La rivolta del contadini di San Salvatore Monferrato

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La rivolta del contadini di San Salvatore Monferrato
La rivolta del contadini
di San Salvatore Monferrato
La rivolta del contadini scoppiata nel comune di San
Salvatore Monferrato, in provincia di Alessandria,
nei giorni 24 e 25 ottobre 1898 si concluse in un
bagno di sangue nel conflitto con i carabinieri inviati
dal prefetto a protezione delle squadre antifillosseriche incaricate di eseguire l’esplorazione dei
vigneti della zona, per accertare se questi fossero
stati colpiti dalla fillossera.
Nel conflitto perdevano la vita sei contadini, una
quarantina furono feriti e una cinquantina arrestati,
rinviati a giudizio e quasi tutti condannati dal
tribunale.
La rivolta non ebbe carattere politico o contrattuale
da parte di questi lavoratori della terra, essendo essi
quasi tutti proprietari di quei vigneti su cui le
autorità avevano richiesto venisse fatta la verifica
fillosserica.
Questi fatti gravissimi forse si sarebbero potuti
evitare se, da parte di tutti, contadini e autorità di
pubblica sicurezza, si fosse agito con maggiore
prudenza nel valutare la situazione, prima di
arrivare all’irreparabile.
Il sacerdote Don Picotti, rettore della parrocchia di
San Siro, ad un giornalista che svolse le indagini sui
fatti accaduti, ebbe a dichiarare che i contadini si
rifiutarono di credere si trattasse di una ispezione
voluta dalle leggi e dal governo.
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Inoltre correvano voci che in Valmadonna (sobborgo
di Alessandria) non erano stati pagati gli indennizzi.
Sarebbe stato quindi prudente preparare gli animi.
Secondo un altro sacerdote, Don Provera, la
dimostrazione era nata spontanea come una
ragazzata e nessuno avrebbe potuto prevedere le
funeste conseguenze che purtroppo si verificarono.
Secondo diverse testimonianze furono i carabinieri
per primi a lanciarsi sulla folla, sparando colpi
mortali e ferendo tra i primi il colonnello
Carmagnola, mentre gridava: “Figliuoli, fermi!” e
calmava i più scalmanati. Ferito fu raccolto da
Davide Davite detto “Gnolo” e da un altro cittadino.
Il diagramma rappresentante la piazza Vittorio
Emanuele e le vie adiacenti, mostra evidenti i segni
lasciati dai terribili proiettili e i punti dove furono
raccolti i morti e i feriti.
Appare indiscutibile che la forza pubblica inseguì i
fuggiaschi terrorizzati ai primi colpi. Anzi uno dei
feriti gravi, Mossi Luigi, avrebbe deposto che mentre
riparavasi sotto i portici del teatro vecchio, un
carabiniere gli tirò a bruciapelo un colpo di rivoltella
dicendo: “Toh, ne ho ancora una per te”.
Un figlio di Giovanni Cabria, uno degli uccisi (dicesi
in paese dal capo guardia Bielli col quale pare vi
fosse antica ruggine) testimoniò che il capo guardia
ebbe minacciose parole di protesta contro l’imputazione fattagli, aggiungendo che “avrebbe preso a
colpi di rivoltella il primo che l’avesse ripetuta”.
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Pare anche che in ospedale, a detta dei cronisti non
tutti i feriti ricevessero il debito trattamento, ed
alcuni vi morissero.
Per meglio spiegare le ragioni dell’ira paesana contro
il sindaco e i suoi, gioverà ricordare il fatto, riconfermato dal consigliere Amisano Luigi, che mentre
in Alessandria, dal prefetto, s’era convenuto di
sospendere per quell’anno, l’ispezione fillosserica in
territorio di San Salvatore, l’assessore Prato, il 21
ottobre, antivigilia dei tumulti, andava espressamente in Alessandria a chiedere “fosse pure per
un giorno”, la venuta delle squadre d’esplorazione,
poiché altrimenti il prestigio dell’autorità sarebbe
stato compromesso irrimediabilmente.
Il deputato del collegio di Valenza, conte CerianaMeyneri, inviò un’interpellanza alla Presidenza della
Camera sui luttuosi fatti di San Salvatore
Monferrato. In precedenza, come appare anche da
una corrispondenza della “Gazzetta del Popolo”, egli
aveva avvisato l’autorità superiore degli umori del
paese, rifiutandosi persino di assistere all’ispezione
delle squadre fillosseriche, da lui creduta, per la
stagione avanzata e per la mancata preparazione
della popolazione, intempestiva e gravida di pericoli,
come purtroppo si mostrò nei fatti.
Il dott. Giusto Calvi di Valenza, il 12 novembre 1898
così scriveva sull’ “Idea Nuova”: “Nella ricerca delle
responsabilità immediate, i veri sobillatori, lo dico
con tutto il rispetto dovuto da un cittadino alla
magistratura del proprio paese, non credo siano
quelli sui quali s’è posto la mano, sia questo o
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quell’individuo: la sobillazione, qui come in tutti o
quasi gli altri fatti, non s’individualizza in persone,
ma emana da uno stato di cose, da un’infezione
generale dell’ambiente e non è nel colpire l’individuo,
ma nel riparare alla malaria sociale, che va cercato il
rimedio.
È doloroso dopo cinquant’anni dallo Statuto e dopo
oltre quindici dalla riforma elettorale e dall’istruzione
obbligatoria, che in una città come San Salvatore
sievi ancora gente che ricorre ai sassi e alle violenze
anonime della piazza contro i suoi amministratori
anziché all’arma civile del voto, che colpisce e
guarisce il male, come la lancia dell’eroe omerico.
E la sobillazione massima e vera, la colpa sociale, è
questa d’avere le classi dominanti costantemente
disabituato le classi lavoratrici dal tranquillo
esercizio dei loro diritti, di averle illuse e deluse e
corrotte diuturnamente e in ultimo, di aver legato
le mani all’unico partito, il partito socialista, che
contro tutti i romanticismi pseudo rivoluzionari,
contro tutte le insidie e le violenze, si è assunto
l’opera laboriosa,
dell’educazione politica delle
masse, stornando gli odi delle persone e, come il
vaccino scampa dal vaiolo, rendendo benigno il
male sociale coll’indirizzare l’esausta pazienza
popolare alle rivendicazioni legali mediante la
scheda e l’organizzazione”.
Tra gli arrestati vi furono anche quattro contadini di
Frescondino, mentre parecchi si diedero alla
latitanza e tra questi, Roncati Carlo, contadino che
durante la colluttazione al Clorio, avrebbe strappato
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un fucile ad un soldato e certo Gargnano,
avrebbe eccitato alla violenza.
che
Gli arrestati di San Salvatore furono tradotti alle
carceri di Alessandria. Tra i giorni di lunedì e martedì
furono interrogati e rilasciati immediatamente molti
altri contadini, una ventina di persone.
Ma l’arresto che fece maggior impressione, fu quello
del notaio cav. Giovanni Tizzani, uno dei più ricchi
del paese, conservatore accanito, già conciliatore,
vice pretore, da tempo immemorabile consigliere del
Comune, tradotto in Alessandria coi ferri ai polsi.
L’accusa che pare gli venisse mossa era di
eccitamento alla rivolta, basata sul fatto che egli
avrebbe detto ad un suo castaldo di non lasciare
entrare nella propria vigna gl’ispettori fillosserici,
senza prima avvertirlo e di aver espresso i suoi
dubbi sulla opportunità della venuta dei medesimi.
Alla funesta lista delle vittime se ne aggiunse una
sesta, Guazzone Francesco morto il 3 corrente e
Piatoni Carlo, morto dopo che gli era stata amputata
una gamba.
La stessa “Lega” di Alessandria dell’8 dicembre così
scriveva, riferendosi ai carabinieri: “Notoriamente si
sa che l’opera loro non avrebbe dovuto spingersi
tant’oltre e così insanamente, da seminare la strage
ed il lutto in mezzo a tranquille e laboriose
popolazioni che non seppero mai di violenza, di
intolleranza, di ribellione, tanto innato è in loro il
sentimento di devozione al Re, alla patria ed alle
istituzioni”.
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Il processo che si svolse nel mese di dicembre dello
stesso anno si concluse con la condanna di quasi
tutti gli arrestati.
Contro le pene abbastanza rilevanti chieste dal
procuratore del Re, avv. cav. Morelli, apre la difesa il
giovane avvocato Nebiolo, alessandrino, esordiente,
in modo da meritarsi le approvazioni dei colleghi.
Segue l’avv. Buzzi Langhi, che rimanda la sua
arringa alla udienza pomeridiana. Gli altri difensori
si succedono, con quest’ordine: Brezzi, Pugliese
Manazza, Jachino, Poggio e Battaglieri. Dopo quasi
sei ore di seduta in camera di consiglio il tribunale
alle 8,30 pomeridiane dà lettura della sentenza:
Condanna: Mossi Giuseppe, Panelli Pietro, Astori
Giuseppe, Roncati Carlo, Roncati Enrico, Astori
Davide, Roncati Tommaso, Torra Melchiorre, Astori
Camillo, Camurati Lorenzo, Roncati Giuseppe,
Amisano Lorenzo, Roncati Pietro, Astori Lorenzo,
Astori Luigi a due mesi e 15 giorni di reclusione.
Condanna: Ferraris Umberto, Cavalli Alessandro,
Anslisio Carlo, Rossi Pietro, Tizzani cav. Giovanni e
Panelli Giovanni a un mese e sette giorni di
reclusione.
Condanna: Rossi Ottavio a due mesi e due giorni di
reclusione.
Condanna: Mottino Giovanni, Milani Enrico a un
mese e 20 giorni di reclusione e L. 83 di multa.
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Condanna: Camurati Giovanni, Provera Francesco e
Tizzani Marcello a 20 giorni di reclusione e L. 41 di
multa.
Condanna: Amisano Luigi, Buzio Luigi e Cresta
Giovanni a 25 giorni di reclusione.
Assolve: Rossi Lorenzo, Bensi Alessandro, Panelli
Paola, Bensi Carolina, Bausone Silvia, Nebbia
Giuseppe, Prati Attilio e Roncati Vittorio.
Computato il carcere sofferto, vengono rimessi in
libertà tutti quanti i condannati, eccezione fatta per
Mossi Giuseppe, Astori Giuseppe, Milani Enrico,
Roncati Carlo, Tizzani Marcello, Amisano Lorenzo,
Roncati Pietro.
Dopo la conclusione del processo, sindaco e giunta,
sentendo insostenibili le loro posizioni, dovettero
rassegnare le dimissioni e nella loro caduta, vollero
coinvolgere anche tutti i consiglieri. E così diedero le
dimissioni il sindaco Bobba, gli assessori Prato,
Prevignano, Leonardo, Deambrosis Pio e i consiglieri
avv. Tarchetti e Roncati Emilio. Gli altri si rifiutarono.
Sui tragici, fatti connessi agli avvenimenti del 25
ottobre sono da ricordare i telegrammi che
intercorsero in quei giorni di vigilia tra il sindaco di
San Salvatore e il prefetto di Alessandria comm.
Arata.
Ecco il telegramma del prefetto del 10 ottobre, ore
15 al Sindaco:
“Viene riferito che codesti proprietari si oppongono
esplorazioni. Dispongo per riguardi interessi privati
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che esplorazioni comincino e proseguano di preferenza
nei terreni già vendemmiati.
Maggiori concessioni non posso fare. Voglia S.V.
persuadere proprietari delle gravi conseguenze cui si
esporrebbero continuando opposizione. Spero che
ragione prevarrà nell’animo codesti proprietari.
Intanto mi telegrafi le loro disposizioni anche per
regolarmi se ed in qual modo debbo io inviare forza”.
Risposta del sindaco Bobba, 2 ottobre:
“Dopo ricevimento telegramma V.S. presentossi
prof. Berti con lettera regio commissario Camboni.
D’accordo presenti alcuni proprietari, due delegati
squadra Valmadonna, sospendere domani esplorazioni onde preparare proprietari opponenti con
mio manifesto assicurandoli interesse di tutti
constatare nostro territorio immune fillossera.
Se sindaco avvertito prima lamentati inconvenienti
ed opposizioni non sarebbero forse avvenuti perche
preparati visite filloseriche”.
Altro del sindaco, il giorno dopo, 12 ottobre:
“Pubblicato manifesti, tenuto conferenza pubblica
per tranquillizzare e assicurare popolazione.
Persiste tuttavia la opposizione a qualsiasi operazione
esplorativa in questo territorio per parte di numerosi
contadini proprietari, male preparati e soverchiamente
allarmati. Tanto a scanso di responsabilità e a lei
norma”.
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Terzo telegramma del sindaco il 13 ottobre ore
22,40:
“Giunta radunata d’urgenza unitamente influenti
cittadini prima potersi fare utilmente tentativi presso
proprietari riottosi purché esplorazioni procedano
senza pericolo apparato forza.
Prego rimandare lunedì operazioni disposte sabato,
potendo giorno festivo conferire coi medesimi.
Fo pure presente che per recenti piogge visita sabato
recando danno proprietà indisporrebbe maggiormente interessati”.
Con sua d’ufficio 15 ottobre, il prefetto insiste
nell’esplorazione e prega il sindaco di rimuovere
ostilità e il giorno dopo, ore 2 telegrafa:
“Prego telegrafarmi: prima sulle misure preventive
da prendere per domani”.
Il sindaco risponde alle 12 dello stesso giorno:
“Conferito proprietari Clorio interessati.
Quantunque molti persuasi, persiste tuttavia forte
opposizione spalleggiata maggioranza contadini di
questo territorio che fanno causa comune coi
dissidenti Clorio. In tale ambiente non posso
garantire mantenimento ordine”.
Due ore dopo, il prefetto ribatteva con questo
telegramma:
“Sono spiacente per mancata riuscita suoi uffici.
Ora non mi restano che doveri da compiere e li
compirò. Voglia avvertire principali oppositori che
domani cominceranno esplorazioni con intervento
forza pubblica e ordine denunciare oppositori
autorità giudiziaria et arrestarli ove occorra”.
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Passano intanto cinque giorni e il 21 ottobre il
prefetto manda una lettera d’ufficio (n°16854) con la
quale dichiara che farà l’esplorazione malgrado ogni
opposizione domandando se il sindaco può disporre
di sei uomini che si uniscano agli incaricati
dell’esplorazione.
E conclude: “Spero, che il tempo e la riflessione
avranno influito sugli animi fin qui manifestati dai
proprietari dei terreni da esplorare: imperocché
vogliano o non vogliano, le esplorazioni si faranno
coll’intervento della pubblica forza ed essi non
avranno che accagionare se medesimi delle gravi
conseguenze alle quali potranno andare incontro”.
Il sindaco risponde immediatamente:
“Non potendo assicurare buoni propositi proprietari,
non posso disporre sei uomini”.
L’ultima lettera del prefetto (n°16854) dispone per il
24 le esplorazioni e soggiunge:
“È a mia conoscenza che alcuni proprietari o
ingannati o sobillati temendo che l’esplorazioni
arrechino ad essi un danno, manifestarono il
proposito di opporsi... Io ho fede nel buon senso di
codesti proprietari: comunque ho disposto che un
delegato di P.S. e numerosi carabinieri assistano i
delegati fillosserici ed ho dato ordine che sia rimessa
ogni eventuale opposizione, anche con arresti degli
oppositori”.
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Dopo le dimostrazioni e le colluttazioni al Clorio con
i risultati tragici descritti, (diversi cittadini persero
la vita) il prefetto, soddisfatto, telegrafa al sindaco
(25 ottobre, ore 14):
“Avverto aver disposto che per questo
esplorazioni cessino con quella fatta oggi”.
anno
Secondo il deputato Ceriana di Valenza, sembrano
inspiegabili le ostilità contro il sindaco cav. Bobba,
che aveva ripetutamente avvisato l’autorità superiore degli umori della cittadinanza, della sfiducia
popolare nelle persone che dirigevano dette operazioni
ed aveva fatto quanto era in lui perché si rinviassero
le ispezioni antifillosseriche.
T
A conclusione dei dolorosi fatti accaduti, ecco alcuni
brevi cenni sulla malattia, che tanto danno ha
portato alle nostre rigogliose viti.
L’insetto emittero, che arreca gravissimi danni alla
vite distruggendone le radici e dissecando le foglie,
si chiama “fillossera”. L’insetto è dotato di gorgogliosi
piccolissimi, di colore giallo che, attaccandosi alle
tenere punte delle radici della vite e moltiplicandosi,
producono nodi e rigonfiamenti; la vite intristisce e
prima si seccano le foglie, poi muore.
Dall’uovo deposto in inverno sotto la corteccia dei
rami più vecchi, esce una femmina aptera, che si
riproduce partogeneticamente tanto da produrre
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sino a 80 uova in un anno. Nell’estate compaiono
individui alati, ninfe, che depongono le uova sulla
faccia inferiore delle foglie da cui escono maschi e
femmine senza ali e senza rostro.
Dalla femmina proviene l’uovo d’inverno, da cui
nasce il pidocchio devastatore. La malattia fu
scoperta in Italia la prima volta nel 1879 a
Valmadrera, Lecco. I rimedi a cui si ricorre sono,
oltre alla disinfestazione del terreno, la cura volta ad
impedire l’esportazione di viti da campi infetti e la
pratica di disinfettare gli stessi contadini che
provengono da vigneti fillosserati, la distruzione
della vigna con la sostituzione di viti americane, le
quali resistono assai meglio delle europee. In Italia il
12 febbraio 1888 venne accettata la convenzione,
sottoscritta a Berna il 3 novembre 1881, che fissava
i provvedimenti da prendere contro la fillossera.
La convenzione fu stipulata dopo che i congressi
internazionali consigliarono i necessari provvedimenti
accettati dagli Stati. Rimedio efficace contro la
fillossera è lo zolfo dato sulle foglie.
La prima scoperta di questo insetto venne fatta in
America nel 1854; dopo a Londra e quindi in Francia
dove la malattia prima del tutto ignota, cominciò ad
infierire nei vigneti delle rive del Rodano.
(Estratto da:
“Il movimento operaio e socialista in provincia di
Alessandria” di Libero Ferraris, Alessandria - 1976)
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