Francesca Santulli
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Francesca Santulli
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol II, pp. 461-469 Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza Francesca Santulli Libera Università IULM, Milano Abstract Partendo da considerazioni generali sulle caratteristiche tipologiche e macro-/ micro-strutturali della sentenza come genere testuale, l’articolo illustra le premesse teorico-metodologiche e commenta i primi risultati di una indagine condotta su un campione di circa 500 pronunce della Corte di Cassazione Civile e Penale e del Consiglio di Stato del periodo 2000-2005. In questa fase sono state prese in considerazione principalmente le parti argomentative, esaminando in particolare le caratteristiche del lessico argomentativo (connettori, modalizzatori, espressioni meta-argomentative e indicatori di riferimento) prevalentemente utilizzato nei testi. Attraverso la valutazione critica di dati quantitativi, ottenuti con procedure automatiche e confrontati con quelli relativi ad un corpus di controllo, è stato possibile raggruppare gli elementi analizzati in tre categorie prototipiche (forme fossilizzate ed esclusive del genere, forme non esclusive ma con frequenza assolutamente abnorme e distribuzione caratteristica, forme di uso corrente ma comunque marcate per frequenza e/o specializzazione semantica), mettendo così in luce le peculiarità delle scelte relative al lessico argomentativo, espressione anch’esse dell’adesione ad uno stile espositivo omogeneo e formulare che, da un lato, rappresenta per l’estensore un rassicurante canone di riferimento e, dall’altro, rispondendo alle attese dei destinatari, guida e agevola il processo di decodifica dei testi. 1. La sentenza tra i generi del discorso giuridico Benché il rapporto primigenio, e in certa misura costitutivo, tra lingua e diritto si sia primariamente e tradizionalmente estrinsecato nell’analisi degli aspetti performativi del testo legislativo, condotta a partire dai modelli propri della filosofia del linguaggio, più di recente la lingua del diritto è stata sovente studiata, al pari dei modi di espressione propri di altre discipline e comunità professionali, come varietà diatipica legata a contesti e funzioni specifiche. Nella situazione linguistica italiana, ciò ha portato a mettere in luce in primo luogo il ricorso ad un lessico specialistico particolarmente ricco e variegato che, in questo come in altri casi, costituisce l’elemento più vistoso di differenziazione del sottocodice rispetto alla lingua comune. Tale attenzione primaria non ha però esaurito l’impegno euristico, sicché, con il progredire degli studi sulle varietà contestuali-funzionali, sono apparsi ancor più interessanti aspetti sintattici e testuali, pure fortemente marcati, propri talvolta di un settore disciplinare specifico e, più di frequente, trasversalmente estesi a generi affini che si producono in aree tra loro molto diverse. In pari tempo, la consapevolezza della variazione interna dei linguaggi specialistici, legata al grado di tecnicismo e ai generi testuali in cui questi si realizzano, ha prodotto classificazioni articolate, cui non è sfuggita la lingua del diritto. Limitando l’attenzione ai testi giurisprudenziali, si può partire dalla considerazione che essi devono essere ritenuti enunciati del diritto (sencences of law) e perciò tenuti distinti da enunciati sul diritto (statements about sentences of law), là dove questi ultimi, pur potendo appartenere con diversi livelli di specificità alla scienza giuridica, non attuano quel rapporto costitutivo tra il dire e l’agire giuridico che è tipico dei testi legislativi e di fasi particolari del procedimento giudiziario (cfr Oppenheim, 1944; Garzone, 1997: 216). In questa prospettiva il judicial language individuato nella notissima classificazione di Bhatia (1987) costituisce una forma di “azione giuridica”, condotta nelle varie mosse processuali dalle parti e dagli organi giudicanti, che diventa azione della parola nella realtà allorquando il giudice si pronuncia e, con una formula tipicamente performativa, costituisce uno stato di cose nel mondo. Questo è lo scopo specifico, nell’ordinamento giuridico italiano, della sentenza, atto processuale con una funzione precisa e codificata, cui corrisponde una struttura testuale altrettanto canonica, regolata da prescrizioni esplicite e da norme d’uso che ne fanno un caso esemplare di genere testuale stabile, riconoscibile nella sua articolazione macroscopica anche dal parlante medio, benché portatore di contenuti tecnici complessi che restano solitamente oscuri per il profano. 1.1. Tipologia e macrostruttura I tratti più appariscenti della sentenza si potrebbero definire “peritestuali”, dal preambolo (“in nome del popolo italiano”) alle modalità di individuazione delle parti e dell’organo giudicante, fino alla data e firma conclusive (Cortelazzo, 2003): essi non sono tuttavia i più significativi sotto il profilo testuale e linguistico, segnato innanzitutto da una norma generale, rispondente al principio istituzionale (art. 111 della Costituzione) che impone al giudice la motivazione della propria decisione (cfr Perelman, 1976). Difatti la sentenza, la cui parte funzionalmente essenziale (il dispositivo) riferisce la decisione del giudice in forma dichiarativa, ottenendo così un effetto performativo, deve anche includere l’esposizione dei motivi che hanno indotto ad applicare una data norma al caso di specie, opportunamente descritto: come si legge nell’art. 118 disp.att. c.p.c., fatti della causa e ragioni della decisione. Pertanto, nella classificazione tipologica dei testi giuridici che individua i tre ambiti dell’attività normativa, interpretativa e applicativa (Mortara Garavelli, 2001), appare riduttiva la collocazione della sentenza, al pari degli altri atti processuali, nel terzo gruppo, non solo per l’evidente carattere normativo del testo (e non a caso si parla di “legge del caso concreto”), ma anche per la forte componente interpretativa, in quanto il passaggio dall’astratta previsione di legge all’applicazione di questa ad un contesto reale specifico comporta necessariamente una attività di natura non diversa da quella che è alla base dei testi di dottrina, tradizionalmente considerati rappresentanti tipici dell’ambito interpretativo (e dunque più propriamente Francesca Santulli metagiuridici). L’ambiguità, o polivalenza tipologica della sentenza non costituisce però un elemento di confusione nella produzione e nell’individuazione del genere, anzi segna la struttura stessa del testo, come sequenza di macro-mosse, che prevede il riesame dello svolgimento del processo (Fatto), l’esposizione dei motivi della decisione (Diritto), per giungere alla formula performativa finale. Il canone si estende poi ben al di là della strutturazione macroscopica e della ripetitività formulare del dispositivo, in quanto anche le parti narrativeargomentative presentano tratti retorici, sintattici e lessicali ricorrenti, talora sorprendentemente uniformi e resistenti al mutamento diacronico. 1.2. Piano dell’indagine Questa ricerca si concentra sulla parte argomentativa della sentenza, cercando di mettere in luce le particolarità più evidenti del lessico argomentativo. Per far questo si terrà conto della classificazione (pur non sempre convincente) proposta da Stati (2002: 63 ss), che definisce lessico ausiliare dell’argomentazione quelle espressioni “che servono per comunicare le proprietà argomentative delle proposizioni di un testo e le relazioni tra le proposizioni provviste di un ruolo argomentativo”, classificandole poi in cinque gruppi: connettori, espressioni meta-argomentative (nomi o verbi che informano relativamente ai “ruoli argomentativi”), modalizzatori, operatori di riferimento (che introducono intertestualità), espressioni para-argomentative.1 La specificità di queste ultime si chiarisce considerando nel suo insieme l’impianto retorico classico, in quanto esse sono portatrici di argomenti di tipo etico (attraverso l’espressione dell’evidenza che non necessita prove o di una forma di argumentum ad verecundiam) o implicano, attraverso il ricorso a lessico valutativo, un tentativo di convincimento patetico.2 La schematizzazione di Stati sarà integrata dalla classificazione degli indicatori di forza proposta Lo Cascio (1991), che, benché in qualche punto sovrapposta all’altro modello, consente l’articolazione in tratti più specifici, che riguardano il tipo di argomento di volta in volta utilizzato. L’occorrenza degli elementi individuabili a partire dallo studio sistematico delle tecniche argomentative sarà analizzata in un corpus elettronico, costituito da circa un milione di parole, raccolto appositamente per questa ricerca, che comprende circa 500 pronunce della Cassazione Civile e Penale e del Consiglio di Stato risalenti agli ultimi cinque anni, selezionate in modo da coprire le varie materie in cui esse stesse vengono rubricate nell’archivio IPSOA.3 L’interrogazione quantitativa, condotta con Wordsmith Tools, ha prodotto risultati che sono stati, ove possibile, confrontati con la banca dati messa a disposizione dal CNR presso la sede di Genova, che contiene un corpus di italiano scritto (quotidiani, periodici e pubblicazioni in genere, per circa 4 milioni di parole). L’analisi è stata condotta combinando metodi quantitativi e qualitativi (cfr Garzone e Santulli, 2004). La produzione di liste di frequenze ha consentito di individuare gli elementi più ricorrenti, integrando i dati con i risultati di concordanze prodotte per voci specificamente ricercate, selezionate a partire dalle descrizioni di grammatica dell’argomentazione sopra menzionate. La scelta delle interrogazioni è anche scaturita dalla lettura qualitativa di testi, che ha dato modo di individuare schemi ricorrenti ed eventualmente marcati rispetto all’uso medio. Sempre su base qualitativa sono stati effettuati confronti esplorativi nella dimensione diacronica, utilizzando un campione di pronunce degli stessi organi risalenti a momenti cronologici precedenti (fine anni 50 e fine anni 80). Dopo brevi osservazioni sulla progressione generale del testo-sentenza, che mettono in luce elementi di evidente ripetitività formulare fin dalle sue parti iniziali e consentono di individuare schemi argomentativi privilegiati già nella narrazione dei fatti, si passerà ad esaminare il lessico argomentativo, partendo dall’indagine quantitativa i cui risultati più significativi sono riassunti nella Tab. 1. avverso (prep.) doglianza/e altresì censura/e (in)fondato orbene mero (lemma) argomentazione/i pertanto condivisibile correttamente ancorché deduzione/i motivo/i argomentare (lemma) conclusione/i sostanzialmente lamentare (lemma) necessariamente 1 A partire da questa classificazione una efficace analisi del lessico argomentativo è stata di recente condotta anche su un ampio e diversificato corpus di sentenze redatte in lingua inglese (Mazzi, 2006). 2 La classificazione di Stati non sempre è efficace, in quanto incrocia tratti semantici con tratti formali: ad esempio, tra le espressioni definite “para-argomentative” sono presenti, secondo un criterio che considera il tipo di argomentazione proposta, i modali che esprimono necessità (già classificati tra i modalizzatori). 3 Ringrazio la dott. Paola Vignati, che ha collaborato alla selezione e archiviazione dei testi. Occorrenze Corpus Sentenze 482 265 227 983 856 69 224 228 600 34 235 72 86 1643 Occorrenze Corpus Controllo 1 1 6 52 41 6 23 24 64 4 33 11 14 323 Rapporto 37 11 13,45 451 116 203 58 8,89 8 300 191 6,28 87 68 5,12 1928 1060 151,33 75,62 63,51 46 38,96 38 37,5 34 28,48 26,18 24,57 20,35 Tabella 1: Sintesi dei dati quantitativi.4 4 Nella Tab. 1 si leggono le occorrenze assolute nei due corpora, unitamente al rapporto che si ottiene tenendo conto delle diverse dimensioni di questi ultimi. Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza 2. Dalla narrazione all’argomentazione Nella macrostruttura della sentenza l’argomentazione occupa dunque una posizione ben definita, e il suo inizio è solitamente marcato anche dalla presenza di una titolatura. In verità, l’uso di introdurre una forma di ripartizione grafica, con l’aggiunta di titoli esplicativi della funzione delle varie parti, è relativamente recente: dal confronto tra testi prodotti in diversi momenti cronologici a partire dalla metà del secolo scorso è emerso che questa consuetudine, estranea all’uso dei primi anni della Repubblica, era tuttavia già visibile negli anni ottanta, e si è oggi radicata, dando luogo alla distinzione tra parte narrativa (segnata solitamente con il titolo “Svolgimento del processo”, oppure “Fatto” oppure ancora “Rilevato in fatto”), parte argomentativa (di solito intitolata “Motivi della decisione”, ma pure, simmetricamente rispetto alla precedente, “Diritto” ovvero “Considerato in diritto”) e dispositivo (introdotto dalla formula stereotipata “Per Questi Motivi”, di norma sotto forma di acronimo “P.Q.M.”). In numerose pronunce brevi, tuttavia, la narrazione e l’argomentazione vengono accorpate sotto il titolo “Fatto e Diritto”, o persino introdotte da una formula generica: “Il Tribunale/la Corte osserva”. L’affermarsi della suddivisione in paragrafi sembra corrispondere ad una esigenza di maggiore chiarezza e certamente aiuta il lettore ad orientarsi nel testo, benché a ciò non corrisponda di norma una semplificazione del linguaggio utilizzato, sia sotto il profilo lessicale, sia (e soprattutto) nelle scelte sintattiche, sicché l’impressione di forte “settorialità” che si ricava dall’esame dei testi non viene meno, anzi per altri versi si rafforza, come si cercherà di mettere in luce più avanti.5 Gli usi marcati propri del genere sono del resto evidentissimi anche nella parte narrativa, a partire dall’incipit, già studiato da Rovere (2000b): con atto X del (DATA)+ SOGG.[attore]+Imperfetto Indicativo. La narrazione ripercorre le tappe del processo e risulta perciò tanto più articolata quanto più ci si allontana dall’atto iniziale, attraverso i vari gradi di giudizio. In questa progressione altrettanto stereotipato è l’uso di avverso (come preposizione, nella formula tipo: AVVERSO LA DECISIONE X) che indica l’aprirsi delle successive fasi della causa. A fronte dell’unica occorrenza di questa forma con funzione di preposizione nel corpus di controllo (nel quale è però nove volte aggettivo), essa ricorre 485 volte nelle sentenze esaminate, e solo in tre casi come aggettivo. Al di là della evidentissima sproporzione, l’esame delle concordanze rivela che l’insolita preposizione è usata appunto per indicare l’opposizione ad un precedente provvedimento (per cui: avverso il provvedimento/la decisione/la sentenza/l’ordinanza/la pronuncia), spesso indicato con un riferimento anaforico più marcato del semplice articolo determinativo (detto/questo/l’anzidetto e, soprattutto, tale6 che si 5 Cfr. Cortelazzo (2003: 82), che individua “tre grandi binari che regolano l’uso linguistico nella costruzione delle sentenze: impersonalità, concisione, settorialità”. 6 L’alta frequenza del dimostrativo tale era pure riscontrata da Rovere in riferimento al valore consecutivo della formula TALE DA + INF., considerata dall’autore particolarmente funzionale proprio in virtù dell’indeterminatezza semantica di tale che “in riscontra in ben 83 occorrenze). Anche il plot che riproduce graficamente la dispersione della forma nei diversi file esaminati conferma che le occorrenze si addensano nelle parti iniziali, corrispondenti alla narrazione. Questo uso così marcato è esempio evidente di ricorso a una forma canonica, propria del genere, che funge da marca stilistica, ma ha allo stesso tempo una funzione tecnica importantissima, consentendo al lettore (esperto) di individuare con facilità la progressione del racconto e rispondendo così appieno alle sue aspettative. La narrazione, come si vede già dai due esempi qui proposti cui se ne potrebbero aggiungere altri anche di natura sintattica (in primo luogo l’uso dei tempi verbali), procede secondo schemi assai poco flessibili, anche perché essa ripropone non tanto gli accadimenti reali, quanto piuttosto i fatti processuali, così come questi si desumono dagli atti, già dunque strutturati secondo norme comunicative stabili. L’intertestualità, di cui si dirà ampiamente con riferimento specifico agli argomenti, può essere già presente nella prima parte della sentenza, attraverso l’introduzione del punto di vista narrativo di una delle parti o del giudice di un grado precedente, benché questo avvenga di solito solo quando l’accertamento del fatto è esso stesso oggetto del contendere, e dunque la sua presentazione può costituire una forma di premessa all’argomentazione se non un vero e proprio argomento. Una certa mescolanza tra narrazione e argomentazione si ha, per altro verso, nelle pronunce brevi (che tuttavia rappresentano una parte trascurabile del corpus), nelle quali come si è accennato non vi è neppure una distinzione tra le due parti diverse e si transita dall’una all’altra senza soluzione di continuità. 3. Lessico argomentativo 3.1. Espressioni meta-argomentative e intertestualità Il lessico meta-argomentativo fa riscontrare in generale frequenze piuttosto elevate, tra cui innanzi tutto 1643 motivo (vs 323 nel corpus di controllo) e 264 ragione (vs 505), con una evidente specializzazione del primo termine. Del resto la stessa formula performativa contiene nel suo incipit fossilizzato (che tuttavia non incide in quanto acronimo sul computo) questa parola, che richiama l’origine non arbitraria della pronuncia: essa non è frutto del capriccio del giudice, bensì logico approdo di un ragionamento, illustrato nella motivazione e dunque esposto al giudizio di quanti vorranno valutarlo ed eventualmente, ove possibile, intervenire per (tentare di) modificarlo. Si esamineranno ora partitamente alcune voci, che spiccano per la loro frequenza significativa e per la stretta relazione con contesti d’uso specifici, collegando quindi le forme meta-argomentative all’espressione del dialogismo e dell’intertestualità. quanto elemento anaforico, può riferirsi ad una gamma estesa di antecedenti” (Rovere, 2000a: 267). Francesca Santulli 3.1.1. Argomenti e deduzioni Particolarmente interessanti sono i dati della radice argoment*, che presenta in totale 442 (vs 320) occorrenze; tra le varie forme spiccano: - argomento argomenti argomentazione argomentazioni argomentativ* 76 66 34 194 60 (vs 211) (vs 85) (vs 10) (vs 14) (vs nessuna). L’aggettivo si accompagna solitamente a sostantivi che indicano la progressione dell’argomentazione stessa, tra i quali percorso, iter, apparato. Per quel che riguarda i sostantivi spicca la preferenza per il derivato nella forma del plurale (argomentazioni), mentre argomento è più frequente rispetto alla forma plurale (argomenti) e soprattutto rispetto al singolare dell’altro termine (argomentazione). L’esame delle concordanze suggerisce che argomento è preferibilmente usato non tanto come sinonimo di argomentazione, ma piuttosto nel senso di “ragione che si adduce a sostegno di una tesi” (Devoto, Oli, 2004-2005), e pertanto non stupisce una presenza piuttosto equilibrata di forme singolari e plurali. Viceversa, argomentazione, in quanto “serie di ragioni o prove arrecate a dimostrazione di un assunto”, si riferisce all’intero percorso (e talvolta richiama evidentemente il contenuto tecnico del termine, proprio della logica), sicché l’uso assai più frequente del plurale pare scaturire da una forma di rafforzamento, a sottolineare maggiormente il fatto che si fa riferimento all’insieme degli argomenti, oltre che – di frequente – a diverse linee argomentative. Tra i collocati, significativa la frequenza di argomentazioni svolte (29), mentre in 22 casi la parola è seguita da una specificazione che indica chi ha argomentato (del giudice/del ricorrente/della corte, ecc.). In queste ultime occorrenze è evidente che il termine è utilizzato come “indicatore di riferimento” (Stati), cioè per riportare voci processuali diverse; ciò accade anche in numerose delle altre occorrenze del sostantivo e in quelle (assai meno numerose, 37, e tuttavia alte a fronte di 11 nel corpus di controllo) del verbo (prevalgono: ha argomentato [12], argomenta [8], argomentando [6]). Il caso appena esaminato non è peraltro isolato: di frequente nelle sentenze il lessico meta-argomentativo (sostantivi e, soprattutto, verbi) è finalizzato a introdurre il pensiero di altri, realizzando una forma di intertestualità che è caratteristica specifica e dominante di questo genere testuale. Citazioni testuali o rimandi espliciti possono provenire da diverse fonti, tra le quali quella normativa è addirittura necessaria, mentre i più frequenti sono senz’altro quelli endoprocessuali, cioè i riferimenti ad atti prodotti dalle parti, dai consulenti o dai giudici di grado precedente, che rendono del tutto evidente la natura non dimostrativa del ragionamento giudiziario, caso esemplare di argomentazione fondata sulla dialettica (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1958). L’estensore tiene conto delle argomentazioni avanzate dalle parti e dai giudici precedenti, realizzando una sorta di colloquio a distanza, con un atteggiamento che si potrebbe definire in termini pragmatici “dialogico” e che produce una vera e propria polifonia (Ducrot, 1989). Le diverse voci possono essere introdotte dalle forme esemplificativamente indicate da Stati (come, ad esempio, secondo - quelli che Lo Cascio chiama “garanti”), ma solitamente è utilizzato un elemento lessicale metaargomentativo (più spesso un verbo). Particolarmente frequente in questa funzione, e diatipicamente marcato, è dedurre, che, come lemma, ha solo 320 occorrenze nel corpus di controllo. La ricerca di deduc* evidenzia 533 occorrenze (cui si possono aggiungere 86 deduzion* [vs 14]): tra queste la forma prevalente è quella dell’ind. pres. (294 [vs 6], di cui 51 alla terza persona plurale e 243 alla terza singolare), seguita dal gerundio (172 [vs nessuna], tra cui 3 deducendosi e 12 deducendone) e dall’imperfetto (41, 10 al plurale e 31 al singolare). Il soggetto deducente è, nella grande maggioranza dei casi, una delle parti. Interessante anche tra le forme di presente l’impersonale si deduce (66 occorrenze), in genere utilizzato in riferimento a parti specifiche dell’argomentazione (tipicamente: con il primo motivo si deduce…). Esaminando la dispersione, si nota che le forme sono meno frequenti nella seconda metà dei testi, mentre si addensano intorno alla parte centrale e nella prima parte, e dunque presumibilmente nella narrazione e nelle fasi iniziali dell’argomentazione, là dove l’estensore, ripercorrendo l’iter processuale, dà voce alle argomentazioni già proposte. 3.1.2. Concludere, ritenere et sim. Altri due verbi con funzione meta-argomentativa, benché meno marcati stilisticamente, mostrano un uso altamente specializzato. Il primo, concludere (che, come lemma, ha 524 occorrenze nel corpus di controllo), è sempre utilizzato per introdurre una argomentazione conclusiva (in sostanza simile a dedurre). 160 sono le occorrenze di conclud*, delle quali 55 (vs 161) sono di terza persona (sing. e pl.) di indicativo presente e imperfetto (quest’ultimo è tipico della narrativa, ma può comparire anche nell’argomentazione), che si riferiscono solitamente alle conclusioni di una parte o del giudice di un grado precedente; 24 (vs 9) sono i gerundi, dei quali 15 sono utilizzati per riferire l’esito di una fase precedente del processo (es. concludendo per la condanna) e quindi riportano una voce giudicante precedente; 50 (vs 91) le forme di infinito (delle quali 16 [vs 9] con il clitico impersonale, concludersi), la maggioranza delle quali sono utilizzate per introdurre le conclusioni dell’organo giudicante presente: 12 deve concludersi, 11 si deve concludere, e varie altre forme con analogo significato come bisogna, è doveroso, è giocoforza - talvolta diversamente modulato, come in appare possibile, si può, sì da poter, ecc. La predominanza quantitativa della forma è dunque molto più contenuta, se si esclude il gerundio e la forma sintetica dell’impersonale che manifestano caratteristiche sintattiche tipiche dei testi giurisprudenziali. Il significato, tuttavia, è qui fortemente specializzato, come confermano le occorrenze del sostantivo conclusione (451 vs 203) che, se si eccettuano 97 occorrenze del polirematico in conclusione, è sempre utilizzato nel senso di argomentazione conclusiva, deduzione ovvero, tecnicamente, “al pl., precisazioni finali delle rispettive istanze che le parti sottopongono all’esame del tribunale” (Devoto, Oli, 2004-2005). Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza L’altro verbo, ritenere, viene solitamente utilizzato per introdurre il pensiero dello stesso organo che sta esprimendo il giudizio: ritiene fa registrare 203 occorrenze (vs 121), delle quali ben 158 hanno come soggetto l’organo giudicante (la Corte/questa Corte/il Collegio/questa Sezione, ecc.); tra le restanti 45, 12 riferiscono le convinzioni della parte che ha promosso il ricorso (il ricorrente/l’appellante), le altre riportano il giudizio del giudice precedente o attingono a fonti diverse (la giurisprudenza/il legislatore, ecc.). Anche tra le 17 occorrenze (vs 68) del plurale (ritengono) vi sono 6 casi in cui, quasi sorprendentemente, il soggetto è l’organo giudicante attuale, eccezionalmente plurale (le sezioni unite), mentre pure 6 sono le occorrenze con soggetto gli appellanti/i ricorrenti e 5 i casi dispersi (altri ritengono, si ritengono, ecc.). Sembra dunque che nella sentenza si sia stabilizzata una sorta di specializzazione lessicale nell’uso dei verbi di opinione, che rende quasi automatica la loro selezione da parte dell’estensore e, cosa a mio avviso ben più importante, guida la fruizione del lettore, rendendo più rapido l’orientamento nel testo e agevolando il riconoscimento delle varie voci che in esso sono richiamate. Altri termini, diatipicamente marcati, che pur non essendo propriamente meta-argomentativi richiamano l’opinione delle parti, mostrano frequenze elevate: fra questi spiccano doglianza/e (con 265 occorrenze vs 1), che si riferisce solitamente alle affermazioni di una delle parti (in 23 casi del ricorrente) e, come rivelano i collocati, talvolta assume un significato non dissimile da quello di “argomentazione” (le doglianze non sono solo “espresse/mosse/esposte/avanzate/sollevate/ proposte/ prospettate” ma anche “sviluppate/dedotte”); censura/e (983 occorrenze vs 52) che occorre molto frequentemente nelle formule argomentative (il tipo “deve ritenersi (in)fondata”, per cui vd infra, 3.2.2), ma (come doglianza) è utilizzata anche per introdurre intertestualità e, anche in questo caso, talvolta con valore meta-argomentativo (le censure svolte [13]/ dedotte [24], ecc.). In quest’area semantica e funzionale rientra anche il verbo lamentare (300 occorrenze vs 191), che ancora una volta introduce il pensiero (“la doglianza”, intesa proprio come ciò di cui ci si lamenta) di una parte, in combinazione quantitativamente significativa con violazione (63), ma anche con vizio (18), e poi ancora difetto (7), illogicità (5), nonché con una forma di “mancanza” (mancat* [18], come in mancata considerazione/applicazione, mancato accoglimento, ecc.). La marcatezza stilistica di tutte queste forme non ha bisogno di commento. 3.1.3. Voci riportate e ragionamento persuasivo Il fatto che argomenti diversi siano così sistematicamente richiamati, valutati, confutati o accolti rende palese la natura del ragionamento giudiziario, caso esemplare di argomentazione non dimostrativa, che utilizza principi diversi da quelli propri della logica formale: la distinzione è alla base della moderna retorica (la cosiddetta nuova retorica) e della rivalutazione del ragionamento dialettico che, a partire dall’opera di Perelman (non a caso studioso di formazione giuridica), ha caratterizzato un ampio settore di studi filosofici e linguistici contemporanei.7 La necessità di convincere un uditorio tecnicamente preparato comporta dunque, secondo i principi della (nuova) retorica, l’individuazione di un terreno comune di partenza, le premesse all’argomentazione, e la costruzione di un accordo. Ovviamente, la norma legislativa è valore comune e indiscutibile, in quanto il procedimento giudiziario mira all’applicazione della legge (ed eventuali eccezioni relative ai suoi contenuti, ad esempio alla sua costituzionalità, vanno sollevate in sede diversa), benché possano esservi casi in cui la norma stessa richiede una interpretazione, che deve però essere resa esplicita nella motivazione e che solitamente si richiama all’individuazione della volontà del legislatore, là dove la lettera del testo risulti poco chiara o ambigua. Altra fonte di accordo sono poi i fatti, l’accertamento cioè degli accadimenti storici che trasforma la realtà esterna in atti processuali, che diventano punto di partenza ineludibile per la decisione della causa. Il ragionamento che si sviluppa a partire dai fatti della causa e dalle previsioni normative a questi applicabili si gioca dunque sull’accoglimento o sul rigetto degli argomenti già proposti, come rivelano le forme che esprimono giudizio sulle voci riportate: tra queste correttamente (235 occorrenze [vs 33], a modifica di “ritenere/rilevare/deci-dere/valutare/concludere” ecc.), esattamente (77 vs 179), ovvero aggettivi come (in)fondato (in totale 856 occorrenze vs 41), (non) condivisibile (34 vs 4), ecc. che si accompagnano alle voci meta-argomentative. A questi modificatori, tutti con frequenze comparativamente significative (un rapporto più modesto, poco meno di 2:1, si ha solo nel caso di esattamente), si può aggiungere un uso particolare di effettivamente: tra le 82 (vs 76) occorrenze (molte delle quali corrispondono ad un richiamo alla verità/realtà dei fatti, come in: le somme effettivamente dovute) ve ne sono diverse finalizzate all’espressione di un giudizio, solitamente a conferma di una deduzione di parte (il ricorso è effettivamente ammissibile; effettivamente, come rilevato dal ricorrente, l’interpretazione…), eventualmente riferita ad una fase precedente del giudizio (secondo i primi giudici, sussistevano effettivamente i presupposti…). 3.2. Indicatori di argomentazione Per affrontare in modo più sistematico i diversi indicatori (tra i quali ovviamente sarà necessario operare una selezione) si farà ora riferimento alla classificazione proposta da Lo Cascio, della quale sono stati già discussi i “garanti”. L’attenzione sarà concentrata ora soprattutto su elementi lessico-grammaticali, che fungendo da connettori marcano la progressione dell’argomentazione, e in qualche caso, occorrendo in misura anomala rispetto alla norma, contribuiscono a rendere i testi stilisticamente marcati e ad accentuare il loro aspetto di settorialità. 3.2.1. (Macro)argomenti Gli indicatori che introducono un argomento, un dato (e dunque una ragione, una giustificazione) sono sicuramente tra i più comuni. Tuttavia, nel linguaggio 7 Uno dei filoni contemporanei più interessanti è senza dubbio la pragmadialettica (cfr., tra gli altri, van Eemeren, 2001, 2002). Francesca Santulli delle sentenze, caratterizzato da una prevalenza di forme sintetiche e di periodi complessi, il ruolo è spesso svolto dal gerundio, di cui si hanno in totale 4265 occorrenze, benché molte di queste siano utilizzate per introdurre voci riportate (argomentando, ritenendo, sostenendo, concludendo, ecc.). Infatti presenta 703 occorrenze (vs 1621), e si presta particolarmente ad introdurre nuovi argomenti, con il significato di “prova ne sia che, tanto è vero che” (Lo Cascio, 1991: 256), orientando il lettore verso ciò che deve essere ancora detto. Le caratteristiche distributive sono confermate dal fatto che in posizione iniziale di proposizione infatti è di frequente preceduto dalla congiunzione e(d), che sottolinea il proseguimento di un ragionamento già iniziato. Non significative le occorrenze del sinonimo difatti (solo 8 vs 29), di cui pure si sarebbe potuto prevedere una maggiore diffusione, data la sua connotazione stilistica. Tra gli altri indicatori spicca, per frequenze, orbene (69 vs 6). Benché il valore della congiunzione sia sostanzialmente conclusivo (affine a dunque, cfr Devoto, Oli, 2004-2005), essa, comparendo sempre - come da regola - in posizione iniziale e seguita dalla virgola, viene utilizzata piuttosto per aprire una nuova fase argomentativa, come introduzione di un macroargomento, affine dunque ad infatti, benché sottolinei maggiormente che “alla luce di quanto già detto” si può procedere a trarre ulteriori conseguenze. Naturalmente si tratta di una scelta fortemente marcata e, come dicono chiaramente i dati comparativi, direi quasi esclusiva di questo tipo di linguaggio: essa crea una pausa, una sorta di ricapitolazione implicita e guida al successivo ragionamento, rassicurante testimonianza di continuità e di stabilità stilistica. Altri elementi di forte caratterizzazione sono i connettori che introducono riferimenti a regole generali (“generalizzanti”): nella sentenza la regola è la prescrizione legislativa e il suo richiamo avviene tramite il diffusissimo, e fossilizzato, ai sensi di, di cui si hanno 612 occorrenze (vs 8). Comune, benché non altrettanto frequente né esclusiva, la locuzione in forza di (31 occorrenze). 3.2.2. Connettori conclusivi In questo gruppo si possono collocare tutti quei connettori che introducono le conclusioni e le conseguenze di un ragionamento già svolto. Nell’insieme del corpus il più diffuso è quindi con 1001 occorrenze (vs 1361), a fronte delle 600 di pertanto (vs 64), 209 di perciò (vs 306), 355 di dunque (vs 950). Le differenze numeriche rilevano una sproporzione di volta in volta diversa, indicando che, al di là del carattere tipicamente argomentativo delle sentenze che giustifica la presenza cospicua di questo tipo di lessico, vi sono delle preferenze stilistiche, com’è evidente nel caso di pertanto. Questo termine deve la sua diffusione soprattutto alla sua presenza quasi regolare nella “formula argomentativa” finale (Santulli, in stampa) che precede il dispositivo. Rispondendo ad una consuetudine che si è andata affermando sempre più sistematicamente a partire dagli anni ottanta, l’estensore anticipa le conclusioni (finali o relative ad una parte della decisione) in una breve affermazione introduttiva, con cui esprime una sorta di “parere” che, per il fatto stesso di essere formulato dall’organo legittimamente preposto al giudizio, può successivamente trasformarsi in “norma” processuale. L’opinione del giudice è enunciata in una forma che, nella classificazione di Stati, potrebbe essere definita paraargomentativa, in quanto con l’uso della modalità deontica (il ricorso/la doglianza/l’appello deve ritenersi (in)fondato, deve essere/non può essere accolto) sembra si faccia appello ad una sorta di necessità esterna; tuttavia, non siamo di fronte ad una evidenza che non ha bisogno del supporto di prove, bensì all’anticipazione della conclusione del percorso argomentativo, e la necessità scaturisce dall’impossibilità di valutare diversamente gli elementi in questione. L’ultima formula argomentativa conclude tutto l’iter logico anticipando nel contempo la formula performativa: in questo caso compaiono difatti verbi che si riferiscono esplicitamente alla decisione finale, con una scelta lessicale che poi si ripete nel dispositivo, dando luogo alla meccanica trasformazione di una affermazione deontica (in cui il soggetto è l’istanza su cui si decide) in un enunciato con valore performativo (che ha per soggetto l’organo giudicante e il verbo all’indicativo presente, forma standard per l’espressione della performatività tetica in italiano);8 tipicamente (nel giudizio per cassazione, e in caso di accoglimento dell’istanza): “l’impugnata sentenza deve pertanto essere cassata”, che diventa “P.Q.M. la Corte cassa…”. È in questa posizione che si è specializzato l’uso di pertanto. 3.2.3. Rinforzo, riserva, alternativa Questi diversi aspetti e ruoli argomentativi sono trattati congiuntamente da Lo Cascio, benché corrispondano in realtà a procedimenti distinti, e cioè il supporto e l’insistenza, la concessione e la contro-argomentazione. Nel primo caso il connettore tipico è inoltre, di cui si hanno nel corpus 348 occorrenze (vs 489), cui bisogna però aggiungere 227 altresì (vs 6), 16 per di più: come (e in termini numerici ancor più che) nel caso di orbene, la marcatezza della scelta di altresì è fin troppo evidente. Più variegato e interessante il panorama legato all’espressione della riserva sotto forma di concessione. Partendo dalle forme, si riscontra che nel corpus compaiono 91 nonostante (vs 519), 72 ancorché (vs 11), 36 benché (vs 76), 23 malgrado (vs 118), 15 seppure (vs 50). Se dunque da un lato nonostante e malgrado hanno frequenza addirittura più bassa, vistosa è la sproporzione nel caso di ancorché. Dal punto di vista della funzione, si può rilevare che i connettori qui indicati introducono soprattutto concessioni relative all’accertamento di fatti e tutti, tranne ancorché, sono solo raramente utilizzati in riferimento a opinioni già espresse (dalle parti o dal giudice di grado precedente). L’accoglimento parziale della voce diversa avviene piuttosto con l’introduzione di una alternativa, o contro-argomento, spesso attraverso tuttavia (259 occorrenze vs 525). Come ben osserva Lo Cascio (1991: 283 s.), benché tuttavia possa avere funzione simile a nonostante, privilegiando “una 8 Per il concetto di performatività tetica (e atetica) con particolare riferimento al linguaggio giuridico, cfr Conte, 1994; Garzone, 1996. Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza conclusione inizialmente debole”, l’ordine inverso della relazione conferisce un diverso status pragmatico alle opinioni coinvolte. Per questa ragione tuttavia marca la conclusione da preferire, e quindi un contro-argomento, consentendo però di dar voce all’opinione diversa, rendendo presente in anticipo una possibile obiezione, in quell’intreccio polifonico che si è detto essere caratteristica rilevante, stilistica e funzionale, delle parti argomentative delle sentenze. 3.2.3. Modulazione Anche la modulazione della forza illocutoria degli enunciati può contribuire alla creazione di un contesto dialogico: essa può realizzarsi attraverso l’espressione della modalità (sia grammaticalizzata, sia lessicalizzata) oppure attraverso altre tecniche di espressione valutativa, che in forma più strutturata si organizzano nel cosiddetto sistema dell’appraisal di Martin (2000) e White (2001). Tre sono le categorie considerate in questa versione della teoria: impegno (engagement), atteggiamento (attitude) e gradazione (graduation). Per quel che riguarda l’impegno, basti osservare che, nei testi qui considerati, esso è sempre mantenuto alto dall’emittente, come osservato a proposito delle formule argomentative, attraverso il ricorso alla modalità deontica e ad avverbi che esprimono la forza del convincimento (come indubbiamente [12 vs 44], evidentemente [58 vs 165]), soprattutto in forma di necessità (necessariamente, 87 vs 68, il dato comparativamente più significativo). L’espressione dell’atteggiamento, e quindi la manifestazione di valutazioni, si realizza di solito in forma diretta, poiché lo scopo esplicito del testo è quello di formulare un giudizio, sicché in teoria si potrebbe addirittura escludere la possibilità di negoziazione che è tipica dell’apertura dialogica: tuttavia, al fine di ottenere “l’adesione” dei destinatari, l’estensore non rifugge dall’uso di forme di attenuazione, che hanno piuttosto la funzione di rendere accettabili proposizioni che più difficilmente risulterebbero tali se assunte nel loro valore non modalizzato. Tra gli elementi lessicali che svolgono questa funzione spicca sostanzialmente, con 116 occorrenze (vs 58), molte delle quali sono finalizzate ad introdurre paragoni o deduzioni in modo più sfumato (sostanzialmente immotivato/nella norma/identico, uguale/corrispondente a/con la medesima finalità, ecc.); in altri casi, però, l’avverbio viene utilizzato nella ricapitolazione di deduzioni di parte o di giudizi precedenti, con l’effetto di diminuire la responsabilità dell’esattezza del racconto (il Tribunale ha s. sottolineato; il Tar ha s. accolto la tesi; il giudizio s. condiviso dai giudici; la sentenza s. confermata; s. lamenta il ricorrente; s. il Consorzio sostiene ecc.), come risulta particolarmente evidente nei casi in cui l’estensore riporta la decisione precedente in modo interpretativo (a tale principio si è s. attenuta la Corte; ravvisato in base a interpretazione s. abrogativa dell’art. 2 ecc.); vi sono infine usi autenticamente valutativi, allorquando la giustificazione della propria opinione è presentata in forma attenuata (es.: il terzo motivo appare inammissibile, inerendo sostanzialmente a questioni di merito). Nell’ultimo esempio proposto si può rilevare l’uso di apparire in luogo di essere (242 vs 245 appare e 40 vs 83 appaiono, ma ben più significativo di quanto dicano i numeri, in considerazione della specializzazione semantica nelle sentenze): marca ormai fossilizzata di una varietà di lingua, contribuisce a rendere l’affermazione meno perentoria, evocando un mondo di apparenze sfuggenti implicitamente contrapposto alla solida realtà dell’essenza, e dunque (certo involontariamente) lasciando potenzialmente spazio alle perplessità di quanti lamentano una scarsa certezza nelle questioni di diritto. Per quel che riguarda infine la gradazione, nel sistema dell’appraisal si dà la possibilità di esprimerla attraverso la forza (implicita, e cioè lessicale, o esplicita, ricorrendo a modificatori) ovvero attraverso la “messa a fuoco”, con una opposizione polarizzata tra fuoco basso (sfumato) e fuoco alto (nitido). Quest’ultima, che nel modello di White (2001) è esplicitamente intesa in termini dicotomici pur lasciando intuire una possibilità di gradazione continua (si parla difatti di “nitidezza prototipica”), si realizza solitamente attraverso il ricorso a modificatori che oppongono il concetto autentico ad una sua versione falsata (o fortemente attenuata): vero/autentico/ mero/completo vs pseudo-/una sorta di/una specie di. Si trova riscontro di questa tecnica valutativa nell’uso dell’aggettivo mero (ben 224 occorrenze vs 23), che risponde ad uno schema ben preciso: pur collocandosi al polo positivo della messa a fuoco (diversamente, ad esempio, da una sorta di, con 26 occorrenze, che è tipica espressione di scarsa nitidezza), esso è tuttavia finalizzato all’espressione di un valore riduttivo, come rivelano le combinazioni lessicali: mero sospetto/m. svista materiale/m. errore omissivo/m. apparenza/m. congetture, e ancora, in contesto più ampio, si riduce al m. compito; elevata al rango di prova una m. ipotesi; come m. detentore e non già come possessore. Negli ultimi esempi l’uso dell’aggettivo si inserisce in uno schema, pure interessante, di contrapposizione (lessicalizzata) di forza (ipotesi vs prova; detentore vs possessore), che si enfatizza proprio con il ricorso alla messa a fuoco, realizzata nel secondo caso anche grazie alla negazione rafforzata, non già, che è forma di frequenza relativamente alta nel corpus (86), talvolta utilizzata anche per l’espressione di una vera e propria dissociazione.9 4. In sintesi La presenza nelle sentenze di elementi di lessico argomentativo con frequenze tendenzialmente maggiori, a volte in modo macroscopico, rispetto agli usi medi dell’italiano scritto contemporaneo non è certamente motivo di stupore, considerando la natura tipologica dei testi, o almeno di ampie parti di essi. È evidente, peraltro, che un confronto più significativo si potrebbe ottenere utilizzando come controllo altri testi di tipo argomentativo, eventualmente a diversi livelli di formalità (dal discorso politico alla conversazione quotidiana). Tuttavia, nei dati che si sono ottenuti e fin qui esposti e 9 Limiti di spazio impediscono di affrontare separatamente e in modo più puntuale il ricorso, frequentissimo, a tecniche di dissociazione (ma per inquadramento ed esemplificazione cfr. Santulli, in stampa), la cui presenza è in parte rilevabile anche quantitativamente grazie all’individuazione dei relativi “indicatori” (cfr van Rees, 2003). Francesca Santulli commentati, si evidenziano da un lato risultati quantitativi significativi, dall’altro specializzazioni semantiche e distributive che emergono dall’esame qualitativo dei contesti di occorrenza. Sintetizzando, mi pare di poter raggruppare le forme studiate in tre diverse categorie, che tuttavia non potranno essere intese come insiemi assolutamente discreti, ma dovranno piuttosto essere immaginate come nuclei prototipici attorno ai quali si distribuiscono forme in molti casi “intermedie”, che consentono di transitare in modo continuo dall’uno all’altro insieme. Al primo gruppo appartengono termini di significato tecnico, ormai fossilizzati ed esclusivi, nella loro specializzazione semantica, del linguaggio delle sentenze, o almeno della lingua del diritto. Tra questi, ovviamente, la locuzione, nota e comprensibile anche al profano, ai sensi di, ma anche i sostantivi doglianza, censura (nel significato tecnico), il verbo dedurre (e il derivato deduzione, anch’essi con accezione semantica specifica), tutti utilizzati per introdurre argomenti avanzati da altri. Il secondo gruppo comprende termini che, pur non essendo del tutto esclusivi del linguaggio giuridico, compaiono in questi testi con frequenza assolutamente sproporzionata rispetto all’uso medio, talvolta con accezioni e in contesti distributivi molto specifici. Tra questi, senz’altro, orbene e altresì, che non presentano alcun tipo di specializzazione rispetto al loro significato, ma risultano nella lingua comune ormai desueti; e ancora: concludere (e conclusioni), lamentare, argomentazioni (e l’aggettivo argomentativo), che fanno registrare frequenze elevate e mostrano però anche un significato specifico e collocazioni privilegiate. Infine, il terzo gruppo include parole che, fuori contesto, non si classificherebbero come specialistiche e si utilizzano correntemente anche nello standard. Nei testi qui considerati, però, esse appaiono in qualche modo “marcate”, o per frequenza d’uso o per specializzazione semantica (o per entrambe). Quest’ultima eventualità si dà nel caso di apparire e di mero, mentre correttamente, necessariamente, sostanzialmente, condivisibile, (in)fondato sono esempi di frequenza elevata legata al contenuto delle parole stesse, che le rende tipiche del genere qui considerato. In altri casi, però, l’alto numero di occorrenze non scaturisce da ragioni semantiche, e sembra piuttosto il risultato del perpetuarsi di un uso canonico consolidato: così pertanto e ancorché. Pare dunque che la forte stabilità del genere sentenza si estenda, al di là delle caratteristiche macrostrutturali del testo, a comprendere non solo il lessico tecnico mutuato dalle definizioni e dalle prescrizioni normative, necessario per l’esposizione dei contenuti dell’argomentazione, bensì anche il lessico argomentativo - realizzato nella forma di connettori, modalizzatori ed espressioni metaargomentative, ma anche con “indicatori di riferimento” verbali e nominali. In questa prospettiva le voci qui considerate potrebbero essere classificate tra i tecnicismi collaterali (Serianni 1985, 2005; Musacchio, 2002).10 Le scelte operate in questo ambito assumono il carattere di 10 Si veda la definizione di Serianni (1985: 270): “particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica”. adesione canonica ad uno stile espositivo, fortemente marcato, che rende i testi riconoscibili eppure estranei e ostici agli occhi del profano, ma al tempo stesso li caratterizza in modo perfettamente rispondente alle attese dei destinatari esperti, guidando e agevolando il processo di decodifica, grazie alla rassicurante ripetitività delle forme e delle formule. 5. Riferimenti Bhatia, V. (1987). Language of the Law. Language Teaching, 20, pp. 227-234. Conte, A. (1994). Performativo vs normativo. In U. Scarpelli e P. Di Lucia (a cura di), Il linguaggio del diritto. 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