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SE È NUOVO È CLASSICO di Elisa Guzzo Vaccarino per undici danzatori e quattro musicisti in occasione del 30° anniversario della Compagnia coreografia, concezione luci e video Édouard Lock musica Gavin Bryars, Blake Hargreaves scene Armand Vaillancourt costumi Liz Vandal danza Diego F. Castro, Mi Deng, Talia Evtushenko, Sandra Mühlbauer, Marcio Vinicius Paulino Silveira, Grace-Anne Powers, Alejandra Salamanca Lopez, Jason Shipley-Holmes, William Lee Smith, Zofia Tujaka, Kai Zhang direzione musicale e pianoforte Njo Kong Kie sax Ida Toninato viola Jennifer Thiessen violoncello Jean-Christophe Lizotte maître de ballet Andrew Parker direzione di scena Jean-Hugues Rochette, Frédérick Lalonde direttore tecnico Frédérick Lalonde proiezioni Pascale Barnes responsabile luci Isabelle Garceau elettricista Sébastien Boulanger capo macchinista Bruno L’Ecuyer macchinista Patrice Villeneuve tour manager Marie-Pier Chevrette produzione La La La Human Steps in coproduzione con Het Muziektheater Amsterdam, deSingel International Arts Campus (Antwerp), Hellerau – Europäisches Zentrum der Künste Dresden, Ottawa National Arts Centre, Singapore Arts Festival La compagnia ringrazia per il prezioso supporto Conseil des arts et des lettres du Québec, Conseil des Arts du Canada, Conseil des arts de Montréal www.lalalahumansteps.com distribuzione International Music and Arts PRIMA NAZIONALE durata dello spettacolo: 90’ senza intervallo foto di scena Deen van Meer Édouard Lock, se fossimo in un romanzo giallo, sarebbe il più tipico degli insospettabili. E insospettabile certo lo è, anche se nel suo caso si tratta di danza e non di letteratura. Chi ha sufficiente memoria storica per ricordare i pezzi adrenalinici enfatizzati dalla sua Musa atletica e androgina con capelli al fulmicotone, la sovrumana Louise Lecavalier – un nuovo modello di corpo femminile possente nei muscoli e inquietante nel suo erotismo inedito – la quale si gettava impavida di traverso nello spazio scenico, lanciandosi in piroette orizzontali a perdifiato e rollando a tutta forza con/contro i partner, mai avrebbe sospettato la svolta, che gli ha fatto scegliere con gran gusto il balletto postclassico, con punte accademicissime. Forse solo i tutù neri di Louise, abbinati agli scarponcini dark, avrebbero potuto insospettire un osservatore attento, adombrando in sottofondo un amore segreto di Lock per l’immaginario e l’armamentario della danza che siamo soliti chiamare classica. Quella che non invecchia mai. Cosa accomuna dunque il “vecchio” Lock– quello di Human Sex del 1985 che lo lanciò nel mondo intero – al “nuovo” Lock – quello di oggi – fermo restando nel frattempo il nome della sua compagnia, con base in Canada nella francofona Montréal, La La La Human Steps? La velocità, l’impaginazione altamente definita, il superamento dei confini di gender, e soprattutto un rigore a tutta prova di pensiero e di esecuzione, da parte di ballerini superlativi. Il Teatro Comunale di Ferrara, dove Lock festeggia il trentesimo anno di attività con il suo New Work su musica di Gavin Bryars, lo accoglie per la terza volta, dopo Amelia nel 2002 e Amjad, nome maschile/femminile per un’indagine intorno all’identità filtrata da reminiscenze del Lago dei cigni e di Bella addormentata nel 2008, lavori già appartenenti alla “seconda vita” del coreografo del Québec. Chi sa se tra il pubblico ci sarà chi aveva potuto vedere Infante, c’est Destroy passato a TorinoDanza nei primi anni ‘90 con musica furibonda di batterie e chitarre rabbiose (tra l’altro dei “rumoristi post-industriali” berlinesi Einsturzende Neubauten) e proiezioni di cani feroci e di una Louise nuda e bianchissima in caduta libera, cioè un must dei La La La di rottura, prima maniera, quelli che i più hanno conosciuto e amato soprattutto attraverso la collaborazione con David Bowie e Frank Zappa in concerto. Da dove è partito per arrivare al balletto postaccademico il bel tenebroso Édouard, eterno ragazzo nato a Casablanca nel 1954 da madre spagnola e padre marocchino, poi migrati in Canada? Dall’età di vent’anni ha firmato creazioni per compagnie di danza di spicco, tra cui Les Grands Ballets Canadiens, e per istituzioni culturali di primo piano come il Montréal Museum of Fine Arts e il Musée d’Art Contemporain de Montréal. E questa doppia sensibilità, al corpo in movimento e alle belle arti, anche neotecnologiche, è proprio ciò che caratterizza la sua cifra di artista completo. Il surreale Velasquez’ Little Museum, eccellente esempio di videodanza datato 1994, con l’evocazione di tele famose come Las Meninas e Venere allo specchio che si animano giocando sulle ambiguità di corpi anche nudi, testimonia di questi incroci disciplinari d’elezione, sotto l’abile mano registica di Bernar Hébert, a cui si deve anche in precedenza il pluripremiato film cult La La La Human Sex duo n. 1 (1987), sensualmente aggressivo nel suo elegante bianco e nero. A sua volta, però, oltre che regista di danza/coreografo vero, nel senso più pieno del termine, Lock lo è pure di film. Il suo sofisticato Amelia del 2004, che parte dal balletto omonimo del 2002 per trasferirlo in un ambiente color miele, tutto liscio, senza finestre e senza spigoli, usa magistralmente i mezzi di un cinetismo che rimanda tanto a un pioniere come Muybridge quanto alla fiction elettronica più attuale di “Matrix”. L’ultima produzione scenica, il Nuovo lavoro, per 11 danzatori e 4 musicisti, che al debutto olandese ad Amsterdam ha ottenuto giudizi molto lusinghieri – addirittura come migliore opera di Lock – si caratterizza una volta ancora per quella tecnica rapidissima, austera e parossistica insieme, che è il marchio di fabbrica dei danzatori di casa La La La, con qualche area più rilassata stavol- ta, impegnati in una coreografia complessa, dettagliata, nitidamente leggibile, “astratta”, “antisentimentale”, ma carica di umori, ritmata da macro e micromovimenti, in punta per tutti, e in perfetta sintonia con la partitura di Gavin Bryars – già collaboratore di Lock per 2 nel 1995 e per Amjad d’après Čajkovskij – che ora ridisegna l’intreccio di due storie d’amore mitiche dell’epoca barocca, Dido and Aeneas di Purcell e Orpheus und Eurydike di Gluck.In New Work, che tocca anche la tematica dello scorrere del tempo-inarrestabile per quanto procediamo veloci-a tratti, appaiono due schermi che mettono a confronto l’immagine di uomini e donne ieri e adesso. Precisa e febbricitante, la tecnica esatta del balletto si mette per Lock al servizio di una narrazione che lega, decostruendole e trasfondendole in una sorta di “ode” danzata, due opere simbolo dell’amor tragico. E questo sapendo bene che le arie più note “convocano i ricordi dello spettatore, che si crea delle nuove storie, imprevedibili” afferma Édouard nel presentare questa sua novità “audacemente romantica”. Lock romantico: chi l’avrebbe mai detto? Ma il romanticismo si riafferma in ogni epoca, non è affatto un “vecchio arnese” ottocentesco, proprio come non lo è il balletto accademico. Romantico oggi è il lirismo arrabbiato alla Lock, unito a una performatività estrema. Basta guardare al partnering reinventato al gusto di un ipermontaggio da nuovo millennio, a partire da Exaucé/Salt del 1998 in poi. Dal punto di vista tecnico, la presa all’altezza dei fianchi, anziché del busto, da parte dell’uomo, tipicamente in abito, giacca e pantaloni nero fa sì che le pirouette femminili si trasformino in vortici di fuoco per neo-ballerine bioniche. Alterando le strutture del balletto dal vivo per innervarle con modalità cinematiche da video supertecnologici, i danzatori si sfidano sul fronte arduo della meccanica di precisione, giocando su piedi d’acciaio, che disegnano curve da compasso, avvitandosi e svitandosi in cerchi vibranti, con linee energetiche fuori asse, con gambe affilate come lame e schiene che brillano sotto le luci che spazzano e campiscono il buio. Ed ecco che la fedeltà al passato, per Édouard Lock, apre le porte di un presente carico di interferenze colte e spregiudicate che già si proietta in un domani altro, forte di un patrimonio certo destabilizzato, ma solo per amore.