorno. Molte persone andavano a visitare questa
grandiosa novità da tutto il mondo. Un giorno, però, arrivò un
giovane ragazzo che quando sentì di questo “Sarcofago di fuoco”
cominciò ad insospettirsi perché sapeva che un oggetto non può
prendere fuoco ogni notte e poi spegnersi di giorno rimanendo
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intatto. Allora, una sera, andò di nascosto in cima a questa
montagna e vide che il signor Peppino stava costruendo un
qualcosa che guarda caso alla fine prese le sembianze di un
sarcofago; dopo di che lo mise a terra e gli diede fuoco. Poi aprì il
cancello e cominciò a far entrare i turisti facendosi pagare, come
sempre. Il ragazzo capì che il signor Peppino ogni giorno costruiva
un sarcofago di legno che poi usava per truffare le persone, la
mattina seguente quello bruciato lo buttava e ne ricostruiva uno
nuovo. A quel punto il ragazzo raccontò tutto ai cittadini del
villaggio. I cittadini infuriati lo denunciarono alla polizia per aver
truffato centinaia di persone. Peppino confessò tutto dicendo che
aveva iniziato molto tempo prima a dare fuoco a questi sarcofaghi
ma il perché di tutto questo non lo volle mai dire. Dopo che le
persone cominciarono a credere che quella grande luce fosse il sole
della notte decise di inventare la scoperta per poi farsi pagare dei
visitatori. I cittadini provarono molta rabbia per quello che aveva
fatto e all’insaputa della polizia che lo aveva condannato a 10 anni
di prigione, lo rapirono, lo portarono in cima alla montagna lo
misero nell’ ultimo sarcofago che aveva costruito e gli diedero
fuoco. Cosi il signor Peppino morì.
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Il sole e il tasso
C'era una volta in un villaggio sperduto in Africa un tasso di nome
Ciro, che non faceva altro che esplorare il sottosuolo circostante
alla ricerca di cibo. Ciro adorava mangiare lombrichi e piccoli
vermi; adorava stare in compagnia anche se passava spesso il suo
tempo da solo e adorava la frescura dei boschi d'estate. Odiava
invece l'inverno per le sue giornate piovose e fredde. Ogni giorno
Ciro guardava il sole e gli chiedeva cosa facesse lassù e per
combattere la solitudine gli domandava se lo poteva difendere dai
predatori. Ma purtroppo il sole gli rispose che non lo poteva aiutare
perché il suo dovere era quello di riscaldare il pianeta. Ciro allora si
arrabbiò molto rimanendo così da solo con tutti i pericoli che
doveva affrontare. Da quel momento il povero tasso rimase molto
triste e avvilito e non rivolse più una sola parola al sole. Ma per
dispetto il sole inventò l'inverno tutti gli anni costringendo Ciro a
rimanere sempre in letargo.
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Il suono delle stelle
“L'anima è piena di stelle cadenti”, disse qualcuno una volta.
Era a questa semplice frase dalle mille sfumature che Ilaria
dedicava le sue serate. Amava da sempre sedersi sull'erba
impregnata di rugiada di quella collina e perdere lo sguardo nelle
stelle di mezzanotte.
Quella dai corti capelli neri e dai limpidi occhi nocciola era
un'adolescente come le altre, con i problemi personali e complessi
mentali di ogni altra ragazza, ma che amava perdere se stessa.
Si dimenticava di ogni cosa, contando quei piccoli ed
irraggiungibili cristalli che drappeggiavano la coperta del cielo:
non era più una quindicenne senza amici, o una bambina che si
chiudeva nella propria stanza ogni qualvolta i suoi genitori si
mettessero a urlare troppo, oppure una persona innamorata della
musica che non ha la possibilità di praticarla. Forza, coraggio,
paura e mistero si nascondevano in quel profilo di giovane donna
dagli occhi di bambina, ma davanti a quello spettacolo, il suo essere
si annullava per lasciar spazio a quelle stelle senza tempo che, mute
come lei, la osservavano.
Quella notte, però, fu diversa dalle altre.
Non vi erano le stelle assieme all'erba intrisa di rugiada ad
aspettarla in cima alla collina, bensì una piccola figura
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rannicchiata nel prato che, con il naso all'insù, osservava il cielo
plumbeo e privo di luce.
Avvicinandosi cautamente a lei, la mora notò che quella ragazza
aveva all'incirca la sua età, nonostante il fisico asciutto e minuto la
facessero sembrare ancora una bambina. Osservando la sua
immobilità, credette che con un solo tocco, avrebbe potuto
osservare quel corpo trasformarsi in un miliardo di granelli di
polvere, senza possibilità alcuna di raggiungerla.
-Ciao- sussurrò la misteriosa ragazza verso di lei, tenendo gli occhi
fissi al cielo.
Ilaria girò la testa a destra e sinistra, cercando il suo l'interlocutore.
-Stai parlando con me?- le chiese a bassa voce, avvicinandosi di
qualche altro passo.
Anche senza la luce delle stelle o della luna, i suoi lunghi ricci rossi
sembravano brillare come il fuoco in contrasto ai profondi occhi
azzurri come il mare, spenti, privi di vita ed immobili sulle nuvole
nere.
-Non credo che l'erba possa rispondermi- piegò la testa di lato
facendo ondeggiare i capelli sulla schiena, regalandole un sorriso
forzato e bagnato di lacrime.
La voce di quella ragazza aveva un suono dolce e armonico e la
mora, sedendole accanto, non riuscì a smettere di fissarla. Era una
ragazza così carina eppure così triste...
- Mi chiamo Alice, se ti interessa. Sono corsa via di casa perché ho
litigato con i miei genitori: per anni non ho fatto altro che quello
che mi chiedevano ma questa sera ho urlato loro che sono stufa di
questa vita da burattino. Mia madre piangeva e mio padre mi
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urlava dietro mentre correvo via e poi sono arrivata qui. Sono
stanca di tutto, di questa vita vuota e del mondo a cui non importa
nulla di me. - nel pronunciare le ultime parole, la rossa strinse più
forte le gambe al petto.
- E io sono Ilaria - rispose lapidaria, osservandola con sguardo
indagatore.
Quella sera senza stelle, le due ragazze non parlarono più di nulla
né presero accordi per rincontrarsi, anche se erano rimaste colpite
l'una dall'altra, così diverse nell'aspetto ma così simili nell'essere.
Qualche giorno dopo, erano di nuovo lì, una di fronte l'altra con le
stelle da mute spettatrici a quel dialogo senza suono. Si sedettero sul
prato esattamente come qualche giorno prima, con le spalle che si
toccavano ed i nasi all'insù verso lo spazio pieno di brillanti.
- L'hai mai sentito il suono delle stelle?- ruppe il silenzio Alice, con
la sua delicata voce.
- Il suono delle stelle? No, che cos'è?- Ilaria la guardò, colpita dallo
spontaneo e leggero sorriso che incurvava in su le sue pallide
labbra illuminate dalla luna.
- Anche se non ci siamo mai dette molto, tu sei una persona
speciale e tutte le persone, secondo me, sono delle stelle: così simili
ma così uniche e diverse- continuò la spiegazione, indicando con
l'indice il cielo nero punteggiato di bianco sopra le loro teste - Ogni
stella ha una sua grandezza, una forma e, anche se non lo vediamo,
un suo colore. Anche le persone sono così e ad ogni persona si
associa un sentimento e, che si tratti di rabbia, amore, odio, rispetto
o indifferenza, questi sentimenti risvegliano un suono nelle nostre
menti. La vita è costellata di stelle che suonano in continuazione. La
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musica è ovunque!- aprì le braccia, lasciandosi cadere a peso morto
sull'erba.
I capelli che le cerchiavano la testa e la pelle resa ancor più pallida
dalla luna la facevano sembrare, agli occhi scuri di Ilaria, una di
quelle fate che si incontrano nelle fiabe, quelle sempre pronte ad
aiutare con una buona parola.
Riportò lo sguardo al cielo terso di luce, ripensando a tutte quelle
persone che avevano costellato la sua vita, entrando e uscendo
come se fosse una sala giochi, e lasciando comunque un segno nella
sua esistenza.
- Il suono delle stelle... - sussurrò a fior di labbra.
Chiuse gli occhi e rivide il volto arrabbiato di suo padre che, dopo
aver alzato troppo il gomito, imprecava a gran voce contro sua
madre in lacrime. Lui, una potente grancassa contro il flebile suono
di un'arpa.
Pensò a quella ragazza dai grandi occhi cerulei sdraiata al suo
fianco e alla sua voce, così flebile ed armonica, come il suono
delicato di un flauto dolce.
Riaprì gli occhi dopo qualche istante, osservando le stelle che, sotto
i suoi occhi increduli, sembravano brillare più di prima mentre
nella sua testa, quegli stessi puntini privi di voce, emettevano suoni
diversi e distinti.
- Riesco a sentirlo anche io! È bellissimo!!! - spalancò gli occhi
stupefatta, sdraiandosi accanto ad Alice.
Nel suo cuore, qualcosa si era sciolto ed un peso era finalmente
caduto dalle sue spalle. Sin da piccola si era sentita costantemente
fuori posto ma lì, sotto quel cielo pieno di stelle luminose e con
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accanto una nuova e vera amica, riuscì a sentirsi finalmente a
proprio agio, come una nota musicale che ritrova finalmente il suo
posto tra le righe.
“L'anima è piena di stelle cadenti”, disse una volta qualcuno, ma
quel qualcuno, forse, non aveva mai osservato il cielo, pensando
alla propria vita e alle persone che lo circondavano.
Quel qualcuno non aveva capito che la vita è un cielo terso di stelle
che danzano e ballano al ritmo del nostro respiro e della nostro
cuore.
Quel qualcuno non aveva mai ascoltato il suono delle stelle.
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L'amicizia tra la pietra e la roccia
C’era una volta sulle montagne, fra l’erba alta, una pietra che,
stando molto in alto rispetto alle altre pietre, si sentiva molto sola.
Perciò un giorno decise di scendere dalla montagna per
raggiungere le altre pietre.
Scelse un giorno di vento, così poteva scendere più velocemente. A
un certo punto arrivò una ventata così forte che la pietra ruzzolò
giù per la montagna velocissima. La pietra era contentissima,
perché stava per raggiungere le altre pietre in fondo alla montagna.
A un certo punto la sua corsa s’interruppe: si era scontrata con una
roccia enorme. La roccia, arrabbiata, le urlò che le aveva fatto male
perché andava troppo veloce. La pietra allora le rispose che era
molto triste e arrabbiata perché per colpa sua che si era messa in
mezzo nella sua discesa, non avrebbe raggiunto le altre pietre.
Iniziarono a litigare per chi avesse ragione. La roccia le diceva che
non c’era modo per spostarsi perché non si era mai mossa per
miliardi di anni, ma era esausta di gridare poiché era vecchia.
Quando la roccia smise di parlare, la pietra capì che lei non ne
aveva nessuna colpa se si trovava proprio nel punto in cui sarebbe
scesa lei.
Poiché poi la roccia era lì da tantissimo tempo, decise che ci sarebbe
rimasta anche lei. Le due si chiesero scusa e la roccia le raccontò
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tutte le giornate della sua vita. Alla fine la pietra fece amicizia con
la roccia, anche se non ne aveva intenzioni all’inizio. Capì che un
amico poteva essere chiunque e non solo quelli uguali a lei. La loro
amicizia durò per sempre.
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L'oca stupida
Il primo giorno di primavera un branco di oche si svegliò dal
letargo (si, letargo e si, queste oche hanno dormito tutto l'inverno
galleggiando sul lago). La più anziana si lamentò: "Ahi ahi mi fanno
male le dita dei piedi!" L'oca romana le rispose con un forte accento
locale: "Ao' ma che te sei fumata, er rosmarino? Le oche nun
c'hanno li piedi". La vecchia oca si fermò un attimo e le rispose: "Eh
vabbè allora mi fanno male le spalle". No, se ve lo state chiedendo
non è lei l'oca stupida, è solo l'età. Una delle prime oche che si
svegliarono dal letargo fu l'oca monella. Lei non si svegliò presto
per una giusta causa, ma solo perché voleva vedere come l'oca
stupida aveva reagito al suo ultimo scherzo fatto prima del letargo.
L'oca monella girava per i negozi alla ricerca di qualcosa da usare
per i suoi scherzi quando si avvicinò ad una farmacia e vide nella
vetrina un grosso cartellone bianco che pubblicizzava un prodotto
chiamato "Guttalax". Notò sotto una scritta in rosso che recitava:
"Attenzione, prodotto sconsigliato per chi non soffre di stitichezza".
L'oca monella, con un maligno sorriso, pensò di mettere tutte le
gocce contenute nella confezione della birra "Rechtschutzversich"
in lattina che abitualmente l'oca stupida era abituata a bere. L'oca
monella, una volta arrivata alla cassa, fu indecisa se prendere la
versione normale o quella concentrata (quest'ultima era a base di
prugna, ed aveva anche un intenso aroma di questo frutto) poi
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pensò che concentrato in italiano significa "radunato in un solo
luogo". In quel momento i suoi pochi neuroni rimasti iniziarono a
muoversi con un moto uniformemente accelerato con
accelerazione pari al raggio del sole moltiplicato a 10^-13. Una
volta uscita da questa piccola fase MolecoFisica (tranquilli, non sarà
un'altra materia che dovrete studiare) scelse la versione
concentrata. L'oca monella, arrivando a casa, mise frettolosamente
tutta la confezione da 50ml di "Guttalax" nella lattina di birra
"Rechtschutzversich" non sapendo che se quel prodotto demoniaco
fosse stato assunto non una goccia alla volta, ma tutto insieme, il
povero disgraziato che avrebbe ingerito quel lassativo stimolante, in
questo caso l'oca stupida, avrebbe prodotto talmente tanta materia
organica fuoriuscente ad alta velocità che sarebbe potuto andare in
coma o diventare supersayan. Ora non vi descrivo nei dettagli la
faccenda perché per farvela capire meglio mi servirebbe l'aiuto del
prof di biologia, vi dico soltanto che il primo giorno di primavera,
quando queste oche si svegliarono dal letargo, trovarono l'oca
stupida in posizione prona che galleggiava. L'oca monella, un po'
spaventata, decise di girare l'oca stupida e notò che lei non aveva le
pupille agli occhi ed aveva la bocca semiaperta.
Poco dopo l'oca monella, per svegliare l'oca stupida, decise di
applicare sul suo corpo una forza F parallela alla massa M diviso
per il suo volume V moltiplicato per 10^-13 (in pratica gli tirò un
pugno). L'oca stupida si svegliò di scatto e, accorgendosi che aveva
davanti a lei l'oca che le aveva causato il malore, iniziò a parlare
una lingua che solo lei conosceva (sembrava un misto tra il tedesco
e il mandarino...mandarino la lingua non il frutto!) e volò via sul
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tappeto magico di Aladino, rubato ad una bancarella. Ora voi vi
starete chiedendo perché questa povera oca sia stata chiamata "l'oca
stupida". La risposta è che la lattina di birra che bevve era già
aperta ed odorava stranamente di prugna, mentre le restanti 10^8
lattine di birra che bevve erano tutte sigillate ed avevano tutte un
gustoso odore di luppoli.
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Sam e Sasso:un’amicizia piena di sentimenti
C’era una volta Sam, un bimbo di sei anni,ormai alle elementari,
Sam, si sentiva grande ed andava in giro a picchiare e lapidare i
suoi poveri compagnetti. Sam un giorno, un giorno di dicembre,
con la prima neve fuori dalla finestra,il silenzio del freddo e il vento
ghiacciato, uscì dalla porta di casa e corse via verso la scuola da
solo, poiché la mamma ancora dormiva e il padre era a lavoro, Sam
però si fermò prima ad un parchetto vicino la sua scuola, e trovò un
sasso, un sasso per lui migliore degli altri, perché era affilato e con
sfumature d’oro, proprio come a lui piacevano. Da quel giorno Sam
non abbandonò più il sasso, era sempre insieme al sasso che chiamò
‘’Sasso’’. Secondo Sam, Sasso aveva poco più di 74 anni, lo dedusse
non appena lo posò sull’altalena e rimase li, fermo , ragione per cui
Sam pensò che Sasso era anziano e non gli andava più di giocare.
Sam lo accudiva, se a volte Sasso era triste, Sam era li a supportarlo,
lo lavava e ci giocava alla Playstation. Sam decise cosi di inventarsi
un saluto speciale solo per lui e Sasso, e si inventò ‘’Il saluto della
Pietra’’, Sam appena vedeva Sasso si immobilizzava per qualche
secondo e non c’era modo di smuoverlo, cosi facendo Sam voleva
avvicinarsi il più possibile a Sasso, volevo provare ciò che provava
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lui, anche per non farlo sentire solo.
Un giorno però mentre Sam era a scuola e picchiava un bambino,
Sasso che gli cadde dalla tasca decise di rimanere fermo li, e Sam
infuriato per l’atteggiamento menefreghista di Sasso lo prese e
quando tornò a casa lo chiuse in una teca di vetro per 1 settimana,
una specie di punizione. Passata la settimana di punizione per
Sasso, Sam si pentì e pensò che non era nessuno per poter mettere
in punizione Sasso, cosi decise di farsi perdonare portandolo a fare
un pic-nic solo loro due, cosi si incamminarono. Arrivati sul monte
‘’Montagna’’, Sam iniziò un discorso di scuse verso Sasso che invece
sembrava proprio arrabbiato, se ne stava li fermo e non rispondeva,
non accennava neanche un sorriso, cosi Sam prese coraggio e
abbracciò Sasso che si ruppe e morì, Sam vedendo la scena del suo
amico morto, morì con lui per solidarietà
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Sampei & Shrek
Questa è la storia di un pescatore e del suo amico orco, che
vivevano in una piccola città in provincia di Cuneo. I due
convivevano e si aiutavano a vicenda. Sampei aveva origini cinesi,
per sopravvivere faceva il pescatore e ogni sera portava il cibo a
casa. Shrek invece, si occupava delle faccende domestiche mentre il
suo amico era fuori casa. Gli hobby di Shrek erano: catturare
draghi, fare a pugni con i cavalieri alle fiere medievali, e sposare
principesse. I due avevano un gatto, soprannominato il gatto coi
risvoltini, e un mulo parlante. Sampei ogni mattina, armato di
canna ed esche, partiva alla ricerca di un posto dove pescare. Non
gl'importava del luogo in cui pescava tantomeno del tempo che
impiegava a trovare la preda. Come quella volta che decise di
affittare una barca e partire senza una metà precisa. Nel tragitto
trovò un’isola con un uomo barbuto che parlava ad una noce di
cocco, ma non ci fece tanto caso e appena trovò un paio di pesci,
iniziò a tornare indietro. Ogni sera Shrek e Sampei cenavano
insieme e conversavano allegramente su quello che era accaduto in
giornata. Prima di andare a dormire si domandavano sempre se la
loro vita, un giorno, avrebbe potuto cambiare. La mattina seguente,
mentre il nostro pescatore era fuori, Shrek decise di iscriversi a
Masterchef. Quando Sampei tornò, tra una parola e l'altra, saltò
fuori pure questa cosa. Sampei fu contentissimo per il suo amico
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quando sentì la notizia. E fu così che Shrek partì verso l'America,
dove alloggiò in un hotel fino al giorno tanto atteso. Si preparò e
iniziò a incamminarsi verso il luogo dell'incontro. Davanti al
palazzo, vi era una marea di gente, concorrenti con parenti, figli,
nipoti, addirittura nonni, mentre lui era solo. Passarono ore e
finalmente, giunse il suo turno. Entrò ma vide solo Joe Bastianich
dentro, che gli disse che gli altri 2 giudici erano all'apertura di un
ristorante. Shrek, tutto sudato, mise la foto del suo amico vicino al
bancone da lavoro, come se lo stesse guardando e iniziò a cucinare.
Aveva un'ora e mezza per preparare un piatto meraviglioso. Andò
tutto bene, tralasciando il fatto che il tacchino fosse scivolato
accidentalmente due tre volte sul pavimento e che al posto del sale
avesse usato una cosa strana che gli fuoriusciva dall'ombelico.
Bastianich, ripudiato da quella portata, prese il piatto e lo lanciò.
Shrek iniziò a piangere e a lanciare urletti mentre correva verso
l'uscita.
La mattina del giorno dopo, partì immediatamente per casa sua.
Misteriosamente, appena l'orco arrivò a casa, trovò il suo amico, il
quale gli chiese come fosse andato il concorso. Shrek, mentì e gli
rispose che la gara era stata rinviata, ma Sampei aveva studiato da
Confucio, quindi sapeva già com'era andata. Ogni giorno era
sempre la stessa storia, Sampei pescava e Shrek puliva, fino a
quando arrivò un lungo periodo in cui i pesci erano introvabili.
Così, grazie alle origini cinesi di Sampei, i due decisero di cucinare
il gatto coi risvoltini. Prima di cenare, si sentì un tuono, e poco dopo
si sentì bussare alla loro porta. Incuriositi quanto impauriti decisero
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di aprire la porta e in quella notte, con quella fitta nebbia, non
riuscivano a vedere granché. La figura si fece ancora più avanti e
quando varcò la soglia della loro dimora, Sampei svenì. Shrek iniziò
a lanciare urletti come quella volta in America, ma la strana figura
gli disse di smetterla. Così, il nostro orco si asciugò le lacrime e lo
guardò in faccia. Era bastianich. Il famoso cuoco disse che voleva
assaporare quella prelibatezza poggiata sul tavolo. Iniziò a
mangiare il gatto e meravigliato, chiese a Shrek chi avesse cucinato,
e ne approfittò del suo amico svenuto per prendersene il merito.
Il cuoco, ormai sazio, decise di dare a Shrek un posto di lavoro in
uno dei suoi ristoranti, senza tenere conto dell'errore commesso in
America. Finito il discorso, Joe Bastianich sorrise saltò in groppa al
suo unicorno e volarono via. Subito dopo Sampei si svegliò e chiese
cosa fosse successo. Il suo amico gli raccontò di tutta la vicenda e
dell'opportunità di lavoro. Furono tutti e due contenti, e decisero di
partire subito. Si trasferirono in una città meravigliosa, piena di
persone, dove strinsero subito altre amicizie. Sampei iniziò a fare le
faccende domestiche nella nuova casa e Shrek iniziò a lavorare per
Bastianich, e con i soldi accumulati lui e il suo amico decisero di
aprire un locale tutto loro. Il locale aveva solo menù a base di pesce
e al centro della stanza c'era un grosso pesce spada. Sampei portava
il pesce al ristorante e Shrek lo cucinava. Con il tempo diventarono
famosi tutti e due, aprirono altri locali sparsi per tutto il mondo.
Purtroppo il successo e i tanti locali da gestire li fecero separare, ma
anche se erano lontani, si volevano bene lo stesso perché erano
amici per la pelle, e non importava a nessuno dei due se vi erano
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centimetri o chilometri di distanza, perché ormai erano diventati
inseparabili.
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Sandokan e il salmone della morte
Questa storia parla di un pescatore di nome Sandokan, che, ogni
mattina, si svegliava per andare a pescare e poi vendeva il raccolto
al mercato.
Ogni giorno faceva un bel gruzzolo che usava per mangiare panini
al MacDonald, e con i soldi restanti comprava bambole da
collezione.
Un giorno mentre Sandokan pescava e pensava ai panini che si
sarebbe mangiato a pranzo al MacDonald abboccò qualcosa al suo
amo; era un pesce enorme e tirava tantissimo la lenza ma Sandokan
non demorse, e tirò più di lui. Dopo una strenua e lunga lotta
contro il salmone Sandokan prese il pesce e vide che era un
salmone lungo 1 metro e mezzo. Sorpreso decise di finire di pescare
per poi fare una ricerca.
Tornato a casa prese il suo tablet e cercò il misterioso salmone,
scoprì che era uno dei pesci più rari del mondo e che si vendeva ad
una cifra altissima. Sandokan appena lo lesse fu felicissimo e
accarezzò il suo gatto di nome Sandogat.
Tornato dal mercato dove aveva venduto il suo ricavato dall'ultima
pesca Sandokan decise di cercare un acquirente del suo salmone
cosi raro. Trovò una persona ricca nei pressi della sua città disposto
ad acquistarlo; allora lui felicissimo si recò nel posto per vendere il
suo pesce.
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L'acquirente gli diede 4 milioni per il suo salmone, Sandokan
accettò volentieri e con i soldi ricevuti fece un tempio di
ringraziamento per il pesce che gli fece fare tutti quei soldi e spese
il restante in panini al MacDonald.
Nei 5 giorni prima del decesso fece molte cose Sandokan. Nel primo
comprò una moto d'acqua che usò sull'asfalto, si ruppe dopo
neanche 2 ore. Nel secondo comprò un iPhone che distrusse appena
comprato, lui odiava gli iPhone. Nel terzo e nel quarto iniziò
palestra per cercare di dimagrire, nel quinto stranamente morì
vicino alla palestra.
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Il Sasso e i pirati
Una mattina d’ estate una ciurma di pirati stava riposando sulla
spiaggia di un’ isola dell’ Indonesia.
Verso mezzogiorno circa, uno di loro vide galleggiare vicino alla
riva della spiaggia una bottiglia.
Dentro la bottiglia cosa ci sarà stato?
Una mappa, e cosa altrimenti? Insieme c’era anche una lettera dove
stava scritto un indovinello che diceva: “Se il tesoro vuoi trovare,
sull’ isola sperduta dovrai andare”. Il capitano Jim, detto “lo
Scheletrino”, ordinò al suo amico Jack detto sasso, ex capitano ora
in pensione, di controllare su una carta del mondo dove si trovasse
quest’ isola.
Sasso, però, non trovò niente ed allora controllò su un altro libro
pieno di polvere e ricoperto da ragnatele.
Sasso riuscì a trovare una frase che diceva che questa isola si poteva
trovare solo di notte perché il riflesso del sole rendeva impossibile
vederla. Trovò anche le indicazioni su dove si trovasse: era a circa
dieci miglia dal luogo in cui si erano in quel momento.
Sasso andò subito dal capitano e gli disse le novità che aveva
scoperto. Jim decise di partire al tramonto per arrivare all’ isola di
notte. Durante il viaggio dovettero affrontare numerosi ostacoli :
numerose piovre giganti, altri pirati e abitanti delle isole vicine che
volevano impedire al capitano Jim di prendere il tesoro. In questi
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duri combattimenti la ciurma dei dieci pirati si ridusse a tre. Jim, il
capitano, sasso, detto “il generale” e Joe , “l’ Aguzzino”. Alla fine del
viaggio riuscirono ad arrivare sull’ isola. Era notte fonda.
Lasciarono cadere l’ancora in acqua e i tre pirati rimasti in vita
scesero sull’isola. Lì costruirono una capanna, ignari che sull’ isola
abitavano altri pirati. Stanchi si misero a dormire beatamente.
L’isola misurava circa cinque chilometri in lunghezza e dieci
chilometri in larghezza. Era circondata dall’Oceano Indiano.
Al centro di essa si trovava un vulcano alto circa mille metri; il
vulcano era ricoperto sulle sue pendici da palme di cocco. La sabbia
era pressoché assente, infatti la costa era rocciosa. All’ alba il
capitano Jim si avventurò sull’ isola e quando scoprì gli altri pirati
venne subito ucciso, data la sua statura bassa ed il suo corpo
magrissimo e scheletrico. Quando gli altri due pirati trovarono Jim,
il capo divenne sasso, che era sicuramente il più muscoloso dei due
rimasti, il più abile con la spada ed il più alto. Joe, l’ Aguzzino,
invece era piccolo, con una benda in testa. Aveva un lungo naso ed
una sciabola in mano. Era un po’ grassottello. Jack decise di
attaccare ed uccidere gli altri pirati presenti in quell’ angolo
sperduto del mondo. Una volta uccisi quei pirati presero la mappa,
andarono nel punto indicato da essa e vi trovarono un’ ancora
gigante. I due pirati tolsero l’ ancora, scavarono e vi trovarono uno
scheletro con una lettera mezza strappata.
Sasso chiese a Joe di leggerla. La lettera diceva che il tesoro si
trovava dentro la bocca del vulcano, in una galleria poco sopra la
lava. I pirati si avviarono verso il vulcano quando apparve loro lo
spirito del vecchio proprietario del tesoro. I pirati si misero a
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correre verso il vulcano per evitare che lo spirito li prendesse e così
caddero in una trappola. Joe, l’ Aguzzino, era riuscito a salvarsi e
lanciò una corda a sasso. Così anche sasso si salvò. Arrivati sulla
bocca del vulcano, dopo aver evitato altre trappole, i due pirati
scalarono la montagna e arrivarono nella galleria. Appena entrati si
accorsero che era piena di trappole, ma i due le evitarono e
trovarono il tesoro. Il baule conteneva oro, gioielli e molti altri
preziosi. A quel punto sasso lasciò andare avanti Joe e poi lo uccise
con la sua pistola. sasso, allora, tornò alla sua nave e dopo aver
navigato in un mare agitato da una terribile tempesta, arrivò nel
suo villaggio, in Indonesia, felice di avere il tesoro tutto per sé. Ora
era un pirata felice, coraggioso, ma, soprattutto, RICCO !!!
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Set e il sole, un viaggio senza limiti
Un giorno Set camminava in un parco vicino casa sua mentre
fumava un sigaro, quando vide un suo amico di vecchia data,
risalente alle medie o addirittura alle elementari. I due si
riconobbero facilmente.
Decisero di andare in un bar non molto distante per bere qualcosa
di alcoolico, cominciarono a parlare del più e del meno, ricordando
della loro adolescenza.
Nell'adolescenza di entrambi c'erano stati problemi con la droga,
legge, alcool e furti.
Piero crescendo però aveva cambiato la sua vita, smettendo di
fumare e bere, ed era riuscito a farsi una bella famiglia e a trovare
un buon lavoro. Set invece il contrario, dopo due matrimoni falliti,
decise di andare a vivere da solo, facendo una vita solitaria,
continuando a drogarsi e a bere super alcoolici, e in più
continuando a rubare.
I due sin dalle medie avevano avuto una passione per la scienza,
fantascienza e per i pianeti..
Parlando e parlando si chiesero quanto sarebbe stato bello ad essere
i primi due uomini d andare sul Sole, Piero da intelligente disse:”
ma non si può andare sul Sole moriremmo ustionati”. Set da stupido
disse:”Mica ci andiamo di giorno furbo!!!”.
Piero si fece sempre più coinvolgere da questa idea però. Piero e Set
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volevano essere i primi due uomini ad andare sul Sole. Passarono
dieci anni ed era tutto pronto per partire, tute, shuttle, provviste e
per Set anche quaranta pacchetti di sigarette, dodici di sigari, dieci
litri di vodka e quattro di whiskey. Partirono da un luogo sperduto
nel Texas. Decollarono molto felici per la nuova scoperta che
potevano fare. Secondo i piani di Set dovevano arrivare sul Sole
quando era spento, quindi quando si poteva atterrare facilmente.
Dopo quattro giorni di lungo viaggio videro un pianeta che,
secondo i calcoli di Set doveva essere il Sole spento.
Dopo circa un'ora dal sopralluogo riuscirono ad atterrare, il
panorama era magnifico, in lontananza si vedeva la Terra.
I due fecero alcuni passi ma qualcosa andò storto, si accorsero che
in lontananza si vedeva una bandiera, avvicinando videro che la
bandiera era Americana e sull'asticella c'era scritto Apollo 13.
Pensarono che forse il Sole era già stato scoperto e forse erano
arrivati troppo tardi. Piero pensò che quello non era il sole bensì la
Luna.
Amareggiati decisero di andarsene ma durante il viaggio di ritorno
videro un pianeta molto luminoso, era quello il Sole, si
avvicinarono troppo, talmente tanto che la navicella esplose.
I due furono scaraventati al di fuori. Piero morì subito
schiantandosi contro un asteroide, Set vagò nello spazio per più di
una settimana.
La terra si faceva sempre più vicino, l'impatto sarebbe stato fatale.
Set andò a schiantarsi contro il terrazzo della sua vicina, che vide
per l'ultima volta.
Set sconvolto si alzò di scatto dal letto, realizzando che tutto quello
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era un brutto sogno.
Solo a metà mattinata riuscì a dimenticare dell'accaduto e ad
affrontare una giornata tranquilla.
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Simone e Stefania
Simone era un ragazzo di 15 anni , un giorno mentre stava
pattinando nel parco vide una bellissima ragazza e subito se ne
innamorò.
Simone però non sapeva il suo nome, cosi ogni giorno ala stessa ora
andava al parco a pattinare sperando di rincontrarla. Dopo 2
settimane Simone la vide seduta su una panchina da sola così si fece
coraggio e le andò a parlare. La ragazza si chiamava Stefania e
dopo una lunga chiacchierata Simone riuscì a prendere un
appuntamento per la sera stessa.
Simone appena tornò a casa subito si fece una doccia e si preparò al
meglio per la serata e alle 20 in punto si fece trovare sotto casa di
Stefania. La portò a pattinare sul ghiaccio, i due parlarono del più e
del meno e dopo una bellissima serata i due tornarono a casa
dandosi di nuovo appuntamento per la mattina seguente. La
mattina seguente Simone portò Stefania nel luogo in cui si erano
conosciuti e gli dichiarò il suo amore. Stefania rimase per qualche
secondo immobile e poi scappò via piangendo. Simone tornò a casa
tutto deluso pensando che in qualche modo avesse offeso Stefania.
Qualche ora dopo pero Stefania richiamò Simone gli chiese scusa e
gli propose di tornare alla loro panchina, Simone subito pensò di
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non andarci ma dopo pochissimo tempo cambiò idea e si presentò
sulla panchina.
Stefania iniziò subito a parlare chiedendogli scusa e dicendogli che
era scappata piangendo non perché si fosse in qualche modo offesa
ma perché prima di allora mai nessuno gli aveva detto quelle cose. I
due continuarono a parlare e dopo un po’ si diedero il primo bacio,
Simone e Stefania si fidanzarono e tornarono felici a casa.
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Stanco Lo Stantuffo
Stanco, questo era il suo nome, era uno stantuffo di media
grandezza e ai limiti della vita da lavoratore.
Lavorava seriamente fin da quando era piccolo e da sempre veniva
rispettato da tutti gli altri stantuffi che collaboravano con lui.
Sempre puntuale, elegante, ben lucidato e soprattutto gentile e
disponibile con tutti quanti.
Non c’era nessuno, neanche il più piccolo ingranaggio, che non lo
conoscesse e tutti quanti lo ammiravano.
Tutto il dì, Stanco Lo Stantuffo, faceva su e giù sulla sua molla,
emettendo qualche sbuffo ogni tanto e dando un sorriso a chi era
già stanco dopo le prime ore di lavoro. A pranzo mangiava un po’
d’olio e riprendeva quasi istantaneamente a lavorare sodo fino alla
fine del turno.
Nessuno, però, avrebbe mai pensato a ciò che accadde qualche
giorno più tardi.
Quel giorno, spezzò la monotonia della catena di montaggio e di
tutti gli stantuffi: Stanco Lo Stantuffo era malato.
Con grande stupore, ogni ingranaggio andava spifferando
all’ingranaggio o stantuffo che aveva di fianco, che il Grande
Stanco era malato e che probabilmente sarebbe stato sostituito!
ORRORE!
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L’incubo peggiore di ogni pezzo era proprio la sostituzione. Ma ci
pensate voi? Voi che vi state chiedendo “cosa sarà mai una
sostituzione?”, beh ve lo dico io! Il pezzo sostituito non vedrà MAI
più la luce. Mai più!
Di fatto tutti quanti cercavano di ungersi per bene ogni singola
parte del corpo metallico, evitando così strappi metallici, ruggine e
via dicendo…
Fra le catene di montaggio, correvano strane voci di corridoio. Da
chi diceva che Stanco Lo Stantuffo era stufo marcio di lavorare fra
di loro; a chi diceva che forse era meglio che si fosse ammalato, così
qualcun’altro avrebbe potuto eccellere nel proprio lavoro e
diventare famoso proprio come Stanco.
Insomma, tutta invidia!
Ma Stanco sapeva bene che i suoi giorni erano giunti al termine,
con quasi 26 anni di vita di solo lavoro e alcuna pausa, era più che
logico che il suo cuore si stava per arrugginire del tutto!
Niente e nessuno avrebbe potuto fermare questo corso, dunque
Stanco Lo Stantuffo era tranquillo. D’altronde non avrebbe sofferto
molto: sarebbe stato riciclato insieme ad altri materiali per poi dare
vita a qualcosa di unico, insomma sarebbe rinato!
Dunque chiuse gli occhi, prese coraggio e ringraziò tutti quanti, poi
emise un ultimo e felice sbuffo e si spense per sempre.
L’addetto alle sostituzioni, venne nel reparto di Stanco Lo Stantuffo,
lo prese e lo portò via da tutti gli altri non appena finì di sistemare
il nuovo e brillante stantuffo.
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Una simpatica amica
Avevo tre anni quando l’ho conosciuta, durante il primo anno
d’asilo. Non ci parlavamo molto a quei tempi. Dal secondo anno
abbiamo iniziato a parlarci e quindi a conoscerci. Abbiamo passato
un’infanzia armoniosa insieme, e inoltre andammo nella stessa
scuola sia alle elementari sia alle scuole medie fino a diventare
migliori amici. Riguardo alle superiori, però, avevamo idee diverse
e quindi ci separammo. Ormai sono quattro anni che non ci
vediamo, ed oggi mi sono deciso di mandarle un messaggio, in cui
le chiedo se le va di uscire. Ha accettato, ci vediamo domani.
L’indomani mi sono svegliato di colpo. Mi alzo dal letto e vedo l’ora.
Ho mezzora per prepararmi. Faccio colazione, la doccia, mi vesto ed
esco. Arrivo al bar in perfetto orario, mi siedo e aspetto. Dopo
cinque minuti arriva una bella ragazza e mi chiedo se può essere
lei. Quando si avvicina la riconosco subito. Ci salutiamo ed
iniziamo a raccontarci tutto quello che è successo in questi anni.
Dopo aver finito il caffè andiamo a fare una passeggiata al parco.
Ormai sono le sei e lei se ne deve andare. Prima di separarci, però,
le chiedo se tra noi ci potrebbe essere qualcosa in più. Lei, un po’
mortificata, rifiuta, dicendo però di voler rimanere amici. Torno a
casa sconsolato, pensando che lei, per me, sarà sempre e solo una
simpatica amica.
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Viaggio ai confini della salsiccia
In un giorno che non ricordo dell’anno tremiladuecento e
trecentoventi iniziava la prima rivoluzione Salsicciana. Ma
andiamo per gradi (anche perché vi sto raccontando il finale della
storia). Nel più remoto angolo dell’universo circolare, nella galassia
S-U-In, c’era un pianeta abitato interamente da salsicce. Questo
pianeta aveva una stranissima forma, così strana che tutte le
astronavi SUPERIPERMEGA spaziali si SUPERIPERMEGA stupivano
dinnanzi alla complessità e alla maestosità di questa “creatura”. Ci
sarete arrivati, questo pianeta era a forma di maiale. Maiale che era
controllato dalle salsicce intelligenti, pronto per iniziare guerre e
per conquistare le fattorie iperspaziali. Ogni team di salsicce
controllava una parte del corpo e la ottimizzava al meglio a
seconda del momento. Infatti in caso di guerra il team che
controllava l’apparato digestivo iniziava a produrre acidi
biogastrobrucianti che scioglievano qualunque cosa gli si parava a
tiro. All’inizio dell’inverno universalmente freddo però, con l’arrivo
dei gelidi venti e dei freddi diciannove, per mantenere intatto il
cervello tutto il team andava in letargo. Tutto il resto del corpo
attendeva con ansia questo letargo poiché la ciurma poteva
dedicarsi al completo ozio e all’arte del “non fare niente”. Questa
procedura però era contro la legge universale dei maialoni. Tutti
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temevano che da un momento all’altro sbucasse un controllore
iperspaziale, pronto a sorvegliare il suino ed il suo corretto
funzionamento. Manco a farlo apposta arrivò nel bel mezzo di un
letargo, il controllore più spietato della galassia S-U-In. Nessuna
poteva essere la scusa in quel momento. Zarik, così si chiamava,
adottava metodi alquanto strani per la supervisione del pianeta.
Infatti egli leccava ogni singola salsiccia per verificarne l’identità
fisica e per scansionarne il corpo, alla ricerca di virus. Arrivato
all’apparato circolatorio, il controllore, si accorse che questo aveva
evidenti problemi di colesterolo ed ordinò di comprare gelati
Valsoia al più vicino discount iperspaziale. A quei tempi c’era una
forte crisi, dovuta alla fine di tutte le guerre. Il controllore andò via
lasciando al pianeta una sanzione salatissima da pagare. Il team del
cervello, tornato dal letargo poco dopo, ebbe una brillante idea (o
quasi). Il Supremo comandante del cervello Macinat invitò tutto
l’equipaggio ad una riunione nello stomaco.
- Pronto pronto? Mi sentite tutti? - Disse il comandante
- Si signor capitano! –
- Data la grave situazione in cui siamo, dovremmo risparmiare su
ognuno dei vostri team, mi dispiace salsicciotti! – concluse il
capitano.
La folla era inferocita, tutti si aggrovigliarono attorno al capo e lo
uccisero. Questa scena era stata così cruenta che “Radio Insalata” la
dovette oscurare e uccidere a colpi di grissino chiunque accennava
al discorso. Tutti i salsicciotti, per uscire dalla crisi (almeno per
qualche mese), escogitarono un piano tanto geniale quanto stupido.
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- Dichiariamo guerra al sole! Quel pianeta è ricchissimo! – si udiva
tra la folla.
Così fu.
Tutti i team si recarono alle proprie postazioni, era tutto pronto per
la guerra.
I salsicciotti scoprirono subito che la loro idea non era delle più
geniali, ma era troppo tardi. Il pianeta a forma di maiale si
trasformò in una grande grigliata, alla quale partecipò tutto
l’universo.
- Ecco figliolo, è così che si è risolta la fame nell’universo –.
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Il Sasso di Sandy
Sandy, era una ragazza di 14 anni, che viveva in una piccola città
chiamata SanSasso City.
Lei, aveva dei genitori che non andavano molto d'accordo e
litigavano sempre, ad orari precisi.
La mattina dalle 07:00 alle 09:00, il pomeriggio, no, dato che erano
a lavoro e non si incontravano, poi la sera dalle 19:00 alle 22:00.
Lei, ormai, conoscendo gli orari, a un' ora precisa si andava a
chiudere in camera sua.
Un giorno, però, i suoi genitori, Marcella e Marcello, urlavano
talmente forte che Sandy uscì fuori nel giardino e iniziò a lanciare
dei sassi contro un albero.
Ne lanciò uno, due, tre e continuò a farlo fino ad arrivare al sasso
con il numero 9.
Questo sasso, però, era particolare.
Quando la ragazza lo stava raccogliendo dal masso di sassi, esso in
qualche modo fuggì, e cascò sull'erba.
Vedendo la roccia sull'erba, cercò di prenderla e tirarla verso
l'albero.
Mentre ci stava mettendo le mani sopra per raccoglierlo, il sasso si
aggrappò all'erba con le sue piccole manine, e in qualche modo
provava a fuggire dalle mani e dalla furia di Sandy.
Il numero 9, era talmente piccolo, ma talmente forte.
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Continuava a tirare l'erba con le sue manine, con la coda e anche
con i suoi dentini.
Si era afferrato con tutto se stesso all'erba, e urlava :"huaaa, thaaa,
ihaaaa".
Sandy sentendo questi versi, pensava che erano i suoi genitori che
hanno finito di litigare e ora stavano scherzando, allora, abbandonò
il sasso e rientrò in casa.
Nel mentre si avvicinava alla porta, da dietro si sentiva piccolissime
urla, a un volume molto basso, come se provenivano da lontano.
Si girò e trovo il numero 9 sotto i suoi piedi, e allora si chiese come
aveva fatto ad arrivare vicino a lei.
Pensando che non poteva camminare, lo ignorò e si voltò verso la
casa.
Quando Sandy si girò, il sasso gli diede un morso alla gamba destra
del piede sinistro.
La ragazza si spaventò e allora diede un calcio al sasso, facendolo
sbattere contro l'albero.
Mentre il numero 9 era in volo, urlò con tutta la sua forza e tirando
fuori i suoi polmoni rocciosi:" iii believeeee iii caaan flyyyy, iii
caaan touch the". (Albero)
Non aveva finito di cantare perche andò a sbattere contro l'albero.
Sandy sentendo questa canzone, che era la sua preferita, si avvicino
all'albero e pensando che fosse lui che cantava, iniziò a dare calci e
pungi all'albero per farlo cantare.
Il sasso guardandola, rideva fortemente con la sua vocina da Barbie.
Alla fine lei capì che era il sasso che fin'ora aveva fatto tutti quei
versi, urla, e che cantava.
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Vedendo questo fatto, lei si spaventò ma il numero 9 ancora di più.
Nessuno sapeva cosa fosse l'uno, o l'altro.
Il Sasso, come segno di pietà, alzo le mani come per dire a Sandy,
prendimi in braccio.
Sandy, vedendo questo, divenne dolce istantaneamente e prese in
braccio il Sasso.
Da quel giorno hanno fatto amicizia e la roccia non viveva più nel
giardino, ma dentro la camera della ragazza.
Condividevano lo stesso letto, ma non lo stesso cuscino.
Sandy per far si che il Sasso dormisse con comodo, gli aveva donato
il cuscino delle sue bambole che era su misura.
Erano ormai le 22:00, i genitori avevano smesso di litigare e Sandy
non era ancora scesa nel salone, come faceva ogni volta.
Marcello e Marcella si erano preoccupati, pensavano che la loro
bambina fosse andata via di casa.
Salirono entrambi immediatamente nella stanza della ragazza.
La giovane, non faceva altro che giocare con il suo sasso, vestirlo,
lavarlo, e lanciandolo contro il muro, ci giocava a pallone insomma,
e mentre il sasso era in volo, ogni volta cantava la sua canzone, che
a Sandy piaceva moltissimo.
Trovando il Sasso, la ragazza, ignorava completamente le urla dei
genitori, stava sempre nella sua camera a giocare, mentre Marcello
e Marcella, di sotto, nel salone, a litigare.
Con il Sasso, erano tutti felici. Sandy aveva un nuovo amico, i
genitori non erano più disturbati dalla figlia e il numero 9, portò a
buon fine la sua missione.
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Cosi, vissero tutti felici e contenti... No, cosi morirono tutti, uccisi
dal sasso, spia internazionale inviata da tutti i vicini, per sterminare
la famiglia.
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La fuga di Adam
Adam era un ragazzo ebreo. Viveva in Germania con la sua
famiglia composta da sua madre Ariel,suo padre Daniel e la sua
piccola sorellina Sarah. Come tutti gli altri Adam andava a scuola,
giocava a calcio con i suo amici dopo scuola e aiutava i genitori a
fare la spesa. Purtroppo nel 1933 la Germania diventò nazista. Il
nazismo fu un'ideologia razzista,antisemita e nazionalista che
permase in Germania subito dopo la fine della Prima Guerra
Mondiale. A capo di questa ideologia ci fu Adolf Hitler il cui era
razzista verso gli ebrei come Adam. Hitler perseguitò gli ebrei per
anni, Adam fu tra questi ebrei. Un giorno precisamente il 5
novembre 1937 a casa di Adam giunsero dei soldati nazisti per
potare la sua famiglia ad Auschwitz il campo di concentramento
più grande e più terribile di tutti. In casa, Adam non c'era era fuori
in giro con la sua sorellina Ariel,I soldati nazisti presero i genitori di
Adam e Ariel portandoli in Polonia ad Auschwitz. Adam tornò a
casa proprio nel momento in cui visse i soldati nazisti portar via
davanti ai suoi occhi e quelli di sua sorella i suoi genitori. Adam e
Ariel allora scapparono via. Andarano dai loro zii in America per
trovare vita migliore e per trovare una nuova vita senza i problemi
del nazismo. Adam in America si laureò a Chicago in neuro
psichiatria e mise su famiglia con la sua bellissima moglie Laura
con cui fece due figli che li chiamò con i nomi dei suoi genitori in
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loro memoria. Ariel diventò Maestra in una scuola media a
Pittsburgh dove insegnò storia e raccontò ai suoi studenti quello
che lei passò durante il periodo nazista e anche lei mise su famiglia,
e dimenticarono cosa accadde in Germania e andarono avanti.
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Il saggio e lo stupido
C'era una volta in un villaggio non molto conosciuto, due fratelli
che venivano chiamati dalla gente del villaggio lo stupido e il
saggio.
Sono stati soprannominati così perché uno ne combinava di tutti i
colori, era bravo solo a combinare guai, litigare con le persone,
l'altro fratello invece, era il suo opposto, il tipico bravo ragazzo
sempre gentile con tutti.
Però, anche il saggio, come tutti d'altronde, aveva un difetto quello
di vantarsi nei confronti del fratello stupido. Allo stupido il
comportamento del saggio dava fastidio, perché per la sua logica,
era grazie a lui che il fratello saggio veniva considerato bravo da
tutti gli abitanti del villaggio, in effetti se non era per i problemi che
causava agli abitanti del villaggio, il saggio non veniva considerato
affatto un "eroe" da tutti gli altri, ma era considerato una persona
come tutte le altre. Lo stupido capì che era merito suo della tanta
fama del fratello saggio. Da allora lo stupido smise di combinare i
guai agli altri e tutto ciò che avevano reso noto agli altri e il saggio
non avendo più guai da risolvere cominciò lentamente a scendere
di fama fino al punto da non essere più conosciuto da nessuno.
Infine lo stupido smise di causare danni e cominciò a essere
riflettere prima di fare certe mosse e venne considerato saggio dalla
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gente del villaggio, mentre il "vero" saggio non avendo più problemi
da risolvere venne considerato una persona qualunque.
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