Francesca Santulli

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Francesca Santulli
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol II, pp. 461-469
Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza
Francesca Santulli
Libera Università IULM, Milano
Abstract
Partendo da considerazioni generali sulle caratteristiche tipologiche e macro-/ micro-strutturali della sentenza come genere testuale,
l’articolo illustra le premesse teorico-metodologiche e commenta i primi risultati di una indagine condotta su un campione di circa 500
pronunce della Corte di Cassazione Civile e Penale e del Consiglio di Stato del periodo 2000-2005. In questa fase sono state prese in
considerazione principalmente le parti argomentative, esaminando in particolare le caratteristiche del lessico argomentativo
(connettori, modalizzatori, espressioni meta-argomentative e indicatori di riferimento) prevalentemente utilizzato nei testi. Attraverso
la valutazione critica di dati quantitativi, ottenuti con procedure automatiche e confrontati con quelli relativi ad un corpus di controllo,
è stato possibile raggruppare gli elementi analizzati in tre categorie prototipiche (forme fossilizzate ed esclusive del genere, forme non
esclusive ma con frequenza assolutamente abnorme e distribuzione caratteristica, forme di uso corrente ma comunque marcate per
frequenza e/o specializzazione semantica), mettendo così in luce le peculiarità delle scelte relative al lessico argomentativo,
espressione anch’esse dell’adesione ad uno stile espositivo omogeneo e formulare che, da un lato, rappresenta per l’estensore un
rassicurante canone di riferimento e, dall’altro, rispondendo alle attese dei destinatari, guida e agevola il processo di decodifica dei
testi.
1. La sentenza tra i generi del discorso
giuridico
Benché il rapporto primigenio, e in certa misura
costitutivo, tra lingua e diritto si sia primariamente e
tradizionalmente estrinsecato nell’analisi degli aspetti
performativi del testo legislativo, condotta a partire dai
modelli propri della filosofia del linguaggio, più di recente
la lingua del diritto è stata sovente studiata, al pari dei
modi di espressione propri di altre discipline e comunità
professionali, come varietà diatipica legata a contesti e
funzioni specifiche. Nella situazione linguistica italiana,
ciò ha portato a mettere in luce in primo luogo il ricorso
ad un lessico specialistico particolarmente ricco e
variegato che, in questo come in altri casi, costituisce
l’elemento più vistoso di differenziazione del sottocodice
rispetto alla lingua comune. Tale attenzione primaria non
ha però esaurito l’impegno euristico, sicché, con il
progredire degli studi sulle varietà contestuali-funzionali,
sono apparsi ancor più interessanti aspetti sintattici e
testuali, pure fortemente marcati, propri talvolta di un
settore disciplinare specifico e, più di frequente,
trasversalmente estesi a generi affini che si producono in
aree tra loro molto diverse.
In pari tempo, la consapevolezza della variazione
interna dei linguaggi specialistici, legata al grado di
tecnicismo e ai generi testuali in cui questi si realizzano,
ha prodotto classificazioni articolate, cui non è sfuggita la
lingua del diritto. Limitando l’attenzione ai testi
giurisprudenziali, si può partire dalla considerazione che
essi devono essere ritenuti enunciati del diritto (sencences
of law) e perciò tenuti distinti da enunciati sul diritto
(statements about sentences of law), là dove questi ultimi,
pur potendo appartenere con diversi livelli di specificità
alla scienza giuridica, non attuano quel rapporto
costitutivo tra il dire e l’agire giuridico che è tipico dei
testi legislativi e di fasi particolari del procedimento
giudiziario (cfr Oppenheim, 1944; Garzone, 1997: 216).
In questa prospettiva il judicial language individuato nella
notissima classificazione di Bhatia (1987) costituisce una
forma di “azione giuridica”, condotta nelle varie mosse
processuali dalle parti e dagli organi giudicanti, che
diventa azione della parola nella realtà allorquando il
giudice si pronuncia e, con una formula tipicamente
performativa, costituisce uno stato di cose nel mondo.
Questo è lo scopo specifico, nell’ordinamento giuridico
italiano, della sentenza, atto processuale con una funzione
precisa e codificata, cui corrisponde una struttura testuale
altrettanto canonica, regolata da prescrizioni esplicite e da
norme d’uso che ne fanno un caso esemplare di genere
testuale stabile, riconoscibile nella sua articolazione
macroscopica anche dal parlante medio, benché portatore
di contenuti tecnici complessi che restano solitamente
oscuri per il profano.
1.1.
Tipologia e macrostruttura
I tratti più appariscenti della sentenza si potrebbero
definire “peritestuali”, dal preambolo (“in nome del
popolo italiano”) alle modalità di individuazione delle
parti e dell’organo giudicante, fino alla data e firma
conclusive (Cortelazzo, 2003): essi non sono tuttavia i più
significativi sotto il profilo testuale e linguistico, segnato
innanzitutto da una norma generale, rispondente al
principio istituzionale (art. 111 della Costituzione) che
impone al giudice la motivazione della propria decisione
(cfr Perelman, 1976).
Difatti la sentenza, la cui parte funzionalmente
essenziale (il dispositivo) riferisce la decisione del giudice
in forma dichiarativa, ottenendo così un effetto
performativo, deve anche includere l’esposizione dei
motivi che hanno indotto ad applicare una data norma al
caso di specie, opportunamente descritto: come si legge
nell’art. 118 disp.att. c.p.c., fatti della causa e ragioni
della decisione. Pertanto, nella classificazione tipologica
dei testi giuridici che individua i tre ambiti dell’attività
normativa, interpretativa e applicativa (Mortara
Garavelli, 2001), appare riduttiva la collocazione della
sentenza, al pari degli altri atti processuali, nel terzo
gruppo, non solo per l’evidente carattere normativo del
testo (e non a caso si parla di “legge del caso concreto”),
ma anche per la forte componente interpretativa, in quanto
il passaggio dall’astratta previsione di legge
all’applicazione di questa ad un contesto reale specifico
comporta necessariamente una attività di natura non
diversa da quella che è alla base dei testi di dottrina,
tradizionalmente
considerati
rappresentanti
tipici
dell’ambito interpretativo (e dunque più propriamente
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metagiuridici). L’ambiguità, o polivalenza tipologica della
sentenza non costituisce però un elemento di confusione
nella produzione e nell’individuazione del genere, anzi
segna la struttura stessa del testo, come sequenza di
macro-mosse, che prevede il riesame dello svolgimento
del processo (Fatto), l’esposizione dei motivi della
decisione (Diritto), per giungere alla formula performativa
finale. Il canone si estende poi ben al di là della
strutturazione macroscopica e della ripetitività formulare
del dispositivo, in quanto anche le parti narrativeargomentative presentano tratti retorici, sintattici e
lessicali ricorrenti, talora sorprendentemente uniformi e
resistenti al mutamento diacronico.
1.2.
Piano dell’indagine
Questa ricerca si concentra sulla parte argomentativa
della sentenza, cercando di mettere in luce le particolarità
più evidenti del lessico argomentativo.
Per far questo si terrà conto della classificazione (pur
non sempre convincente) proposta da Stati (2002: 63 ss),
che definisce lessico ausiliare dell’argomentazione quelle
espressioni “che servono per comunicare le proprietà
argomentative delle proposizioni di un testo e le relazioni
tra le proposizioni provviste di un ruolo argomentativo”,
classificandole poi in cinque gruppi: connettori,
espressioni meta-argomentative (nomi o verbi che
informano relativamente ai “ruoli argomentativi”),
modalizzatori, operatori di riferimento (che introducono
intertestualità), espressioni para-argomentative.1 La
specificità di queste ultime si chiarisce considerando nel
suo insieme l’impianto retorico classico, in quanto esse
sono portatrici di argomenti di tipo etico (attraverso
l’espressione dell’evidenza che non necessita prove o di
una forma di argumentum ad verecundiam) o implicano,
attraverso il ricorso a lessico valutativo, un tentativo di
convincimento patetico.2 La schematizzazione di Stati sarà
integrata dalla classificazione degli indicatori di forza
proposta Lo Cascio (1991), che, benché in qualche punto
sovrapposta all’altro modello, consente l’articolazione in
tratti più specifici, che riguardano il tipo di argomento di
volta in volta utilizzato. L’occorrenza degli elementi
individuabili a partire dallo studio sistematico delle
tecniche argomentative sarà analizzata in un corpus
elettronico, costituito da circa un milione di parole,
raccolto appositamente per questa ricerca, che comprende
circa 500 pronunce della Cassazione Civile e Penale e del
Consiglio di Stato risalenti agli ultimi cinque anni,
selezionate in modo da coprire le varie materie in cui esse
stesse vengono rubricate nell’archivio IPSOA.3
L’interrogazione quantitativa, condotta con Wordsmith
Tools, ha prodotto risultati che sono stati, ove possibile,
confrontati con la banca dati messa a disposizione dal
CNR presso la sede di Genova, che contiene un corpus di
italiano scritto (quotidiani, periodici e pubblicazioni in
genere, per circa 4 milioni di parole). L’analisi è stata
condotta combinando metodi quantitativi e qualitativi (cfr
Garzone e Santulli, 2004). La produzione di liste di
frequenze ha consentito di individuare gli elementi più
ricorrenti, integrando i dati con i risultati di concordanze
prodotte per voci specificamente ricercate, selezionate a
partire dalle descrizioni di grammatica dell’argomentazione sopra menzionate.
La scelta delle interrogazioni è anche scaturita dalla
lettura qualitativa di testi, che ha dato modo di individuare
schemi ricorrenti ed eventualmente marcati rispetto
all’uso medio. Sempre su base qualitativa sono stati
effettuati confronti esplorativi nella dimensione
diacronica, utilizzando un campione di pronunce degli
stessi organi risalenti a momenti cronologici precedenti
(fine anni 50 e fine anni 80).
Dopo brevi osservazioni sulla progressione generale
del testo-sentenza, che mettono in luce elementi di
evidente ripetitività formulare fin dalle sue parti iniziali e
consentono di individuare schemi argomentativi
privilegiati già nella narrazione dei fatti, si passerà ad
esaminare il lessico argomentativo, partendo dall’indagine
quantitativa i cui risultati più significativi sono riassunti
nella Tab. 1.
avverso (prep.)
doglianza/e
altresì
censura/e
(in)fondato
orbene
mero (lemma)
argomentazione/i
pertanto
condivisibile
correttamente
ancorché
deduzione/i
motivo/i
argomentare
(lemma)
conclusione/i
sostanzialmente
lamentare
(lemma)
necessariamente
1
A partire da questa classificazione una efficace analisi del
lessico argomentativo è stata di recente condotta anche su un
ampio e diversificato corpus di sentenze redatte in lingua inglese
(Mazzi, 2006).
2
La classificazione di Stati non sempre è efficace, in quanto
incrocia tratti semantici con tratti formali: ad esempio, tra le
espressioni definite “para-argomentative” sono presenti, secondo
un criterio che considera il tipo di argomentazione proposta, i
modali che esprimono necessità (già classificati tra i
modalizzatori).
3
Ringrazio la dott. Paola Vignati, che ha collaborato alla
selezione e archiviazione dei testi.
Occorrenze
Corpus
Sentenze
482
265
227
983
856
69
224
228
600
34
235
72
86
1643
Occorrenze
Corpus
Controllo
1
1
6
52
41
6
23
24
64
4
33
11
14
323
Rapporto
37
11
13,45
451
116
203
58
8,89
8
300
191
6,28
87
68
5,12
1928
1060
151,33
75,62
63,51
46
38,96
38
37,5
34
28,48
26,18
24,57
20,35
Tabella 1: Sintesi dei dati quantitativi.4
4
Nella Tab. 1 si leggono le occorrenze assolute nei due corpora,
unitamente al rapporto che si ottiene tenendo conto delle diverse
dimensioni di questi ultimi.
Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza
2. Dalla narrazione all’argomentazione
Nella macrostruttura della sentenza l’argomentazione
occupa dunque una posizione ben definita, e il suo inizio è
solitamente marcato anche dalla presenza di una titolatura.
In verità, l’uso di introdurre una forma di ripartizione
grafica, con l’aggiunta di titoli esplicativi della funzione
delle varie parti, è relativamente recente: dal confronto tra
testi prodotti in diversi momenti cronologici a partire dalla
metà del secolo scorso è emerso che questa consuetudine,
estranea all’uso dei primi anni della Repubblica, era
tuttavia già visibile negli anni ottanta, e si è oggi radicata,
dando luogo alla distinzione tra parte narrativa (segnata
solitamente con il titolo “Svolgimento del processo”,
oppure “Fatto” oppure ancora “Rilevato in fatto”), parte
argomentativa (di solito intitolata “Motivi della
decisione”, ma pure, simmetricamente rispetto alla
precedente, “Diritto” ovvero “Considerato in diritto”) e
dispositivo (introdotto dalla formula stereotipata “Per
Questi Motivi”, di norma sotto forma di acronimo
“P.Q.M.”). In numerose pronunce brevi, tuttavia, la
narrazione e l’argomentazione vengono accorpate sotto il
titolo “Fatto e Diritto”, o persino introdotte da una
formula generica: “Il Tribunale/la Corte osserva”.
L’affermarsi della suddivisione in paragrafi sembra
corrispondere ad una esigenza di maggiore chiarezza e
certamente aiuta il lettore ad orientarsi nel testo, benché a
ciò non corrisponda di norma una semplificazione del
linguaggio utilizzato, sia sotto il profilo lessicale, sia (e
soprattutto) nelle scelte sintattiche, sicché l’impressione di
forte “settorialità” che si ricava dall’esame dei testi non
viene meno, anzi per altri versi si rafforza, come si
cercherà di mettere in luce più avanti.5
Gli usi marcati propri del genere sono del resto
evidentissimi anche nella parte narrativa, a partire
dall’incipit, già studiato da Rovere (2000b): con atto X del
(DATA)+ SOGG.[attore]+Imperfetto Indicativo. La
narrazione ripercorre le tappe del processo e risulta perciò
tanto più articolata quanto più ci si allontana dall’atto
iniziale, attraverso i vari gradi di giudizio. In questa
progressione altrettanto stereotipato è l’uso di avverso
(come preposizione, nella formula tipo: AVVERSO LA
DECISIONE X) che indica l’aprirsi delle successive fasi
della causa. A fronte dell’unica occorrenza di questa
forma con funzione di preposizione nel corpus di controllo
(nel quale è però nove volte aggettivo), essa ricorre 485
volte nelle sentenze esaminate, e solo in tre casi come
aggettivo. Al di là della evidentissima sproporzione,
l’esame delle concordanze rivela che l’insolita
preposizione è usata appunto per indicare l’opposizione ad
un precedente provvedimento (per cui: avverso il
provvedimento/la decisione/la sentenza/l’ordinanza/la
pronuncia), spesso indicato con un riferimento anaforico
più marcato del semplice articolo determinativo
(detto/questo/l’anzidetto e, soprattutto, tale6 che si
5
Cfr. Cortelazzo (2003: 82), che individua “tre grandi binari che
regolano l’uso linguistico nella costruzione delle sentenze:
impersonalità, concisione, settorialità”.
6
L’alta frequenza del dimostrativo tale era pure riscontrata da
Rovere in riferimento al valore consecutivo della formula TALE
DA + INF., considerata dall’autore particolarmente funzionale
proprio in virtù dell’indeterminatezza semantica di tale che “in
riscontra in ben 83 occorrenze). Anche il plot che
riproduce graficamente la dispersione della forma nei
diversi file esaminati conferma che le occorrenze si
addensano nelle parti iniziali, corrispondenti alla
narrazione. Questo uso così marcato è esempio evidente di
ricorso a una forma canonica, propria del genere, che
funge da marca stilistica, ma ha allo stesso tempo una
funzione tecnica importantissima, consentendo al lettore
(esperto) di individuare con facilità la progressione del
racconto e rispondendo così appieno alle sue aspettative.
La narrazione, come si vede già dai due esempi qui
proposti cui se ne potrebbero aggiungere altri anche di
natura sintattica (in primo luogo l’uso dei tempi verbali),
procede secondo schemi assai poco flessibili, anche
perché essa ripropone non tanto gli accadimenti reali,
quanto piuttosto i fatti processuali, così come questi si
desumono dagli atti, già dunque strutturati secondo norme
comunicative stabili.
L’intertestualità, di cui si dirà ampiamente con
riferimento specifico agli argomenti, può essere già
presente nella prima parte della sentenza, attraverso
l’introduzione del punto di vista narrativo di una delle
parti o del giudice di un grado precedente, benché questo
avvenga di solito solo quando l’accertamento del fatto è
esso stesso oggetto del contendere, e dunque la sua
presentazione può costituire una forma di premessa
all’argomentazione se non un vero e proprio argomento.
Una certa mescolanza tra narrazione e argomentazione si
ha, per altro verso, nelle pronunce brevi (che tuttavia
rappresentano una parte trascurabile del corpus), nelle
quali come si è accennato non vi è neppure una
distinzione tra le due parti diverse e si transita dall’una
all’altra senza soluzione di continuità.
3. Lessico argomentativo
3.1.
Espressioni meta-argomentative e intertestualità
Il lessico meta-argomentativo fa riscontrare in generale
frequenze piuttosto elevate, tra cui innanzi tutto 1643
motivo (vs 323 nel corpus di controllo) e 264 ragione (vs
505), con una evidente specializzazione del primo
termine. Del resto la stessa formula performativa contiene
nel suo incipit fossilizzato (che tuttavia non incide in
quanto acronimo sul computo) questa parola, che richiama
l’origine non arbitraria della pronuncia: essa non è frutto
del capriccio del giudice, bensì logico approdo di un
ragionamento, illustrato nella motivazione e dunque
esposto al giudizio di quanti vorranno valutarlo ed
eventualmente, ove possibile, intervenire per (tentare di)
modificarlo.
Si esamineranno ora partitamente alcune voci, che
spiccano per la loro frequenza significativa e per la stretta
relazione con contesti d’uso specifici, collegando quindi le
forme meta-argomentative all’espressione del dialogismo
e dell’intertestualità.
quanto elemento anaforico, può riferirsi ad una gamma estesa di
antecedenti” (Rovere, 2000a: 267).
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3.1.1. Argomenti e deduzioni
Particolarmente interessanti sono i dati della radice
argoment*, che presenta in totale 442 (vs 320) occorrenze;
tra le varie forme spiccano:
-
argomento
argomenti
argomentazione
argomentazioni
argomentativ*
76
66
34
194
60
(vs 211)
(vs 85)
(vs 10)
(vs 14)
(vs nessuna).
L’aggettivo si accompagna solitamente a sostantivi che
indicano la progressione dell’argomentazione stessa, tra i
quali percorso, iter, apparato. Per quel che riguarda i
sostantivi spicca la preferenza per il derivato nella forma
del plurale (argomentazioni), mentre argomento è più
frequente rispetto alla forma plurale (argomenti) e
soprattutto rispetto al singolare dell’altro termine
(argomentazione). L’esame delle concordanze suggerisce
che argomento è preferibilmente usato non tanto come
sinonimo di argomentazione, ma piuttosto nel senso di
“ragione che si adduce a sostegno di una tesi” (Devoto,
Oli, 2004-2005), e pertanto non stupisce una presenza
piuttosto equilibrata di forme singolari e plurali.
Viceversa, argomentazione, in quanto “serie di ragioni o
prove arrecate a dimostrazione di un assunto”, si riferisce
all’intero percorso (e talvolta richiama evidentemente il
contenuto tecnico del termine, proprio della logica), sicché
l’uso assai più frequente del plurale pare scaturire da una
forma di rafforzamento, a sottolineare maggiormente il
fatto che si fa riferimento all’insieme degli argomenti,
oltre che – di frequente – a diverse linee argomentative.
Tra i collocati, significativa la frequenza di
argomentazioni svolte (29), mentre in 22 casi la parola è
seguita da una specificazione che indica chi ha
argomentato (del giudice/del ricorrente/della corte, ecc.).
In queste ultime occorrenze è evidente che il termine è
utilizzato come “indicatore di riferimento” (Stati), cioè per
riportare voci processuali diverse; ciò accade anche in
numerose delle altre occorrenze del sostantivo e in quelle
(assai meno numerose, 37, e tuttavia alte a fronte di 11 nel
corpus di controllo) del verbo (prevalgono: ha
argomentato [12], argomenta [8], argomentando [6]).
Il caso appena esaminato non è peraltro isolato: di
frequente nelle sentenze il lessico meta-argomentativo
(sostantivi e, soprattutto, verbi) è finalizzato a introdurre il
pensiero di altri, realizzando una forma di intertestualità
che è caratteristica specifica e dominante di questo genere
testuale. Citazioni testuali o rimandi espliciti possono
provenire da diverse fonti, tra le quali quella normativa è
addirittura necessaria, mentre i più frequenti sono
senz’altro quelli endoprocessuali, cioè i riferimenti ad atti
prodotti dalle parti, dai consulenti o dai giudici di grado
precedente, che rendono del tutto evidente la natura non
dimostrativa del ragionamento giudiziario, caso esemplare
di argomentazione fondata sulla dialettica (Perelman,
Olbrechts-Tyteca, 1958).
L’estensore tiene conto delle argomentazioni avanzate
dalle parti e dai giudici precedenti, realizzando una sorta
di colloquio a distanza, con un atteggiamento che si
potrebbe definire in termini pragmatici “dialogico” e che
produce una vera e propria polifonia (Ducrot, 1989). Le
diverse voci possono essere introdotte dalle forme
esemplificativamente indicate da Stati (come, ad esempio,
secondo - quelli che Lo Cascio chiama “garanti”), ma
solitamente è utilizzato un elemento lessicale metaargomentativo (più spesso un verbo).
Particolarmente frequente in questa funzione, e
diatipicamente marcato, è dedurre, che, come lemma, ha
solo 320 occorrenze nel corpus di controllo. La ricerca di
deduc* evidenzia 533 occorrenze (cui si possono
aggiungere 86 deduzion* [vs 14]): tra queste la forma
prevalente è quella dell’ind. pres. (294 [vs 6], di cui 51
alla terza persona plurale e 243 alla terza singolare),
seguita dal gerundio (172 [vs nessuna], tra cui 3
deducendosi e 12 deducendone) e dall’imperfetto (41, 10
al plurale e 31 al singolare). Il soggetto deducente è, nella
grande maggioranza dei casi, una delle parti. Interessante
anche tra le forme di presente l’impersonale si deduce (66
occorrenze), in genere utilizzato in riferimento a parti
specifiche dell’argomentazione (tipicamente: con il primo
motivo si deduce…). Esaminando la dispersione, si nota
che le forme sono meno frequenti nella seconda metà dei
testi, mentre si addensano intorno alla parte centrale e
nella prima parte, e dunque presumibilmente nella
narrazione e nelle fasi iniziali dell’argomentazione, là
dove l’estensore, ripercorrendo l’iter processuale, dà voce
alle argomentazioni già proposte.
3.1.2. Concludere, ritenere et sim.
Altri due verbi con funzione meta-argomentativa,
benché meno marcati stilisticamente, mostrano un uso
altamente specializzato. Il primo, concludere (che, come
lemma, ha 524 occorrenze nel corpus di controllo), è
sempre utilizzato per introdurre una argomentazione
conclusiva (in sostanza simile a dedurre). 160 sono le
occorrenze di conclud*, delle quali 55 (vs 161) sono di
terza persona (sing. e pl.) di indicativo presente e
imperfetto (quest’ultimo è tipico della narrativa, ma può
comparire anche nell’argomentazione), che si riferiscono
solitamente alle conclusioni di una parte o del giudice di
un grado precedente; 24 (vs 9) sono i gerundi, dei quali 15
sono utilizzati per riferire l’esito di una fase precedente
del processo (es. concludendo per la condanna) e quindi
riportano una voce giudicante precedente; 50 (vs 91) le
forme di infinito (delle quali 16 [vs 9] con il clitico
impersonale, concludersi), la maggioranza delle quali
sono utilizzate per introdurre le conclusioni dell’organo
giudicante presente: 12 deve concludersi, 11 si deve
concludere, e varie altre forme con analogo significato come bisogna, è doveroso, è giocoforza - talvolta
diversamente modulato, come in appare possibile, si può,
sì da poter, ecc. La predominanza quantitativa della forma
è dunque molto più contenuta, se si esclude il gerundio e
la forma sintetica dell’impersonale che manifestano
caratteristiche
sintattiche
tipiche
dei
testi
giurisprudenziali. Il significato, tuttavia, è qui fortemente
specializzato, come confermano le occorrenze del
sostantivo conclusione (451 vs 203) che, se si eccettuano
97 occorrenze del polirematico in conclusione, è sempre
utilizzato nel senso di argomentazione conclusiva,
deduzione ovvero, tecnicamente, “al pl., precisazioni
finali delle rispettive istanze che le parti sottopongono
all’esame del tribunale” (Devoto, Oli, 2004-2005).
Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza
L’altro verbo, ritenere, viene solitamente utilizzato per
introdurre il pensiero dello stesso organo che sta
esprimendo il giudizio: ritiene fa registrare 203
occorrenze (vs 121), delle quali ben 158 hanno come
soggetto l’organo giudicante (la Corte/questa Corte/il
Collegio/questa Sezione, ecc.); tra le restanti 45, 12
riferiscono le convinzioni della parte che ha promosso il
ricorso (il ricorrente/l’appellante), le altre riportano il
giudizio del giudice precedente o attingono a fonti diverse
(la giurisprudenza/il legislatore, ecc.). Anche tra le 17
occorrenze (vs 68) del plurale (ritengono) vi sono 6 casi in
cui, quasi sorprendentemente, il soggetto è l’organo
giudicante attuale, eccezionalmente plurale (le sezioni
unite), mentre pure 6 sono le occorrenze con soggetto gli
appellanti/i ricorrenti e 5 i casi dispersi (altri ritengono, si
ritengono, ecc.).
Sembra dunque che nella sentenza si sia stabilizzata
una sorta di specializzazione lessicale nell’uso dei verbi di
opinione, che rende quasi automatica la loro selezione da
parte dell’estensore e, cosa a mio avviso ben più
importante, guida la fruizione del lettore, rendendo più
rapido l’orientamento nel testo e agevolando il
riconoscimento delle varie voci che in esso sono
richiamate.
Altri termini, diatipicamente marcati, che pur non
essendo propriamente meta-argomentativi richiamano
l’opinione delle parti, mostrano frequenze elevate: fra
questi spiccano doglianza/e (con 265 occorrenze vs 1), che
si riferisce solitamente alle affermazioni di una delle parti
(in 23 casi del ricorrente) e, come rivelano i collocati,
talvolta assume un significato non dissimile da quello di
“argomentazione” (le doglianze non sono solo
“espresse/mosse/esposte/avanzate/sollevate/
proposte/
prospettate” ma anche “sviluppate/dedotte”); censura/e
(983 occorrenze vs 52) che occorre molto frequentemente
nelle formule argomentative (il tipo “deve ritenersi
(in)fondata”, per cui vd infra, 3.2.2), ma (come doglianza)
è utilizzata anche per introdurre intertestualità e, anche in
questo caso, talvolta con valore meta-argomentativo (le
censure svolte [13]/ dedotte [24], ecc.). In quest’area
semantica e funzionale rientra anche il verbo lamentare
(300 occorrenze vs 191), che ancora una volta introduce il
pensiero (“la doglianza”, intesa proprio come ciò di cui ci
si lamenta) di una parte, in combinazione
quantitativamente significativa con violazione (63), ma
anche con vizio (18), e poi ancora difetto (7), illogicità (5),
nonché con una forma di “mancanza” (mancat* [18],
come in mancata considerazione/applicazione, mancato
accoglimento, ecc.). La marcatezza stilistica di tutte
queste forme non ha bisogno di commento.
3.1.3. Voci riportate e ragionamento persuasivo
Il fatto che argomenti diversi siano così
sistematicamente richiamati, valutati, confutati o accolti
rende palese la natura del ragionamento giudiziario, caso
esemplare di argomentazione non dimostrativa, che
utilizza principi diversi da quelli propri della logica
formale: la distinzione è alla base della moderna retorica
(la cosiddetta nuova retorica) e della rivalutazione del
ragionamento dialettico che, a partire dall’opera di
Perelman (non a caso studioso di formazione giuridica),
ha caratterizzato un ampio settore di studi filosofici e
linguistici contemporanei.7 La necessità di convincere un
uditorio tecnicamente preparato comporta dunque,
secondo i principi della (nuova) retorica, l’individuazione
di un terreno comune di partenza, le premesse
all’argomentazione, e la costruzione di un accordo.
Ovviamente, la norma legislativa è valore comune e
indiscutibile, in quanto il procedimento giudiziario mira
all’applicazione della legge (ed eventuali eccezioni
relative ai suoi contenuti, ad esempio alla sua
costituzionalità, vanno sollevate in sede diversa), benché
possano esservi casi in cui la norma stessa richiede una
interpretazione, che deve però essere resa esplicita nella
motivazione e che solitamente si richiama all’individuazione della volontà del legislatore, là dove la lettera del
testo risulti poco chiara o ambigua. Altra fonte di accordo
sono poi i fatti, l’accertamento cioè degli accadimenti
storici che trasforma la realtà esterna in atti processuali,
che diventano punto di partenza ineludibile per la
decisione della causa. Il ragionamento che si sviluppa a
partire dai fatti della causa e dalle previsioni normative a
questi applicabili si gioca dunque sull’accoglimento o sul
rigetto degli argomenti già proposti, come rivelano le
forme che esprimono giudizio sulle voci riportate: tra
queste correttamente (235 occorrenze [vs 33], a modifica
di “ritenere/rilevare/deci-dere/valutare/concludere” ecc.),
esattamente (77 vs 179), ovvero aggettivi come
(in)fondato (in totale 856 occorrenze vs 41), (non)
condivisibile (34 vs 4), ecc. che si accompagnano alle voci
meta-argomentative. A questi modificatori, tutti con
frequenze comparativamente significative (un rapporto più
modesto, poco meno di 2:1, si ha solo nel caso di
esattamente), si può aggiungere un uso particolare di
effettivamente: tra le 82 (vs 76) occorrenze (molte delle
quali corrispondono ad un richiamo alla verità/realtà dei
fatti, come in: le somme effettivamente dovute) ve ne sono
diverse finalizzate all’espressione di un giudizio,
solitamente a conferma di una deduzione di parte (il
ricorso è effettivamente ammissibile; effettivamente, come
rilevato
dal
ricorrente,
l’interpretazione…),
eventualmente riferita ad una fase precedente del giudizio
(secondo i primi giudici, sussistevano effettivamente i
presupposti…).
3.2.
Indicatori di argomentazione
Per affrontare in modo più sistematico i diversi
indicatori (tra i quali ovviamente sarà necessario operare
una selezione) si farà ora riferimento alla classificazione
proposta da Lo Cascio, della quale sono stati già discussi i
“garanti”. L’attenzione sarà concentrata ora soprattutto su
elementi lessico-grammaticali, che fungendo da connettori
marcano la progressione dell’argomentazione, e in
qualche caso, occorrendo in misura anomala rispetto alla
norma, contribuiscono a rendere i testi stilisticamente
marcati e ad accentuare il loro aspetto di settorialità.
3.2.1. (Macro)argomenti
Gli indicatori che introducono un argomento, un dato
(e dunque una ragione, una giustificazione) sono
sicuramente tra i più comuni. Tuttavia, nel linguaggio
7
Uno dei filoni contemporanei più interessanti è senza dubbio la
pragmadialettica (cfr., tra gli altri, van Eemeren, 2001, 2002).
Francesca Santulli
delle sentenze, caratterizzato da una prevalenza di forme
sintetiche e di periodi complessi, il ruolo è spesso svolto
dal gerundio, di cui si hanno in totale 4265 occorrenze,
benché molte di queste siano utilizzate per introdurre voci
riportate
(argomentando,
ritenendo,
sostenendo,
concludendo, ecc.).
Infatti presenta 703 occorrenze (vs 1621), e si presta
particolarmente ad introdurre nuovi argomenti, con il
significato di “prova ne sia che, tanto è vero che” (Lo
Cascio, 1991: 256), orientando il lettore verso ciò che
deve essere ancora detto. Le caratteristiche distributive
sono confermate dal fatto che in posizione iniziale di
proposizione infatti è di frequente preceduto dalla
congiunzione e(d), che sottolinea il proseguimento di un
ragionamento già iniziato. Non significative le occorrenze
del sinonimo difatti (solo 8 vs 29), di cui pure si sarebbe
potuto prevedere una maggiore diffusione, data la sua
connotazione stilistica.
Tra gli altri indicatori spicca, per frequenze, orbene
(69 vs 6). Benché il valore della congiunzione sia
sostanzialmente conclusivo (affine a dunque, cfr Devoto,
Oli, 2004-2005), essa, comparendo sempre - come da
regola - in posizione iniziale e seguita dalla virgola, viene
utilizzata piuttosto per aprire una nuova fase
argomentativa, come introduzione di un macroargomento, affine dunque ad infatti, benché sottolinei
maggiormente che “alla luce di quanto già detto” si può
procedere a trarre ulteriori conseguenze. Naturalmente si
tratta di una scelta fortemente marcata e, come dicono
chiaramente i dati comparativi, direi quasi esclusiva di
questo tipo di linguaggio: essa crea una pausa, una sorta di
ricapitolazione implicita e guida al successivo
ragionamento, rassicurante testimonianza di continuità e
di stabilità stilistica.
Altri elementi di forte caratterizzazione sono i
connettori che introducono riferimenti a regole generali
(“generalizzanti”): nella sentenza la regola è la
prescrizione legislativa e il suo richiamo avviene tramite il
diffusissimo, e fossilizzato, ai sensi di, di cui si hanno 612
occorrenze (vs 8). Comune, benché non altrettanto
frequente né esclusiva, la locuzione in forza di (31
occorrenze).
3.2.2. Connettori conclusivi
In questo gruppo si possono collocare tutti quei
connettori che introducono le conclusioni e le
conseguenze di un ragionamento già svolto. Nell’insieme
del corpus il più diffuso è quindi con 1001 occorrenze (vs
1361), a fronte delle 600 di pertanto (vs 64), 209 di perciò
(vs 306), 355 di dunque (vs 950). Le differenze numeriche
rilevano una sproporzione di volta in volta diversa,
indicando che, al di là del carattere tipicamente
argomentativo delle sentenze che giustifica la presenza
cospicua di questo tipo di lessico, vi sono delle preferenze
stilistiche, com’è evidente nel caso di pertanto. Questo
termine deve la sua diffusione soprattutto alla sua
presenza quasi regolare nella “formula argomentativa”
finale (Santulli, in stampa) che precede il dispositivo.
Rispondendo ad una consuetudine che si è andata
affermando sempre più sistematicamente a partire dagli
anni ottanta, l’estensore anticipa le conclusioni (finali o
relative ad una parte della decisione) in una breve
affermazione introduttiva, con cui esprime una sorta di
“parere” che, per il fatto stesso di essere formulato
dall’organo legittimamente preposto al giudizio, può
successivamente trasformarsi in “norma” processuale.
L’opinione del giudice è enunciata in una forma che, nella
classificazione di Stati, potrebbe essere definita paraargomentativa, in quanto con l’uso della modalità deontica
(il ricorso/la doglianza/l’appello deve ritenersi
(in)fondato, deve essere/non può essere accolto) sembra si
faccia appello ad una sorta di necessità esterna; tuttavia,
non siamo di fronte ad una evidenza che non ha bisogno
del supporto di prove, bensì all’anticipazione della
conclusione del percorso argomentativo, e la necessità
scaturisce dall’impossibilità di valutare diversamente gli
elementi in questione. L’ultima formula argomentativa
conclude tutto l’iter logico anticipando nel contempo la
formula performativa: in questo caso compaiono difatti
verbi che si riferiscono esplicitamente alla decisione
finale, con una scelta lessicale che poi si ripete nel
dispositivo, dando luogo alla meccanica trasformazione di
una affermazione deontica (in cui il soggetto è l’istanza su
cui si decide) in un enunciato con valore performativo
(che ha per soggetto l’organo giudicante e il verbo
all’indicativo presente, forma standard per l’espressione
della performatività tetica in italiano);8 tipicamente (nel
giudizio per cassazione, e in caso di accoglimento
dell’istanza): “l’impugnata sentenza deve pertanto essere
cassata”, che diventa “P.Q.M. la Corte cassa…”. È in
questa posizione che si è specializzato l’uso di pertanto.
3.2.3. Rinforzo, riserva, alternativa
Questi diversi aspetti e ruoli argomentativi sono trattati
congiuntamente da Lo Cascio, benché corrispondano in
realtà a procedimenti distinti, e cioè il supporto e
l’insistenza, la concessione e la contro-argomentazione.
Nel primo caso il connettore tipico è inoltre, di cui si
hanno nel corpus 348 occorrenze (vs 489), cui bisogna
però aggiungere 227 altresì (vs 6), 16 per di più: come (e
in termini numerici ancor più che) nel caso di orbene, la
marcatezza della scelta di altresì è fin troppo evidente.
Più variegato e interessante il panorama legato
all’espressione della riserva sotto forma di concessione.
Partendo dalle forme, si riscontra che nel corpus
compaiono 91 nonostante (vs 519), 72 ancorché (vs 11),
36 benché (vs 76), 23 malgrado (vs 118), 15 seppure (vs
50). Se dunque da un lato nonostante e malgrado hanno
frequenza addirittura più bassa, vistosa è la sproporzione
nel caso di ancorché. Dal punto di vista della funzione, si
può rilevare che i connettori qui indicati introducono
soprattutto concessioni relative all’accertamento di fatti e
tutti, tranne ancorché, sono solo raramente utilizzati in
riferimento a opinioni già espresse (dalle parti o dal
giudice di grado precedente). L’accoglimento parziale
della voce diversa avviene piuttosto con l’introduzione di
una alternativa, o contro-argomento, spesso attraverso
tuttavia (259 occorrenze vs 525). Come ben osserva Lo
Cascio (1991: 283 s.), benché tuttavia possa avere
funzione simile a nonostante, privilegiando “una
8
Per il concetto di performatività tetica (e atetica) con
particolare riferimento al linguaggio giuridico, cfr Conte, 1994;
Garzone, 1996.
Strutture argomentative e scelte lessicali nel linguaggio della giurisprudenza
conclusione inizialmente debole”, l’ordine inverso della
relazione conferisce un diverso status pragmatico alle
opinioni coinvolte. Per questa ragione tuttavia marca la
conclusione da preferire, e quindi un contro-argomento,
consentendo però di dar voce all’opinione diversa,
rendendo presente in anticipo una possibile obiezione, in
quell’intreccio polifonico che si è detto essere
caratteristica rilevante, stilistica e funzionale, delle parti
argomentative delle sentenze.
3.2.3. Modulazione
Anche la modulazione della forza illocutoria degli
enunciati può contribuire alla creazione di un contesto
dialogico: essa può realizzarsi attraverso l’espressione
della modalità (sia grammaticalizzata, sia lessicalizzata)
oppure attraverso altre tecniche di espressione valutativa,
che in forma più strutturata si organizzano nel cosiddetto
sistema dell’appraisal di Martin (2000) e White (2001).
Tre sono le categorie considerate in questa versione della
teoria: impegno (engagement), atteggiamento (attitude) e
gradazione (graduation).
Per quel che riguarda l’impegno, basti osservare che,
nei testi qui considerati, esso è sempre mantenuto alto
dall’emittente, come osservato a proposito delle formule
argomentative, attraverso il ricorso alla modalità deontica
e ad avverbi che esprimono la forza del convincimento
(come indubbiamente [12 vs 44], evidentemente [58 vs
165]), soprattutto in forma di necessità (necessariamente,
87 vs 68, il dato comparativamente più significativo).
L’espressione dell’atteggiamento, e quindi la
manifestazione di valutazioni, si realizza di solito in forma
diretta, poiché lo scopo esplicito del testo è quello di
formulare un giudizio, sicché in teoria si potrebbe
addirittura escludere la possibilità di negoziazione che è
tipica dell’apertura dialogica: tuttavia, al fine di ottenere
“l’adesione” dei destinatari, l’estensore non rifugge
dall’uso di forme di attenuazione, che hanno piuttosto la
funzione di rendere accettabili proposizioni che più
difficilmente risulterebbero tali se assunte nel loro valore
non modalizzato. Tra gli elementi lessicali che svolgono
questa funzione spicca sostanzialmente, con 116
occorrenze (vs 58), molte delle quali sono finalizzate ad
introdurre paragoni o deduzioni in modo più sfumato
(sostanzialmente
immotivato/nella
norma/identico,
uguale/corrispondente a/con la medesima finalità, ecc.); in
altri casi, però, l’avverbio viene utilizzato nella
ricapitolazione di deduzioni di parte o di giudizi
precedenti, con l’effetto di diminuire la responsabilità
dell’esattezza del racconto (il Tribunale ha s. sottolineato;
il Tar ha s. accolto la tesi; il giudizio s. condiviso dai
giudici; la sentenza s. confermata; s. lamenta il
ricorrente; s. il Consorzio sostiene ecc.), come risulta
particolarmente evidente nei casi in cui l’estensore riporta
la decisione precedente in modo interpretativo (a tale
principio si è s. attenuta la Corte; ravvisato in base a
interpretazione s. abrogativa dell’art. 2 ecc.); vi sono
infine usi autenticamente valutativi, allorquando la
giustificazione della propria opinione è presentata in
forma attenuata (es.: il terzo motivo appare inammissibile,
inerendo sostanzialmente a questioni di merito).
Nell’ultimo esempio proposto si può rilevare l’uso di
apparire in luogo di essere (242 vs 245 appare e 40 vs 83
appaiono, ma ben più significativo di quanto dicano i
numeri, in considerazione della specializzazione
semantica nelle sentenze): marca ormai fossilizzata di una
varietà di lingua, contribuisce a rendere l’affermazione
meno perentoria, evocando un mondo di apparenze
sfuggenti implicitamente contrapposto alla solida realtà
dell’essenza, e dunque (certo involontariamente) lasciando
potenzialmente spazio alle perplessità di quanti lamentano
una scarsa certezza nelle questioni di diritto.
Per quel che riguarda infine la gradazione, nel sistema
dell’appraisal si dà la possibilità di esprimerla attraverso
la forza (implicita, e cioè lessicale, o esplicita, ricorrendo
a modificatori) ovvero attraverso la “messa a fuoco”, con
una opposizione polarizzata tra fuoco basso (sfumato) e
fuoco alto (nitido). Quest’ultima, che nel modello di
White (2001) è esplicitamente intesa in termini dicotomici
pur lasciando intuire una possibilità di gradazione
continua (si parla difatti di “nitidezza prototipica”), si
realizza solitamente attraverso il ricorso a modificatori che
oppongono il concetto autentico ad una sua versione
falsata (o fortemente attenuata): vero/autentico/
mero/completo vs pseudo-/una sorta di/una specie di. Si
trova riscontro di questa tecnica valutativa nell’uso
dell’aggettivo mero (ben 224 occorrenze vs 23), che
risponde ad uno schema ben preciso: pur collocandosi al
polo positivo della messa a fuoco (diversamente, ad
esempio, da una sorta di, con 26 occorrenze, che è tipica
espressione di scarsa nitidezza), esso è tuttavia finalizzato
all’espressione di un valore riduttivo, come rivelano le
combinazioni lessicali: mero sospetto/m. svista
materiale/m. errore omissivo/m. apparenza/m. congetture,
e ancora, in contesto più ampio, si riduce al m. compito;
elevata al rango di prova una m. ipotesi; come m.
detentore e non già come possessore. Negli ultimi esempi
l’uso dell’aggettivo si inserisce in uno schema, pure
interessante, di contrapposizione (lessicalizzata) di forza
(ipotesi vs prova; detentore vs possessore), che si
enfatizza proprio con il ricorso alla messa a fuoco,
realizzata nel secondo caso anche grazie alla negazione
rafforzata, non già, che è forma di frequenza
relativamente alta nel corpus (86), talvolta utilizzata anche
per l’espressione di una vera e propria dissociazione.9
4. In sintesi
La presenza nelle sentenze di elementi di lessico
argomentativo con frequenze tendenzialmente maggiori, a
volte in modo macroscopico, rispetto agli usi medi
dell’italiano scritto contemporaneo non è certamente
motivo di stupore, considerando la natura tipologica dei
testi, o almeno di ampie parti di essi. È evidente, peraltro,
che un confronto più significativo si potrebbe ottenere
utilizzando come controllo altri testi di tipo
argomentativo, eventualmente a diversi livelli di formalità
(dal discorso politico alla conversazione quotidiana).
Tuttavia, nei dati che si sono ottenuti e fin qui esposti e
9
Limiti di spazio impediscono di affrontare separatamente e in
modo più puntuale il ricorso, frequentissimo, a tecniche di
dissociazione (ma per inquadramento ed esemplificazione cfr.
Santulli, in stampa), la cui presenza è in parte rilevabile anche
quantitativamente grazie all’individuazione dei relativi
“indicatori” (cfr van Rees, 2003).
Francesca Santulli
commentati, si evidenziano da un lato risultati quantitativi
significativi, dall’altro specializzazioni semantiche e
distributive che emergono dall’esame qualitativo dei
contesti di occorrenza. Sintetizzando, mi pare di poter
raggruppare le forme studiate in tre diverse categorie, che
tuttavia non potranno essere intese come insiemi
assolutamente discreti, ma dovranno piuttosto essere
immaginate come nuclei prototipici attorno ai quali si
distribuiscono forme in molti casi “intermedie”, che
consentono di transitare in modo continuo dall’uno
all’altro insieme.
Al primo gruppo appartengono termini di significato
tecnico, ormai fossilizzati ed esclusivi, nella loro
specializzazione semantica, del linguaggio delle sentenze,
o almeno della lingua del diritto. Tra questi, ovviamente,
la locuzione, nota e comprensibile anche al profano, ai
sensi di, ma anche i sostantivi doglianza, censura (nel
significato tecnico), il verbo dedurre (e il derivato
deduzione, anch’essi con accezione semantica specifica),
tutti utilizzati per introdurre argomenti avanzati da altri.
Il secondo gruppo comprende termini che, pur non
essendo del tutto esclusivi del linguaggio giuridico,
compaiono in questi testi con frequenza assolutamente
sproporzionata rispetto all’uso medio, talvolta con
accezioni e in contesti distributivi molto specifici. Tra
questi, senz’altro, orbene e altresì, che non presentano
alcun tipo di specializzazione rispetto al loro significato,
ma risultano nella lingua comune ormai desueti; e ancora:
concludere (e conclusioni), lamentare, argomentazioni (e
l’aggettivo argomentativo), che fanno registrare frequenze
elevate e mostrano però anche un significato specifico e
collocazioni privilegiate.
Infine, il terzo gruppo include parole che, fuori
contesto, non si classificherebbero come specialistiche e si
utilizzano correntemente anche nello standard. Nei testi
qui considerati, però, esse appaiono in qualche modo
“marcate”, o per frequenza d’uso o per specializzazione
semantica (o per entrambe). Quest’ultima eventualità si dà
nel caso di apparire e di mero, mentre correttamente,
necessariamente,
sostanzialmente,
condivisibile,
(in)fondato sono esempi di frequenza elevata legata al
contenuto delle parole stesse, che le rende tipiche del
genere qui considerato. In altri casi, però, l’alto numero di
occorrenze non scaturisce da ragioni semantiche, e sembra
piuttosto il risultato del perpetuarsi di un uso canonico
consolidato: così pertanto e ancorché.
Pare dunque che la forte stabilità del genere sentenza
si estenda, al di là delle caratteristiche macrostrutturali del
testo, a comprendere non solo il lessico tecnico mutuato
dalle definizioni e dalle prescrizioni normative, necessario
per l’esposizione dei contenuti dell’argomentazione, bensì
anche il lessico argomentativo - realizzato nella forma di
connettori,
modalizzatori
ed
espressioni
metaargomentative, ma anche con “indicatori di riferimento”
verbali e nominali. In questa prospettiva le voci qui
considerate potrebbero essere classificate tra i tecnicismi
collaterali (Serianni 1985, 2005; Musacchio, 2002).10 Le
scelte operate in questo ambito assumono il carattere di
10
Si veda la definizione di Serianni (1985: 270): “particolari
espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze
della denotatività scientifica, ma preferite per la loro
connotazione tecnica”.
adesione canonica ad uno stile espositivo, fortemente
marcato, che rende i testi riconoscibili eppure estranei e
ostici agli occhi del profano, ma al tempo stesso li
caratterizza in modo perfettamente rispondente alle attese
dei destinatari esperti, guidando e agevolando il processo
di decodifica, grazie alla rassicurante ripetitività delle
forme e delle formule.
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