sentenza in materia di abusi sessuali
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sentenza in materia di abusi sessuali
Reg. Not. / R.g. Dib. / Trasm. Estratto Partita di Credito Appello/Ricorso proposto da Sentenza n. Depositata il Irrevocabile il Redatta scheda / IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo Italiano In composizione collegiale penale Il 25 ottobre 2013 i Sigg.ri Magistrati: 1) 2) 3) Dott. Mario FRIGENTI Dott. Claudio POLITI Dott. Fabrizio IECHER Presidente Giudice Estensore Giudice con l‘intervento del Dott. Andrea Calice, Sost. Procuratore della Repubblica e con l’assistenza del cancelliere Sig. Matteo Petricca la seguente sentenza, nella causa penale CONTRO S. M., nato a T. il 20.3.1961, elettivamente domiciliato in G. M., Via S. n. 20 = libero, contumace = assistito e difeso di fiducia dall’Avv. P. S. del Foro di Tivoli IMPUTATO v. foglio allegato Le parti hanno così concluso: Il P.M.: “condanna dell’imputato alla pena di anni otto di reclusione”. Il Difensore della parte civile: “condanna dell’imputato alla pena di legge ed al risarcimento del danno, come da conclusioni scritte e nota spese”; Il Difensore dell’imputato: “assoluzione per non aver commesso il fatto”. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di rinvio a giudizio emesso dal G.U.P. in sede all'esito dell'udienza preliminare del 5 novembre 2009, S. M. veniva tratto innanzi a questo Tribunale, in composizione collegiale, per rispondere del reato compiutamente indicato in epigrafe. All'udienza del 28 ottobre, in contumacia dell'imputato non comparso senza addurre alcun motivo di legittimo impedimento, ed alla presenza della costituita parte civile, si procedeva all'apertura del dibattimento. L'accusa e le difese chiedevano prova per testi; il P.M. chiedeva inoltre l'utilizzabilità della documentazione già in atti, relativa all’incidente probatorio svolto sulla persona offesa S. S.. Si procedeva, quindi, nelle successive udienze, all'istruttoria dibattimentale con l'escussione dei testi, indotti dal P.M., A. E., D’A. R., D. R. E., N. N., V. M., A. M. e M. G.. All'udienza del 3 luglio 2013, veniva poi completata l'istruttoria dibattimentale con l'escussione dei restanti testi indotti dalla Difesa, S. A. e S. A.. Infine, all’odierna udienza del 25 ottobre 2013, preso atto delle conclusioni ritualmente formulate dal PM, dal difensore di parte civile e da quello dell’imputato, Il Tribunale decideva come da trascritto dispositivo, ritenendo conforme a giustizia affermare la penale responsabilità di S. M. in ordine al reato a lui contestato. Ed invero, l'escussione dei testi e l’esame dei documenti acquisiti al fascicolo del dibattimento hanno permesso una univoca ricostruzione dei fatti e del loro contesto, preliminare alla quale è però una breve premessa metodologica. I fatti contestati allo S. M., oggetto di accertamento penale, trovano indubbiamente la loro decisiva fonte di prova nelle dichiarazioni rese dalla minore, persona offesa, S. S., che all'epoca dei fatti aveva circa dieci anni, essendo nata il 2 gennaio del 1993. La bambina è stata formalmente escussa, ai sensi degli artt. 392 e ss. c.p.p., dal Gip presso il Tribunale di Tivoli in data 5 luglio 2006 e la trascrizione della fonoregistrazione di questa audizione protetta, eseguita ai sensi dell'art. 398 comma 5-bis c.p.p., è stata acquisita agli atti del fascicolo del dibattimento e dichiarata utilizzabile ex artt. 190-bis e 431 lett. e) c.p.p. È noto che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, nell’apprezzamento della attendibilità delle dichiarazioni delle parti offese minori di età, al giudicante sono richiesti molta attenzione ed un esame penetrante, anche perché è lo stesso legislatore che prescrive certe cautele nelle cosiddette audizioni protette e impone al giudice una particolare attenzione nel valutare l’eventuale necessità della verifica dell’idoneità fisica e mentale della persona chiamata a testimoniare (cfr. art. 196 comma 2 c.p.p.). Ciò in quanto, mentre l’adulto può mentire affermando qualcosa che sa non essere conforme alla verità, con lo scopo di indurre gli altri in errore per trarne un vantaggio, il bambino e l’adolescente (quest'ultimo in misura minore) hanno, assai spesso, la singolare attitudine alla "fabulazione magica", che è una sorta di "credenza assertiva", alla quale si abbandonano (per varie ragioni), creando quasi una sorta di "pseudorealtà", riuscendo molto spesso a rappresentarsi la realtà solo immaginandola e costruendosi un'immagine del mondo ordinata secondo i loro desideri, le loro emozioni, le loro prime esperienze (Cass. pen. sez. III, 5.10.2006, n. 41282). Nel caso di dichiarazioni accusatorie formulate da minori, il giudice ha dunque l’obbligo – al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenti a un processo di auto o etero-suggestione oppure di esaltazione o fantasia – di sottoporre le accuse medesime ad attenta verifica onde accertare se le dichiarazioni o parti di esse trovino obiettivo riscontro tra di loro o con altri elementi di convalida già acquisiti, sì da poter escludere che esse possano derivare dalla immaturità psichica ovvero da facile suggestionabilità. Al riguardo, proficuo è l’uso dell’indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l’attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo e affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell'accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall'attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto a esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto e ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna (Cass. pen. sez. III, 7.11.2006, n. 5002). Invero, in tema di dichiarazioni rese dal teste minore vittima di abusi sessuali, mentre, al fine di valutare l’attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva, può farsi ricorso a indagine tecnica che fornisca al giudice i dati inerenti al grado di maturità psichica dello stesso (nel caso di specie eseguita mediante l’ausilio dei periti, dott. N. e dott.ssa L.), nessun accertamento tecnico è consentito quando si tratti di valutare l'attendibilità della prova; tale operazione rientra, infatti, nei compiti esclusivi del giudice, che deve esaminare il modo in cui il minore abbia vissuto e rielaborato la vicenda, in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna (Cass. pen. sez. III, 8.1.2009, n. 14832). Dunque, facendo propri i su riportati pacifici arresti giurisprudenziali, il Collegio ritiene anzitutto particolarmente doveroso procedere ad una serrata verifica della attendibilità delle dichiarazioni rese da S. S. al Gip in sede di incidente probatorio, tenuto conto certamente del contesto nel quale maturavano le predette propalazioni, ma altresì di tutti gli altri elementi di prova, acquisiti nel contraddittorio, idonei a fornire utili e significativi riscontri alle stesse, e ciò indipendentemente dalle sollecitazioni pervenute dalla difesa dell'imputato, che, comunque, verranno prese in specifica considerazione. Fatta questa lunga, ma necessaria, premessa metodologica, occorre evidenziare che la difesa dell’imputato ha mosso seri dubbi circa l’attendibilità della minore, partendo proprio dalla genesi delle confidenze da questa rese alla madre, A. E., circa gli abusi sessuali subiti da parte dell'imputato. È, dunque, nella ricostruzione degli eventi per cui è processo, opportuno muovere proprio dal racconto della Ambrogioni. La teste ha innanzitutto riferito che, all'epoca dei fatti (ottobre 2004), ella aveva due figli con l’odierno imputato, S., nata nel gennaio del 1993, ed E., nata nell’aprile del 1998. S., sin dai primissimi anni di età, aveva evidenziato la presenza di una serie di disturbi psicologici, emozionali e comportamentali, tanto che sin dalla scuola materna le era stata assegnata una maestra di sostegno ed una AEC, non riuscendo la bimba a sostenere altrimenti il regolare ritmo scolastico. La teste ha poi dichiarato che un pomeriggio – temporalmente collocato a cavallo tra la fine di settembre del 2004 e l’inizio di ottobre del 2005 – S. raggiunse i genitori che stavano facendo un riposino sul letto della loro camera e si addormentò tra la madre ed il padre. Qualche minuto dopo, la donna si svegliò e vide il marito, S. M., senza pantaloni, che infilava le proprie mani nelle mutandine della figlia e la toccava. Ripresasi dalla costernazione per quanto appena visto, ella iniziò ad urlare ed a disperarsi, accusando il marito, il quale, per tutta risposta, continuò a ripeterle “tu sei matta, tu sei matta”. Dal canto suo, la bambina, dopo essere rimasta a lungo in silenzio, le aveva ammesso che da tempo faceva questi giochi con il papà e che quest’ultimo le aveva imposto di non dire nulla alla madre. Ha aggiunto la A. che, nei giorni successivi, si era recata presso la scuola frequentata da S. ed aveva informato di quanto accaduto la maestra di sostegno e la direttrice dell’istituto, le quali la invitarono a sporgere immediatamente denuncia. Da ultimo, la teste ha dichiarato che, dopo aver assistito alla scena verificatasi nel letto coniugale, ella ricollegò a tale vicenda anche alcuni episodi avvenuti precedentemente, a cui non aveva dato particolare peso. In una occasione, ella aveva visto S., nuda in bagno, che si toccava nelle parte intime con una spazzola tra le mani e, in un’altra occasione, la bambina, appena tornata da una passeggiata con il padre, aveva detto: “meno male che sono tornata, così papà non mi tocca più”. A questo punto è necessario esaminare le dichiarazioni rese da S. S. nel corso dell'incidente probatorio. Va premesso che S., anche se ha continuato ad agitarsi per l’intera durata dell’esame ed ha avuto una certa qual difficoltà nel conservare uno stato di attenzione sufficiente, ha narrato i fatti qui di interesse in maniera precisa, asettica, cruda, senza particolari divagazioni o contraddizioni, rispondendo negativamente o affermativamente indipendentemente dal tenore e dal tono delle domande rivoltegli dal suo interlocutore, indubbiamente in taluni casi piuttosto dirette o vagamente "suggestive", attesa l'evidente difficoltà nel relazionarsi con la minore, soggetto particolarmente emotivo. La ragazza ha dunque ricostruito quanto accadutole, sostenendo: che il papà, sin dalla primissima infanzia, “aveva cominciato a toccarla da tutte le parti” (pag. 8 trascrizioni inc. prob.) e a spogliarla completamente nuda; che “quando lui mi toccava sotto con le mani a me dava fastidio, ma poi mi toccava anche io farlo a lui, perché me lo diceva lui di farlo e se non glielo facevo erano guai” (pag. 9 trascrizioni inc. prob); che lui le toccava “la patatina e io il pisello” (pag. 10); che tali fatti accadevano sia in camera da letto, che in salone, quando la mamma era uscita (pag. 14) e che, in ogni occasione, il padre gli imponeva “di non parlarne, perché se tu ne parli, io ho delle noie” (pag. 16); che, infine, i giochi che faceva con il papà all’inizio le piacevano, ma poi le provocavano solo “dolore, tanto che mi mettevo sempre a piangere e papà mi diceva di stare ferma” (pag. 50). Ebbene, sulla scorta del racconto della parte offesa deve dunque ora procedersi alla valutazione della fondatezza o meno delle gravi accuse mosse al prevenuto. Come accade spesso in questo tipo di reati il racconto e la testimonianza della parte offesa costituisce l'originario spunto ed il principale fondamento dell'imputazione. Risulta allora più che mai importante ed anzi dirimente stabilire le caratteristiche personali e quindi l'attendibilità della parte in questione, che generalmente e soprattutto nel caso di specie, ha costituito oggetto di idoneo accertamento in fase di incidente probatorio. Simona è stata lungamente esaminata dal neuropsichiatria incaricato, che ne ha scandagliato le condizioni familiari, sociali, le abitudini e soprattutto il carattere ed il livello di maturità. Le valutazioni operate sono trasfuse nell'elaborato agli atti e possono così brevemente riassumersi: S. presenta un quadro di ritardo mentale lieve; l’approfondimento psicodiagnostico effettuato sulla ragazza e sulla madre inducono ad escludere che la minore sia stata condizionata all’interno dell’ambito familiare al punto da produrre racconti inventati, poiché indotti, circa gli ipotizzati abusi; nonostante il deficit cognitivo riscontrato, Simona è idonea a rendere testimonianza in riferimento ai fatti per cui è processo. Dunque S., alla luce delle condivisibili conclusioni cui giungono i periti, può riferire circa l’accaduto: una bambina, adeguatamente misurata, ancorché sofferente, certamente timida e portatrice, come molti, di un pregresso familiare assai complicato, che appare tuttavia oggi risolto in ragione della separazione tra i genitori. Ma S., a giudizio del Collegio, non è solo capace, ma anche credibile. Lo si desume dai toni del suo racconto, mai eccessivo, enfatico o fuori contesto, dai riscontri, di luogo o di tempo, che ella sa comunque fornire, e dalle precisazioni che più volte le vengono richieste a seguito delle inevitabili ed innegabili ma solo apparenti contraddizioni. A ciò si aggiunga che non mancano, comunque, a giudizio del Collegio, evidenti riscontri, che seppure appaiono necessariamente contenuti e parziali vista la particolarità del reato perpetrato, comunque risultano idonei a suffragare il racconto già di per sé lineare e sostenibile della giovane. Innanzitutto, vi sono le già ricordate parole della madre della bambina, A. E., testimone oculare dell’episodio avvenuto alla fine di settembre del 2004, allorché l’imputato fu da lei visto sdraiato sul letto, con le mani ancora nelle mutandine della figlia. Sono state poi sentite le assistenti sociali D’A. R. e D. R. E., intervenute rispettivamente su segnalazione del Comune di Guidonia e del Tribunale dei Minori, le quali dopo aver partecipato ad una lunga serie di incontri con la minore e con il suo nucleo familiare a cavallo tra la fine del 2004 ed il mese di maggio del 2005 hanno riscontrato la presenza di “indicatori di abuso sessuale subito” e di comportamenti sessualizzati assolutamente inadeguati alle condizioni di età della bambina. In particolare, la D. R. ha concluso la propria valutazione demandatagli dal Tribunale dei Minori di Roma, pervenendo alla determinazione che S. aveva vissuto un “abuso sessuale prolungato” da parte del padre, senza rendersi conto delle sue esatte dimensioni ed anzi vivendolo come “un privilegio” e, per altro verso, che ella non aveva subito alcun tipo di suggestione dalla madre, alla quale la legava un rapporto particolarmente conflittuale e deprivato di ogni ancorché primitiva forma di affetto. Vi è poi la deposizione resa da V. M., dirigente scolastico dell’istituto frequentato da S., la quale ha ricordato di aver più volte visto la bambina tenere comportamenti autolesionisti, procurarsi dei lividi sulle gambe ovvero adottare condotte particolarmente aggressive nei confronti dei compagni di classe e dei docenti e ha aggiunto di aver ricevuto le confidenze della A., allorché ella le descrisse quel che aveva visto fare al marito nei confronti della figlia. Ha aggiunto la teste – nelle dichiarazioni acquisite con il consenso delle parti – che già dal marzo del 2004, molti mesi prima che la A. la informasse di quanto visto sul letto coniugale, ella, unitamente alla collega P., avevano notato S. che si muoveva sulla sedia e ripeteva frasi interpretabili come possibili segni di abuso e ne aveva informato la madre, senza però ricevere da questa particolari attenzioni. Infine, la zia della minore, A. M., ha ricostruito la tempistica e la modalità con la quale la sorella E. la informò di quanto accaduto all’interno del suo nucleo familiare ed ha ricordato di averla immediatamente invitata a sporgere denuncia presso le competenti autorità. Di poco rilievo, invece, le contestazione difensive, che in qualche modo tentano di minare la credibilità della parte offesa e quindi di smontarne il racconto. I due testi addotti, S. A. e S. A., i quali, dopo aver focalizzato la propria deposizione su particolari marginali della vicenda – quali l’assenza delle chiavi sulla porta della camera da letto, ovvero il fatto che la perquisizione operata nella abitazione dell’imputato ha dato esito negativo – hanno in qualche modo ulteriormente rafforzato la credibilità della ipotesi accusatoria, sostenendo di aver anch’essi notato in più occasioni S. avere comportamenti sessualizzati e in particolare averla vista mentre “si appoggiava, si strusciava con la parte davanti, con il seno” sul corpo del padre, seppur attribuendo alla bambina la responsabilità dell’iniziativa. E’ allora per questo, all’esito del racconto della parte offesa ritenuta genuina ed assolutamente credibile, anche alla luce delle testimonianze seppure di contorno ma comunque in linea e significative, che si ritiene di poter concludere nel senso di un chiaro accertamento dei fatti concreti, pacificamente in linea con la fattispecie criminosa contestata, ed inequivocabilmente riconducibili all’odierno prevenuto. Sotto un profilo squisitamente giuridico, corretta è anzitutto la qualificazione delle condotte effettuata dal PM nell’articolato capo di imputazione contestato allo S.. Invero, in primis, nella nozione di atti sessuali di cui all'articolo 609 bis c.p., si devono includere non solo gli atti che involgono esclusivamente la sfera genitale, bensì tutti quelli che riguardano le zone erogene su persona non consenziente (cfr, ex multis, Cass., Sezione terza, 11 gennaio 2006, Beraldo; cfr. Cass., Sezione terza, 1 dicembre 2000, Gerardi). È, infatti, pacifico che la condotta vietata dall'articolo 609 bis c.p. ricomprende – se connotata da violenza – qualsiasi comportamento (addirittura anche se non esplicato attraverso il contatto fisico diretto con il soggetto passivo) che sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell’individuo attraverso il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. In quest’ottica, il riferimento al sesso non deve limitarsi alle zone genitali, ma comprende anche quelle ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica e sociologica, erogene, tali da essere sintomatiche di un istinto sessuale (cfr. Cass., Sezione terza, 1 dicembre 2001, Gerardi; cfr, Sezione terza, 66551/98, Di Francia). Sul punto, inoltre, la Suprema Corte ha, altresì, precisato che è configurabile il reato ex art. 609 bis c.p. anche in caso di "palpata", in quanto per la configurabilità del reato occorre la contestuale presenza di un requisito soggettivo, costituito dal fine di concupiscenza (ravvisabile anche nel caso in cui l’agente non ottenga il soddisfacimento sessuale), e di uno oggettivo, costituito dalla concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a suscitare o soddisfare la brama sessuale dell'agente. Nel caso di specie, è emerso come lo S. abbia, in più occasioni, accarezzato la minore nelle sue parti intime, si sia fatto a sua volta accarezzare da costei e la abbia obbligata a denudarsi, quantomeno parzialmente, di modo che il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p. si è certamente consumato in tutta la sua estensione, sussistendo tanto i requisiti soggettivi, che quelli oggettivi ora ricordati. In proposito, è appena il caso di aggiungere che la Suprema Corte ha ormai definitivamente chiarito come in tema di reati sessuali non sia sufficiente ai fini della concedibilità dell’attenuante speciale prevista dall'art. 609 bis, comma terzo, c.p. (casi di minore gravità) l’assenza di congiunzione carnale tra vittima ed autore del reato (cfr. tra le tante, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14230 del 15/02/2008) e che, comunque, deve escludersi la concedibilità dell'attenuante in parola ove gli abusi perpetrati in danno della vittima si siano protratti nel tempo (cfr., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2001 del 13/11/2007). In particolare, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall'art. 609 bis, comma terzo, c.p., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, quali mezzi, modalità esecutive, grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave, così come al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (cfr., Sez. 3, Sentenza n. 5002 del 07/11/2006). Alla luce di tali coordinate ermeneutiche è, dunque, evidente che non è applicabile al caso di specie l’attenuante di cui all’art. 609 bis, terzo comma c.p., in quanto da una valutazione globale del fatto, tenendo conto del notevole lasso di tempo in cui si sono succedute le attenzioni "morbose" dello S. nei confronti della minore, della età della p.o., delle sue attuali condizioni psichiche e fisiche e, in particolare, del grado di parentela emerge che la libertà sessuale di S. è stata compromessa in maniera grave. Sussistono, poi, le contestate aggravanti di cui al combinato disposto degli artt. 609 ter comma 1 n. 4) e 609 quater comma 1 n. 1) trattandosi di reati commessi in danno di persona minore, all’epoca dei fatti, degli anni quattordici e sottoposta a limitazioni della propria libertà personale in considerazione del rapporto genitoriale. Venendo ora al profilo del trattamento sanzionatorio, osserva il Collegio che l’imputato non appare meritevole di alcuna attenuante. In particolare, al di là del dato relativo alla ormai sostanzialmente ininfluente mera incensuratezza formale dello S., occorre rilevare che, per un verso, il dibattimento non ha evidenziato nessun ulteriore elemento di prova da valorizzare per la concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p. e, per altro verso, la circostanza che le violenze sopra accertate siano state commesse all’interno del nucleo familiare, approfittando del contesto di affidamento ad esso connesso e su una ragazza ancora giovanissima, induce a ritenere che ogni diversa soluzione costituirebbe una mera quanto immotivata e generica petitio principii. Infine, la minore ha riferito chiaramente nel corso dell’incidente probatorio di plurimi episodi di abuso, che venivano perpetrati in un medesimo e contenuto contesto spazio-temporale, sicché può ritenersi che gli stessi fossero sostenuti da quel medesimo disegno criminoso che legittima il riconoscimento della disciplina prevista dall'art. 81 cpv. c.p., in tema di reato continuato. Ciò posto, tenuto conto dei criteri di valutazione di cui all'art. 133 c.p., ed in particolare all'oggettiva gravità dei fatti, avuto riguardo al fatto che la condotta dello S. è stata inevitabilmente foriera di gravissimi danni psicologici per la sua giovane vittima, stimasi equo condannare l’imputato alla pena di anni otto di reclusione (p.b.: anni sette di reclusione, aumentata per la continuazione alla predetta pena finale). Alla dichiarazione di penale responsabilità consegue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. Ai sensi dell'art. 609 nonies c.p. va applicata nei confronti dell’imputato la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale e la perdita dei diritti agli alimenti nonché l’esclusione dalla facoltà di succedere ereditariamente alla persona offesa. Il prevenuto va inoltre interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e interdetto legalmente per tutta la durata della pena (artt. 29 e 32 c.p.). Quanto poi alle statuizioni civili, osserva il Collegio che, al riconoscimento della penale responsabilità consegue, altresì, la condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. Orbene, considerata la complessità del danno, in relazione agli aspetti di esclusiva pertinenza della vittima, come rappresentata dalla madre, appare opportuno demandare alla competente sede civile la definitiva e complessiva determinazione del quantum del risarcimento. Su istanza della parte civile può, tuttavia, sin d’ora, essere riconosciuta in favore della stessa una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari almeno ad una parte dei danni non patrimoniali patiti, che può essere quantificata in via equitativa in complessive euro 20.000,00, ritenendosi che, in ogni caso, il danno definitivamente liquidato non potrà essere inferiore a tale importo. Da ultimo, lo S. deve essere condannato alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile per l'esercizio dell'azione civile, che, in relazione alla nota spese depositata, alla complessità del giudizio, all'esito dello stesso, si ritiene di liquidare in complessive euro 2.000,00, per diritti ed onorario, oltre IVA e cpa come per legge. Il carico dell’Ufficio e la complessità delle questioni affrontate rendono ragione del prolungamento del termine ordinario per il deposito della parte motiva della presente sentenza. P.Q.M. Visti gli art. 533, 535 c.p.p. Dichiara S. M. colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di anni otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l’art. 609 nonies c.p. Applica all’imputato la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale e la perdita dei diritti agli alimenti nonché l’esclusione dalla successione della persona offesa. Visto l’art. 29 c.p. Dichiara l’imputato interdetto in perpetuo da ogni pubblico ufficio e visto l’art. 32 c.p. lo dichiara legalmente interdetto durante la pena. Visti gli art. 538, 539, 541 c.p. Condanna l’imputato al risarcimento del danno cagionato alla costituita parte civile da liquidarsi all’esito di separato giudizio, nonché alla refusione delle spese di lite sostenute dalla parte civile pari a 2000 euro, oltre iva, cpa come per legge, da porsi a carico dello Stato. Condanna l’imputato ad una provvisionale provvisoriamente esecutiva di 20.000,00 euro. Motivazione in giorni 90. Tivoli, 25 ottobre 2013 IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE (dott. Claudio Politi) (dott. Mario Frigenti)