L`uso politico della lingua di fascismo e nazismo

Transcript

L`uso politico della lingua di fascismo e nazismo
Comune di Lodi
Ilsreco
Anpi
Aned
Giorno
della
Memoria
2016
L’INGANNO DELLA PAROLA
l’uso politico della lingua di fascismo e nazismo
a cura di Laura Coci e Ivano Mariconti
(Ilsreco)
Lodi, 27 gennaio 2016
Gli Egizi credevano che la lingua fosse la sede dell’anima;
la lingua era un timone o un remo di governo con cui l’uomo
seguiva la sua rotta nel mondo.
BRUCE CHATWIN, Le vie dei canti, 1987
la lingua e la storia
La lingua è la manifestazione
autentica, non solo
l’espressione artificiale
di ciò che è colui che parla.
Lo studio della lingua
determina consapevolezza
dell’età storica e
dell’ambiente umano
di riferimento.
La lingua pensa con noi
e per noi, pensa per tutti
e fa pensare collettivamente.
Abbiamo una responsabilità, finché viviamo:
dobbiamo rispondere di quanto scriviamo,
parola per parola,
e far sì che ogni parola vada a segno.
PRIMO LEVI, L’altrui mestiere, 1985
l’uso politico della lingua
L’uso della parola comporta
una grande responsabilità,
spesso trascurata.
Nelle dittature ideologiche
la lingua è un formidabile
strumento di propaganda,
di manipolazione e ottundimento
dell’intelligenza individuale,
di trasformazione del reale.
«Ripetete una cosa qualsiasi
cento, mille, un milione
di volte e diventerà verità»
(JOSEPH GOEBBELS).
[…] la lingua non si limita a creare
e pensare per me, dirige anche
il mio sentire,
indirizza tutto il mio essere spirituale
quanto più naturalmente,
più inconsciamente mi abbandono a lei.
E se la lingua colta è formata
di elementi tossici o
è stata resa portatrice di tali elementi?
Le parole possono essere
come minime dosi di arsenico:
ingerite senza saperlo sembrano
non avere alcun effetto,
ma dopo qualche tempo
ecco rivelarsi l'effetto tossico.
VICTOR KLEMPERER, LTI.
La lingua del Terzo Reich, 1947
parole tossico, parole antidoto
L’odio di
Mathieu
Kassovitz
(Francia, 1995)
Così lontano così vicino di
Wim Wenders
(Germania, 1993)
bibliografia minima
GUSTAVO ZAGREBELSKY, Sulla lingua del tempo presente, Einaudi, Torino
2010
EUGENIO BORGNA, Parlarsi. La comunicazione perduta, Einaudi, Torino
2015
GIANRICO CAROFIGLIO, Con parole precise. Breviario di scrittura civile,
Laterza, Roma – Bari 2015
LTI
LINGUA
TERTII
IMPERII
“Tutta la Germania ascolta
il Fűhrer”
La lingua del nazismo
1. Il potere della lingua
2. Nella carne e nel sangue
3. Conversione e conquista
4. Spostamenti semantici e parole abusate
5. Parla LUI … alla tredicesima ora
6. Le nuove parole dell’anima nordica
7. Abbreviazioni
8. Tutti automi: il linguaggio tecnico
9. “Io”… il capo
10. Sipario sulla realtà: gli eufemismi
11. Quelle virgolette menzognere
12. Non ci mancherà il fiato al momento
dello scatto finale
13. Contro la menzogna
1. Il potere della lingua
“Morte e vita sono
della lingua”
(PROVERBI 18,21)
in
potere
“Radice del pensiero è il cuore,
da cui spuntano quattro rami: il
bene ed il male, la vita e la
morte; su di loro domina padrona
la lingua”
(SIRACIDE 37, 17–18)
“La lingua è più del sangue”
(FRANZ
ROSENZWEIG,
filosofo
tedesco di famiglia ebraica)
“La lingua è la madre, non la
figlia del pensiero”
(KARL KRAUS, scrittore austriaco)
2. Nella carne e nel sangue
Qual era il mezzo più efficace del
sistema
hitleriano?
Erano
i
monologhi di Hitler e di Goebbels,
le loro esternazioni su questo o su
quell’oggetto, le loro esternazioni
contro l’ebraismo e il bolscevismo?
Certamente no, perché molto non
veniva compreso dalle masse annoiate
d’altra
parte
dalle
eterne
ripetizioni.[…] Invece il nazismo si
insinuava nella carne e nel sangue
della folla attraverso le singole
parole, le locuzioni, la forma delle
frasi ripetute milioni di volte,
imposte a forza alla massa e da
questa accettate meccanicamente ed
inconsciamente.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua
del terzo Reich. Taccuino di un
filologo, Giuntina, Firenze 2011,
p.31-32
3. Conversione e conquista
Gradualmente, ma con un processo che sembra naturale ed inarrestabile, la
lingua tedesca subisce una conversione all’ideologia tedesca. Anche questo
è un processo minuzioso e non dichiarato: è una conquista lenta che si
esercita mediante le parole e non le armi. Le espressioni vengono distorte
dal loro significato originario, costrette ad assumere un valore ed una
violenza diversa.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un
filologo, Giuntina, Firenze 2011, p.9
Storia del popolo e storia della salvezza
PAUL ALTHAUS, Deutsche stunde der Kirche, 1933, pag.15
Teologo protestante luterano (1861-1925) nel 1933 salutò la presa del
potere da parte dei Nazionalsocialisti come un regalo e una meraviglia
divina (Geschenk und Wunder Gottes)
4. Spostamenti semantici
e parole abusate
La LTI differiva dal tedesco di Goethe soprattutto per certi spostamenti
semantici e per l’abuso di alcuni termini: ad esempio, gli aggettivi
nazionale, popolare (völkisch), che era diventato onnipresente e carico di
albagia nazionalistica, e fanatico (fanatisch), la cui connotazione da
negativa si era fatta positiva.
PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi tascabili, Borgaro (Torino)
1994, pag.76
Volk è una delle parole più frequenti del linguaggio nazista che,
allontanandosi dai significati precedenti, significa:
 unità razziale, politica e nazionale in opposizione a classe
 comunità di sangue
 elemento primigenio in opposizione alla decadenza borghese
 comunità affermatasi nella storia per volontà del fato, attraverso i
legami magici del sangue e del suolo
 si attualizza in pieno nella persona del Führer
La lingua tedesca non possiede un termine perfettamente equivalente a
Fanatismus di origine straniera, neppure se lo privi del primitivo
riferimento al culto. Il verbo eifern (perseguire con ardore) è più
innocuo, un Eiferer ce lo immaginiamo più come un predicatore appassionato
che come un vero e proprio violento. […] Quindi la parola tedesca
fanatisch è intraducibile ed insostituibile; sempre quando viene usata per
dare un giudizio di valore, si carica di una forte negatività, designa una
qualità pericolosa, scostante. […] Mai, prima del Terzo Reich, a qualcuno
sarebbe venuto in mente di usare il termine per dare una valutazione
positiva. […]
Ho parlato di ricaduta comica; infatti, poichè
il nazismo è fondato sul fanatismo e pratica
con tutti i mezzi l’educazione al fanatismo,
durante il Terzo Reich l’aggettivo deve aver
avuto
un
valore
di
straordinario
riconoscimento; era un ulteriore rafforzamento
dei concetti di coraggio, passione, tenacia,
meglio ancora: una definizione complessiva in
cui si fondevano superbamente tutte queste
virtù.
Nell’uso comune della LTI l’aggettivo ha
finito col perdere anche la più lieve
sfumatura peggiorativa. In occasione di alcune
solennità, come il compleanno del Führer o la
ricorrenza del giorno della presa del potere,
non c’era articolo di giornale, indirizzo di
augurio, allocuzione a qualche reparto o
organizzazione in cui non comparisse una
“fanatica promessa solenne” o un’altrettanto
fanatica “professione di fede” o non si
dichiarasse una “fede fanatica” nella durata
eterna del Reich hitleriano.”
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo
Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina,
Firenze 2011, pp.82-83
5. Parla LUI … alla tredicesima
ora
La propaganda viene appositamente strutturata utilizzando un linguaggio
mistico e messianico.
Goebbels enuncia il suo principio guida
nel 1934, durante il “congresso della
fedeltà” che doveva il suo nome
all’azione
di
eliminazione
e
di
repressione della rivolta di Röhm.
“Dobbiamo parlare un linguaggio che il popolo capisca. Chi vuol parlare alle
persone del popolo deve, come dice Lutero, guardare direttamente sulla
bocca”. (cfr. “Lettera del dottor Martin Lutero sull’arte di tradurre e
sull’intercessione dei santi” (1530) in Scritti religiosi, Utet, Torino
1967, p.708)
Ich habe am 1. September 1939
in
der
damaligen
Reichstagssitzung zwei Dinge
ausgesprochen: [...] Die Juden
haben einst auch in Deutschland
über
meine
Prophezeiungen
gelacht.[…] Und ich werde auch
mit diesem Prophezeiungen recht
behalten.
ADOLF HITLER, discorso allo
Sportpalast
di
Berlino,
30
settembre 1942
Due cose ho pronunciato in
occasione
della
seduta
del
Reichstag del 1 settembre 1939.
[…] In passato, in Germania gli
Ebrei hanno riso della mia
profezia. […] E con questa
profezia
avrò
io
l’ultima
parola.
Aussprechen: pronunciare, verbo che si lega perfettamente a profezia.
Hitler non sta parlando ma sta profetizzando come un veggente.
Poi il suono della sirena, il
canto e il graduale arrestarsi
delle macchine. E da questo
silenzio
ecco
provenire,
detto con la voce grave di
Goebbels,
l’annuncio.
Ora
finalmente tocca a Hitler, per
tre quarti d’ora LUI. Era la
prima volta che ascoltavo un
suo discorso per intero e la
mia
impressione
è
rimasta
sostanzialmente la medesima.
Una
voce
quasi
sempre
sovreccitata, sforzata, spesso
roca. Solo che questa volta
alcuni
passaggi
venivano
pronunciati col tono lamentoso
di un predicatore fazioso.
LUI predica la pace, LUI reclamizza la
pace, LUI vuole il sì della Germania non
per ambizione personale, ma unicamente
per tutelare la pace contro la minaccia
di
una
cricca
internazionale
di
affaristi senza radici che per il loro
profitto e senza alcuno scrupolo aizzano
popoli di milioni di persone gli uni
contro gli altri […] “La cerimonia avrà
luogo tra le 13 e le 14. Alla
tredicesima ora il Führer verrà ai
lavoratori
della
Siemensstadt”.
Ma
questo,
lo
capiscono
tutti,
è
il
linguaggio dei Vangeli. Il Signore, il
redentore,
viene
ai
poveri,
ai
derelitti. Persino il modo di indicare
l’ora è non comune: non le tredici, ma
la “tredicesima ora” – fa pensare ad un
troppo tardi, ma LUI farà un miracolo,
per LUI non esiste troppo tardi.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del
terzo Reich. Taccuino di un filologo,
Giuntina, Firenze 2011, pp.58-59
6. Le nuove parole dell’anima
nordica
La volontà di azione crea nuove parole che
designano attività:
• nordizzare (Aufnorden) ridare nuova purezza
al sangue degli antenati;
• liberarsi dagli ebrei (Entjuden)
• arianizzare (Ariesieren)
Verbi intransitivi, cui la tecnica ha assegnato
nuovi ambiti, vengono resi transitivi attivi,
come il verbo volare (fliegen) che assume anche
il significato di pilotare, trasportare per
mezzo di un aereo.
Per esprimersi con maggior concisione e
rapidità molte parole vengono trasformate:
• Corrispondente (Berichterstatter–Berichter)
• Camion (Lastwagen–Laster)
• Bombardiere (Bombenflugzeug-Bomber)
“Nordico” non ha niente a che vedere con il tedesco del nord. Anche nella
Germania del sud il sangue nordico è prevalente. Esso è il garante della
Germanicità (Deutschheit) (CLAUSS, Die nordische Seele,1933, p.33)
7. Abbreviazioni
Non mi rendevo conto, e me ne resi conto molto più tardi, che il tedesco
del lager era una lingua a sé stante: per dirla appunto in tedesco, era
orts- und zeitgebunden, legata al luogo ed al tempo. Era una variante,
particolarmente imbarbarita, di quella che un filologo ebreo tedesco,
Kemplerer, aveva battezzata Lingua Tertii Imperii, la lingua del Terzo
Reich, proponendone anzi l’acrostico LTI, in analogia ironica con i cento
altri (NSDAP,SS,SA,SD,KZ,RKPA,WVHA,RSHA,BDM,…) cari alla Germania di
allora”.
(PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi tascabili, Borgaro (Torino),
1994, pp. 75-76).
Il nazismo ha fatto un uso larghissimo dell’abbreviazione:
• per etichettare, apporre cartigli, specificare minuziosamente
• è una forma strettamente correlata al linguaggio militare
• la sigla burocratizza l’immagine e ne spegne la vitalità
• la sigla rifiuta il pensiero, rifiuta la critica
Gehl, Deutsche Geschichte
Stichworten, 1940
in
L’abbreviazione moderna compare ovunque
si
tenda
a
tecnicizzare
e
a
organizzare, e il nazismo, nella sua
aspirazione alla totalità tecnicizza ed
organizza tutto, di qui l’enorme massa
di abbreviazioni. Ma poiché sempre per
quella aspirazione alla totalità cerca
di dominare l’intera vita interiore,
poiché vuol farsi religione e piantare
dappertutto la croce uncinata, ognuna
delle sue abbreviazioni è imparentata
con l’antico pesce dei cristiani:
motociclisti
o
mitraglieri,
membri
della HJ (Gioventù hitleriana) o della
DAF (Deutsche Arbeitsfront), si è
sempre parte di una “comunità di
congiurati.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del
terzo Reich. Taccuino di un filologo,
Giuntina, Firenze 2011, pp. 119-120
8. Tutti automi:
il linguaggio tecnico
Ognuno deve essere un automa nelle
mani del superiore e del capo
supremo,
ma
contemporaneamente
colui che pigia il bottone che
mette in funzione l’automa a lui
sottoposto.
Questa
struttura
occulta
fa
apparire normale il processo di
schiavizzazione e spersonalizzazione: di qui il grande numero di
espressioni della LTI tratte dal
settore della tecnica ed una massa
di parole che rafforzano tale
processo.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua
del terzo Reich. Taccuino di un
filologo, Giuntina, Firenze 2011,
p.186
 Ancorare(Verankern)
erano in quel tempo parole molto di moda a tal punto che ben presto
vennero impiegate ironicamente e a scopi satirici, per delineare qualche
caratteristica di contemporanei non amati.
“nell’assemblea nazionale si era affermato con insistenza di
ancorare alla Costituzione la legge sulle commissioni interne”.
voler
 Avviare, mettere in moto (Ankurbeln)
derivava da una scena in cui a quel tempo ci si imbatteva di frequente
per la strada: poiché le macchine non avevano ancora il dispositivo di
avviamento, dappertutto si vedevano automobilisti che con grande fatica
mettevano in moto la loro macchina servendosi dell’apposita manovella […]
si mettono in moto tutti i settori commerciali, mai però le persone che
li gestiscono.
“Con energia, sua eccellenza e il decano misero in moto tutte le loro
relazioni” (Stefan Zweig in Kleine Kronik).
 Orientare (Einstellen)
Originariamente, il verbo orientare (einstellen) ed il sostantivo
corrispondente indicavano la regolazione di un binocolo su una
determinata distanza o quella di un motore su un determinato numero di
giri.
 Sincronizzare, livellare, uniformare (Gleichschalten)
Non esiste nella LTI alcun altro esempio di abuso di parole tecniche che
faccia apparire così scopertamente la tendenza all’automatizzazione e
alla meccanizzazione come questo Gleichschalten. Lo si è usato per tutti
i dodici anni, anche se all’inizio più frequentemente che in seguito, per
la semplice ragione che molto presto tutte le uniformatizzazioni, tutte
le automatizzazioni erano già state compiute, diventando qualcosa di
ovvio.
Il termine è stato tolto dal lessico dell’elettricità dove ha il
significato di collegamento in parallelo […] Già nel 1933 entrò
nell’ambito economico-politico col significato di “pianificazione”, di
“equiparazione”. La parola ebbe negli anni 1933 e 1934 una diffusione
straordinaria, tanto che ricorreva, per così dire, quasi in ogni riga
dei quotidiani. Quando nel 1938 terminò il gigantesco processo di
livellamento e non rimase più nulla da pianificare, la parola cadde in
disuso […]. La Gleichschaltung costituisce il più importante fenomeno
di politica di massa del nazismo.
Possiamo definirla come la
“pianificazione totalitaria, la nazificazione completa della Germania,
la sottomissione del popolo e di tutti gli ordinamenti statali al
partito onnipotente.
9. “Io”… il capo
All’inizio fu relativamente semplice
ricevere qualcosa da quei magazzini, poi
diventò obbligatoria una domanda che,
passando per il “consulente legale” del
comune, appositamente incaricato, e per
il
settore
della
Gestapo
che
si
interessava degli ebrei, arrivava fino
alla direzione di polizia. Un giorno sul
formulario trovai l’avviso: ”Io le ho
destinato un paio di pantaloni da lavoro
usati. Ritirarli presso … Il capo della
polizia”. Il principio sotteso era: in
ogni caso a decidere è non un’autorità
impersonale ma un capo responsabile, un
Führer. Così tutta la burocrazia adottò
la forma personalizzata dell’ ”Io” e
ricevette le disposizioni da un dio
personale.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del
terzo Reich. Taccuino di un filologo,
Giuntina, Firenze 2011, p. 185
10. Sipario sulla realtà:
gli eufemismi
•
•
•
•
•
•
Arresto preventivo
Servizio di sicurezza
Liquidare
Assegnare al lavoro
Soluzione finale
Esperimenti scientifici
Il partito totalitario usava gli
eufemismi al modo di velari, di
sipari
calati
su
realtà
abominevoli, da membrana nittitante
(ossia
come
la
terza
palpebra trasparente che si trova
in alcune specie animali e che
può essere calata sopra l’occhio
per
proteggerlo
ed
idratarlo
mantenendo
comunque
la
visibilità).
L’eufemismo riveste il più spudorato
arbitrio di un manto di legalità che
occulta sotto la parvenza di una
legge, è menzogna e dissimulazione e
diventa al tempo stesso la culla del
segreto.
La segretezza è assunta non in
funzione di sicurezza sociale o di
difesa dell’intimità di valori individuali, ma in funzione di copertura protettiva di azioni che
offendono la dignità e la libertà.
“Non devi sapere più di quanto
concerne il tuo servizio”.
11. Quelle virgolette menzognere
Si penserebbe che la LTI, intimamente retorica e sempre pronta ad
appellarsi al sentimento, dovesse avere come lo Sturm und Drang,
grande simpatia per il punto esclamativo, ma non risulta; al contrario
mi sembra che faccia discreta economia di questo segno. E’ come se la
LTI trasformasse tutto in appello ed esclamazione, con tanta
naturalezza da rendere inutile il ricorso ad un apposito segno di
interpunzione […]. In compenso la LTI si serve, fino alla nausea, di
quelle che definirei virgolette ironiche. Le virgolette semplici,
quelle originarie, servono solo a riportare alla lettera quanto ha
detto o scritto qualcun altro. Le virgolette ironiche non si limitano
a tale citazione obiettiva, ma insinuano dubbi sulla sua veridicità,
di per sé fanno apparire menzogna l’affermazione riportata. Poiché chi
legge la frase virgolettata, anche col solo tono di voce sottolinea
questa interpretazione, si può dire che le virgolette ironiche siano
strettamente connesse con il carattere retorico della LTI.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un
filologo, Giuntina, Firenze 2011, pp. 96-97
Carl Schmitt, giurista e filosofo tedesco organizza ne
1936 un convegno per insegnanti di diritto nelle scuole
superiori tedesche intitolato “La scienza giuridica tedesca in lotta contro lo spirito ebraico”. In tale occasione pronuncia il discorso di chiusura intitolato “Il
giudaismo (Judentum) nella scienza giuridica tedesca” che
conclude con una citazione tratta da Mein Kampf:
“Nel difendermi contro l’ebreo, lotto per compiere l’opera
del Signore”.
Tale discorso verrà pubblicato nella rivista “Deutsche
Juristen Zeitung”
Tutti gli scritti giuridici di autori ebrei, come ha giustamente osservato
il dottor Hans Frank, devono essere confinati in una particolare sezione
“judaica”…
Un autore ebreo non ha per noi nessuna autorità in qualunque ambito e
neppure nessuna autorità “puramente scientifica”. Questa posizione è il
punto di partenza per la trattazione del problema delle citazioni. Un
autore ebreo, per noi, quando viene citato, è un autore ebreo. L’aggiunta
della parola e della caratterizzazione “ebreo” non è qualcosa di esteriore
ma qualcosa di essenziale, poiché noi non possiamo impedire che l’autore
ebreo si serva della lingua tedesca. Purtroppo una purificazione della
nostra letteratura giuridica è impossibile […]
12. Non ci mancherà il fiato
al momento dello scatto finale
Le
metafore
più
adatte
allo
spirito popolare vengono tratte
proprio dallo sport, soprattutto
dall’automobilismo e dal pugilato,
ma anche di qualsiasi sport;
l’eroismo guerresco è paragonato
alle
prestazioni
sportive,
guerrieri e sportivi si incontrano
nel loro agire gladiatorio.
Grazie alle “strade del Führer” e
alle
Olimpiadi
del
1936
il
linguaggio sportivo diventa uno
dei leitmotiv più efficaci per
fare presa sulla massa.
Richard Vogt (1913 – 1988)
Medaglia d’argento nel pugilato
ai giochi della XI olimpiade (10–
15 agosto 1936) categoria pesi
mediomassimi
Berlino, 18 febbraio 1943,
discorso della guerra totale
di Joseph Paul Goebbels
Il luogo in cui Goebbels parla più spesso
ai berlinesi è il Palazzo dello sport e
l’utilizzo di vocaboli sportivi è pratica
usuale:
• “Non ci mancherà il fiato al momento
dello scatto finale” (settembre 1944)
• “La forza si dimostra non solo colpendo,
ma anche incassando i colpi”
Dopo la catastrofe di Stalingrado così
reagiva il ministro della propaganda:
• “ Ci tergiamo gli occhi dal sangue per
vedere chiaramente e quando arriverà il
secondo round saremo ben saldi sulle
gambe”.
E ancora:
• “Un popolo che finora ha boxato con la
sola sinistra e ora si accinge a bendare
la destra per servirsene senza pietà nel
prossimo round, non ha motivo di mostrarsi
arrendevole”.
Quando in tutta la Germania le città
finiscono sotto le macerie, così afferma:
• “Di solito un pugile che ha vinto il
campionato mondiale, anche se l’avversario
gli ha rotto l’osso del naso, non si sente
più debole di prima”.
13. Contro la menzogna
Le parole possono essere come
piccole dosi di arsenico:
ingerite
senza
saperlo
sembrano
non
avere
alcun
effetto,
ma
dopo
qualche
tempo
ecco
rivelarsi
l’effetto tossico. […]
Rendere evidente il veleno
della
LTI
e
mettere
in
guardia da esso credo sia
qualcosa di più che pura e
semplice pedanteria.
VICTOR KEMPLERER, LTI – La
lingua
del
terzo
Reich.
Taccuino
di
un
filologo,
Giuntina, Firenze 2011, p.32
Siamo stati testimoni silenziosi di
azioni malvagie, ne sappiamo una più
del diavolo, abbiamo imparato l’arte
della simulazione e del discorso
ambiguo, l’esperienza ci ha resi
diffidenti nei confronti degli uomini
e spesso siamo rimasti in debito con
loro della verità e di una parola
libera, conflitti insostenibili ci
hanno
resi
arrendevoli
o
forse
addirittura cinici: possiamo ancora
essere utili? Non di geni, di cinici,
di
dispregiatori
di
uomini,
di
strateghi raffinati avremo bisogno, ma
di uomini schietti, semplici, retti.
DIETRICH
BONHOEFFER,
Resistenza
e
resa,
Edizioni
Paoline,
Cinisello
Balsamo (Milano) 1988,p.73-74
Bibliografia minima
• VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un
filologo, Giuntina, Firenze 2011
• ALDO ENZI, Il lessico della violenza nella Germania nazista. L’uso
delle parole come strumento di propaganda, persuasione e sopraffazione
nel Terzo Reich, Pgreco/Dossier, Milano 2012
• PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi tascabili, Borgaro (Torino)
1994
• ANSELM GRÜN, Parlare attentamente tacere con forza. Per una nuova
cultura della comunicazione, Edizioni Messaggero Padova, Noventa padovana
2014
• DONATELLA CHIAPPONI, La lingua nei lager nazisti, Carocci,Roma 2004
• DIETRICH BONHOEFFER, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo (Milano) 1988
Siti internet consultabili
• http://www.figlidellashoah.org/public/La%20lingua%20nazista.pdf
Comune di Lodi
Ilsreco
Anpi
Aned
Giorno
della
Memoria
2016
parola di duce,
parola di führer
la lingua totalitaria
del fascismo
e del nazismo
conversazione con Raffaele Mantegazza
docente di pedagogia interculturale dell’Università di Milano Bicocca
e con gli studenti delle scuole superiori di Lodi
Liceo ‘Gandini’ di Lodi, 28 gennaio 2016
la parola
agli studenti
…
ZERO CALCARE, Dimentica il mio nome, 2013
la parola
agli studenti
ZERO CALCARE, Dimentica il mio nome, 2013
‘Maffeo Vegio’ 5B Francesco
UMILIAZIONE
È quando la morte diviene umiliazione che un vento gelido ti
invade, asciugandoti la carne e congelandoti le ossa.
È quando il cadavere violato di una giovane donna, che in
vita aveva il nome di uno splendido fiore e la tenacia di
crescere in terra arida, viene denudato e pubblicamente
esposto nella piazza di una piccola città che il veleno
inizia a scorrere nel sangue. Un’immagine che divora, come un
cane affamato, tutto ciò che di umano risiede nell’anima.
È il marchio a fuoco sul braccio irrobustito dal lavoro,
innocente di giovinezza o consumato dall’incessante scorrere
del tempo che ti ricorda che tu non sei più chi sei. Che sei
un numero su un registro poggiato sulla scrivania di un uomo
in divisa a spegnere, con le dita inumidite di morte, il lume
della giustizia.
‘Maffeo Vegio’ 5B Francesco
PONTE
È uno l’appellativo che invidio al vescovo di Roma:
pontefice. Letteralmente costruttore di ponti. Una parola
pregna di significato; nove lettere che racchiudono la
missione di ogni essere umano che abbia mai mosso un passo
nel mondo, respirato, amato. La consapevolezza che per non
rimanere incagliati nel proprio fazzoletto di terra un ponte
sia necessario, la speranza che costruirlo, unire fisicamente
due entità, due luoghi separati sia un’azione propria
dell’uomo e di nessun’altra creatura, di una potenza tale da
disintegrare le barriere dell’anima che mattone dopo mattone,
ingiustizia dopo ingiustizia si sono costruite dentro di noi.
Ehi tu! Non dirmi che non c’è più speranza, insieme siamo in
piedi, divisi cadiamo.
‘Maffeo Vegio’ 5B Eleonora
EGOISMO
È guardarsi attorno,
attenti con gli occhi ma
incuranti con il pensiero.
Vedere, ma non osservare.
Notare e non agire, anzi
disprezzare con la parola e
con lo sguardo. Volere di
più, ottenerlo e in cambio
bramare tutto, anche il
tutto di chi all’effettivo
non ha niente. Sfamarsi
voracemente guardando
dall’alto chi non può
farlo, e lasciare le
briciole sulle sue scarpe
chiedendo di più, per poi
sprecarlo ancora e ancora,
senza mai una volta
condividerlo.
‘Maffeo Vegio’ 5B Eleonora
SOLIDARIETÀ
È l’azione vista come un
gesto eroico, una gemma
tra i sassi, un
avvenimento straordinario
del quale parlare sui
giornali, in tv, con amici
e parenti. È una lanterna
che illumina una caverna
buia e tetra, una persona
che cammina controcorrente
in mezzo alla folla
ammassata nelle strade.
Quel valore considerato raro e speciale, che dovrebbe essere
quotidiano, comune… un tornado violento nel bel mezzo di una
giornata limpida, pronto a disintegrare il muro d’ignoranza,
costruito dal genere umano, chiamato intolleranza. Perché essa
non vede la diversità, no, quella è solo una patina cristallina
che ognuno lascia inspessirsi sempre di più davanti agli occhi,
nel buio cieco del nostro piccolo mondo limitato.
‘San Francesco’ 4 classico Michelangelo
a nome della classe
NAZIONALISMO vs PATRIOTTISMO
I termini patria, derivante dal latino pater, e nazione,
derivante dal latino nascor, appartengono alla medesima sfera
semantica; diverse sono, tuttavia, le accezioni in cui
vengono usati essi stessi e, soprattutto, i loro derivati
patriottismo e nazionalismo. Se per patriottismo si intende
l’attaccamento, anche viscerale ed emotivamente istintivo,
alla propria patria, intesa come madre, nel termine
nazionalismo è, invece, insito il sentimento della
superiorità della propria nazione sulle altre; il primo
esprime l’amore per la propria terra che contraddistingue
l’eroe romantico-risorgimentale, il secondo, venato di
imperialismo e bellicismo, non può che sfociare nel razzismo:
il patriottismo risulta essere, a nostro avviso, l’antidoto
per il nazionalismo.
‘San Francesco’ 5 classico Matteo
a nome della classe
AUTORITARISMO vs AUTORITÀ
Il vocabolo italiano autorità, discendente diretto del latino
auctoritas, affonda le sue radici nel tema del supino del
verbo augeo, es, auxi, auctum, ere, ovvero “accrescere,
produrre, ampliare ecc.”.
Facendo, pertanto, riferimento alla semantica di augeo,
l’auctor, cioè il detentore dell’auctoritas, è colui che
possiede capacità di iniziativa, affidabilità e dignità in
ambito giuridico, politico, militare e culturale; è colui
che, in virtù di prerequisiti materiali e morali di
rispettabilità, credito e capacità di discernimento, è in
grado di esercitare una funzione tutelare in ambito
giuridico, paideutica in ambito morale-culturale e direttiva
in ambito politico-militare.
L’auctoritas, come il suo corrispettivo italiano, si fonda,
pertanto, sulla gravitas, dignitas e virtus di chi ne è
possessore, cioè l’auctor, unanimemente riconosciuto dalla
comunità nelle funzioni che esercita in nome dei valori
positivi da lui incarnati.
./.
‘San Francesco’ 5 classico Matteo
a nome della classe
Ci è parso, invece, di scorgere nel termine autoritarismo la
degenerazione in forme oppressive e tiranniche dell’autorità,
non più derivante dall’esemplarità universalmente
riconosciuta di chi la possiede, ma esercitata attraverso la
coercizione.
Per concludere, l’auctoritas, emblema di un carisma derivante
dalla forza morale dell’auctor, risulta, a nostro avviso,
l’antidoto ideale al veleno di un autoritarismo tutto
incentrato sulla forza e sull’abuso di potere.
‘Maffeo Vegio’ 2G Erica
PEZZENTE
Il termine pezzente viene impiegato in modo dispregiativo e
significa straccione: infatti le pezze erano quei ritagli di
stoffa che venivano cuciti quando il tessuto, per esempio dei
pantaloni o di altri indumenti, si era logorato e perciò
questo termine veniva, e viene tutt’oggi utilizzato, per
indicare una persona povera. Attualmente questo appellativo
viene usato in maniera offensiva in quanto la società odierna
predilige il consumismo e dunque la persona pezzente si
ritrova ad essere esclusa dall'intero sistema ed è
considerata spregevole e quindi inferiore. Questo termine
viene impiegato in modo sfrontato per insultare una persona,
per rifiutarla sminuendo la sua immagine.
‘Maffeo Vegio’ 2G Ilaria
CIAO
È una forma di saluto amichevole e informale. Solitamente è
la prima parola che si dice quando si vuole iniziare a
parlare e instaurare una relazione di parità con una persona
che non si conosce. In tutte le lingue c’è una parola con lo
stesso significato ed utilizzo; spesso è la prima parola che
si impara di una lingua nuova, proprio perché con questa si
inizia a relazionarsi amichevolmente. È una semplice parola
di quattro lettere da cui incomincia tutto.
‘Maffeo Vegio’ 2G Giorgia
CANCELLARE
Cancellare è il rifiuto più assoluto. Nel dire ad una
persona: «Ti cancello dalla mia vita» indico anche la
negazione oltre che della sua esistenza fisica, della sua
identità, del suo pensiero e del suo ruolo sociale.
Cancellare è sinonimo di eliminare, sopprimere, dimenticare.
Essere cancellati o dimenticati è una delle più grandi paure
dell’uomo. La memoria va invece coltivata perché ogni uomo
con la sua piccola storia personale ha contribuito al cammino
dell’umanità e nulla dovrebbe essere cancellato, soprattutto
per non ripetere errori precedentemente commessi.
‘Maffeo Vegio’ 2G Alice
RESPIRARE
Respirare è una parola che ha un profondo significato per me
e che spesso mi è di aiuto. Nonostante tutto quanto possa
accadere nel corso dell’esistenza si continua infatti a
respirare, a vivere; nessuna situazione, per quanto grave
possa essere, è infatti la fine del mondo. Perciò bisogna
continuare a respirare e ad andare avanti a vivere, bisogna
ricordarsi che prima o poi si starà bene, che qualsiasi
situazione si debba affrontare, qualsiasi sentimento si possa
provare, per quanto insopportabili e dolorosi, passeranno e
in futuro, magari non prossimo, si riderà al pensiero di aver
tanto dubitato della propria resistenza.
‘Maffeo Vegio’ 5G Michela
ZITTO
Con questa parola si esprime la mancanza di interesse e il
rifiuto di confrontarsi con una situazione che avvertiamo
estranea. Dire «Zitto» a qualcuno significa incapacità di
mettersi nei suoi panni e di cambiare prospettiva, preferendo
giudicarlo sulla base di pregiudizi e di luoghi comuni.
«Zitto» è una condanna che prescinde dalle spiegazioni che
possono giustificare o per lo meno rendere comprensibile
qualcosa che, di primo impatto, consideriamo inaccettabile.
Essere zittiti vuol dire non essere tenuti in conto ed essere
considerati in una condizione di inferiorità che preclude la
possibilità di dialogo e una condizione di uguaglianza con le
persone con cui si ha a che fare.
‘Maffeo Vegio’ 5G Michela
SPIEGAMI
Esprime la capacità di rendersi conto che è impossibile
giudicare una situazione al di fuori della nostra esperienza.
Chiedere spiegazioni significa andare oltre le apparenze,
oltre i pregiudizi, oltre i luoghi comuni. Significa
desiderio di conoscenza e apertura nei confronti di qualcosa
di diverso o di sconosciuto. Significa volontà di superare le
barriere sociali e la paura dell'altro.
Il dialogo e il confronto sono le armi per abbattere i muri
che molte persone ergono di fronte a chi non ha lo stesso
colore della loro pelle, la loro stessa religione, la loro
stessa ideologia, il loro stesso orientamento sessuale. Sono
questi i mezzi per la comprensione, la compassione, la
fiducia e la convivenza pacifica.
‘Maffeo Vegio’ 5G Giulia
MISERO
Utilizziamo questo aggettivo per sottolineare la condizione
di ‘povertà’ e di inferiorità che vediamo in qualcuno che non
riteniamo al nostro livello o che addirittura consideriamo
inutile e degno di essere compatito. Il soggetto in questione
ci fa pena, lo disprezziamo, ma oltre a voler esprimere il
rifiuto verso la persona a cui ci riferiamo, con questo
termine vogliamo anche esaltare la nostra posizione e la
nostra superiorità nei confronti dell’altro. Chi è misero,
per chi con superbia lo definisce tale, è mediocre, senza
autenticità o senza qualcosa che lo distingua e dia dignità e
orgoglio alla sua persona.
L’aggettivo in questione vuole mettere in luce i difetti che
noi vogliamo trovare nell’altro individuo, lo squallore che
(secondo noi) lo caratterizza e l’assenza di positività o di
qualcosa di bello e interessante che lo riesca a rendere una
persona che abbia la possibilità di mettersi a paragone con
noi stessi, che possiamo invece essere orgogliosi di essere
come siamo.
‘Maffeo Vegio’ 5G Giulia
FRATELLO
«Ti voglio bene come un fratello» è la classica frase che si
dice a qualcuno quando l’affetto che si prova verso di lui è
autentico e realmente sentito, proprio perché il legame di
fratellanza può essere caratterizzato da un forte sentimento
di amore, reciprocità, sostegno, presenza, onestà... Un
fratello è qualcuno che ci conosce per come siamo realmente e
ci accetta, ci sta vicino e noi facciamo la stessa cosa
(naturalmente ciò vale anche per una sorella).
Questo termine non sta ad indicare soltanto un legame di
parentela, bensì viene utilizzato anche con qualcuno con cui
condividiamo quasi la totalità di ciò che facciamo, pensiamo,
viviamo. Fratello è spesso chi vediamo come un’ancora di
salvezza, una persona che ci fa stare bene e che ci guida
nelle nostre decisioni pur non pretendendo nulla in cambio.
Sta a noi ricambiare ciò che ci viene donato, per fare in
modo che il legame sia duraturo e sincero.
‘Maffeo Vegio’ 3L Virginia
a nome della classe
DAGO
Negli Stati Uniti d’America è un termine utilizzato per
indicare tutti i popoli latini, deriva dal nome proprio
‘Diego’ o dal sostantivo ‘coltello’. La celebre frase: «Dago,
where is your monkey?» veniva rivolta agli Italiani emigrati,
perché catalogati generalmente come mendicanti di elemosina
con una scimmietta.
Oggi non siamo più etichettati in questo modo, ma rimangono
alcuni luoghi comuni come per esempio: ‘mafioso!’, oppure
veniamo spesso associati ai nostri cibi tipici nazionali.
‘Maffeo Vegio’ 3L Chiara
a nome della classe
INTEGRATO
Una persona che viene definitivamente accolta in una comunità
o in un gruppo diverso dal suo d’origine, a lui estraneo. Al
giorno d’oggi ognuno di noi dovrebbe essere abituato a
convivere con persone provenienti da altri paesi, senza avere
pregiudizi di alcun tipo. Noi lo viviamo sulla nostra pelle
ogni giorno, in quanto in Italia arrivano profughi disperati
in cerca di aiuto e di accoglienza.
Possiamo portarvi il nostro esempio: nonostante in classe
abbiamo persone di diverse nazionalità, queste sono
perfettamente integrate, non badiamo ai piccoli particolari
che ci rendono “diversi” come il colore della loro pelle.
‘Maffeo Vegio’ 3L Valentina
a nome della classe
DISPREZZO
È l’assenza di stima nei riguardi di cose o persone.
Nel corso della storia molte parole sono state utilizzate per
evidenziare questo atteggiamento negativo nei confronti degli
uomini, soprattutto perché ritenuti inferiori rispetto ad
altri. Ai tempi di Hitler veniva disprezzato chi non era
ariano e cioè di razza pura e hanno subito persecuzioni gli
ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i comunisti.
Anche in Italia si sono utilizzate parole indicanti disprezzo
nei confronti di chi si trasferiva in un’altra zona della
nostra penisola: terrone, per indicare chi aveva lavorato la
terra e si trasferiva al nord per cercare un lavoro
dignitoso; bauscia, termine proveniente dalla Brianza per
indicare le persone che aiutavano i forestieri nella ricerca
di botteghe e artigiani, in cambio di denaro, termine
utilizzato al sud con disprezzo nei confronti dei
settentrionali che si davano delle arie.
‘Maffeo Vegio’ 3L Lucrezia
a nome della classe
APPREZZAMENTO
È il termine usato per esprimere al meglio le qualità di
qualcuno o di qualcosa e per esprimere la propria stima:
apprezzare una persona significa metterne in evidenza le
caratteristiche più positive.
Nella vita quotidiana un semplice complimento, un sorriso,
possono migliorare la giornata di chiunque e far sentire una
persona accolta e valorizzata per il suo modo di essere, a
prescindere dalle sue differenze etniche e di pensiero.
Potrebbe considerarsi un primo passo guardare verso lo
straniero che arriva nel nostro Paese cercando di cogliere le
sue qualità e valorizzare qualcosa che forse per noi è
scontato, come il fatto di vivere nella parte agiata del
mondo dove anche solo il recarsi a scuola non è per noi un
pericolo o il tornare a casa ed essere catapultati in una
realtà diversa, perché le basi solide su cui hai vissuto fino
ad adesso sono state distrutte come una casa da una bomba.
‘Maffeo Vegio’ 5A Veronica
MOSTRO
La pioggia cadeva attorno a lui, su di lui, gocce fredde e
incessanti che sembravano penetrargli la pelle fino alle
ossa, all’unisono, come tante piccole lame di ghiaccio.
Abbassò la testa. I capelli scuri formavano un velo attorno
al suo viso pallido dalla sconfitta e dalla stanchezza. Li
scostò in un gesto brusco, incurante del dolore e
dell’asprezza dell'asfalto sotto le sue ginocchia nude,
incurante dell’acqua che gli si rovesciava addosso con furia,
quasi a volerlo scrollare. Incurante della sua stessa vita.
«Mostro», l’aveva chiamato. La parola risuonava nelle sue
orecchie in un vortice irregolare di rumori e colori,
ergendosi alta nel labirinto confuso che abitava la sua
mente. Rabbrividì. Non per il freddo, ma per il significato
insito in quelle due sillabe. «Non voluto». «Diverso». Una
non-persona, un essere.
Le lacrime scendevano sulle sue guance confondendosi con le
gocce di pioggia. Forse se lo meritava, si disse. Forse era
questo ciò che era davvero. Forse era tutto ciò cui poteva
aspirare a essere.
Il nulla.
‘Maffeo Vegio’ 5A Veronica
TI VOGLIO BENE
«Ti voglio bene» sono tre parole fatte di calore. Hanno un
colore brillante e sanno di sicurezza, di casa. Sono parole
che la gente gli ha detto spesso, parole che lo fanno
arrossire e che gli riempiono la mente per ore intere.
Lui non le dice mai. Non è fatto così. I suoi «Ti voglio
bene» non sono scanditi a voce alta, ma si nascondono nelle
piccole azioni. Preparare la colazione al fratello minore
significa: «Abbi una buona giornata». Aiutare i compagni in
chimica vuol dire: «Non voglio che voi falliate». Salutare
il conducente dell’autobus si traduce con: «Grazie per ciò
che fai ogni giorno».
«Ti voglio bene» significa accettare qualcuno per ciò che
è. «Sì, mi piaci per ciò che sei». «Sì, voglio che tu
rimanga nella mia vita».
«Ti voglio bene» è una promessa.
‘Maffeo Vegio’ 5A Chiara
SILENZIO
Silenzio come non libertà di espressione, come costrizione a
tacere per mantenere un segreto, silenzio come omertà,
silenzio come sottomissione, silenzio come accondiscendenza.
Credo che quasi tutti almeno una volta nella vita hanno
pronunciato la frase: «Io mi faccio gli affari miei e faccio
finta di non sapere nulla». Fa comodo venire a conoscenza di
un fatto senza poi prendersi la responsabilità di parlare e
denunciarlo. Perché non ci conviene parlare, o perché non ne
abbiamo il coraggio o anche perché siamo sotto ricatto e ciò
che perderemmo sarebbe più grande del bene che faremmo
denunciando. A volte anche solo il troppo egoismo fa sì che
il silenzio abbia il sopravvento. Ed ecco il veleno, ciò che
fa ammalare la società.
Si dice: «Chi tace acconsente» o «Davanti alla stupidità
altrui a volte è meglio tacere», ma non credo sia giusto. È
sempre meglio parlare, dire la nostra, perché finché non
cessiamo di farci sentire e di comunicare i nostri pensieri
non moriamo mai. La vera morte si ha quando non siamo più
liberi di vivere come vorremmo.
‘Maffeo Vegio’ 5A Chiara
PAROLA
Parola è l’antidoto. Ciò che ci è stato donato, di cui
disponiamo, non è mai ‘in più’, ma serve. Come scrisse
Sigmund Freud, Le parole erano originariamente incantesimi, e
la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico
potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un
altro o spingerlo alla disperazione, con le parole
l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le
parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i
giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il
mezzo generale con cui gli uomini si influenzano
reciprocamente.
Dobbiamo servirci della parola perché la parola è ciò che ci
rende diversi da tutti gli altri esseri viventi animali e che
ci rende gli uni diversi dagli altri tra noi.
./.
‘Maffeo Vegio’ 5A Chiara
È fonte di gloria ma anche di pena, perché la lingua, se
usata male, può impiccare un uomo più velocemente di una
corda. È fonte di giustizia se rispecchia la verità, di
lealtà se rispecchia i pensieri. Può essere fonte di dolore
se la usiamo con cattiveria e può essere fonte di amore
quando usata per esprimerlo. Essa ha dato consistenza ai
pensieri dei più grandi poeti e scrittori. Essa ha portato
guerre e paci, litigi e riconciliazioni. A volte le parole
fanno più male di uno schiaffo, a volte vengono usate per
mentire o per ferire di proposito. Sta di fatto che per
qualsiasi motivo le usiamo, che siano dette con odio o con
amore, per mentire o per svelare verità, dobbiamo usarle.
Quale sia il modo in cui intendiamo usarle, se rispecchiano
ciò che vogliamo, dobbiamo usarle, perché esse esprimono la
nostra insistenza nel farci sentire, la nostra volontà.
Siamo capaci di ricordare alcune parole solo perché sono
state pronunciate da persone a noi care: Riuscirai sempre a
trovarmi nelle tue parole, è là che vivrò. (dal film Storia
di una ladra di libri).
la vita
può essere
felice e
magnifica...
CHARLIE CHAPLIN
Il grande
dittatore
(1940)