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L’infanzia e i servizi per l’infanzia: verso un approccio europeo Un documento di indirizzo proposto da Bambini in Europa principio principe L’accesso nei servizi rviz i educativi per l’infanzia: nzia zia zi un diritto di tutti i bambini principe principe «L’accesso nei servizi educativi e di cura per l’infanzia è un diritto di tutti i bambini. Tutti i bambini dovrebbero avere diritto a un posto indipendentemente da handicap o da bisogni particolari, dal luogo in cui vivono, dal reddito familiare o da altre condizioni familiari, compreso il fatto che i genitori siano o no occupati. Questo diritto dei bambini non è alternativo ai congedi di maternità o ai congedi parentali (che sono già un diritto per tutti i genitori europei). Infatti, tutti questi diritti sono necessari e preziosi sia per i bambini che per i genitori». principe principe (http://www.edizionijunior.com/public/Inrete/ DISCUSSIONPAPER.pdf) Questo contributo fa parte di una serie di documenti che mirano ad approfondire i 10 principi proposti da Bambini in Europa nella sua dichiarazione L’infanzia e i servizi per l’infanzia: verso un approccio europeo. 2 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini Che cosa significa questo principio? Che cosa intendiamo per diritto di tutti i bambini di frequentare un servizio educativo e di cura per l’infanzia (ECEC - Early Childhood Education and Care) prima dell’età dell’obbligo scolastico? Questo principio mira a garantire che tutti i bambini e le loro famiglie possano usufruire dei vantaggi potenziali di un servizio ECEC di qualità, in linea con quanto indicato dalla Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino, articolo 29. Per Bambini in Europa, ciò significa garantire a tutti i bambini l’accesso a servizi di qualità. L’opportunità di utilizzarli deve essere offerta indipendentemente dalle condizioni del bambino o della sua famiglia e deve essere garantita dalla disponibilità di servizi di qualità che siano ugualmente accessibili, indipendentemente da fattori economici, geografici, culturali o sociali. Si tratta, inoltre, di un’utilizzazione volontaria. La frequenza a questi servizi non deve essere obbligatoria ma essi devono garantire di essere disponibili e accessibili per tutti i bambini, le loro famiglie e le comunità in cui vivono. Nell’ambito dei servizi ECEC rientrano le molte differenti tipologie di servizi destinati a gruppi di bambini che derivano da politiche e da progetti gestiti o regolati da enti pubblici e non da accordi privati tra individui. Si tratta di servizi che perseguono obiettivi e missioni complesse che combinano educazione e cura dei bambini oltre che sostegno alle famiglie. Tali servizi – se di qualità – possono ridurre le differenze delle condizioni nelle quali i bambini crescono dal punto di vista educativo, sociale ed economico e possono garantire l’uguaglianza tra uomini e donne nella divisione del lavoro retribuito e non retribuito. Quali sono le basi di questo principio? Questo principio deriva da constatazioni relative ai benefici educativi, sociali, culturali ed economici che derivano dalla frequentazione di servizi ECEC di qualità. Sul piano socio-politico, numerose ricerche e valutazioni empiriche evidenziano i vantaggi che derivano dalla diffusione di questi servizi. L’utilizzazione di servizi ECEC svolge un ruolo importante nel ridurre le diseguaglianze tra uomini e donne per quanto riguarda la loro partecipazione al mercato del lavoro e la divisione dei compiti in ambito familiare. La riduzione di queste diseguaglianze ha anche un impatto positivo sulla natalità, fattore decisivo dell’equilibrio tra la produttività dei giovani adulti e l’invecchiamento della popolazione. D’altra parte, un ingresso allargato e precoce nei servizi ECEC favorisce l’obiettivo di sviluppo economico dell’Unione Europea, che si basa su un livello elevato di formazione della popolazione. All’interno dell’economia della conoscenza e della strategia della formazione permanente, l’educazione fin dalla più giovane età degli adulti di domani è data sempre più per scontata e la disponibilità di servizi educativi e di cura per genitori in formazione è determinante. Per le famiglie in situazione di precarietà o di isolamento sociale, la frequentazione di servizi ECEC da parte dei bambini rappresenta inoltre un’opportunità di sostegno, di costruzione di riferimenti e di inclusione socio-economica. Al punto tale che la redditività economica degli investimenti nel settore dei servizi prescolastici è considerata come molto elevata. Nell’ambito dell’infanzia, non ci sono risposte universalmente valide su ciò che dobbiamo aspettarci dalla frequentazione da parte dei bambini di un servizio prima della scolarità obbligatoria. La risposta dipende dai valori e dalle rappresentazioni sociali dell’infanzia, dell’educazione, dello status della donna e della famiglia. Nel contesto dei Paesi europei, i genitori e la famiglia svolgono un ruolo essenziale nella crescita del bambino ma, non essendo isolati dalla società, fanno parte di un sistema complesso di relazioni educative nel quale il bambino si sviluppa e al centro del quale si collocano i servizi ECEC. Su un piano teorico, gli effetti benefici riguardano lo sviluppo cognitivo, sensoriale, emozionale, linguistico e sociale del bambino. Si tratta, tuttavia, di benefici potenziali, poiché in realtà questi dipendono dalla qualità dei servizi stessi. Infatti, recenti ricerche empiriche mettono in evidenza l’impatto potenzialmente nocivo di servizi di qualità mediocre, soprattutto sui bambini le cui famiglie possiedono deboli risorse educative, sociali e materiali. I servizi ECEC mirano a produrre benefici diversi secondo i programmi e i contesti particolari. Quando gli obiettivi riguardano le pari opportunità tra uomini e donne, i benefici perseguiti riguardano le possibilità di conciliare vita familiare e vita pubblica e professionale dei genitori. I servizi sono allora realizzati con una grande flessibilità oraria, diverse formule organizzative e caratteristiche che vanno incontro alle necessità e alle preferenze dei genitori. In una prospettiva di lotta contro le diseguaglianze sociali ed economiche, gli obiettivi riguardano lo sviluppo cognitivo dei bambini e mirano ad attenuare gli effetti delle deboli condizioni socio-economiche e culturali dei genitori sulle prestazioni scolastiche dei bambini. Questi obiettivi potranno essere raggiunti tramite la frequentazione di servizi ECEC di qualità. Altre prospettive integrano obiettivi di sviluppo globale dei bambini e attengono di preferenza alle competenze sociali, all’autostima e al benessere, nel quadro di una pedagogia che combina cure, educazione e ascolto del bambino. Alcuni approcci sottolineano anche l’importanza di essere più centrati sul bambino “qui e ora” che sugli adulti di domani. Questa prospettiva mette l’accento sul bambino nelle sue interazioni sociali. In questo contesto, i servizi ECEC sono considerati come spazi che impegnano i bambini nelle loro prime esperienze sociali con bambini e adulti diversi da quelli delle loro famiglie. È così che le loro competenze sociali possono essere rafforzate: imparare a stare con gli altri, a cooperare, a convivere con la diversità e a condividere significati in contesti diversi dall’ambiente familiare. Tali obiettivi preparano a vivere nella società contemporanea che è sempre più caratterizzata dalla diversità. L’accessibilità, una questione cruciale Il diritto di tutti i bambini di frequentare servizi ECEC è raccomandato dalla Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino (1989) e dal settimo commento relativo alla sua 3 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini applicazione per la prima infanzia: «La discriminazione potenziale per quanto riguarda l’accesso dei bambini a servizi per l’infanzia di qualità è particolarmente preoccupante, in particolare quando non si trovano ovunque servizi sanitari, scuole, servizi sociali e altri servizi e che i servizi in questione sono assicurati congiuntamente dallo Stato, dal settore privato e da organizzazioni benefiche. [...] gli Stati aderenti [...] potrebbero prendere misure per garantire a tutti i bambini le stesse possibilità d’accesso ai servizi disponibili» (CRC/C/GC/7/Rev. 1; 20 settembre 2006, p. 6). Tutti gli Stati europei hanno adottato una forma o l’altra di politica relativa all’educazione e alla cura dei bambini di età prescolare, ma l’accessibilità dei servizi è uno dei fattori che li differenzia. Il fatto di riconoscere un diritto d’accesso a bambini di questa fascia di età non è generalizzato e, anche quando lo è, non ne deriva che sia garantita l’effettiva possibilità di utilizzo dei servizi da parte delle famiglie che lo desiderano. Occorre infatti che i servizi siano disponibili ma anche accessibili sul piano geografico, finanziario e culturale, senza dimenticare gli aspetti legali che riguardano in particolare le persone senza permesso di soggiorno. Sul piano teorico, in genere si contrappongono due modelli, uno è quello dell’accesso universale e l’altro quello dell’accesso mirato. Il modello d’accesso universale riconosce a tutti i cittadini e membri di una società dei diritti in materia di politica sociale. Il modello d’accesso mirato mira a concentrare le risorse pubbliche su alcuni bisogni sociali consideratie come politicamente prioritari. Un terzo modello emerge attualmente a partire dal modello d’accesso universale ma considerando l’equità di utilizzazione dei servizi da parte di specifiche popolazioni. L’APPROCCIO DI TIPO UNIVERSALE L’approccio di tipo universale parte dal principio secondo il quale tutti gli individui, nella loro qualità di cittadini, possono fare valere l’esistenza di diritti in materia di politica sociale. Esso riconosce, in particolare, una responsabilità collettiva nelle scelte che riguardano l’ambito privato della famiglia, dove i bambini piccoli sono stati a lungo confinati. Il modello d’accesso universale alla scuola può essere esteso ai servizi per l’infanzia con gli stessi benefici previsti per bambini in età scolare: si tratta cioè di offrire a tutti i bambini l’accesso a risorse educative e sociali, favorire l’integrazione sociale, economica e culturale e prevenire l’esclusione sociale. Tuttavia, questo modello di uguaglianza d’accesso non è esente da conseguenze negative in termini di diseguaglianza. La frequentazione effettiva dei servizi è garantita soltanto nella misura in cui è riconosciuta come un diritto del bambino e là dove i servizi sono accessibili a livello geografico e finanziario e dove tengono conto delle diversità socio-culturali. LE POLITICHE MIRATE In pratica, le politiche ECEC mirate riguardano due gruppi: i bambini i cui genitori lavorano e i bambini di famiglia povera o cosiddetti “a rischio”. Queste politiche limitano i vantaggi potenziali dei servizi ECEC ad alcuni gruppi, con il rischio di creare diseguaglianze o di rafforzarne alcune già presenti. I servizi per i bambini i cui genitori lavorano sono rivolti soprattutto a bambini di fascia di età inferiore ai tre anni, nella prospettiva di promuovere la pari opportunità per le donne e la conciliazione del lavoro con i compiti familiari. Questa scelta politica presenta il rischio di generare o rafforzare due tipi di diseguaglianze tra i bambini e le famiglie. Si tratta innanzitutto di diseguaglianze sul piano collettivo, nella misura in cui questi sistemi raramente soddisfano la domanda di posti e sono caratterizzati spesso da diseguaglianze geografiche nell’offerta. In secondo luogo, si tratta di diseguaglianze sul piano sociale e educativo che riguardano i bambini. Infatti, l’isolamento è una condizione sociale che genera difficoltà educative tra i bambini più piccoli, in particolare in famiglie che vivono in condizioni sociali più a rischio. I servizi ECEC rappresentano oggi praticamente l’unica risorsa educativa su larga scala per i bambini più piccoli. Quando i bambini i cui genitori lavorano hanno la priorità, i servizi ECEC assumono un ruolo più rilevante nell’educazione delle famiglie socialmente favorite che in quella dei bambini di contesto sociale modesto, in cui le madri sono occupate molto meno frequentemente. Poche statistiche descrivono questo fenomeno. I grafici seguenti, basati sui risultati dell’indagine SILC Community Statistics on Income and Living Conditions - EU-SILC su un campione rappresentativo di popolazione, evidenziano bene questo effetto. In Paesi come il Belgio e i Paesi Bassi, dove la politica è “mirata”, la frequentazione dei servizi ECEC da parte dei bambini di meno di tre anni d’età è diseguale nei diversi strati sociali ed è superiore nei bambini provenienti da famiglie di livello sociale più alto (indicato, nel grafico 1, dal livello di istruzione della madre). In Danimarca o in Svezia (non rappresentata nel grafico) la frequenza è simile in tutti gli ambienti sociali. Nell’ipotesi in cui i servizi offrano un ambiente di educazione e cura di qualità, le politiche ECEC che adottano il modello mirato contribuiscono a rinforzare le diseguaglianze sociali di risorse educative per crescere i bambini piccoli. I programmi di qualità mirati alle famiglie con reddito basso e alle famiglie “a rischio” vanno al di là degli aspetti legati all’apprendimento, includendo altri aspetti come la salute, il benessere e il sostegno sociale. Possiamo identificare due strategie per determinare l’accessibilità di questi servizi: una è basata sulla selezione diretta delle famiglie e dei bambini da considerare prioritari, l’altra sulla selezione indiretta tramite l’identificazione di zone geografiche prioritarie. La strategia della scelta diretta genera un rischio di stigmatizzazione sociale che accompagna quasi inevitabilmente l’idea secondo la quale “un servizio per poveri è un povero servizio”. Anche la strategia di determinazione geografica fallisce poiché non raggiunge le molte famiglie prioritarie che si trovano in zone non prioritarie. Ad esempio, è stato valutato che nel Regno Unito circa la 4 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini VI BELGIO Cura familiare (esclusivamente) Universitaria Superiore Secondaria inferiore Universitaria Superiore Universitaria Superiore Secondaria inferiore VI VI VI VI Secondaria inferiore Grafico 1. Forme di cura dei bambini di meno di tre anni secondo l’ambiente sociale di provenienza (livello di istruzione della madre) - Belgio, Paesi Bassi e Danimarca - 2006 VI PAESI BASSI Cura informale (esclusivamente) DANIMARCA Cura formale (esclusivamente o non) Fonte : Humblet & Amerijckx, 2009, EU-SILC (2006) (1) Cura familiare: bambini esclusivamente curati dai propri genitori. (2) Cura informale: bambini curati da persone non professionali, retribuite o no. (3) Cura formale: bambini che frequentano almeno una volta alla settimana un servizio formale, la cui frequenza può essere combinata con la cura familiare e/o informale. metà della popolazione target sfugga al sistema Sure Start1. Si possono evidenziare altri limiti ed effetti negativi: il limite principale attiene al fatto che i programmi che corrispondono a questo tipo di modello hanno un impatto positivo soltanto se i servizi hanno un carattere integrato, se vi lavorano professionisti con un buon livello di formazione e se il programma è finanziato adeguatamente. Perciò il costo di programmi di questo tipo li rende politicamente meno interessante. Inoltre, sul piano educativo, vanno persi i benefici derivanti dall’integrazione sociale e i criteri socio-economici utilizzati per identificare i bambini beneficiari portano a escludere arbitrariamente altri bambini che hanno ugualmente bisogno di servizi educativi. UN TERZO MODELLO Un terzo modello si caratterizza per il fatto di garantire un’equità di utilizzazione per tutti. Si tratta del modello universale integrato dal concetto di equità nella prospettiva dei diritti del bambino. Si tratta di rifarsi a un’equità di utilizzazione e non più soltanto di accesso. A questo scopo, occorre sostenere la flessibilità, la sensibilità e l’adattabilità dei servizi ad accesso universale, per tenere conto dei bisogni sociali e individuali dei bambini 1 Il sistema dei Sure Start Childern’s Centers è un’iniziativa del governo inglese realizzata con l’obiettivo di «dare ai bambini il miglior inizio possibile nella vita», attraverso lo sviluppo di azioni di cura nei confronti dei bambini e di interventi nell’ambito dell’educazione, della salute e del sostegno familiare, con una particolare attenzione alla loro diffusione e promozione nel contesto delle comunità locali. appartenenti a gruppi più vulnerabili e di aggiungere le risorse necessarie per raggiungere questi scopi. Il riconoscimento di un diritto non basta, deve essere completato dall’impegno a renderlo realizzabile. PUNTI CHIAVE • L’accesso a servizi ECEC di qualità è un diritto riconosciuto dalla Convenzione Internazionale dei Diriritti dell’Infanzia (1989, 2006). • L’approccio di tipo universale è adeguato al fine di attuare questo diritto. • Tuttavia l’uguaglianza del diritto non garantisce un’utilizzazione equa: i servizi devono essere di qualità, disponibili, accessibili dal punto di vista finanziario, geografico, culturale e sociale. Qual è la posizione dell’Unione Europea? Nell’Unione Europea, la questione dell’accesso ai servizi per l’infanzia è stata affrontata ufficialmente fin dal 1992, grazie all’adozione da parte del Consiglio delle Comunità Europee della “Raccomandazione del Consiglio, del 31 marzo 1992, sulla custodia dei bambini” (92/241/CEE, Gazzetta ufficiale n. L 123 del 08/05/1992, pp. 0016-0018). Questa misura era prevista nel programma d’azione a medio termine relativo alle pari opportunità fra uomini e donne. Essa raccomandava la realizzazione di misure di sostegno alla conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa 5 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini e, in particolare, di “servizi per l’infanzia” di qualità, accessibili dal punto di vista geografico, economico e sociale, flessibili e diversificati per rispondere alle necessità e alle preferenze dei genitori. La messa in pratica di questa raccomandazione è stato oggetto di valutazioni regolari ma è soltanto nel corso della riunione del Consiglio Europeo nel 2002 a Barcellona che sono stati definiti obiettivi quantitativi da raggiungere entro il 2010. In questa occasione, i Paesi si erano impegnati a coprire l’offerta del 33% dei bambini di meno di tre anni e del 90% dei bambini della fascia di età compresa fra tre anni e l’età della scolarità obligatoria. Questi impegni sono stati ribaditi nel marzo 2006 nel “Patto europeo per la parità di genere” (7775/1/06/rev 1, Allegato II). Tuttavia, le ultime valutazioni disponibili convergevano nel prevedere che gli obiettivi di Barcellona non sarebbero stati raggiunti nel 2010 (COM (2008) 638 finale). Se si può apprezzare questo sforzo, occorre tuttavia constatare che tali criteri non fanno che sfiorare la questione vasta e complessa dell’accesso ai servizi ECEC. Infatti, questi tassi di copertura sono obiettivi quantitativi che non dicono nulla delle caratteristiche relative ai posti da offrire, dell’esigenza di qualità né dell’accessibilità oraria e finanziaria di questi servizi. Ne consegue che queste scelte, che determinano l’accesso, sono competenza delle politiche nazionali. PUNTI CHIAVE • Il problema dell’accesso a servizi ECEC è stato ufficialmente sollevato dall’UE nel 1992 (“Raccomandazione del Consiglio sulla custodia dei bambini”, 92/241/CEE). • Gli obiettivi quantitativi sono stati fissati a Barcellona nel 2002 ma sono riduttivi rispetto alla complessità della questione. I Paesi europei e la garanzia di accesso ai servizi ECEC da parte di tutti i bambini settore Istruzione. Tutti questi Paesi riconoscono ai bambini con più di tre anni il diritto all’educazione e il principio dell’accesso universale non è limitato da alcuna condizione specifica. L’UTILIZZAZIONE DEI SERVIZI ECEC Il grafico 3 presenta la percentuale di bambini che hanno frequentato almeno un’ora alla settimana un servizio formale nei vari Paesi secondo la fascia d’età. Queste percentuali dipendono soprattutto dalla disponibilità di servizi che corrispondono alle aspettative e alle necessità dei genitori, che siano gratuiti o a un costo accessibile. Per i bambini sotto i tre anni, i risultati si distribuiscono in maniera scalare tra l’1,5% (CZ) e il 70,5% (DK) e mostrano una grande variabilità internazionale. La misura della diseguaglianza può essere calcolata dal rapporto tra i tassi massimi e minimi: un bambino con meno di tre anni ha 47 probabilità in più di essere iscritto in un servizio ECEC in Danimarca che nella Repubblica Ceca (70/1.5 = 47). Per i bambini dai tre anni in su, queste variazioni si dispiegano dal 28% (PL) al 92% (BE, NL). La diseguaglianza delle opportunità è di 3.2 volte (92/28 = 3.2). Quando si comparano le due fasce d’età, emergono due constatazioni: la situazione è più omogenea tra i Paesi per i bambini di età superiore a tre anni che per i bambini più piccoli, mentre lo scarto percentuale tra i Paesi europei è superiore per i bambini più piccoli. Si tratta di medie nazionali. Numerosi Paesi praticano un decentramento nell’attuazione della politica nazionale, fatto che induce diseguaglianze di accesso su base geografica o territoriale. La tavola 1 presenta, relativamente a sette Paesi, il tasso di iscritti (o, secondo i Paesi, il tasso di copertura) a livello nazionale, il tasso regionale più elevato e il tasso regionale più debole (EU-NUTS livello 1)2. Si osserva che lo scarto regionale varia tra 1,2 in Svezia e 8,1 in Spagna, dove troviamo le disparità più rilevanti fra i paesi descritti. Tavola 1. Differenze geografiche dei tassi di copertura o di utilizzazione in alcuni Paesi Europei Gli Stati europei riconoscono tutti, in un modo o nell’altro, il dovere di adottare una politica relativa all’educazione e alla cura dei bambini di età prescolare. Si osserva tuttavia una gamma relativamente ampia di politiche e di realizzazioni. Tasso Tasso regionale Tasso regionale Rapporto fra tassi nazionale (1) massimo (2) minimo (3) regionali (2:3) IL DIRITTO D’ACCESSO Il riconoscimento del diritto d’accesso per tutti i bambini tra la nascita e l’obbligo scolastico è variabile secondo l’età dei bambini e il Paese (grafico 2). Si constata che tutti i Paesi riconoscono questo diritto, soprattutto per i bambini tra i tre e i sei anni di età, eccetto i Paesi Bassi (quattro anni) e la Repubblica Ceca (cinque anni). Ad eccezione della Finlandia, dove non esistono restrizioni, il diritto d’accesso ai bambini a partire da un anno è riconosciuto in Danimarca (sei mesi), Lettonia, Lituania, Slovenia e Svezia. Questi Paesi prevedono un sistema integrato nell’ambito di un solo Ministero. Nella maggior parte degli altri Paesi, le competenze sono distribuite in funzione dell’età dei bambini interessati: i più piccoli dipendono dal settore Welfare, mentre i più grandi dal IT 7,4 11,1 2,6 4,3 HU 8,5 13,3 3,7 3,6 AT 9,0 12,5 6,3 2,0 ES* 12,9 26,8 3,3 8,1 BE 24,8 40,2 17,1 2,4 FI 26,2 27,2 19,8 1,4 SE 56,2 61,3 51,7 1,2 Fonte: G. Amerijckx (2009) * Canarie escluse Anni: AT, BE, FI (2006); SE (2005); ES (2003); HU (2001); IT (2000) 2 La difficoltà di accesso a dati completi a livello regionale ci ha obbligato a non considerare l’insieme delle categorie dei servizi ECEC. Ciò spiega il motivo per cui i tassi nazionali non sono comparabili con quelli ufficiali di ciascun Paese. 6 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini Grafico 2. Età di riconoscimento del diritto a un servizio ECEC (EU25) ed età della scolarizzazione primaria Età (anni) ECEC Età della scolarizzazione primaria Fonte= G. Amerijckx Base di dati PEPSI (2009) AT = Austria; BE = Belgio; CY = Cipro; CZ = Repubblica Ceca; DE = Germania; DK = Danimarca; EE = Estonia; EL = Grecia; ES = Spagna; FI = Finlandia; FR = Francia; HU = Ungheria; IE = Irlanda; IT = Italia; LT = Lettonia; LU = Lussemburgo; LV = Lituania; NL = Paesi Bassi; PL = Polonia; PT = Portogallo; SE = Svezia; SI = Slovenia; SK = Slovacchia; UK = Regno Unito. PUNTI CHIAVE • Tutti i Paesi dell’Unione Europea riconoscono il diritto d’accesso a un servizio ECEC prima dell’età dell’obbligo scolastico. • Questo riconoscimento riguarda soprattutto la fascia di età tre-sei anni, eccetto i Paesi in cui un solo Ministero ha in carico tutti i bambini prima dell’età dell’obbligo scolastico. • Emergono diseguaglianze di utilizzazione molto forti tra i Paesi, tra le fasce di età dei bambini (zero-tre anni e tresei anni) e tra le regioni. Alcune esperienze nazionali La Svezia riconosce il diritto all’accesso fin dall’età di un anno (grafico 2) e il carattere volontario della frequenza dei servizi fino a sei anni. I primi risultati di una riforma del sistema dei servizi prescolari realizzata tra il 2000 e il 2003 consentono di illustrare le opinioni espresse in questo contributo sul rapporto tra l’accessibilità dei servizi e la loro effettiva utilizzazione. Le riforme hanno riguardato molti aspetti dell’accessibilità. Il miglioramento dell’accessibilità finanziaria è stato ottenuto con la diminuzione del costo mensile d’iscrizione per la grande maggioranza delle famiglie e con la gratuità di almeno 525 ore annuali per tutti i bambini con più di quattro anni. Una terza misura ha riguardato l’accessibilità sociale, garantendo ai figli di disoccupati e di genitori in congedo parentale il diritto a una frequenza minima di 15 ore alla settimana in un servizio ECEC. Tra il 2000 e il 2004 questa riforma ha aumentato dal 65% al 75% la percentuale media nei servizi ECEC di bambini fra uno e cinque anni e ha ridotto le differenze geografiche, soprattutto a favore delle regioni più rurali. È stato osservato un aumento significativo della frequenza di figli di genitori disoccupati o in congedo parentale. Ovunque, i Comuni hanno segnalato la frequenza di bambini esclusivamente nelle fasce orarie d’accesso gratuito, fatto che ha anche prodotto variazioni quotidiane nella dimensione dei gruppi di bambini. Queste innovazioni sono state effettuate con un maggiore sostegno da parte dello Stato e hanno richiesto un maggior impegno nella programazione dei servizi per mantenere il livello auspicato di qualità. Questa riforma evidenzia che un miglioramento dell’accessibilità dei servizi ha un impatto favorevole sulla loro utilizzazione e che, quando i servizi sono accessibili e di qualità, non è necessario rendere la loro frequenza obbligatoria. 7 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini Grafico 3. Percentuale di bambini che hanno frequentato un servizio ECEC almeno un’ora alla settimana secondo la fascia d’età e il Paese europeo 0-2 anni 3-5 anni Fonte : SILC 2006 In Danimarca le politiche per l’infanzia sono gestite dal Ministero degli Affari Sociali (2009) con una normativa specifica relativa ai servizi ECEC (Act on Day-Care, After-School and club Facilities, etc. for Children and Young People, 2007). Si prevede che tutti i genitori possano fare domanda per un posto in un servizio per il loro bambino quando quest’ultimo ha compiuto sei mesi (cioè al termine del congedo di maternità). L’accesso ai servizi ECEC è riconosciuto come un diritto del bambino in qualità di cittadino a pieno titolo. Le agenzie locali collaborano, sotto gli auspici dell’Ente locale, per garantire che non appena possibile venga fornito un posto alle famiglie e che vengano resi noti i tempi di attesa, affinché i genitori possano organizzarsi. I genitori hanno inoltre il diritto legale di scegliere tra un servizio di tipo collettivo (come un nido) o un’educatrice domiciliare, ma non possono scegliere il servizio specifico. Di fatto, l’educatrice domiciliare è generalmente la sola opzione offerta per la cura dei più piccoli. soprattutto nella regione di Bruxelles, dove si osserva da molti anni un forte aumento della popolazione infantile. Di conseguenza, si rende necessario costruire nuove scuole, fatto che richiede molto tempo. Nell’attesa, occorrerebbe adottare misure per evitare che la questione abbia un impatto negativo sull’accessibilità dei bambini resi socialmente più marginali. PUNTI CHIAVE Quando vengono offerti servizi disponibili, accessibili finanziariamente e di qualità: • la domanda di servizi supera il limite legato all’impegno lavorativo dei genitori; • non è necessario rendere la frequenza obbligatoria. Prossime tappe In Belgio, l’ingresso dei bambini di due anni e sei mesi alla scuola dell’infanzia è universale e gratuito. L’educazione prescolare è molto valorizzata socialmente. Fin dall’età di tre anni tutti i bambini possono essere iscritti alla scuola dell’infanzia (e di fatto lo sono). I meccanismi di finanziamento a tali scuole permettono un adeguamento rapido dell’offerta alla domanda: essi sono basati sul numero di bambini iscritti, che viene rivisto cinque volte all’anno nelle sezioni per bambini di due anni e mezzo. Questo adeguamento regolare del finanziamento delle spese di personale e di funzionamento al numero di bambini iscritti evita la mancanza di posti. Tuttavia, si presentano problemi di accesso In sintesi, per rendere i benefici dei servizi ECEC accessibili a tutti i bambini, la prima priorità a livello europeo consiste nell’ampliare le fasce di età per le quali i Paesi riconoscono il diritto d’accesso a servizi di qualità nella prospettiva dei diritti del bambino. Resta comunque ancora da uniformare fra gli Stati membri il riconoscimento del diritto a beneficiare dell’accesso a servizi universali di qualità almeno per tre anni prima della scolarità primaria. Per i bambini più piccoli, si possono indivuare due tappe distinte: si tratta, da un lato, di riconoscere il diritto a frequentare a 8 Principio 1 L’accesso nei servizi educativi per l’infanzia: un diritto di tutti i bambini tempo pieno i servizi di qualità per i bambini secondo le necessità familiari e, dall’altro, di riconoscere un diritto universale per tutti i bambini di frequentare a orario ridotto servizi di qualità. Il riconoscimento di un diritto non basta, occorre adottare misure per realizzarlo con equità. Diverse situazioni nazionali mostrano che quando i servizi presentano un livello elevato di qualità e sono realmente accessibili, non è necessario rendere la loro frequenza obbligatoria affinché sia generalizzata nei fatti. Perrine Humblet, Université Libre de Bruxelles Traduzione dal francese di Sofia Villa Meulders D., Humblet P., Maron L., Amerijckx G., 2010. Politiques publiques pour promouvoir l’emploi des parents et l’inclusion sociale. Bruxelles, Gent: Academia Press, Politique scientifique fédérale, Federale Wetenschapbeleid. Organization for Economic Co-operation and Development, 2006. Starting Strong II: Early Childhood Education & Care. Paris: OECD. Organization for Economic Co-operation and Development, 2004(f). Family Database. Paris: OECD (www.oecd.org/document /54/0,3343,en_2649_39263238_38082166_1_1_1_37455,00.html). 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UNICEF, Centro di ricerca Innocenti dell’UNICEF, 2007. Report card 8. Come cambia la cura dell’infanzia. Un quadro comparativo dei servizi educativi e della cura per la prima infanzia nei paesi economicamente avanzati. Centro di ricerca Innocenti dell’UNICEF. La situazione italiana L’Italia ha raggiunto nel 2010 solo uno dei tre obiettivi che il Consiglio europeo si era dato a Barcellona (2002): offrire l’accesso almeno al 90% dei bambini in età tre-sei anni. Purtroppo non altrettanto è avvenuto sia per il 60% delle donne al lavoro sia per il 33% di offerta di servizi educativi per la prima infanzia destinati a bambini sotto i tre anni. L’Italia infatti, se si considerano tutti i servizi, pubblici e privati, che accolgono bambini dai tre mesi ai tre anni, arriva circa al 17%, con una differenza notevole di offerta tra le Regioni (Emilia-Romagna 31%, Campania 2%). L’accesso alla scuola dell’infanzia può essere gestita dallo Stato, dai Comuni e da soggetti privati. È gratuita (eccetto il pagamento della mensa, dei trasporti e dell’offerta di attività particolari e integrative) se gestita dal pubblico o da soggetti in convenzione con il pubblico. I servizi educativi che accolgono bambini al di sotto dei tre anni sono considerati servizi a domanda individuale e prevedono delle quote differenziate di partecipazione da parte delle famiglie, solitamente in base al reddito; tali quote, nei servizi gestiti direttamente dal pubblico o in convenzione con il pubblico, vanno a coprire circa il 20-25% del costo complessivo del servizio. Il Governo Berlusconi, da due anni, non prevede più alcun capitolo di spesa nel bilancio dello Stato centrale per i servizi zero-tre anni, che gravano esclusivamente su Regioni, Comuni e famiglie. In Italia i servizi educativi per la prima infanzia si distinguono in: • nidi d’infanzia o asili nido che comprendono i nidi “tradizionali”, quelli aziendali, i micronidi e le sezioni aggregate alle scuole dell’infanzia per bambini in età ventiquattro-trentasei mesi; • servizi integrativi al nido che comprendono: spazi gioco per bambini, i centri per bambini e genitori e i servizi presso il domicilio delle educatrici o delle famiglie. Inoltre, dal 2003 con la riforma Moratti, possono essere accolti nelle scuole dell’infanzia bambini da ventotto mesi e con la successiva riforma Gelmini, dal 2009, anche bambini da ventiquattro mesi se residenti in piccoli Comuni e in piccole isole privi di servizi per la prima infanzia. Lorenzo Campioni