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Giochiamo ancora?
L’Ospedale del giocattolo è un grande atelier dove si riparano i giochi rotti e nel
contempo si sostiene la lotta contro disoccupazione e povertà
/ 06.02.2017
di Sara Rossi Guidicelli, foto Stefano Spinelli
Natale non è passato da un pezzo: abbiamo forse riletto qualche libro in cui sono raffigurati gli
aiutanti di Babbo Natale, tutti intenti a cucire pupazzi, incollare pezzi di trenini, saldare le parti di
un giocattolo nuovo. Ecco, all’Ospedale del giocattolo è tutto uguale, tranne che, anche se non
sembra, i giochi sono tutti già stati usati.
Nato nel 1995 come progetto di Roberto Rodriquez con il sindacato Ocst, l’Ospedale del giocattolo è
uno spazio di solidarietà in cui lavorano disoccupati e professionisti. C’è il reparto sartoria,
falegnameria, elettronica, officina, il magazzino, la lavanderia e il negozio. Ci sono clienti con una
tessera speciale per fare gli acquisti e ci sono le scuole, gli asili, le associazioni che vengono a
prendere materiale per le proprie sedi e attività. Altri giocattoli riparati vengono spediti ad
associazioni ticinesi o svizzere che fanno beneficenza all’estero. C’è il Dottor Tasca, di cui riferiremo
più tardi, che ha le vasche e stimola la fantasia.
Entriamo, un giorno di nebbia in gennaio e i colori di questo particolare ospedale, in via Vignola 5 a
Lugano, ci abbagliano. Appena entrati, si giunge subito alla parte di negozio, che come ci spiega
Sandro Diana, il responsabile, è in pratica un luogo in cui si regalano i giochi a chi è nel bisogno. Ci
sono giocattoli in legno, in plastica, in stoffa, giochi di società e giochi elettronici; ci sono sdraiette e
girelli per neonati; libri e vestiti di carnevale. C’è anche un prezzo, per i clienti «normali».
Tutta questa cuccagna colorata è arrivata qui però in un altro stato: già usata, spesso rotta, talvolta
incompleta. Nel negozio sembra perfettamente nuova; com’è possibile?
Sandro ci accompagna nell’ospedale vero e proprio, diviso in reparti. Lì, vengono smistati i pazienti,
a seconda della loro malattia. «Mi sento tornare bambino», racconta Carlo, un signore imponente
dalle mani grandi, che sta ripitturando un pezzo di legno con la vernice esente da sostanze tossiche.
«Solo che da piccolo li spaccavo, mentre adesso cerco di rimetterli insieme!». Lui è falegname di
professione, lavora per l’associazione Gruppo di Solidarietà, parte dell’Ocst, che gestisce questi
atelier. Conduce il laboratorio, pardon, il reparto di falegnameria, in cui lavorano altre cinque
persone. Tranne che per gli operatori, si tratta di programmi occupazionali, una quarantina in totale.
Oltre ad aiutare a riparare giocattoli, i partecipanti di tali programmi si dedicano durante il giorno
anche alla ricerca di lavoro, per cui nell’ospedale c’è un servizio di accompagnamento alle ricerche
di un impiego.
Ci dirigiamo verso il reparto di grafica, dove arrivano soprattutto puzzle e giochi di società: anche
qui c’è chi accoglie queste scatole usate, le apre e controlla che ci siano ancora tutti i pezzi. Ma
sappiamo quanto è facile perdere una tessera, una pedina, il libretto delle istruzioni. Allora gli
aiutanti di un Babbo Natale che ricicla devono essere in grado di ricostruire ciò che manca. Hanno
programmi e stampanti apposta per far tornare tutto come prima.
Particolarmente fremente negli ultimi anni, ci dicono, è il reparto di elettronica: qui arrivano sempre
più giochi e le competenze sono molto specialistiche. Riparare una macchinina telecomandata o un
computerino per ragazzi richiede savoir faire informatico e meccanico insieme, oltre a una
grandissima precisione.
Anche il reparto sartoria è molto attivo: «non prendiamo più peluches, ne abbiamo troppi!», ci dice
Sandro Diana, prima di portarci giù, nei magazzini. Passiamo ancora dall’officina, dove si ripara
tutto ciò che non è di stoffa né di legno e non ha componenti elettroniche. Qui vengono anche
smontati i giochi che non possono essere riparati. Tutte le componenti vanno a finire negli altri
reparti, nel caso servissero un giorno a completare un gioco che ha bisogno proprio di loro... oppure
finiscono nelle vasche del Dottor Tasca.
Nelle settimane che seguono Natale, i magazzini sono intasati. Genitori che cercano di sbarazzarsi di
giochi in eccesso; bambini stessi che non ne possono più di ricevere oggetti identici ogni anno;
famiglie che svuotano una stanza di giochi vecchi per riempirla con i regali nuovi. Tutti hanno troppo
di tutto, cioè non tutti, molti. Perché tanti altri bambini, si sa, costruiscono una palla con vecchi
stracci e con quella giocano, oggi, domani e dopodomani e le danno pure un nome. Allora nel
magazzino dell’Ospedale del giocattolo stanno non solo le scatole da controllare o i pupazzi da
riparare, ma anche tutti i giocattoli già pronti e rinnovati per essere spediti all’estero, a quei
bambini lì, che hanno altri problemi che la camera piena di giochi.
Tra l’altro, se qualcuno volesse riparare senza buttare né regalare un suo giocattolo, o qualsiasi altro
oggetto a cui tiene, ci sono le giornate «caffè riparazione». «Le organizziamo una volta ogni due
mesi, in genere di martedì, in collaborazione con l’Associazione Consumatori della Svizzera
italiana», ci illustra Sandro. Anche le scuole, elementari e medie, possono iscriversi a giornate in cui
si impara a riparare, lavorando insieme ai partecipanti nei reparti dell’Ospedale.
Percorso il lunghissimo corridoio di scatoloni, ben divisi con le etichette, risaliamo al pianterreno,
passando prima però davanti al reparto lavanderia, per i vestiti e le stoffe. Finalmente andiamo a
conoscere il Dottor Tasca, che sta festeggiando il compleanno di una bambina di 12 anni insieme a
una decina di sue amiche. Il Dottor Tasca ha un viso aperto e sorridente, e possiede delle vasche
speciali. Dentro questi grossi contenitori tiene di tutto, però meticolosamente diviso per generi: c’è
la vasca dei bottoni, la vasca dei pezzetti di legno, la vasca delle perline, la vasca delle pietruzze, la
vasca dei pezzetti di ferro... E poi la vasca degli oggetti grandi, quella dei fili, delle cose d’oro. Il
Dottor Tasca, che in realtà è una dottoressa, va nelle scuole, a casa delle persone oppure la si trova
qui in ospedale se la vengono a trovare: dice che «all’inizio i bambini restano interdetti. “Come,
possiamo fare quello che vogliamo?”, chiedono. E io ripeto “Qui c’è la colla, qui c’è la pittura, qui c’è
la carta. Prendete un sottomano e pescate quello che vi piace dalle vasche. Potete fare quello che
volete”. Dopo un po’ cominciano. Uno prende un coccodrillo e comincia ad addobbarlo con le
paillettes, l’altro costruisce un circo, un altro ancora zitto zitto attacca oggetti belli, piccoli e colorati
su un cartone e ne esce un’opera d’arte». E infatti vedo quelle bambine tutte intente a costruire
creature fantastiche con scarti di ogni genere.
Da quest’anno, mi racconta il Dottor Tasca, parte un progetto, che arriverà in tutte le scuole del
Cantone che lo vorranno: una mostra itinerante e interattiva promossa dall’Ospedale del giocattolo,
sul riciclo, il gioco ecologico, il gioco digitale e quello tradizionale, con atelier simili a quelli descritti
prima.
Finita la visita in via Vignola, penso che non butterò via mai più niente. Mi terrò in casa delle
vaschette per i pomeriggi di pioggia. E semmai avrò bisogno di una mano, so dove trovare il Dottor
Tasca e la sua banda di creatori. Creatori di seconda mano.