I GENI DEL PROGRESSO (Ovvero il meccanismo dell`evoluzione

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I GENI DEL PROGRESSO (Ovvero il meccanismo dell`evoluzione
I GENI DEL PROGRESSO
(Ovvero il meccanismo dell’evoluzione bada più alla sopravvivenza che ad altro)
Ultimamente, mi sono appassionato nella lettura del libro di Darwin sull’evoluzione della specie…
Non è fuori luogo affermare che la prospettiva darwiniana, intesa come visione generale del
progresso, suggerisca di concentrare l’attenzione sull’adattamento delle specie piuttosto che
sull’aggiustamento dell’ambiente in cui le specie vivono. Perciò, non mi sorprende che questa
visione del progresso abbia l’effetto di incoraggiare direttamente un tipo di pianificazione
consapevole, ovvero la prospettiva del miglioramento genetico. Il movimento eugenetico, fiorito
intorno alla fine del diciannovesimo secolo, fu influenzato da argomentazioni darwiniane intorno
alla sopravvivenza del più forte.
Esso sostenne l’idea di “dare una mano” alla natura nel crescere tipi genetici migliori,
principalmente limitando la propagazione delle varianti “meno adatte”. Le politiche che esso ha
favorito hanno spaziato dalla persuasione intellettuale alla sterilizzazione forzata.
Il movimento ha avuto sostenitori noti da sir Francis Galton (cugino di Darwin) a
Elisabeth Nietzsche (sorella del filosofo). Per un certo periodo il sostegno di questo tipo di
manipolazione genetica godette di grande rispettabilità, ma alla fine esso fu oggetto di
disapprovazione, in particolare a causa dell’agghiacciante patronato di Hitler (che, incidentalmente,
versò alcune lacrime durante il funerale di Elisabeth Nietzsche nel 1935).
Mentre Darwin non fu mai un sostenitore della pianificazione genetica , l’approccio eugenetico può
coesistere con la visione secondo cui il progresso deve essere giudicato principalmente in base alle
caratteristiche della specie. Coloro che consideravano la visione darwiniana del progresso in grado
di fornire una comprensione adeguata del progresso in generale devono porsi il problema
dell’accettabilità e dei limiti della manipolazione genetica attraverso la coltivazione selettiva.
Come visione del mondo, questa prospettiva del progresso deve fare i conti con le implicazioni
contrarie dei valori cui abbiamo motivo di attribuire importanza, comprese l’autonomia e la libertà.
Nonostante il movimento eugenetico traesse ispirazione, e un certo sostegno intellettuale, dal
darwinismo, è giusto puntualizzare che l’interesse di Darwin era rivolto alla visione del progresso
come ordine spontaneo e non pianificato. Nell’ambito del pensiero religioso, l’aspetto più radicale
del darwinismo riguardava la negazione del disegno della creazione simultanea di tutte le specie.
Ma la questione generale del progresso spontaneo va ben oltre la questione dell’intenzionalità di un
essere divino esterno. Se l’evoluzione garantisce il progresso, la necessità di uno sforzo intenzionale
delle parti coinvolte (gli esseri umani) può essere ridotta fino ad un certo livello.
Inoltre possiamo affermare che, cercando di causare deliberatamente progresso e tentando di
cambiare il mondo in cui viviamo, possiamo mettere a repentaglio l’operare spontaneo dei processi
evolutivi. Se assumiamo la visione del progresso relativa alla qualità della specie, e se accettiamo
che la selezione genetica possa renderci meravigliosamente adatti, allora possiamo domandarci :
“per quale motivo incoraggiare i geni meno adatti?”
La fede nel progresso spontaneo nega molto più dell’opera di un Dio cristiano dalla mente creatrice.
Quindi vi sono due direzioni diverse verso cui possiamo essere sospinti dalla visione darwiniana del
progresso. Una propone la manipolazione genetica, mentre l’altra suggerisce un affidamento passivo
allo spontaneismo.
L’elemento comune è naturalmente il silenzio sulla possibilità di aggiustare il mondo allo scopo di
soddisfare i nostri bisogni. Tale mancanza di attenzione è il risultato diretto del giudizio sul
progresso che si basa sulla natura delle specie, invece che sul tipo di vita che esse conducono; che
avrebbe immediatamente attirato la nostra attenzione sulla necessità di aggiustare il mondo intero.
A partire da questa base comune propria del darwinismo, la visione attivista procede verso la
manipolazione genetica, mentre la visione più passiva suggerisce di affidarsi alla natura.
Nessuna delle due ci porta a correggere il mondo esterno in cui viviamo.
Questo tema si ricollega a un argomento di più ampio respiro: quello che riguarda l’enorme
differenza attitudinale esistente tra l’affidarsi alla natura generale e il cercare deliberatamente di
contrastarne gli effetti inaccettabili.
Questa dicotomia può essere illustrata mediante la contrapposizione tra l’evocazione della natura di
Malthus, che da sostegno all’inattività sociale, e l’interventismo di William Godwin.
In realtà Malthus fu un vero e proprio guru della teoria evolutiva.
Ne “L’origine della specie”, Darwin spiega che, in parte, la sua teoria è la dottrina di Malthus
applicata con duplice forza all’insieme dei regni animale e vegetale.
Nel suo famoso “Trattato sulla popolazione”, pubblicato nel 1798, Malthus gettò le fondamenta
per una teoria della selezione naturale legando la questione della sopravvivenza alla crescita della
popolazione e alla lotta per le risorse naturali. Mentre la più grande ambizione filosofica della sua
opera fu quella di mettere in discussione il progressismo radicale di Godwin, il suo scopo
immediato fu quello di impedire la legislazione in favore del cambiamento delle Poor Laws in
Gran Bretagna, in favore dell’introduzione del reddito proporzionale alle dimensioni della famiglia.
Una simile interferenza con un processo della natura sembrò a Malthus un modo di aggravare
ulteriormente il problema; sarebbe stato meglio, dunque, abbandonare questi tentativi deliberati di
aiutare coloro che non potevano essere aiutati.
Malthus di fatto sostenne, ma senza grande ottimismo, il controllo volontario, come il metodo di
riduzione della crescita della popolazione, e qui ancora una volta (come nel caso dell’eugenetica)
l’enfasi ricade sulla necessità di adattare noi stessi piuttosto che adattare il mondo che sta fuori da
noi. Malthus fu coerentemente e presumibilmente ostile all’azione pubblica di assistenza ai poveri,
ma anche a certe “cortesie” pubbliche come la degenza in ospedale per le ragazze madri e gli
orfanotrofi per i bambini abbandonati.
La dicotomia tra l’abbandono dei poveri e dei miserabili al volere della natura e la volontà di
ricorrere all’azione pubblica per cercare di aiutarli rimane tuttavia importante nel mondo
contemporaneo. In realtà, la significatività del contrasto può essere cresciuta negli ultimi anni, con
una tendenza sempre più forte a lasciare le forze impersonali, per esempio, il meccanismo di
mercato, seguano il loro corso naturale. Il fallimento della Seconda guerra mondiale è spesso
interpretato non semplicemente come il fallimento di un particolare sistema di intervento, ma come
l’impossibilità di miglioramenti pianificati du qualsiasi genere.
La questione dell’intervento riguarda più da vicino le materie sociali, ma sono coinvolte anche
tematiche ambientali.
Considerate il problema del possibile esaurimento dello strato di ozono.
È abbastanza probabile, che, se lasciato a se stesso, l’assottigliamento dello strato di ozono conduca
a una risposta genetica tramite il meccanismo dell’evoluzione. Per esempio, i genotipi che hanno
geni meno vulnerabili possono sopravvivere meglio ai cambiamenti delle radiazioni e diventare
relativamente più numerosi. La selezione naturale può sostituirci con individui più adatti, e ciò fa
parte del progredire dell’evoluzione. Ma se valutiamo le nostre vite e condanniamo le malattie e
l’estinzione, desideriamo un corso di azione in grado di resistere con forza ai cambiamenti
sfavorevoli dell’ambiente. Dal punto di vista degli esseri umani, per come siamo costituiti, la
selezione naturale genetica può essere una prospettiva agghiacciante anziché confortevole.
Non intendo esacerbare il contrasto, ma una differenza significativa a livello di attitudine risiede in
questi due modi di vedere la natura e, più in generale, di vedere le condizioni ambientali in cui ci
troviamo.
Gimli per la redazione de “La Gazzetta Dentro”