Strumenti di misura

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Strumenti di misura
2 - Misure e Strumenti
Le misure
L’importanza delle misure quantitative e della elaborazione matematica delle osservazioni sperimentali era chiara agli astronomi fin dall’antichità. Studiando il comportamento dei corpi pesanti (gravi) in caduta, Galileo eseguì le prime determinazioni accurate di grandezze fisiche e ricercò formule matematiche che sintetizzassero i risultati.
Sulla sua scia, Newton dedusse le tre leggi del moto ed espose la teoria della gravitazione universale, utilizzando il calcolo infinitesimale, un potente strumento matematico, da
lui stesso elaborato.
Per la Chimica, l’analogo passaggio dalla descrizione qualitativa dei fenomeni
ad una accurata determinazione quantitativa di grandezze da mettere in relazione con
semplici espressioni matematiche, avvenne circa un secolo dopo. La causa di questo ritardo sta nel fatto che, sebbene i fenomeni chimici siano chiaramente visibili e osservabili, la loro riduzione a formule ed equazioni matematiche richiede la conoscenza delle
cause che li originano e delle modalità con cui procedono; questa non può essere acquisita per osservazione diretta, ma solo elaborando razionalmente un adeguato modello
teorico. D’altro canto, i due momenti dell’indagine scientifica procedevano di conserva:
le teorie che via via si formulavano sulla struttura della materia, indirizzavano la sperimentazione, mentre i risultati sperimentali aiutavano a chiarire e migliorare le teorie.
Prima di procedere, sarà bene però chiarire quali grandezze fisiche era possibile
misurare, e con quale strumentazione, alla fine del XVII secolo, perché questo permise
di formulare relazioni empiriche tra le sostanze reagenti e i prodotti, sulle quali si basò
la nascita della teoria atomica.
La bilancia.
L’uso della bilancia iniziò probabilmente intorno al 5000 a.C., in Egitto; le sue
origini sono tanto remote, che se ne attribuiva l’invenzione agli dei. Si sono trovati pesi
di pietra babilonesi, risalenti al 2600 a.C., sui quali era inciso il valore e il sigillo sacerdotale. Nella tecnica della pesata, i Babilonesi introdussero qualche importante innovazione: invece di paragonare il peso di due oggetti, paragonavano il peso di ciascuno con
quello che, verosimilmente, costituisce il primo esempio di riferimento standard del
peso, una serie di pietre, finemente foggiate e levigate, conservate per questo scopo.
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Il più antico riferimento di una bilancia a braccia eguali risale al 1300 a.C. e si
trova nel Papiro di Hammafen1 [Lai]. Al British Museum è custodita una copia del Libro dei Morti (1320-1290 a.C.), contenente un’illustrazione nella quale il cuore del defunto è pesato in una bilancia a due piatti, contro la verità. Gli Egizi e i Greci usavano
semi di grano come la più piccola unità di peso, uno standard che per i tempi era abbastanza uniforme ed accurato, e del quale per molti secoli è rimasta traccia nell’unità di
peso chiamata grano. Anche la Bibbia fa riferimento ai pesi e alla bilancia: La bilancia
falsa è abominio al Signore, ma del peso esatto egli si compiace (Prv 11,1)
Le bilance più antiche di cui abbiamo notizia sono quelle con il perno a corda,
nelle quali una corda, legata ad un supporto fisso, sosteneva il giogo nel suo punto di
mezzo e i piatti erano sospesi con corde agli estremi del giogo. Inizialmente, queste corde erano attaccate attraverso fori praticati diametralmente al giogo, ma, intorno al 2000
a.C., si migliorò notevolmente la precisione di questi strumenti, praticando i fori in maniera tale che le corde che reggevano i piatti risultassero saldamente trattenute, contro le
estremità del giogo, dal peso dei piatti. All’inizio dell’era cristiana, i Romani inserirono
un chiodo al centro del giogo per facilitarne il sostegno. Solo nel XVIII secolo, l’introduzione del giogo a coltello portò allo sviluppo delle moderne bilance di precisione, che
toccò il culmine alla fine del XIX secolo.
Anche l’uso della bilancia nella pratica chimica è verosimilmente molto antico:
la stessa tecnica di analisi dell’oro per coppellazione presuppone l’uso di una bilancia
sensibile per registrare le eventuali variazioni in peso, dopo il riscaldamento. Gli Arabi
disponevano sicuramente di bilance accurate per dosare i principi attivi nelle loro medicine: utilizzavano il seme di carruba (karob) come unità di peso per oro, argento e pietre
preziose, da cui l’odierno carato.
Nonostante sia diffusa l’opinione che l’alchimia fosse fondamentalmente non
quantitativa e che i suoi praticanti non usassero frequentemente la bilancia, essa era utilizzata, oltre che nelle operazioni connesse all’estrazione e analisi dei minerali, anche
nei laboratori alchemici, sin dal Medio Evo2. Lo dimostra una miniatura riportata nell’Ordinal of Alchemy (1477), manoscritto dell’alchimista Thomas Norton (ca.
1433-1513), nella quale è raffigurato un laboratorio in cui si stanno eseguendo delle di1
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H.A. Laitinen e G.W. Ewing, Eds. A History of Analytical Chemistry, ACS, 1977
http://web.esf.edu/dljohnson/fch380net/history/HISTORY.htm
William R. Newman, Alchemy, Assaying and Experiment, in F. L. Holmes e T. H. Levere, Instruments and Experimentation in the History of Chemistry, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2000, 40;
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stillazioni: su un ripiano saldo, racchiusa in una teca di vetro, è poggiata una bilancia.
Evidentemente, essa aveva una sensibilità tale da doverla proteggere dalle correnti d’aria e dal fiato dell’operatore, in conformità con quanto stabilito da un’ordinanza di Filippo VI di Francia (1343) per le bilance commerciali.
La procedura in essa codificata, è uno dei più antichi esempi di metodo standard
di analisi: la bilancia usata per il saggio deve essere di buona costruzione, precisa e
non dovrebbe pendere da un lato. Il saggio dovrebbe essere condotto in un posto dove
non c’è né vento nè freddo e chiunque conduca il saggio deve stare attento a non gravare la bilancia, respirando su di essa3. La bilancia di Norton non era un’anomalia, ma
la testimonianza del fatto che le determinazioni di peso erano uno dei molti mezzi usati
dagli alchimisti per identificare svariati minerali e i loro composti. Ovviamente, la prospettiva nella quale gli alchimisti adoperavano questo strumento era diversa da quella in
cui sarebbe stato utilizzato da Lavoisier e altri durante la rivoluzione chimica del XVIII
secolo.
A partire dall’alto Medio Evo, le tecniche di pesata furono utilizzate non soltanto
in campo analitico, ma anche come strumenti per l’indagine sperimentale della Natura.
La bilancia cominciò ad essere usata sistematicamente dai chimici alla fine del XV secolo, come dimostrato dal cenno che si fa delle determinazioni quantitative routinarie
nei manuali di arte mineraria. Nella Pyrotechnia, Biringuccio annota l’aumento in peso
dei metalli dopo la calcinazione, mentre LAZARUS ERCKER (?-1593) dedica molte pagine
del suo trattato sui minerali e sulla loro analisi, Beschreibung Allerfürnemisten Mineralischen Ertzt und Bergwerks Arten (1574), alla descrizione della costruzione delle
bilance e alla loro manutenzione e riparazione, indicando anche i migliori commercianti
di Norimberga dove è possibile acquistarle.
Le sue bilance erano accurate fino a circa 0,3 mg; quelle analitiche erano racchiuse in custodie di vetro, dipinte in verde per far riposare l’occhio dell’analista, affaticato dalla lunga permanenza davanti al fuoco della fornace. L’accuratezza della bilancia
era controllata pesando lo stesso oggetto su due piatti differenti, i pesi erano calibrati
per paragone con gli standard; Ercker indica quali siano i materiali migliori per costruirli, anche se la sua preferenza per l’argento appare oggi opinabile. Le accurate misurazioni quantitative degli analisti minerari non potevano non contagiare altri campi di in3
H.A. Laitinen e G.W. Ewing, Eds. A History of Analytical Chemistry, ACS, 1977
http://web.esf.edu/dljohnson/fch380net/history/HISTORY.htm
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dagine. Nella sua Ars distillandi, GIOVANNI BATTISTA
DELLA
PORTA (1537-1615) riporta
per primo la resa della distillazione di oli essenziali per la produzione di profumi.
Infine, mentre le bilance commerciali rimasero per secoli uniformi nel modello e
nella tecnica costruttiva, quelle chimiche subirono una graduale evoluzione, soprattutto
per quel che riguarda la rigidità del braccio e la precisione dei sistemi di sospensione.
Peso specifico.
Il concetto di peso specifico era noto sin dai tempi di ARCHIMEDE (287-212 a.C.),
il quale, applicando il principio generale dell’idrostatica, che porta il suo nome, riuscì
ad eseguire la prima analisi non distruttiva della storia. Confrontando la massa d’acqua
spostata da una corona d’oro commissionata dal tiranno Gerone II, con quella spostata
da blocchi di egual peso di oro e di una lega argento - oro, Archimede poté brillantemente dimostrare che la corona era stata contraffatta. Ippocrate notò che volumi eguali
di liquidi differenti hanno peso differente, mentre Galeno controllava con le uova la
densità delle diverse acque saline. L’arabo ALBIRUNI (973-1048) determinò piuttosto accuratamente il peso specifico di molte sostanze, parametro usato poi dal falso Geber
come criterio di classificazione dei metalli. In Germania, nel tardo Medio Evo, gli addetti alle saline usavano gli idrometri per determinare la qualità delle salamoie.
Bilancia idrostatica. L’uso di questo strumento fu introdotto nel mondo scientifico britannico da Boyle, che riconobbe ad Archimede il merito di aver contribuito alla sua concezione. Un sostegno verticale, fissato alla base della bilancia, sosteneva i due bracci,
cui erano attaccati i piatti. Sotto uno di essi era attaccato un filo sottilissimo di metallo,
cui si sospendeva, eventualmente per mezzo di pinze, l’oggetto del quale si voleva determinare il peso specifico. Esso veniva pesato in aria e, dopo essere stato immerso
completamente in acqua. In questo secondo caso, si registrava una perdita di peso, esattamente eguale al peso del volume di acqua spostato dal corpo solido. Questo è lo stesso
del volume del solido, per cui, dalle due pesate, si sono ottenuti il peso dell’oggetto (in
aria) e il peso di un egual volume d’acqua: il loro rapporto costituisce il peso specifico
dell’oggetto (cioè dell’unità del suo volume), riferito a quello dell’acqua4.
Solo molto raramente si determinava il peso specifico di un solido, a meno che
non si trattasse di leghe o vetri metallici. Molto più frequenti erano le determinazioni
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A. L. Lavoisier, Trattato Elementare di Chimica, trad. V. Dandolo, Venezia (1792), tomo secondo, 13;
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dei pesi specifici dei fluidi, perché spesso era il solo mezzo per valutarne il grado di purezza o la concentrazione. Anche in questo caso si utilizzava la bilancia idrostatica, pesando in successione lo stesso corpo solido, per esempio una boccia di cristallo di rocca
sospesa ad un filo d’oro, prima in aria, e poi nel fluido sotto esame. Ripetendo la stessa
operazione in acqua, si otteneva il peso di uno stesso volume del liquido e di acqua, presa come riferimento, da cui ricavare il peso specifico cercato.
Aerometro. Per la determinazione del peso specifico
dei liquidi risultò molto più pratico l’aerometro, specie quando, come nel caso delle acque minerali, si
doveva determinare un valore molto prossimo a
quello dell’acqua distillata nel qual caso l’uso della
bilancia idrostatica non sempre dava risultati precisi.
La prima menzione di questo strumento risale ad
Ipazia, mentre Sinesio, un alchimista greco del IV-V
secolo d.C., determinava la densità dei liquidi immergendo in essi un tubo cilindrico graduato, e misurando la lunghezza del tubo che restava fuori dal
liquido. I più antichi aerometri ancor oggi esistenti
sono di avorio cavo, appesantito da pallini di piombo
e risalgono al XVII secolo.
Nel XVIII secolo, gli aerometri erano usati per determinare la densità delle acque minerali e la gradazione delle bevande alcoliche a scopi commerciali e fiscali. Altri
modelli erano tubi di rame graduato o portavano dei pesi avvitati sotto il bulbo per essere usati con liquidi di densità differenti, o per compensare le variazioni di temperatura.
I due aerometri riportati in figura sono stati utilizzati da Lavoisier per determinare il peso specifico delle acque. La scala graduata indicava il volume spostato nelle acque di differenti densità: Lavoisier forniva tabelle di conversione per trasformare questi
volumi in pesi specifici. Il modello a destra era utilizzato per le acque aventi densità inferiore a quella dell’acqua distillata, il modello a sinistra per le acque a densità maggiore. Al centro sono riportate le graduazioni marcate su strisce di carta, durante le operazioni di calibrazione5.
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B. Bensaude-Vincent, The Chemist’s Balance for Fluids, in F. L. Holmes e T. H. Levere, Instruments
and Experimentation in the History of Chemistry, MIT Press, Cambridege (Mass.) 2000, 161;
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Un metodo differente per misurare la densità dei liquidi fu messo a punto dai
membri dell’Accademia del Cimento a metà del XVII secolo: si utilizzavano sfere di
vetro di differente galleggiabilità, introdotte in successione nel liquido, fino a che se ne
aggiungeva una abbastanza densa da andare a fondo.
Nelle figure a destra è riportata una versione di aerometro, inventata da Boyle e perfezionata
da Lavoisier. Nelle forma che gli diede Lavoisier è
costituito da un cilindro cavo di ottone, o, meglio,
di argento, zavorrato al fondo con stagno, in modo
che esso galleggi nell’acqua distillata. Alla parte
superiore è adattato un sottile fusto di argento, sormontato da un piccolo bacino, destinato a ricevere
i pesi. Sul fusto è tracciato un segno, corrispondente alla posizione di zero. Lo strumento era immerso, prima in acqua, e poi nel liquido in esame, aggiungendo ogni volta tanti pesi fino a quando la
posizione di zero non corrispondeva al menisco del
liquido.
Il rapporto tra i pesi aggiunti consentiva di determinare con grande precisione i
pesi specifici delle acque minerali6. I due strumenti differivano, però, sia dal punto di vista concettuale che operazionale. Il primo aveva un peso costante e si immergeva per un
volume differente, al secondo si aggiungevano pesi differenti finchè non fosse immerso
per un volume costante. Quest’ultimo era uno strumento molto accurato, adatto ai laboratori di fisica, ma troppo laborioso per scopi commerciali, per il quali si preferiva la
lettura diretta dell’altro.
Densità dei gas. Boyle mise a punto anche il primo apparato per la raccolta dei gas, cui
Hales diede poi la forma che usiamo ancora oggi. Con esso poteva raccogliere il gas che
sviluppava dalle sostanze per azione del calore, misurarne la quantità e metterla in relazione con il peso della sostanza utilizzata, anche se l’aspetto quantitativo di questi esperimenti era viziato dal fatto che i gas erano raccolti su acqua. L’accuratezza dei risultati
migliorò notevolmente quando Priestley iniziò a raccogliere i gas su mercurio.
6
A. L. Lavoisier, Trattato Elementare di Chimica, trad. V. Dandolo, Venezia (1792), tomo secondo, 15;
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Cavendish misurò il peso specifico di anidride carbonica e idrogeno: nel caso dell’idrogeno, riempì una vescica,
di cui aveva determinato il volume dalla misura della circonferenza, e la pesò. Trovò che il peso era inferiore a quello
della stessa vescica piena d’aria, determinando così la densità relativa dell’idrogeno. In un altro esperimento, determinò
la perdita in peso che si registra sciogliendo in acido un metallo, raccogliendo il gas, attraverso un essiccante, in un tubo
graduato, provvisto di pistone mobile.
Il barometro.
Durante il XVI secolo, l’invenzione di sei validi strumenti ebbe indubbiamente
un enorme effetto sul progresso delle scienze: il telescopio, il microscopio, la pompa ad
aria, l’orologio a pendolo, il termometro e il barometro. Essi resero possibili esperimenti
e misurazioni prima impensabili, ma due di essi, il barometro e il telescopio, sfidarono
due dottrine antiche e rispettate sulla costituzione del mondo7.
La costruzione del barometro consentì, allo stesso tempo, di determinare il peso
dell’aria (o, come diciamo oggi, della sua pressione) e di dimostrare l’esistenza del vuoto. Essa fu il risultato dei tentativi di comprendere e risolvere i problemi tecnici connessi alle difficoltà, incontrate da ingegneri minerari e da tutti coloro che scavavano pozzi,
di sollevare l’acqua ad altezze superiori a dieci metri, per mezzo di pompe e sifoni. Negli ultimi anni della sua vita, Galileo si interessò al problema e, da buon meccanicista,
ne attribuì la causa alla frantumazione della colonna d’acqua sotto il suo stesso peso. Invece, ISAAC BEECKMAN (1588-1637) e Giovanni Boliani sostenevano che era il peso dell’aria all’esterno a bilanciare il peso dell’acqua all’interno della conduttura.
La disputa continuò fino al 1641, quando GASPARO BERTI (1600-1643) realizzò un
esperimento decisivo. Fissò alla parete esterna della sua casa romana un lungo tubo di
piombo, la cui estremità superiore era chiusa da un fiasco di vetro capovolto, quella inferiore era immersa in una botte piena d’acqua. Riempito d’acqua il fiasco, e lasciando che
essa defluisse liberamente, Berti notò che il livello superiore dell’acqua nel tubo si fermava ad un’altezza di circa 18 cubiti (10 metri) sopra quello nella botte. VINCENZO VIVIANI
(1622-1703) riteneva che, nelle stesse condizioni, liquidi a diversa densità si sarebbero
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W. E. Knowles Middleton, The History of the Barometer, J. Hopkins Press, Baltimora (U.S.A.), 1964, 3
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fermati ad altezze diverse e, nel 1644, su suggerimento di EVANGELISTA TORRICELLI
(1608-1647), allievo di Galilei, provò con l’argento vivo. Riempito di mercurio un tubo
di vetro lungo circa due braccia (115 cm) chiuso ad una estremità, ne immerse l’altra
estremità, chiusa da un tappo, in una bacinella piena di mercurio. Tolto il tappo, il liquido
fuoriuscì nella bacinella e il suo livello si abbassò, stabilizzandosi poi ad un’altezza di 5/4
di braccia (circa 76 cm). Torricelli non interpretò il fenomeno come un richiamo verso
l’alto causato dal vuoto, ma, correttamente, come una spinta dal basso della pressione dell’aria esterna al tubo, così che l’acqua o il mercurio non potessero salire più di quanto li
spingesse l’aria dal basso. Concluse anche che i valori delle altezze della colonna d’acqua
e di mercurio stessero in un rapporto inverso a quello dei loro pesi specifici.
Da questo esperimento Torricelli trasse due importanti conclusioni: la prima è
che al livello del mare la colonna d’aria esercita sugli oggetti una pressione pari al peso
di una colonna di 76 cm di mercurio, la seconda è che nel tubo chiuso, al di sopra del livello del mercurio, non rimane assolutamente nulla, lo spazio è cioè vuoto (vuoto torricelliano). Un’affermazione in così aperto contrasto con le teorie aristoteliche non poteva che scatenare dispute e discussioni. Alcuni, negando l’esistenza del vuoto e il peso
dell’aria (a dispetto dell’evidenza), sostenevano che la piccolissima quantità d’aria rimasta alla testa del tubo si dilatasse tanto da spingere verso il basso il mercurio.
Cartesio e i cartesiani, accettavano l’ipotesi che l’aria avesse un peso, ma non
l’esistenza del vuoto. Perciò sostenevano che il tubo si riempiva di una materia così sottile da penetrare anche attraverso le pareti più spesse del tubo di vetro. Furono eseguiti
ripetuti esperimenti, molti dei quali presso l’Accademia del Cimento di Firenze, di cui
erano membri Viviani e Torricelli, e infine l’esistenza del vuoto fu provata sperimentalmente al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il filosofo e matematico francese BLAISE PASCAL (1623-1662), intorno al 1647,
utilizzò liquidi differenti per ripetere l’esperimento di Torricelli, trovando che l’altezza
cui essi si fermavano poteva essere messa in relazione con le loro densità. Il 19 settembre del 1649, con l’aiuto del cognato Florin Périer, realizzò La grande expérience sur
l’équilibre des liqueurs: sulla cima del Puy de Dome, un vulcano spento del Massiccio
Centrale, a 1415 metri, la diminuzione dell’altezza della colonna di mercurio in un tubo
torricelliano risultò di 8,6 cm, mostrando che essa varia con regolarità al variare dell’altitudine, perché la minore quantità d’aria sovrastante esercita un peso minore.
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Il tubo torricelliano rimase a lungo uno strumento di ricerca, al centro del dibattito acceso sull’esistenza e la natura del vuoto. Solo molto lentamente esso cominciò ad
essere utilizzato come strumento di misura: Pascal lo dotò di una scala graduata, nel
1665 Robert Hooke aggiunse una scala circolare a quadrante e Boyle, nel 1669, fu il primo a chiamarlo barometro, sottolineandone la funzione di strumento di misura.
Negli stessi anni ’60 del XVII secolo fu costruito il barometro a sifone, nel quale, curvando ad U l’estremità inferiore del tubo, si eliminava la necessità di disporre di
un serbatoio per il liquido. Nel 1698, Gottfried Wilhelm Leibnitz progettò il primo barometro aneroide (senza liquido): si trattava di strumento a molla, costituito da un soffietto, che si espandeva o contraeva in funzione della pressione dell’aria, controbilanciata
da una molla di acciaio, ma fu soltanto nel 1844 che LUCIEN VIDIE (1805-1866) costruì il
primo modello funzionante. Eliminando l’uso di lunghe e delicate colonne ed il pericolo
di spandere liquidi, questo tipo di barometro risultò estremamente maneggevole ed ebbe
grande diffusione, sia per scopi scientifici che meteorologici, specie sulle navi. Infine,
per evitare la necessità di spostare la scala ogni volta che il livello del mercurio nel contenitore si alzava o si abbassava, per effetto delle variazioni di pressione, nel 1800 il costruttore di strumenti francese JEAN NICHOLAS FORTIN (1750-1831) realizzò un modello
nel quale il fondo del recipiente era fatto di cuoio e poteva essere alzato o abbassato per
mezzo di una vite, in modo che lo zero della scala coincidesse sempre con la base della
colonna di mercurio.
La possibilità di creare il vuoto stimolò nuove ricerche e nel 1645 il tedesco
OTTO
VON
GUERICKE (1602-1686) costruì la prima pompa ad aria con la quale produsse
un vuoto piuttosto spinto, che permise di realizzare importanti esperimenti: si stabilì che
il suono non si propaga nel vuoto e che l’aria è necessaria per mantenere la fiamma e la
respirazione. Inoltre, pesando una sfera di metallo, prima e dopo aver fatto il vuoto al
suo interno, trovò una leggera diminuzione che attribuì al peso dell’aria, della quale,
noto il volume della sfera, calcolò la densità. Infine, nel 1654 dimostrò l’effetto della
pressione atmosferica con il famoso esperimento degli emisferi di Magdeburgo, dal
nome della città di cui era borgomastro.
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Questi risultati, contemporanei alle ricerche di van Helmont, stimolarono lo studio delle sostanze aeriformi, anche perché si stava imparando a raccoglierle su acqua o
su mercurio e a trasferirle da un recipiente ad un altro. Questo permise a Robert Boyle e
a EDME MARIOTTE (1630-1684) di trovare, indipendentemente l’uno dall’altro, una relazione tra la pressione ed il volume di un gas.
Il termometro.
Il termometro nacque in risposta all’esigenza di disporre di uno strumento oggettivo che sostituisse le impressioni sensoriali soggettive di caldo e freddo, che, in qualche
caso, risultavano contraddittorie. Nel XVII secolo, questa esigenza di oggettività cominciava a manifestarsi in molti campi delle Scienze, e della Chimica in particolare, quasi
che l’indagine sensoriale, recuperata la propria superiorità sulla logica deduttiva nell’osservazione dei fenomeni naturali, si scoprisse inadeguata. Nascevano e si sviluppavano
perciò metodi strumentali per definire le qualità e i cambiamenti delle sostanze, in sostituzione, e qualche volta in contrasto, con le osservazioni sensoriali: per esempio, i chimici pneumatici, mettevano a punto metodi analitici per differenziare i gas l’uno dall’altro, a prescindere dal loro odore e dal criterio di respirabilità.
Come e meglio del barometro, il termometro esemplifica una situazione ricorrente nell’indagine scientifica: quella di uno strumento costruito e perfezionato senza
che fossero completamente chiariti, né il funzionamento, né la natura della grandezza fisica che esso misurava. Tuttavia, l’uso contribuì a portare chiarezza, e, attraverso un
lungo percorso speculativo, a comprendere la natura del calore e, soprattutto, la diffe-
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renza tra calore e temperatura. Per lungo tempo, il calore fu considerato una sostanza,
un fluido materiale capace di trasferirsi da un corpo a un altro, almeno fino al 1620,
quando, per la prima volta, Francesco Bacone affermò trattarsi di una forma di movimento delle particelle elementari che costituiscono la materia. L’ipotesi fu accettata e ripresa da Galilei, Newton e JOHN LOCKE (1632-1704), medico, filosofo e chimico, suo
contemporaneo. Tuttavia, essa non ebbe il sopravvento sulla concezione materiale del
calore, come dimostrato ancora alla fine del XVIII secolo, dall’inclusione del calorico
nella lista delle sostanze elementari compilata da Lavoisier.
Eppure, negli stessi anni, Joseph Black per primo distinse chiaramente tra temperatura e calore, definendo correttamente i concetti di calore specifico e calore latente.
Il problema, tipicamente fisico, acquisiva nuove implicazioni in campo chimico: il calore andava considerato un agente fisico, in grado di causare le reazioni chimiche, senza
però parteciparvi, o una vera e propria entità chimica, capace di legarsi, secondo precisi
rapporti quantitativi, come componente nei composti?
Per tutti questi motivi, il termometro fu accolto come uno strumento di facile uso
e in grado di fornire misurazioni accurate, nonostante i primi esemplari avessero un funzionamento problematico e presentassero difficoltà concettuali sia nella calibrazione che
nella comprensione del loro funzionamento.
E’ indubbio che, sin dall’antichità, guidati dalle impressioni sensoriali di caldo e
freddo gli uomini abbiano iniziato a speculare sulla natura del calore, ma non ci sono
pervenuti indizi di qualche loro tentativo di effettuarne misure quantitative. Aristotele
aveva attribuito ai concetti di caldo e freddo lo status di qualità fondamentali che non
potevano essere ridotte a qualità suscettibili di indagini quantitative. Questo concetto,
condiviso dai filosofi suoi seguaci, fino al Medio Evo, scoraggiò sin dal suo nascere,
ogni tentativo di misurazione8.
Ciò non toglie che qualche sporadico tentativo sia stato fatto, sia dal punto di vista concettuale, che sperimentale. I primi apparecchi che evidenziavano l’espansione e
la contrazione dell’aria al variare della temperatura furono costruiti da FILONE
DI
BISANZIO (II sec. a.C.) e ERONE DI ALESSANDRIA (I sec. a.C.), i cui testi originali sono andati perduti, ma le cui traduzioni arabe e latine erano diffuse nell’Europa del XVII secolo, in particolare in Italia, come testimoniato dal della Porta. Filone collegò con un tubo
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una sfera cava di piombo e un recipiente pieno d’acqua; quando la sfera era esposta ai
raggi solari, l’aria che essa conteneva si dilatava e usciva dal tubo, sotto forma di bolle
entro l’acqua; quando la sfera era riportata all’ombra, l’acqua risaliva entro il tubo, al
contrarsi dell’aria entro di essa. Erone costruì un dispositivo molto simile, nel quale,
però, la quantità d’aria entro la sfera di piombo si manteneva costante; questa era una
condizione indispensabile per una determinazione quantitativa dell’espansione termica,
che però non era tra le sue finalità immediate.
Il primo a porsi il problema di attribuire valori numerici alle quantità di caldo e
freddo fu GALENO (130-200 d.C.), che definì una scala, prima ancora di avere ideato uno
strumento per costruirla. La scala era centrata su un grado standard neutro, ottenuto mescolando quantità eguali di ghiaccio e acqua bollente, che, evidentemente, riteneva la
più fredda e la più calda di tutte le sostanze. Non sappiamo se fossero eguali le masse o
i volumi, ma, nel tentativo di ricondurre i due opposti ad un’unica grandezza fisica, i
corpi freddi erano classificati in quattro gradi di freddo, al diminuire della loro qualità di
caldo, quelli caldi potevano essere ad un grado compreso tra il primo e il quarto9. La determinazione si eseguiva confrontando sensorialmente il corpo in esame con lo standard
di riferimento.
Gli Arabi furono probabilmente i primi a rendersi conto della necessità di distinguere tra quantità e intensità di caldo e freddo, esprimendosi in termini di extensio e intensio, mentre Galilei superò per primo la difficoltà concettuale posta dalla coppia di
opposti caldo-freddo, affermando che il freddo non è altro che privazione di caldo.
All’inizio del XVII secolo, lo sviluppo della moderna termometria e del concetto
di temperatura emersero dalla fusione di due tendenze complementari. La prima, conseguenza della riabilitazione delle idee di Democrito e Platone, era una tendenza all’astrazione che, agli aspetti qualitativi dei fenomeni, preferiva sostituire entità matematicamente determinabili; la seconda era la tendenza a implementare questo processo di
astrazione con l’uso di strumenti, cioè di corpi di riferimento, sui quali leggere in maniera quantitativa i gradi di caldo o freddo, senza ricorrere alle sensazioni. Se si caratterizza la termodinamica come un insieme di principi per descrivere i fenomeni termici,
proprio come la meccanica descrive quelli non-termici, non è sorprendente che gli stori-
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ci abbiano attribuito l’invenzione, intorno al 1592, del primo termometro ad aria a Galilei, uno dei fondatori della moderna meccanica10.
Sebbene non esista una documentazione diretta che avvalori questa tesi, i suoi
allievi e ammiratori, tra i quali VINCENZO VIVIANI (1622-1703), fanno frequenti riferimenti a questa possibilità. In una lettera scritta il 20 settembre 1638 a FERDINANDO
CESARINI (1604-1646), il benedettino BENEDETTO CASTELLI (1577/8-1642) ricorda che,
più di 35 anni prima, Galilei gli mostrò un’ampolla di vetro delle dimensioni di un
uovo, munita di un collo di vetro lungo e sottile. Dopo aver scaldato l’ampolla tenendola tra le mani, la capovolse, immergendone il collo in una bacinella piena d’acqua. Lasciata libera l’ampolla, man mano che l’aria calda al suo interno si raffreddava, l’acqua
saliva nel tubo fino ad un livello superiore a quello dell’acqua nella bacinella. I successivi riscaldamenti o raffreddamenti dell’ampolla causavano un abbassamento o un innalzamento del livello dell’acqua nel tubo.
Il primo a utilizzare questi strumenti in medicina fu l’istriano SANTORIO SANTORIO
(1561-1636), professore di medicina teorica a Padova, dal 1611 al 1624; come riportato
in una lettera di Gianfrancesco Sagredo, del 30 giugno 1612, e pubblicato da lui stesso
nei Commentaria in artem medicinalem Galeni, Parte III, Santorio usava un compasso
per misurare la dilatazione dell’acqua lungo il tubo di vetro che, evidentemente, mancava ancora della scala graduata11. Si trattava quindi, non di un termometro, ma di un termoscopio, termine coniato da GIUSEPPE BIANCONI (1566-1624) nel 1617. Il medico gallese ROBERT FLUDD (1574-1637) ricostruì il termoscopio di Filone, aggiungendovi, però,
intorno al 1626, una scala graduata, convertendolo in un vero e proprio termometro ad
aria. Il disegno di un termoscopio con scala graduata era stato pubblicato per la prima
volta a Roma, nel 1611, dall’ingegnere Bartolomeo Telioux, ma, dalla descrizione che
ne dà nel manoscritto, è chiaro che non ne capì il funzionamento.
Il processo con il quale Santorio arrivò alla costruzione del termometro è più
lungo e difficile da ricostruire, rendendo problematica ogni attribuzione di priorità. Il
suo primo modello non aveva scala graduata, quelli descritti nel 1625 hanno forme differenti, ma sono caratterizzati da un bulbo di vetro all’estremità superiore e un’estremità
inferiore che pesca in un recipiente pieno d’acqua e una scala graduata lungo tutto il
tubo di vetro. Introducendo il bulbo di vetro nella bocca dei pazienti, Santorio fu il pri10
11
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 274;
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 10;
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2 - Misure e Strumenti
mo medico a osservare le variazioni di temperatura del corpo umano, e a metterle in relazione con lo stato di salute: per graduare il tubo, scelse come punti fissi la temperatura
della neve e la fiamma di una candela12.
Un quarto pretendente alla scoperta del termometro fu l’olandese CORNELIUS
DREBBEL (1572-1634), che, in un momento imprecisato tra il 1598 e il 1622, costruì un
orologio astronomico, il cui moto perpetuo era causato da un tubo di cristallo, nel quale
l’acqua saliva o scendeva, sfruttando la dilatazione termica dell’aria all’interno del tubo.
Anche se questo non può definirsi un termometro ad aria, è singolare il fatto che, negli
stessi anni, nei Paesi Bassi, si usava un termometro ad aria, molto simile a quello di
Drebbel, descritto nel 1626 dal gesuita Jean Leuréchon, che usò per la prima volta il termine thermomètre. Consisteva in un tubo di vetro a forma di J, chiuso all’estremità più
alta e un bulbo aperto a quella più bassa. Negli anni successivi, anche il bulbo inferiore
fu sigillato e chiuso in una scatola di legno, per mantenerlo a temperatura costante: poiché lo spostamento dell’acqua dipendeva dalla differenza di temperatura alle due estremità, questo arrangiamento prese il nome di termometro differenziale13.
Finché non si comprese pienamente l’importanza che rivestiva l’individuazione
di punti di riferimento affidabili e riproducibili, la nascente termometria soffrì la mancanza di una scala condivisa di temperature, che consentisse di confrontare le misure
eseguite con strumenti differenti. Leuréchon distingueva una scala del filosofo, che divideva in otto gradi la lunghezza del tubo, e una scala del medico, divisa in quattro gradi.
Sotto l’influsso di Galeno, Fludd posizionò il punto zero al centro della scala, dividendo
il resto del tubo in sette divisioni su entrambi i lati. Il termoscopio di Telioux aveva una
scala divisa in gradi e minuti, quello di Sagredo assegnava 300 gradi al caldo estivo,
100 al ghiaccio e alla neve14.
Una seconda fonte di incertezza, che rendeva rudimentali e poco accurati i termometri ad aria, con una estremità aperta, era il fatto che l’altezza del livello dell’acqua
entro la canna termometrica, oltre che dalla temperatura, dipendeva anche dalla pressione atmosferica esterna che, come mise in evidenza Pascal sin dal 1664, variava continuamente nel tempo15. Sebbene questo fosse un grosso inconveniente, i termometri a liquido furono costruiti e preferiti a quelli ad aria ben prima che si scoprisse la variabilità
12
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 277;
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 25;
14
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 279;
15
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 28;
13
R. Zingales - Storia della Chimica 2007
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2 - Misure e Strumenti
della pressione atmosferica, perchè altri fattori, quali una maggiore compattezza e maneggiabilità, giocavano a loro favore.
Il primo a costruire e utilizzare un termometro ad acqua fu, nel 1632, il medico
parigino Jean Rey; nel suo strumento, il bulbo, completamente riempito d’acqua, era posto in basso, mentre lo stelo lungo e stretto che lo sovrastava era aperto in alto, per cui
le misurazioni erano compromesse dall’evaporazione del liquido16.
L’invenzione dei termometri sigillati ad alcol (1654) è generalmente attribuita al
Granduca di Toscana FERDINANDO II
DE’
MEDICI (1610-1670), ma grande merito per il
loro miglioramento e l’ampliamento del loro uso va riconosciuto a un gruppo di studiosi, in genere collaboratori o ex-studenti di Galilei, che costituirono l’Accademia del Cimento. Fondata da Ferdinando II e dal fratello Leopoldo, l’Accademia fiorì a Firenze tra
il 1657 e il 1667, pubblicando un resoconto del lavoro collettivo dal titolo Saggi di naturali esperienze (1667), redatto dal segretario dell’Accademia, Lorenzo Magalotti
(1637-1712), e destinato ad esercitare una profonda influenza sullo sviluppo della scienza europea16. I membri dell’Accademia utilizzavano questi termometri, costruiti da Antonio Alamanni, quasi esclusivamente per le loro indagini sperimentali; tre di essi sono
descritti nella prima parte dei Saggi.
I termometri erano soffiati nella fornace per bicchieri del Giardino di Boboli, o
acquistati a Venezia. Per riempirli, si scaldava il bulbo di vetro e si immergeva il lungo
stelo nel liquido, che veniva aspirato all’interno, man mano che il liquido si raffreddava;
poi si introduceva dell’altro liquido, per mezzo di un piccolo imbuto. Come liquido termometrico, l’alcool era preferito all’acqua perché più sensibile e non corrodeva il vetro,
ma si rivelò poco adatto per la sua temperatura di ebollizione troppo bassa e per il fatto
che le sue prestazioni dipendevano dalla composizione della miscela alcol/acqua. Inizialmente, esso era colorato con chermes, ma si notò ben presto che il materiale colorante lasciava un deposito sullo stelo del termometro16.
La diffusione, in tutta Europa, dei termometri prodotti a Firenze, per coordinare
le osservazioni meteorologiche, mise in evidenza il problema del confronto dei dati, che
richiedevano prestazioni paragonabili da parte di diversi strumenti. E’ verosimile che gli
Accademici basassero la riproducibilità degli strumenti sulla bravura del soffiatore nel
mantenere costanti il volume del bulbo e la sezione dello stelo. Nei saggi sono descritti i
16
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 281-3;
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2 - Misure e Strumenti
termometri gelosi, ad alto fusto, con il tubo termometrico diviso in 100, 300 e 420 gradi
da bottoncini di smalto, che evidentemente, potevano essere fissati solo a priori, portando il vetro alla temperatura di rammollimento, e non dopo che il termometro era stato
riempito. Un numero tanto alto di divisioni richiedeva un tubo così lungo da dover essere avvolto a spirale, operazione che faceva perdere omogeneità al calibro dello stelo.
Erano previsti dei punti fissi per ciascun tipo di termometro, ma essi erano utilizzati per
adattare ad essi, attraverso una serie di tentativi, le dimensioni del termometro, piuttosto
che la posizione dalla scala. Sfuggiva agli accademici il vantaggio di fissare il punto al
quale si fermava il liquido quando il termometro era immerso nel ghiaccio, metodo utilizzato 50 anni prima da Santorio per tarare il suo termometro ad aria17.
Nei Saggi sono descritti anche i termometri infingardi, lenti e poco sensibili, costituiti da sferette di vetro colorato, immerse nell’acquarzente, ciascuna tarata per muoversi verso l’alto solo ad una data temperatura. Sullo stesso principio, si basava il funzionamento della ranocchietta, il primo termometro clinico, da legare al polso. Tutti
questi termometri erano in eccellente accordo tra di loro, soprattutto quelli centigradi,
come dimostrato da Antinori nel 1829.
Gli accademici provarono anche altri liquidi, tra i quali l’acqua, notando che il
suo volume raggiungeva un valore minimo a una temperatura poco al di sopra di quella
di congelamento. Provarono anche il mercurio e paragonarono un termometro riempito
con alcol e uno con mercurio, notando con disappunto che il mercurio non si innalzava
quanto l’alcol quando i due termometri erano posti in acqua calda. Osservarono anche
che il mercurio si raffredda più rapidamente dell’acqua, quando è posto nel ghiaccio, e
si riscalda più rapidamente in acqua calda. Tuttavia, non avendo ancora proporzionato il
calibro del tubo alle dimensioni del bulbo, ritennero il termometro a mercurio meno
adattato di quello ad alcol18.
I termometri costruiti a Firenze erano utilizzati per eseguire sistematiche registrazioni della temperatura della città di Parigi, già nel 1658; nel 1661, il giovane Robert
Southwell, di ritorno dal Grand Tour in Europa, ne mostrò un esemplare, importato da
Firenze, a Robert Boyle. In Inghilterra erano già in uso termometri ad aria, ma la possibilità che il liquido in un termometro sigillato potesse contrarsi per raffreddamento, senza che entrasse dell’aria nello stelo, era ritenuta inaccettabile dagli altri filosofi naturali,
17
18
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 285;
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 37;
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2 - Misure e Strumenti
come quella del vuoto. Boyle ne costruì altri esemplari, con l’aiuto di ROBERT HOOKE
(1635-1703), che introdusse alcuni miglioramenti, e ne mostrò i vantaggi ai soci della
Royal Society: indipendenza dalla pressione esterna, eliminazione dell’evaporazione,
impossibilità di versamento del liquido e facilità di immersione nei liquidi. Un ulteriore
contributo di Boyle fu l’aver paragonato le capacità termiche dei diversi liquidi e i rispettivi coefficienti di dilatazione termica19.
Nel 1699, il fisico francese GUILLAUME AMONTONS (1663-1795) migliorò le prestazioni del termometro ad aria, correggendone la lettura in funzione della corrispondente pressione atmosferica. Nel 1714 DANIEL GABRIEL FAHRENHEIT (1686-1736), costruttore di strumenti, nato a Danzica (allora in Germania), ma residente in Olanda, mise
in evidenza i vantaggi del mercurio come liquido termometrico. Sebbene avesse un
coefficiente di espansione termica più basso di quello di altri fluidi, esso poteva essere
ottenuto, a differenza dell’alcol, in un elevato grado di purezza, aveva un’elevata conducibilità, una tensione di vapore estremamente bassa, era chimicamente stabile e aveva
un’elevata temperatura di ebollizione.
Temperatura e scale termometriche.
La temperatura è una grandezza intensiva, non additiva, e non è caratteristica di
ciascun dato materiale, come l’indice di rifrazione o la permeabilità magnetica. Essa è,
fondamentalmente, una quantificazione delle sensazioni di caldo e freddo, sensazioni
spesso difficili da interpretare.
Poiché il volume è una delle proprietà di un corpo che cambiano quando esso è
scaldato o raffreddato, le sue variazioni sono state misurate e interpretate come indicazioni delle sue variazioni di temperatura. Mach considera questa scelta assolutamente
casuale, ma va tenuto conto che, nel XVII secolo, le variazioni di volume erano le più
facili da osservare e misurare20.
Scelta la grandezza da adottare come misura della temperatura, occorre scegliere
una sostanza termometrica ed un metodo per attribuire un valore alle gradazioni della
sua scala. La storia del termometro non è altro che un resoconto dei tentativi fatti per
operare questa scelta e giustificarla.
19
20
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 290;
W. E. K, Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 48 - 50;
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2 - Misure e Strumenti
La prima sostanza termometrica fu l’aria, per la semplice e ottima ragione che la
sua variazione di volume è grande e facile da osservare. Solo dopo che, intorno al 1640,
si scoprì che la pressione atmosferica non è costante, si cercò di sostituirla con sostanze
liquide, ma il mercurio fu quasi immediatamente scartato per le sue piccole variazioni di
volume con la temperatura; ancora minori sono le dilatazioni dei solidi. Inoltre, le variazioni di volume con la temperatura devono essere uniformi, almeno nell’intervallo misurabile; come notarono subito gli accademici del Cimento, il volume dell’acqua passa
attraverso un valore minimo, poco al disopra del punto di congelamento20.
Scelta la sostanza termometrica, occorre costruire una scala di temperatura, basata su uno o due punti fissi o punti fiduciari. La scelta di una scala termometrica è inerentemente arbitraria; il principio di indifferenza stabilisce che la posizione di un corpo
nella scala delle temperature è indifferente dalla particolare scelta della sostanza termometrica, della proprietà termometrica determinata, e dalla relazione funzionale che definisce la temperatura in funzione di questa proprietà21.
Sagredo e Santorio provarono, senza successo, ad usare due punti fissi, Hooke
uno solo. Usandone due, la scala viene stabilita dividendo l’intervallo che li separa in un
numero conveniente di gradi, mentre, se se ne usa uno, si fa corrispondere il grado a un
incremento pari a una opportuna frazione del volume della sostanza termometrica al
punto fisso, per esempio, un millesimo, come fece Hooke. I due metodi hanno in comune la tacita assunzione che eguali incrementi di volume corrispondano a eguali variazioni di temperatura, cioè che il volume della sostanza termometrica aumenti in maniera lineare con la temperatura20. Tuttavia, ci si accorse ben presto che questo non è sempre
vero, e che la scelta del liquido termometrico non è indifferente. Inoltre, come notato da
Boyle, ogni liquido termometrico ha un differente coefficiente di dilatazione termica e
quindi le scale termometriche, costruite con liquidi differenti, non sono equivalenti21.
A metà del XVII secolo, la necessità di calibrare i termometri in maniera riproducibile e confrontabile, era sempre più sentita. Nel 1665, il medico olandese Christiaan
Huygens aveva suggerito di fissare o il punto di partenza dei gradi del freddo, oppure il
grado di calore dell’acqua bollente. Fatti salvi alcuni confusi tentativi precedenti, pare
che il primo accenno all’uso del punto di ebollizione dell’acqua per tarare un termometro sia apparso a Padova nel 1694, in un’opera postuma di CARLO RENALDINI
21
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 289-90;
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2 - Misure e Strumenti
(1615-1679). Il secondo punto fisso era il ghiaccio, che Renaldini riteneva acqua assolutamente priva di calore. La distanza tra i due punti era divisa in dodici parti ed erano descritte le procedure per definire le gradazioni intermedie, forse perché, per le variazioni
di calibro del suo termometro, si era accorto che la dilatazione dell’alcol non era uniforme22.
Il termometro costruito da Hooke per la Royal Society intorno al 1663 aveva una
scala invertita: lo zero rappresentava il più grande calore e i numeri diminuivano al crescere della temperatura. A quale temperatura corrispondesse lo zero può solo essere indovinata, perché non ci sono pervenuti dati sufficienti per individuarla chiaramente.
Newton (1701) scelse l’olio di semi di lino come liquido termometrico e propose
di assegnare il valore zero all’aria in inverno, quando l’acqua comincia a gelare, assegnando il valore di 12° al calore del sangue, il massimo calore che il termometro può
raggiungere per contatto con il corpo umano. Calcolò anche la dilatazione dell’olio di
lino, in funzione della temperatura: posto eguale a 10 il suo volume alla temperatura del
ghiaccio, aumentava fino a 10,256 a contatto con il corpo umano, 10,705 al punto di
ebollizione dell’acqua, e 34° al suo punto di ebollizione23.
All’inizio del XVIII secolo si cominciò a diffondere la consapevolezza che la
possibilità di confrontare le misurazioni eseguite con strumenti differenti dipendeva dall’efficacia della loro calibrazione. Sebbene si fosse prospettata la soluzione che si adottassero universalmente i termometri costruiti da un unico artigiano e regolati nella stessa
maniera, era preferibile stabilire una o più scale che fossero riproducibili ovunque per
mezzo di semplici operazioni di laboratorio. Nel caso si fossero adottate più scale differenti, era, ovviamente, necessario che potessero essere convertite l’una nell’altra. Mentre la storia della termometria nel XVII secolo riguarda le tecniche di costruzione dei
termometri, quella del ‘700 riguarda la loro calibrazione24.
Ci fu un fiorire di scale, molte delle quali a diffusione limitata nell’ambito di una
nazione o di una città; si arrivò ad avere fino a 18 scale differenti utilizzate, per esempio, in un termometro del 1754, conservato nel Museo dell’Università di Utrecht, e in
un modello più recente, del 1841, del Museo Copernicano di Roma26.
22
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 56;
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 58;
24
W. E. K. Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 65-6;
23
R. Zingales - Storia della Chimica 2007
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2 - Misure e Strumenti
Le tre scale che ebbero maggiore diffusione furono quella ottantigrada di Réaumur, quella centigrada di Celsius e quella centottantigrada di Fahrenheit. Il primo a calibrare in maniera riproducibile dei termometri in vetro fu, nel 1702, l’astronomo danese
OLE CHRISTENSEN RÖMER (1644-1710). Dopo aver accuratamente controllato le irregolarità nel calibro dei tubi di vetro da lui usati, fissando la lunghezza che una goccia di
mercurio assumeva a diverse altezze lungo lo stelo, riempì il termometro di alcol 25 e fissò a 60° la temperatura di ebollizione dell’acqua e a 7,5° quella di congelamento, probabilmente per evitare che si raggiungessero temperature negative. Römer non pubblicò
mai questa procedura, che sarebbe passata inosservata se, nel 1708, non gli avesse fatto
visita il giovane Fahrenheit, che, appresa la tecnica costruttiva e di calibrazione, nel
1713 si recò a Berlino per studiare la dilatazione termica del mercurio, e nel 1716 si stabilì ad Amsterdam, dove cominciò a costruire termometri.
Nel 1724, dopo la sua elezione a membro della Royal Society, pubblicò, sulle
Philosophical Transactions, una dettagliata descrizione delle procedure di calibrazione
da lui adottate. Stabilì tre punti fissi, che potevano essere accuratamente riprodotti: il
primo era posto all’estremità inferiore della scala e corrispondeva alla temperatura di
una miscela in parti eguali di ghiaccio e sale ammoniaco o sale marino: gli era assegnato il valore di zero gradi, perché era ritenuto la più bassa temperatura ottenibile. Il secondo corrispondeva a una miscela di ghiaccio e acqua, al terzo era assegnata la temperatura di 96°, che si raggiungeva quando il bulbo del termometro era posto in bocca o
sotto l’ascella di un uomo in buona salute. Per estrapolazione, costruì un termometro a
mercurio che raggiungeva i 600°, la temperatura di ebollizione del mercurio, con il quale determinò quelle dell’acqua (212°), dell’acido nitrico (242) e dell’olio di vetriolo
(546° )26. Dopo la sua morte, la temperatura di ebollizione dell’acqua sostituì quella del
corpo umano come punto fiduciario superiore27. La scala Fahrenheit ebbe rapida diffusione nei Paesi bassi e in Inghilterra, ma non in Francia dove fu preferita quella di Réaumur. Farhenheit ebbe comunque il grande merito di aver dimostrato come, sebbene il
mercurio avesse un coefficiente di espansione termica basso, esso poteva essere utilizzato per costruire termometri molto precisi e paragonabili.
25
Michael Allaby, Römer temperature scale. Encyclopedia of Weather and Climate. New York: Facts
On File, Inc., 2002. Science Online. <www.factsonfile.com>.
http://www.fofweb.com/Subscription/Science/helicon.asp?SID=2&jPin=enweath2769
26
M. K. Barnett, Osiris, 12 (1956) 298;
27
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 79;
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2 - Misure e Strumenti
Il naturalista francese RENÉ ANTOINE FERCHAULT
DE
RÉAUMUR (1683-1757), pro-
babilmente all’oscuro del lavoro di Hooke, propose, nel 1730, una scala con un solo
punto fiduciario. La procedura di calibrazione era basata sul metodo di riempimento del
termometro: immerso il bulbo in una miscela acqua-ghiaccio, determinava il volume del
liquido termostatico che raggiungeva un’altezza prefissata nello stelo. Quindi faceva
corrispondere ciascun grado di temperatura a una dilatazione del liquido lungo lo stelo
pari a un millesimo di questo volume, segnando l’altezza raggiunta da ciascuna di queste frazioni. Il liquido termostatico era una miscela alcol/acqua di concentrazione tale
che il suo volume a 0° si dilatasse di 80/1000 quando il termometro era immerso in acqua bollente. Questa scala ottantigrada, scelta28 per l’elevato numero di divisori di 80°,
ebbe grande diffusione in Francia e nell’Europa centrale, in larga parte come conseguenza della sua sponsorizzazione da parte dell’Accademia di Parigi.
Generalmente si ritiene che l’adozione della scala centigrada, ancor oggi usata,
che porta il nome dell’astronomo svedese ANDERS CELSIUS (1701-1744), sia stata proposta intorno al 1740 dal botanico svedese Carl von Linné (Linnaeus). Per evitare che, in
situazioni meteorologiche molto comuni negli inverni nordici, si dovessero registrare
temperature negative, Celsius propose attribuire il valore 100 alla temperatura della
neve fondente (che trovò indipendente dal luogo e dalla latitudine) e 0 a quella dell’acqua bollente, alla pressione di 755 mm Hg, dividendo l’intervallo in 100 parti eguali.
Non si sa esattamente chi propose l’inversione dei punti fissi: potrebbe essere stato Martin Strömer, allievo di Celsius, lo stesso Linneo, ma più probabilmente29 fu il fabbricante di strumenti svedese Daniel Ekström, nel 1744.
Infine, la scala assoluta delle temperature è basata sulla legge di Amontons, che
stabilisce un incremento costante nel volume di un gas per ogni aumento di un grado
della sua temperatura. In maniera simmetrica, ogni diminuzione di un grado porta alla
diminuzione di 1/273 del suo volume a 0 gradi. Per questo, alla temperatura di -273°, il
volume del gas si annullerebbe, rendendo privo di significato ogni ulteriore raffreddamento, posto che sia realizzabile.
28
29
W. E. Knowles Middleton, A History of the Thermometer, The J. Hopkins Press, Baltimora (1966) 83;
M. Allaby, Celsius Temperature Scale, Encyclopedia of Weather and Climate. New York: Facts On
File, Inc., 2002. Science Online. <www.factsonfile.com>.
http://www.fofweb.com/Subscription/Science/helicon.asp?SID=2&jPin=enweath0531
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