Di notte - ch.indymedia.org
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www.theimpress.com VOL.I. . . No.3 T Impre& Ma la storia rammenta anche altre notti simili a queste. La notte dei lunghi colSOSTITUZIONE telli (in tedesco Nacht der langen Messer) si consumò fra il 29 e 30 giugno Di IVAN_III ( IVAN _ III @ THEIMPRESS . COM ) 1934 e diede il la all’assassinio di un numero1 ancora imprecisato di oppositori al regime nazista di Hitler, la notte dei cristalli (in tedesco Reichskristallnacht Di notte o, come più comunemente usato, Rei2 Fu in una notte di settembre del 1976 chspogromnacht ) illuminò invece con il che uno a uno vennero sequestrati, im- fuoco la notte berlinese tra il 9 e il 10 prigionati, torturati e novembre del 1938. Vennero uccise ciruccisi. Fatti sparire. ca novanta persone, incenerite sinagoghe Desaparecidos. Quella e distrutti negozi. Nei giorni seguenti notte è conosciuta co- per circa trentamila ebrei ebbe inizio il me la notte delle mati- flagello dell’olocausto. te spezzate. Le matite sono il simbolo con il Notturni dell’est quale si ricordano gli Claudio De Acha studenti del liceo di Ma le cronache notturne del terrore non desaparecido il 15/09/1976 Belle Arti di La Plata, hanno confini né un’unica ideologia poin Argentina, che con le loro proteste litica. Il terrore è trasversale, s’insinua sancirono anche la loro sparizione e la dall’alto come dal basso, colpisce i più loro morte. Chi restò ad aspettare il loro deboli ma anche quelli ritenuti più forritorno fu costretto a celebrare il loro ti. Colpisce in modo indistinto e spesso funerale due volte; una prima quando non agisce neppure in modo predetermila loro morte apparve certa, una secon- nato. È spesso impulsivo, rapido e anda quando la speranza di riavere i loro che disordinato. Come un corto circuicorpi si spezzò come le matite che li to il terrore rigenera se stesso e si amplifica generando per induzione un caos ricordavano. pretederminato, prestabilito. Altra notte meno nota e ancora legata al Stalin detto anche Koba –il suo vero nome era Ioseb Besarionis Dze–, apgolpe militare argenplicò il terrore con metodo e fu l’esemtino del 1976 è la nopio più eclatante di Stato negativo. Al che de las Corbatas, la notte delle cravatcontrario e più di altri dittatori e despoti egli non mirava alla distruzione di uno te, a ricordare il capo d’abbigliamento con il Stato nemico, all’annullamento di un’etnia o al consolidamento di una propria quale, spesso, si idenMirta Lopez desaparecida ideologia, egli, piuttosto, praticava l’idea tificano professionisti il 22/06/1978 del nemico interno allo Stato, annullava quali gli avvocati. Ne e affamava il proprio popolo e, per quansparirono circa un centinaio. 1 Dati GNU FREE DOCUMENTATION 19 FEBBRAIO 2009 E SERCIZI DI CiWitaWecchia DC to si affannasse a dimostrare il contrario, non teorizzava alcuna idea politica concretamente realizzabile, praticabile o minimamente utilizzabile. David Rjazanov, un vecchio comunista che si permise di dire «. . . fermati, Koba, non fare la figura dello stupido. Lo sanno tutti che la teoria non è esattamente il tuo campo. . . » pagò cara la sua infelice ironia; fu espulso dal partito, condannato al Caricatura di Stalin “amico delle confino e infine fucilareligioni” to. Era il tempo dell’epurazione, delle purghe. Era l’era del Grande Terrore (detto anche ežovščina). I vari comitati, commissariati e ministeri per la sicurezza dello Stato (Russo) si erano nel frattempo trasformati e raffinati; erano nati con l’Opričnina di Ivan il Terribile, erano risorti nell’Okhrana zarista, si erano poi trasformati nella Čeka leninista e trasformati, miscelati e divisi sotto Stalin nelle varie OGPU, NKVD, GUGB e MGB che con Chruščev si trasformò in KGB. Stalin utilizzò i servizi d’informazione per annullare, screditare, imprigionare e uccidere quelli che reputava suoi nemici (praticamente gran parte del popolo Russo e la totalità di quello georgiano) o nemici del popolo. E mentre tutti gli altri Stati organizzavano la propria sicurezza in funzione di quanto accadeva all’esterno, Stalin pianificava la sicurezza dell’Unione Sovietica in funzione dei fenomeni endogeni. Una metà del popolo fu costretta a spiare l’altra metà e parte di questa divenne a sua volta informatrice di quel poco che oramai resta- ufficiali parlano di 70 uccisioni, altri studi affermano invece che furono uccise anche più di 400 persone. 2 Da pogrom, termine storico di derivazione russa che indica la sollevazione popolare, con massacri, saccheggi eccidi, contro una o più minoranze, soprattutto ebraica (per esempio quelli avvenuti nella Russia zarista tra il 1881 e il 1921. VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 va da spiare. La notte fu utilizzata per prelevare in gran massa cittadini inermi, politici non più ritenuti affidabili e rivali troppo scomodi. Prigioni come la Butyrka, la Lubjanka, la Lefortovo e la Suchanovka annullarono materialmente interi nuclei famigliari e portarono alla disperazione e alla pazzia persone innocenti la cui unica colpa era quella di aver manifestato un’idea o un’intenzione comunque pacifica. L’epurazione non risparmiò neppure le forze armate e coinvolse 3 marescialli su 5, 13 comandanti d’armata su 15, 8 ammiragli su 9, 50 comandanti di corpo d’armata su 57, 154 comandanti di divisione su 186, 16 commissari politici d’armata su 16, 25 commissari di corpo d’armata su 128, 58 commissari di divisione su 64, 11 vicecommissari della difesa su 11 e 98 membri del Soviet milatare supremo su 108. Tra il 1937 e il 1941 vennero uccisi 43.000 ufficiali. Quando ebbe inizio l’operazione Barbarossa pianificata da Hitler, le difficoltà russe furono determinate anche dal fatto che gran parte dello stato maggiore Russo era stato praticamente azzerato. Non c’era più nessuno che potesse o sapesse decidere. Un soldato paragonò la purga a un “massacro tartaro”. Ma il terrore Staliniano, per quanto determinato e potente, appariva quasi lontano, attenuato dalla distanza e da quella cortina, mitizzata come ferrosa, che pur separando sembrava anche proteggere. La geografia partecipava alla tutela delle nazioni occidentali, mentre una nuova geopolitica, instaurata polarmente con il duopolio Stati Uniti–Russia nell’immediato dopoguerra, sembrava in un certo qual senso rassicurare e tutelare chi aveva optato per l’atlantismo. Con un’eccezione. La Germania uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale si era frammentata in quattro blocchi: Francia, Inghilterra e Stati Uniti condividevano quelli che sarebbero poi diventati la Repubblica Federale Tedesca, nota poi come blocco occidentale o Germania dell’ovest; l’Unione Sovietica di Stalin fagocitava invece la parte restante, quella conquistata e occupata dalle truppe sovietiche. Dal blocco sovietico sarebbe poi nata il 7 ottobre del 1949 la Repubblica Democratica Tedesca, quella DDR (Deutsche Demokrati- sche Republik) dove si ebbe modo di sperimentare e attuare, senza successo, il socialismo reale. E come in altre parti del mondo, anche nella DDR [1] la notte fu il teatro di una caccia alle streghe che si trascinò e prolungò sino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino, il simbolo che più di tutti ha rappresentato e descritto la stagione della guerra fredda e della cortina di ferro. In quelle notti operò una delle organizzazioni per la sicurezza dello Stato più attive e scrupolose del mondo, la Stasi. Abbreviazione di Ministerium für Staatssicherheit (Ministero per la Sicurezza di Stato), la Stasi rappresentò e fu il braccio (spionistico) politico della Sed, il Partito Socialista Unificato di Germania (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands). Gestita in modo quasi personale da Erich Mielke, l’uomo che la diresse sin da subito e per quasi trent’anni, la Stasi fu un elaborato esempio di tecnocrazia applicata all’individuo, di apparatĉik interamente dedicato all’esecuzione delle leggi in grado di garantire la sicurezza interna. Sicurezza che assumeva spesso l’aspetto di una cura inferta a colpi di intercettazioni, interrogatori e anche torture. La DDR fu uno Stato di potenziali spie, collaboratori, informatori e fuggiaschi dove chiunque poteva sperimentare un interrogatorio o tre mesi di carcere con la stessa facilità con cui si accende la radio, si prepara un pasto o si risponde a un «buongiorno». In tarda notte si poteva essere prelevati insieme a tutta la famiglia per un interrogatorio che si poteva poi tramutare in un fermo generale per tutto il nucleo familiare. Bastava poco, anche lettere anonime o la denuncia o il sospetto del figlio, del nipote, della moglie o del marito. Un dirigente poteva segnalare un proprio subalterno come potenziale spia o sobillatore, come d’altronde anche un semplice operaio poteva accusare il proprio superiore di attività antisocialista. Non occorreva neppure indicare date, fatti certi o fornire prove, bastava dirlo, asserirlo, riferirlo a chi di dovere. E se la paura o lo spirito patriottico ispirato dal socialismo reale trasformava alcuni in informatori o infiltrati della Stasi, altri lo divenivano per mera opportunità; i delatori denunciavano sottoposto o superiori, fami- 2 gliari, amici o semplici conoscenti, compagni di scuola o di università per avere unicamente qualcosa in cambio. Il rumore delle poche auto che percorrevano durante le ore notturne le vie delle città della DDR divenne per molti un incubo, un’inconscia ossessione. Non occorreva essere né una spia né un sobillatore né un antisocialista; bastava aver fatto una battuta su un dirigente di partito, un apprezzamento poco galante sulla moglie di un noto esponente politico come anche aver commentato lo stile di vita poco socialista di un esime uomo di partito per essere accusati di qualunque cosa. E in qualunque momento. Alcuni numeri possono aiutare a chiarire la vastità del fenomeno. Nel 1950 la Stasi contava circa 1000 dipendenti, sette anni dopo i dipendenti erano diventati 17.500. Durante gli ultimi anni di vita della DDR gli impiegati alle dirette dipendenze della Stasi si erano quintuplicati (91.500 circa) mentre il numero dei collaboratori non ufficiali (per esempio gli informatori) assommavano alla notevole cifra di 180.000. Tenendo conto che intorno al 1980 la popolazione della Repubblica Democratica Tedesca era di circa 16.000.000 di abitanti, si calcola che un cittadino ogni sessanta era al soldo della Stasi. Si aveva quindi la percezione, se non la certezza, che in una piccola o media industria come in un piccolo paese di un migliaio di anime o in una scuola o università, uno o più membri di queste comunità fosse un informatore della Stasi. Notturni dell’ovest Ma i paesi dell’est non sono e non rimangono l’unico esempio storico di prevaricazione dei diritti civili e umani. Con il crollo del muro di Berlino e il definitivo scioglimento dell’Unione Sovietica, gli equilibri geopolitici esistenti sino ai primi anni ’90 subirono una delle trasformazioni più considerevoli del secolo che si stava per concludere. Non si trattava semplicemente di un sistema politico ed economico –quello occidentale– che prevaleva sull’altro, si trattava anche di un insieme composto da due complesse strutture sociali ed economiche tra loro in equilibrio che da binario si trasformava temporaneamente pri- VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 ma in unario e poi in un più complesso e non definitivo sistema n-ario (ennario). L’arietà, il rango del mondo aveva subito un brusco e forse inatteso e inconsapevole incremento. I cardini su cui ora la geopolitica si muove compongono una fitta maglia le cui singole celle sono quegli Stati del mondo in cerca di visibilità, di un teatro internazionale verso il quale dirigersi. E più cresce il numero di tali Stati, tanto più critici e imprevedibili sono gli effetti che ogni singolo teatro internazionale provocherà su tutti gli altri. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica si è aperto una sorta di vaso di Pandora ermeticamente sigillato e trattenuto dalla guerra fredda. La sua apertura non solo ha annullato le fondamenta del socialismo reale, ma ha anche distorto parte dei capisaldi e delle certezze del mondo occidentale. Certezze che spesso idealizzavano quel ruolo di difensore dell’ordine mondiale che l’occidente –Stati Uniti in testa– s’era costruito in quarant’anni, sino a rifiutare l’idea che anche questa parte di mondo ritenuta più democratica, libera, liberale ed economicamente più evoluta, avesse potuto commettere nefandezze di ogni genere o essersi resa complice di azioni in grado di sovvertire l’ordine politico e le società di quegli Stati ritenuti scomodi (oggi si direbbe invece canaglia). Alcuni dei notturni dell’ovest diventano meno ingenui e tranquilli a partire dal 18 settembre del 1947. È in questa data infatti che il presidente degli Stati Uniti Truman rende effettivo il National Security Act con il quale viene istituita la CIA, la Central Intelligence Agency. L’agenzia d’intelligence statunitense è l’equivalente del rivale KGB sovietico e dell’alleato MI5 britannico. Operano tutti su piani paralleli, e sempre tutti cercano di intersecare l’altro mediante opportune rette sghembe attraverso le quali strappare segreti, costruire alleanze, demolire patti, sovvertire politiche extranazionali, boicottare economie, avviare traffici non propriamente leciti. Ogni agenzia possiede specifiche e ben organizzate sezioni che studiano le relazioni che intercorrono tra i diversi attori in3 L’amministrazione ternazionali, come influenzarne le scelte, come ostacolarne le politiche nazionali, come renderle più omogenee a quelle del proprio paese, come fomentarne le masse, come studiare una propaganda in grado di raccogliere consensi che dal basso siano poi in grado di minare i vertici. Per rendere l’idea di quale fosse il clima conseguente la divisione in blocchi del mondo a neppure dieci anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e di quali fossero i timori suscitati nel governo statunitense dalla possibile russificazione di alcuni paesi occidentali, basti pensare che Indro Montanelli, decano del giornalismo italiano, propose nel 1954 all’ambasciatrice statunitense in Italia Clare Boothe Luce, la formazione di “un’organizzazione terroristica anticomunista pronta a entrare in azione in caso di vittoria elettorale delle sinistre” [2]. Piani simili erano del resto coerenti con quelli elaborati direttamente da Washington3 nei primi anni ’50 e nei quali venivano proposte azioni anticomuniste nei due paesi europei ritenuti più a rischio: l’Italia e la Francia. Il teatro geopolitico che si prefigurava a cavallo degli anni ’60 alimentò il diffondersi di una congerie di operazioni, progetti e strutture tutte clandestine o sotto copertura tutte volte a preservare l’ordine atlantista e scongiurare il pericolo socialista. Gladio (Stay Behind) fu per esempio un’organizzazione costruita in stretta collaborazione con il servizio statunitense che si mostrò infatti disponibile a collaborare «attivamente e formalmente [...] abbandonando tentativi diretti compiuti in passato e non concordati con il servizio italiano4 ». Ma non è certo l’unico esempio di operazione clandestina. Fernando Tambroni, nominato Ministro dell’Interno nel luglio del 1955, tesseva sempre in quegli stessi anni una rete di polizia parallela sostenuta naturalmente da agenti statunitensi sotto copertura e con base a Trieste. E fu grazie ai buoni auspici che Tambroni vantava con Robert Driscoll, allora vice capo dei servizi della CIA in Italia, che la struttura clandestina poté finalmente operare. Non si risparmiò su nulla (ovviamente 3 la CIA forniva non solo personale specializzato, ma anche attrezzature a quel tempo sofisticatissime): falsi taxi equipaggiati con apparecchiature di intercettazione che pattugliavano la città, l’aiuto del giornalista Antonio Tomassini per raccogliere notizie da utilizzare come innesco di scandali, l’appoggio di monsignor Angelini per la loro pubblicazione, controllo di telefoni, infiltrazione negli organismi del Pci, controinformazione, diffusione di notizie false. Se i metodi usati dalla Stasi per la schedatura della popolazione potevano sembrare eccessivi e inarrivabili, non potrà non stupire sapere che sistemi simili, anche se con modalità diverse, erano divenuti pratica comune nell’Italia degli anni ’60. Tra il 1959 e il 1960 il Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate) avviò infatti una catalogazione che arricchì, alla fine degli anni ’60, l’archivio di ben 157.000 fascicoli. Con una circolare interna del 26 febbraio 1959, la sezione che si occupava della Sicurezza interna dell’ufficio chiamato “D” chiese le note biografiche dettagliate e notizie sulle attività svolte da Deputati e Senatori. Vennero inoltre catalogate informazioni relative a sindacalisti, dirigenti di partito, funzionari per qualche motivo ritenuti interessanti, industriali e perfino organizzazioni religiose e uomini di chiesa. Il numero dei fascicoli aumentò a dismisura anche perché la ricerca della informazioni coinvolgeva sempre persone che per qualche ragione entravano in contatto con i sorvegliati. Questo era uno dei tipici scenari in cui i servizi di informazioni locali operavano in stretta collaborazione con quelli statunitensi. Ogni qual volta che i dispositivi usati da uno Stato nazionale per combattere la guerra fredda si rivolgevano verso il proprio interno, si osservava una degenerazione delle libertà individuali come una vera e propria mancanza o inosservanza dei diritti umani e delle leggi nazionali. La realtà è che con la guerra fredda nessun paese al mondo poteva in alcun modo proclamarsi neutrale. Il mondo intero era coinvolto in una guerra non dichiarata che semplificando si estendeva. La semplificazione era do- statunitense assegnò a tali progetti i nomi in codice Demagnetize e Cloven, poi cambiati in Clydesdale e Midiron. generale Umberto Broccoli in un suo promemoria affermava infatti che gli Stati Uniti avevano tentato di organizzare, a insaputa del governo italiano, una struttura clandestina in nord Italia. 4 Il VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 to del proprio Governo ritenuto troppo spostato a sinistra, agivano come veri e propri nuclei sovversivi. In Guatemala la CIA promosse negli anni ’50 una delle sue covert operation più note. L’operazione, denominata “PBSUCCESS”5 , mirava a destabilizzare il governo democratico di Jacobo Arbenz Guzmán, ufficiale dell’esercito eletto nel 1951. I motivi di interesse e preoccupazione per l’amministrazione statunitense erano due; uno di ordine politico e uno di ordine economico. Il primo era dovuto al fatto che tra i primi atti del governo Arbenz vi fu quello di legittimare il piccolo Partito comunista guatemalteco, atto che fu percepito come un passo d’avvicinamento verso la politica sovietica e uno di allontanamento da quella nordamericana; il secondo era invece legato alla riforma agraria che favorendo da un lato l’agricoltura guatemalteca, dall’altro Con “covert operation” la CIA in- penalizzava una delle più grandi compadica genericamente operazioni clandesti- gnie di frutta statunitensi, la United Fruit ne come quelle di propaganda (con fon- Company. Il crollo del Governo Arbenz venne te certa, senza alcuna fonte o con fonte volontariamente falsa), politiche (p.es. pianificato e realizzato grazie al sostesostenendo, anche finanziariamente, rap- gno che la CIA fornì agli avversari del presentanze politiche vicine agli Stati neopresidente. Un gruppo di dissedenti Uniti), economiche (boicottando p.es. le guatemaltechi venne infatti addestrato economie di quei paesi ritenuti ostili) direttamente in Florida e fatto poi riene paramilitari (fornendo p.es. materia- trare in Guatemala per sobillare quella le, strutture –dislocate anche in suolo che avrebbe dovuta essere una spontastatunitense– e uomini per la guerriglia nea insurrezione popolare. Parallelao per l’addestramento di elementi filosta- mente venne attuata una campagna di tunitensi e antigovernativi) [3]. L’agen- propaganda razia d’intelligence statunitense ha per lun- diofonica tale da go tempo attivato, guidato e finanziato screditare il precovert operation in molti di quegli Sta- sidente Arbenz, ti che Washington riteneva interessanti o le riforme attuadeterminanti dal punto di vista delle al- te e la struttura leanze, della politica, della geopolitica, del suo governo. della finanza come anche dell’economia Era il mese di e del commercio. Se parte della guerra giugno del 1954, Orozco Lopez vittima della guerra fredda veniva combattuta in Europa, in l’operazione di civile guatemalteca Nord Africa e in Medio Oriente, il teatro destabilizzazione mesoamericano e sudamericano assume- progettata dalla CIA ebbe il successo va connotati del tutto differenti, sia per sperato, tanto che Arbenz fu indotto a il numero delle persone coinvolte (molto lasciare il Guatemala per trovare ospitaspesso semplici civili), sia per l’estensio- lità e asilo a Cuba, dove si fermò sino al ne dei territori interessati e per il tipo di 1965, anno della morte della figlia, per addestramento, supporto tecnico e tatti- spostarsi poi in Messico dove nel gennaco fornito dagli Stati Uniti ai gruppi an- io del 1971 morì in circostanze piuttosto tigovernativi che disapprovando l’opera- sospette. vuta al fatto che il mondo appariva polarizzato e non più sottoposto alle complicate interferenze degli imperi militari della prima metà del novecento, mentre l’estensione spiegava l’engagement globale; era impossibile ritenersi o dichiararsi fuori, le complicate regole diplomatiche, geopolitiche e le sfere d’influenza ponevano chiunque al di la o al di qua della cortina di ferro. Uno degli aspetti della guerra fredda con il quale Washington si è dovuta confrontare fu, se non ampliare il consenso a suo favore, quello almeno di contenere quello sovietico. Nasceva così una nuovo pensiero e un nuovo modo di proporre e intendere la politica internazionale, era la politica del containment, quella che avrebbe dovuto frenare le ambizioni e l’influenza del nemico rosso, facendo anche ricorso a operazioni paramilitari in territori extra-nazionali. 4 Con l’uscita di Arbenz, democraticamente eletto dal 60% della popolazione, si impose subito il regime e il potere autocratico del colonnello Carlos Castillo Armas, che per ingraziarsi l’amico nordamericano che lo aveva sostenuto, abrogò immediatamente le riforme agrarie che tanto avevano preoccupato Washington e la dirigenza della United Fruit, dando inoltre vita a un Comitato Nazionale di difesa contro il comunismo. Fu questo l’inizio di una guerra civile che si protrasse per 35 anni e che portò alla morte di più di 250.000 civili. Molti di questi furono prelevati, imprigionati, torturati e uccisi dagli squadroni della morte addestrati proprio dalla CIA. La guerra al comunismo fatta dai paesi occidentali come la guerra all’imperialismo fatta da quelli del blocco sovietico produceva in entrambi i fronti risultati che, seppur con intenzioni diverse, erano pur sempre simili, paragonabili, se non nei numeri nella qualità dell’organizzazione e degli strumenti utilizzati. Sia da una parte sia dall’altra dei due blocchi esisteva un sistema il cui unico scopo era quella di contrastare o reprimere l’espansionismo dell’altro. Non si trattava neppure di cercare nuovi consensi o nuove annessioni, l’importante era mantenere lo status quo, elaborare, dosare e applicare la politica del containment. E se da una parte si costruiva un muro per dividere Berlino, dall’altra si minavano i porti del Nicaragua e si gettavano le basi per lo scandalo Iran–contras; e se Praga appassiva nella sua primavera, nel Cile di Pinochet fioriva una delle dittature più cruente. Come matite spezzate Le matite iniziarono a spezzarsi nella notte del 16 settembre del 1976. Il 24 marzo di quello stesso anno si era instaurata in Argentina una delle dittature militari più cruente e crudeli che il continente latinoamericano avesse e avrebbe mai conosciuto. Eufemisticamente autodefinitasi Processo di Riorganizzazione Nazionale, la dittatura militare capeggiata dal generale Jorge Rafael Videla aveva 5 L’origine del nome è dovuta ai criptonimi che la CIA usa per identificare le sue missioni. Ogni criptonimo contiene un prefisso (un digrafo) formato da due lettere che designa o un’area geografica o un’area funzionale. In questo caso le prime due lettere, “PB”, stanno per “Presidential Board” (Amministrazione Presidenziale), mentre “SUCCESS” indica semplicemente l’ottimismo con cui l’operazione venne approntata e diretta. VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 scalzato il governo nato il primo luglio del 1974 di María Estela Martínez de Perón, la prima donna eletta presidente di tutto il continente americano. L’Argentina era corrosa e divisa da una lunga serie di fratture dovute sia alla spaccatura in destra e sinistra del governo peronista sia all’instaurarsi di un clima di terrore determinato dalla nascita di gruppi paramilitari anticomunisti e dalla risposta di altrettanti gruppi di sinistra. Un’inestricabile intreccio tra potere dei militari ora al governo, gruppi clandestini di destra e falangi dell’esercito sostenute anche dalla politica estera di Kissinger, scaturì in quella che divenne poi tristemente nota con il nome di guerra sporca e il cui obiettivo dichiarato era quello di eliminare una volta per tutte il pericolo rosso. Non si trattava neppure di esercitare una repressione dei gruppi ritenuti più pericolosi o dediti ad attività sovversive, non si trattava neppure di catturare o colpire chi veramente era inserito in gruppi rivoltosi. Non si trattava neppure di fermare chi propagandava una politica incitante alla violenza o chi compiva azioni armate contro il nuovo governo. Furono invece presi provvedimenti contro persone inermi, anche minorenni e unicamente colpevoli di esercitare quell’unico diritto che credevano ancora di possedere: quello della protesta, della contestazione pubblica, della disapprovazione. Nel settembre del 1976 alcuni studenti contestano, nell’aula magna del Liceo di Belle Arti di La Plata, i prezzi dei libri e dei mezzi pubblici ritenuti troppo alti. Si tratta di una protesta rumorosa ma comunque pacifica; il loro intento è ottenere il boleto, una sorta di tesserino liceale in grado di garantire una forma di risparmio alle famiglie meno abbienti. Si fissa una data, si preparano gli striscioni, si inchiodano i cartelli colorati. Quegli studenti sfileranno pochi giorni più tardi lungo le vie che conducono al Ministero dei Lavori Pubblici. Riusciranno, nonostante le manganellate delle forze di polizia, a ottenere l’agognato boleto che, però, sancirà per alcuni di essi anche una sorta di condanna ritardata, di futuro già scritto e deciso; di pena solo da infliggere. Si chiamano Claudio de Acha, 17 anni, María Claudia Falcone di 16 an- ni, Horacio Ungaro di 17 anni, Daniel Alberto Racero di 18 anni, María Clara Ciocchini di 18 anni, Francisco López Muntaner di 16 anni. Nessuno di loro sopravviverà alla dittatura argentina, saranno tutti desaparecido, scompariranno lungo i cunicoli bui delle prigioni, diventeranno ricordo nelle foto dei documenti d’identità. I volti sbiaditi di Claudio, María Claudia, Horacio, Daniel Alberto, María Clara e Francisco rimangono a ricordare un dolore che in qualche maniera è stato negato alle loro famiglie, un dolore senza corpi né tombe, un dolore che in una sola notte ha azzerato e annullato le speranze, le idee e i progetti di un figlio il cui destino, così tragico e così ignoto, poteva essere quello di un qualunque altro figlio nato in Argentina e cresciuto nel settembre del 1976 a La Plata. Il destino, il fato o la sorte, ammesso che si sia disposti a credere o ammettere l’esistenza di cose che sfuggono alla comprensione umana, segue percorsi bizzarri, inconsueti, incontrollabili. Molto spesso gli si assegna un valore divino, mistico e misterioso. Lo si ricorda nelle preghiere quale atto di devozione o di contrizione verso Dio. Ma il destino acquista una sua proprietà anche in mancanza di una fede e di un Dio verso il quale rivolgersi. Gli si attribuisce allora una probabilità, un’incertezza, cause e concause attraverso le quali si vorrebbe risalire a un’origine o giustificarne le azioni, le qualità, i limiti, le geografie. Molti di quei figli nati, cresciuti e poi morti a La Plata nel 1976 sono uno specchio che prospettivamente riflette tutti i figli che, in modo opposto e benevolo, vivono la loro vita in un’altra parte o anche in quella stessa parte di mondo perché le anomalie del tempo e dello spazio che chiamiamo comunemente “fisica” e “casualità”, hanno permesso loro di godere di opportunità diverse, di destini diversi. Se solo il mondo girasse al contrario, magari da nord a sud, oppure più lentamente o appena più velocemente, quei figli potrebbero allora anche chiamarsi Andrea, Carla, Antonio, Laura oppure Filippo ed essere morti in un’altra parte di mondo per un regime ugualmente ostile, ed essere pianti da una madre che non parla spagnolo ma italiano o francese o inglese, russo oppure tedesco. La geografia del mondo parrebbe de- 5 cidere non solo la vicinanza o la lontananza delle cose, ma anche come queste vengono distribuite. E in base alla loro distribuzione, alla loro mancanza o alla loro abbondanza, vengono definite politiche, strategie e comportamenti in grado di stabilire non solo come le cose devono essere gestite, ma anche il tipo di relazioni e legami che uno Stato deve fondare affinché esse possono essere incrementate, mantenute o anche prodotte. La geopolitica, le geoeconomia e la geostrategia decidono, senza apparenti relazioni l’una dall’altra, i destini di uno Stato, la sua storia futura, le connessioni tra le generazioni future e quelle che le hanno precedute. Ogni forma dittatoriale, il dispotismo, l’autoritarismo come anche la semplice prevaricazione dei diritti sociali più semplici è un binario con un unico verso di percorrenza. Una dittatura va percorsa per intero e non ammette altro sistema politico che se stesso. L’autocrazia esiste o non esiste, c’è o non c’è, o si è favorevoli o si è contro. Non è un labirinto, è una strada che va percorsa sino a quando cessano di esistere tutte le circostanze che l’hanno tenuta in vita. È quindi dalla vita, dal presupposto dell’esistenza di uno Stato oramai ritenuto allo sbando, senza più fiato o senza un’identità inequivocabile che una dittatura si propone quale unica alternativa. E siccome le esigenze del singolo sono subordinate a quelle di uno Stato dittatoriale, le morti, le sparizioni, le detenzioni e le torture appaiono tutte strumenti plausibili. Claudio de Acha, María Clara Ciocchini e tutti gli altri sono l’effetto e non la causa di una dittatura che s’è fatta Stato nello Stato. E non ha importanza se il controllo del dissenso avviene tramite la morte, la prigionia o la tortura; Claudio de Acha e María Clara Ciocchini rappresentano solo un vuoto circoscritto, l’inesistenza di un patto tra cittadino e Stato. Perché è questo che la dittatura crea e cerca, una sostanza da svuotare e una massa con cui riempire. Le matite spezzate del 16 settembre del 1976 furono e sono ancora non un simbolo quanto, piuttosto, la rappresentazione di uno Stato che aveva già deciso la loro sorte, la protesta contro un potere decisamente e incontrollabilmente più forte e autoritario, la consapevolezza di un’economia allo sbando, l’inesistenza VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 di uno stato sociale e la coscienza di una politica che si apprestava a esautorare lo Stato. Non si trattava dell’ennesima forma di Governo Stato-Persona tipica delle Repubbliche Popolari, si trattava, piuttosto, di una forma di Stato dentro lo Stato, dove i vertici coincidevano con i lati, dove la struttura si faceva anche fondamenta. Stava nascendo la dittatura che al popolo sostituiva l’uniforme. Era lo Stato dei Generali. Notturni venticinque anni dopo Notturno 1: la scuola Il mondo non ha girato né più velocemente né ha ruotato da nord a sud. L’unica fisica possibile e’ stata quella del tempo che anno dopo anno lo ha spinto dal 1976 al 2001. I luoghi sono altri, le occasioni pure. Lo sono anche le persone che per fato, destino, sorte o volontà divina si trovano tutte riunite nel medesimo posto, alla medesima ora del medesimo giorno. Tutto avviene tra l’edificio di una scuola elementare e la caserma della polizia. È quasi mezzanotte e una prima manganellata colpisce come e peggio di una frustata la spalla sinistra di Mark. Il rumore è sordo e il corpo emaciato di Mark non riesce ad attutire quel colpo arrivato quasi di sorpresa. Non riuscì neppure a terminare la frase con cui cercava di qualificarsi che una seconda bordata di colpi lo bloccò a terra. Un calcio dato con una violenza che a Mark sembrò impossibile incurvò la gabbia toracica di quel corpo non certo robusto. La punta dello scarpone del militare che sferrò il colpo gli parve penetrare per un piccolo, piccolissimo tratto dentro il suo torace. E tanto bastò per incrinare e rompere almeno cinque o sei costole. Il rumore delle sue ossa che si spezzano e si piegano è lacerante quanto il dolore provocato dall’aria che abbandonando i polmoni sembra far tossire via la vita. Con un violento afflato incontrollato cacciò quell’aria fuori dai polmoni e quasi contemporaneamente le schegge impazzite delle proprie costole squarciarono il polmone sinistro di Mark. Ma la sua vita non terminò con quel soffio. Mark era vivo, talmente vivo che afferrò il senso della randellata che lo colpì in testa e di quel calcio che gli ruppe denti e mascella. Sputò con forza un grumo di sangue che allargandosi a ventaglio punteggiò il pavimento sul quale aveva cercato, invano, protezione. Mark svenne. La fuga di Karl invece durò poco, lo tradì la voglia di rientrare nella scuola dal quale era riuscito a fuggire; la curiosità o la voglia di aiutare chi era rimasto gli costarono gravi lesioni alle braccia e alle gambe. La violenza delle randellate che piovevano quasi fosse un autunno di legno gli procurarono una frattura cranica, mentre i calci inferti con le pesanti calzature militari, perfette e curate quasi fossero appena uscite dal calzaturificio, gli provocarono un’emorragia toracica. Non andò meglio a Richard che per proteggere Nicola dalle manganellate gli si sdraiò sopra. La maggior parte delle manganellate le prese naturalmente lui, ma Nicola avvertiva comunque tutta la ferocia dei colpi attraverso le vibrazioni trasmesse dal corpo di Richard. Un polso fratturato –tanto o poco chi potrà mai dirlo– costò a Nicola il tentativo di proteggersi la nuca da quell’aggressione della quale non afferrava il senso. Senso che non comprese neppure Daniel, colpito così violentemente e per così tante volte che l’emorragia cerebrale poté essere fermata solo dopo un’operazione chirurgica. Non furono comunque gli unici a non capire. Melanie, 28 anni, non ebbe neppure il tempo di porsi la domanda. Fu aggredita con tanta brutalità e rapidità che perse immediatamente conoscenza. Seppur svenuta e immobile, gli agenti si scagliarono su di lei con calci e pugni. Qualcuno di loro si chinò come si fa per prendere un cocomero sul campo, afferrò la sua testa con entrambe le mani e gliela sbatté contro un armadio. I capelli di Melanie s’impastarono subito del sangue che usciva dalla sua testa. La lasciarono così, con gli occhi rovesciati a scrutare il nulla. Non faceva alcuna differenza essere donna o uomo, giovane o maturo, studente o lavoratore. Una furia percorreva i corridoi della scuola come un fiume in piena il suo letto. E come il fiume iroso non distingue il bene dal male, l’animale dall’uomo o l’oggetto dalla vita, così anche quella furia umana non riusci- 6 va a distinguere le persone dagli oggetti. Ogni corpo, ogni sua singola parte, le mani, le braccia, la testa, il busto, i piedi e le gambe venivano viste e pensate come cose autonome, disgiunte dalle altre. Le ossa del braccio erano quindi un bastone da spezzare, la carne delle gambe erano stoffa da strappare, i capelli erano qualcosa da tirare e la testa qualcosa da percuotere. Venivano picchiati anche in gruppo, costretti a inginocchiarsi per terra e malmenati in modo quasi industriale, quasi fosse una sorta di catena di lavorazione. Passava un poliziotto che assestava i primi colpi e poi tutti gli altri, in modo magari differente e in diversi punti del corpo, magari quelli non ancora toccati da altri. A una donna di 65 anni fratturarono un braccio; fu come spezzare una matita in due senza neppure cercare di dosare la forza con cui quei colpi venivano vibrati. Dall’alto verso il basso e poi verso l’alto per scaricarsi di nuovo verso il basso. Con violenza. Con furia. Lena, 24 anni, cercò scampo nel bagno. Fu vista e inseguita dai poliziotti che la trascinarono via dal bagno prendendola per i capelli. Una volta in corridoio venne percossa e presa a calci in tutto il corpo, fino a quando uno dei tanti non le provocò il collasso della gabbia toracica. Lena ingoiò violentemente tutta l’aria che poté con una sorta di lungo rantolo, fu come affogare nell’aria e contemporaneamente come se quell’aria non bastasse mai. Era stanca, sofferente, ogni respiro s’accompagnava sempre con una fitta che non sapeva identificare, le costole parevano spaccarsi, cedere per aprirsi verso l’esterno. Senza provare la minima pietà o indulgenza, fecero in modo di mantenerla in piedi e iniziarono nuovamente a colpirla. Con brutalità, crudeltà e malvagità uno dei poliziotti le diede una ginocchiata all’inguine mentre altri continuavano a prenderla a manganellate. Lena cadde ancora in terra ma la bestialità di quelli che sembravano uomini, che si muovevano come uomini e che parlavano come uomini non si arrestò. Continuarono a picchiarla come se non fosse accaduto nulla, come se quel corpo di donna fosse un metallo da modellare a martellate. Lena gridava, gridava dolore, ma per tutta risposta venne afferrata per i capelli e trascinata giù per VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 un nuovo status arbitrario e illegittimo di sostituirsi alla democrazia. E se la legalità è il potere esercitato nell’ambito o in conformità delle leggi stabilite dallo Stato e il diritto è l’insieme di norme di comportamento e di organizzazione in grado di regolamentare i rapporti fondamentali per la convivenza e la sopravvivenza del o dei gruppi sociali, si intuisce immediatamente come ogni azione che cada all’esterno di questi due insiemi comprometta non solo la credibilità dello stato di diritto ma anche il potere democratizzante di uno Stato. Sono due forze, queste, che in nessun modo e per nessun motivo possono avere verso contrario, verso che porterebbe a una nuova forma di autogoverno in grado di non distinguere il legittimo dall’illegittimo, la legalità dall’illegalità, il diritto dall’ingiustizia e il potere dello Stato dallo Stato autoritario. Dalla scuola, dopo essere stati percossi, feriti o offesi furono tutti portati al centro di detenzione temporanea, in quella caserma che sin dall’inizio apparve subito come luogo di un nuovo incubo. Un corridoio formato da due file di poliziotti accolse a suon di bastonate e calci i fermati e gli arrestati. Non venne fatta alcuna distinzione tra uomini e donne, tra chi ferito e chi no. Quell’onda di nuova crudeltà fu anche accompagnata da insulti, da frasi inneggianti la grandezza del fascismo e del suo ideatore. Non mancarono neppure riferimenti ad altre dittature. E Pinochet, il generale, fu acclamato, ammirato e invocato quale altro condottiero. Come bestie furono dapprima marchiati sulle guance con un pennarello indelebile e poi riconosciuti e schedati. A chi tentò di invocare i propri legittimi diritti vennero tagliate quale sfregio ciocche di capelli, chi invece si oppose a firmare i documenti che certificavano il loNotturno 2: il centro di deten- ro arresto o il loro fermo e nei quali veniva ribadita la volontà di non voler avzione vertire familiari, avvocati o consolati nel Nessuno conosce ancora le cifre esatte. caso degli stranieri, venne minacciato C’è chi distingue tra fermati e arrestati senza possibilità di replica. Alcuni furono costretti a denudarsi e chi no, chi parla di più di 220 tradotti presso il centro di detenzione e chi si in modo da accertare l’assenza di cororienta verso cifre più alte. Quello che pi estranei nelle cavità corporee. Molti però appare incontestabile è quanto ac- furono costretti ad assumere la cosidetcadde al suo interno, dove la sospensio- ta posizione del cigno, quella in cui ocne della legalità e del diritto permise a corre rimanere con la faccia rivolta verle scale come un sacco di patate. Le donne e gli uomini erano diventati oggetti da ammassare al piano terra e Lena, come altri prima di lei, finì in quella dolorante, ferita e impaurita discarica umana. Michael era in pigiama e stringeva in mano l’unico oggetto brandibile trovato in quel luogo di sciagura e terrore. Si trattava di quello quotidianamente usato per combattere il tartaro dentale, ma per quelli che lo picchiarano prendendolo a randellate fu come impugnasse il più pericoloso dei coltelli. Si sdraiò pensando che quell’oggetto potesse, da solo, chiarire la volontà di non ostacolare in alcun modo il lavoro –per quanto rabbioso potesse apparire– degli agenti. Ma non servì a nulla, lui come altri continuarono a essere percossi con violenza, furia e forza. Nella scuola era oramai il caos. Il buio delle aule era rapidamente squarciato dalle torce degli agenti, urla e grida s’intrecciavano col sottofondo sordo e cupo dei manganelli che venivano agitati come spade. Teste, braccia e gambe vennero contuse, rotte e spaccate. La crudeltà sembrò sostituirsi alla pietà e l’irrazionalità prese il posto della ragione. Non sembrava più neppure una scuola per quanto sangue vi fosse in terra e lungo i muri. Pareva piuttosto un mattatoio, dove bestie impazzite e impaurite perché sembrano capire quanto sta loro per accadere, iniziano a emettere suoni che rimbalzano come un’onda tellurica. Una specie di tremore s’impossessa dei corridoi che contengono quelle persone divenute bestie e contemporaneamente s’espande tutto intorno e al di fuori dell’edificio. Una specie di terrore che si era fatto cupo suono, ecco cosa era diventata quella scuola. 7 so il muro, le mani in alto e le gambe divaricate. Posizione che se può essere stancante per una persona normale, può essere decisamente sfinente per chi, come Mohammed, ha una gamba artificiale. Chi non riusciva a mantenere la posizione veniva insultato e picchiato. Mohammed venne dapprima punito con dello spray al pepe e poi malmenato con particolare efferatezza. Alcuni poliziotti parevano come sovraeccitati, galvanizzati da quegli ordini e richieste che nulla avevano a che fare con le formalità di un accertamento. Ad alcuni prigionieri fu chiesto di intonare faccetta nera, ad altri di gridare “viva la polizia penitenziaria” o di latrare come cani o di ragliare come asini. Alcuni si trovarono nell’incertezza di domande per le quali non veniva data altra possibilità di risposta se non quella implicita nella domanda stessa: “sei gay o comunista?”. Quel centro di reclusione si trasformò di nuovo nel caos brutale e furioso che avevano lasciato nella scuola. Ester fu chiamata puttana e una poliziotta, una donna poliziotto, prese con forza la sua testa e gliela infilò nel water mentre un suo collega, un uomo, le urlò contro tutto il disprezzo di cui fu capace: “Bel culo! Ti piacerebbe che ti ci infilassi dentro il manganello?”. Se si prova ora a fare il semplice esercizio di immaginazione con il quale tentare di stabilire il grado pulizia di un qualunque sanitario pubblico, non si potrà altro che concludere l’estrema, assoluta e totale mancanza di qualsiasi forma d’igiene. Mettere per una qualsiasi ragione la testa dentro un water significa mettere a rischio la propria salute in modo grave, significa esporsi a malattie in grado di compromettere funzionalità basilari di organi come il fegato o lo stomaco. Nessuno dei poliziotti quindi, sembra curarsi degli effetti delle proprie azioni. Si muovono, ordinano e picchiano come se ogni loro gesto, parola o percossa non venisse memorizzata, interpretata o ricordata. In quel luogo di disdetta lo Stato non stava garantendo più nessuno. Ma le violenze non si limitano nel colpire la testa, le gambe, le braccia o il busto, si infierisce anche contro la dignità, l’intimità e il decoro delle persone. VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 Alla percossa si unisce la mortificazione, l’umiliazione della persona; si tenta di provocare una necrosi in grado di colpirne l’onore per poi annullarlo. E mentre c’è chi è costretto a stare steso sulla schiena e con le gambe divaricate verso l’alto per essere colpito con un salame, c’è anche chi viene costretto a spogliarsi e a fare flessioni con le braccia mentre un poliziotto gli grida “Ti piace il manganello? Vuoi provarne uno?”. Mentre una donna viene tenuta contro il muro le urlano “Troia! Devi fare i pompini a tutti!”, un giovane è costretto a denudarsi e a mostrare il pene ai poliziotti seduti alla scrivania. In un’altra stanza si consumava invece un rito da nonnismo di caserma; un giovane viene fatto spogliare e, partendo dalla posizione fetale, viene costretto a spiccare dei salti mentre alcuni agenti lo schiaffeggiano. E mentre un uomo viene minacciato di essere sodomizzato, il bagno diventa l’ulteriore luogo di mortificante terrore. I prigionieri sbrigano i loro bisogni fisiologici davanti a due o più agenti che non risparmiano battute e minacce. Alla richiesta di assorbenti da parte di alcune donne, agenti lanciano della carta di giornale appallottolata. Nell’infermeria, luogo solo apparentemente neutrale, si consumano altre umilianti crudeltà. Le donne vengono costrette a restare nude davanti a cinque, sei agenti che sogghignano divertiti; una ragazza viene costretta a rimuovere il piercing vaginale pur avendo ancora le mestruazioni. La seria ferita alla mano di un ragazzo viene ricucita senza anestesia, e alla sua richiesta di dargli “qualcosa” gli viene unicamente offerto uno straccio da stringere in bocca. Non esiste più una stanza, un angolo o un semplice tratto di muro in cui i prigionieri possano esercitare una qualunque forma di diritto e tutela o sentirsi al sicuro. La sensazione è quella di trovarsi non nell’inferno in cui scontare in modo certo la pena, ma nel più penoso, crudele e incerto dei limbi, dove l’indeterminazione, l’angoscia, la malvagità e il tormento rendono quelle ore interminabili, eterne. Tutto venne consumato tra la scuola e quel luogo di detenzione e nessuno, a parte i carcerieri, si occupò dei prigionieri. Per essi fu impossibile contatta- re, cercare o anche semplicemente parlare con chiunque potesse dare loro aiuto o fornire una qualsiasi indicazione. Erano prigionieri di uno Stato contemporaneamente al di dentro e al di fuori dello Stato reale. Al di dentro perché tutti gli agenti coinvolti appartenevano e appartengono ancora alla Stato reale, al di fuori perché applicarono i metodi di uno Stato alieno. Nello Stato reale si concentra quindi un vuoto, una depressione o meglio ancora un’assenza, dove si condensa lo Stato alieno e in cui precipita e si perde ogni forma di democrazia. Come Nasce un problema. Quello di definire, se esistono, idonei strumenti tramite i quali separare i due Stati per poter poi fornire un giudizio di merito su quello ospite. L’errore più banale e grossolano sarebbe quello di giudicare quegli agenti e il loro operato nell’insieme che li vede e li interpreta anche e soprattutto come uomini dello Stato reale; corretto sarebbe invece giudicare i loro atti come azioni di semplici membri di quello stesso Stato e interpretare la loro appartenenza a un corpo di difesa non come un’attenuante ma, piuttosto, come un’aggravante. Lo Stato alieno, ospite dello Stato reale, induce una forma di tirannia non dissimile da quella sperimentata e applicata in altri Paesi. Non esiste alcuna differenza tra quanto perpetuato nelle caserme argentine o cilene o russe o della DDR e quanto accaduto invece in quella scuola e in quella caserma. Le due sole componenti che rendono invece dissimili i luoghi sono il tempo e lo spazio. Il tempo perché a differenza del potere esercitato in quella scuola e in quella caserma, le dittature di quegli Stati hanno comunque governato per periodi misurabili in anni; lo spazio perché il territorio in cui quegli Stati esercitavano la propria dittatura non era confinato entro due singoli edifici ma, al contrario, si estendeva non solo in tutto il proprio territorio nazionale ma, come nel caso dell’Unione Sovietica, anche oltre i propri confini. È allora possibile affermare che in quei due luoghi di sventura non solo vennero scientemente disattesi i principi fondamentali del diritto e della democra- 8 zia, ma anche applicate forme di dolore, strazio, sofferenza, offesa e martirio sia psicologico sia fisico. Vennero utilizzati i metodi delle polizie degli stati totalitari e venne anche violata l’intima sacralità del corpo degli uomini e delle donne. Si trattò a tutti gli effetti di una dittatura che seppur delimitata entro i confini fisici di due luoghi distinti, è tanto crudele e violenta quanto quella consumata negli Stati nazionali in cui vige o vigeva una qualsiasi forma di regime. Ma una dittatura è di fatto una forma di Governo esercitata con estrema autorità e rigidità e due luoghi quali possono essere una scuola e una caserma non definiscono né un territorio nazionale né uno spazio politico. Se non si tratta quindi di una dittatura, con quale altro nome è possibile distinguere quanto accaduto in modo così circoscritto e specifico? Nonostante possa sembrare strano o prendere la forma di un paradosso, è possibile dare due risposte di segno opposto. Questo genere di atto autoritario o di tirannide limitata se si preferisce, ha un nome ben preciso e viene individuato con il sostantivo “tortura”. Sostantivo che, però, non godendo di un valore giuridico riconosciuto, non configura di fatto alcun reato. In sostanza, nel nostro ordinamento giuridico la parola tortura non esiste, come non esiste un reato di tortura o una pena da scontare per procurata tortura. Dove e quando Scuola elementare Diaz e caserma Bolzaneto. Sono i luoghi dove tra il 21 e il 22 luglio si consumò quell’insolito putsch. Era il 2001, la città era Genova e la circostanza era il G8. Quanto accadde sfuggì anche ai vertici delle forze dell’ordine. Ai giornalisti che la notte del 21 luglio chiedevano cosa stesse accadendo nella scuola Diaz, gli agenti raccontarono una serie di falsità che contraddicevano la presenza delle ambulanze parcheggiate lungo la strada che fiancheggia la scuola e dei feriti che uno a uno vi venivano caricati. Dissero anche che quelle ferite, alcune piuttosto gravi, erano precedenti all’irruzione. Aggiunsero ancora che la scuola era un covo di estremisti. Non entrarono nei particolari, non dissero che quell’edificio VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 ospitava tra gli altri avvocati, economisti, studenti, giornalisti e persone anche non esattamente giovani. Dissero solo che era piena di estremisti. Il giorno dopo, a una conferenza organizzata per la stampa, gli ufficiali di polizia sostennero che tutti i fermati sarebbero stati accusati di resistenza aggravata e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Tanto per dare un tono di maggiore gravità e teatralità alla cosa, confermarono anche il ritrovamento di due bombe molotov all’interno della scuola. Fu la ciliegina sulla torta. Le vittime vennero quindi trasformate in aggressori e gli aguzzini e i carcerieri in bersagli, in paladini della libertà, in difensori della giustizia. La messinscena non durò molto, grazie al meticoloso e difficile lavoro di indagine svolto dal pm Enrico Zucca, i tribunali riuscirono ad accertare la verità, stracciarono tutte le accuse contro gli imputati e rivolsero la loro attenzione su chi, realmente, quella notte sospese ogni forma di diritto, di tutela e democrazia. Venne anche accertato che le due molotov furono introdotte di proposito nella scuola da alcuni agenti. La ciliegina era marcia quanto tutta la torta. Attraverso le testimonianze delle vere vittime e le ammissioni di qualche ravveduto, fu possibile accertate gran parte delle responsabilità e dei fatti. Venne chiarito il ruolo svolto dalle forze dell’ordine e come esse poterono agire in assoluta libertà. Il vice-questore Pasquale Troiani disse che si trattò di “[...] una leggerezza” portare le due molotov nella scuola Diaz. Spartaco Mortola si limitò semplicemente a dire che l’arresto dei manifestanti fu una “forzatura giuridica”, mentre Francesco Grattieri, capo dello Sco, spiegò che il finto accoltellamento di un agente era stato preso a pretesto per poter giustificare “l’eccesso di violenza”. Ragionando su quei fatti aggiunse anche che “Oggi forse non ripeterei quello che ora forse ritengo un errore, e cioè essermi recato là”. L’uso misurato dei termini, “leggerezza”, “forzatura giuridica” e “l’eccesso di violenza” non è casuale, non sono ammissioni di colpevolezza o responsabilità, sono invece giustificazioni, motivazioni, alibi, sono le attenuanti del servitore dello Stato. Ma anche la riflessione dell’agente Grattieri non è da meno, l’errore non consiste nelle azioni commesse, la mancanza non è l’aver esercitato un potere assolutamente sproporzionato e privo di ragione; la colpa è, semmai, quella di essersi recato in quel luogo. La responsabilità che l’agente Grattieri si attribuisce è quella che lo colloca nel luogo e nel momento sbagliato. Significativa, o meglio rivelatrice, è invece la testimonianza del vice questore (grado rivestito ai tempi del G8 2001) Michelangelo Fournier: “ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana”. Aggiunge ancora: “Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo”. Questa, probabilmente, è l’unica testimonianza che racconta almeno una parte della verità, che non cerca di nasconderla, di giustificarne i motivi. L’espressione “[. . . ] Sembrava una macelleria messicana [. . . ]” racconta e accende la crudeltà di quelle ore e nulla e nessuno, a parte l’avvocatura dello Stato in rappresentanza del Viminale, vorrà più contraddirla. L’unico nemico rimasto di chi è stato prima malmenato, percosso, ferito, umiliato, mortificato, offeso e poi accusato ingiustamente, sembra essere infatti lo Stato, che negando il primo ottobre 2008 la responsabilità degli imputati, sposta di fatto la colpa sulle vittime. “Nego la responsabilità degli imputati. Nego che vi sia stata una spedizione punitiva. Non è stata una spedizione latu sensu terroristica. La democrazia in quelle ore non è mai stata in pericolo”, con queste paro- 9 le l’avvocato dello Stato6 non solo nega la colpa e la causa ad essa collegata ma, cosa ben più grave, anche la responsabilità e il difetto di tutto l’establishment politico di quel tempo. Colpe e parallelismi Negare la responsabilità degli imputati sposta, alleggerendola, la posizione dello Stato che non è più compartecipe degli eventi ma solo attore secondario. Ma non solo, l’assunto occulto contenuto nell’affermazione dell’avvocatura dello Stato allontana, diluisce, stempera, se non annulla del tutto, ogni coinvolgimento, ogni peso e qualsiasi forma di obbligo e dovere dei vertici politici di allora mai chiamati in causa. In Argentina dal 30 aprile del 1977 è attivo un movimento –Madres de Plaza de Mayo– che ancora oggi si batte per ottenere la giustizia negata dalla dittatura e che, dal 1976 sino al 1983, causò Azucena Villaflor la scomparsa di circa 11.000 persone7 .Sono i desaparecido, sono le persone scomparse che madri e nonni cercano non più tra i vivi ma tra i morti. Si tratta di una ricerca che ha provocato ulteriori uccisioni e scomparse. Una delle fondatrici del movimento, Azucena Villaflor [4], fu arrestata, detenuta e uccisa probabilmente in uno dei voli della morte organizzati dalla dittatura. Alcuni documenti segreti del governo degli Stati Uniti declassificati [5] nel 2002, provano che già a partire dal 1978 il governo statunitense era a conoscenza che i cadaveri di Azucena Villaflor e di altri tre componenti del movimento – Esther Ballestrino, María Ponce e sorella Léonie Duquet– erano stati trovati sulle spiagge vicino Buenos Aires. Le informazioni contenute nei documenti non furono mai comunicate al governo democratico argentino8 . Date le condizioni dei corpi, il ricono- 6 Della notizia, lanciata dall’Ansa e un tempo presente all’indirizzo http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/ticker/news/ 2008-10-01_101221967.html, sembra non esserci più traccia. Ricerche eseguite con il motore interno dell’agenzia non hanno fornito alcun risultato. 7 Numero stabilito da una commissione parlamentare argentina. Per il movimento i desaparecido furono almeno 30.0000 8 Le informazioni non vennero comunicate per non compromettere l’identità della fonte che, all’interno del governo argentino, agiva per conto di quello statunitense VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 scimento poté avvenire solo dopo molti anni e solo con l’uso dell’esame del DNA. Le ceneri di Azucena Villaflor e di altre due cofondatrici dell’associazione sono state sepolte ai piedi della Piramide di Maggio nella Plaza de Mayo l’8 dicembre 2005. Allora si negavano colpe e responsabilità perché un governo propriamente dittatoriale non ammetteva che nulla e nessuno potesse compromettere quella parvenza di stabilità ottenuta violentando il proprio popolo. Oggi, diversamente da quel luogo, la nostra democrazia non ammette e non riconosce nessuna distorsione e nessun vizio per non comprometterne la credibilità. La distorsione è dovuta all’uso spropositato della violenza esercitata proprio da chi quella democrazia è tenuto a difenderla, il vizio è invece determinato da quella classe politica che della democrazia è tenuto a darne direttive e indirizzi. E se ancora oggi gli argentini reclamano quella giustizia che, solo a fatica, viene loro riconosciuta, nessuno degli esponenti del Governo Berlusconi del 2001 ha ritenuto opportuno spiegare quanto accaduto. Gianfranco Fini, che nel 2001 ricopriva il ruolo di Vicepresidente del consiglio dei ministri, il 20 marzo 2008 rilascia una dichiarazione sibillina in cui accenna a una imprecisata necessità di far pagare chi eventualmente avesse sbagliato nel fare applicare la legge ma “[. . . ] senza sovvertire l’ordine delle cose, come vorrebbe fare chi propone una commissione parlamentare di inchiesta, perché quello che è successo nei giorni del G8, e di chi sono le vere responsabilità, lo ha visto il mondo intero”. Gianfranco Frattini, che rivestiva la carica di Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza di quel Governo, ammette con amara sincerità che “[. . . ] se molto si fosse fatto durante il governo precedente, non ci si sarebbe ridotti alla necessità di esplorare i tombini di Genova dove purtroppo stamani abbiamo ritrovato armi, mazze e altri oggetti contundenti”. Notizia immediatamente smentita dalla Digos di Genova. In altre dichiarazioni Frattini si preoccupa anche che “Hanno, abbiamo, rassicurato Berlusconi. I nostri Servizi sono fortemente e direttamente in azione per prevenire, in stretto contatto con le forze dell’ordine, qualsiasi azione violenta”. Ma la dichiarazione che più fa riflettere è quella in cui afferma che sul G8 furono preparati duecento dossier: “[. . . ] I servizi segreti hanno lavorato per mesi. E hanno raccolto importanti informazioni su quello che i manifestanti stavano preparando al G8 di Genova” Considerati i risultati e visti gli effetti, si tratta molto probabilmente di duecento dossier dalla dubbia utilità. Le informazioni furono raccolte anche grazie all’aiuto dei servizi di informazione statunitensi, europei e russi. Una mole di dati che comunque non seppe né predire né spiegare quanto accadde durante il G8. L’illusione che si possa arrivare alla verità accumulando un numero sempre maggiore di informazioni non porta, come solitamente si crede, a capire la realtà, a interpretarla o a predirla, conduce, al contrario, a un numero di relazioni che aumentano con l’aumentare dei dati e che portano al collasso delle teorie e delle leggi che invece vorrebbero decifrarle. Il nodo del problema non è infatti raccogliere dati su dati quanto, piuttosto, capire ciò che si vuole senza essere sommersi da particolari inutili [6]. Claudio Scajola, l’allora Ministro degli Interni, non rilascia dichiarazioni. Lascia che siano gli altri a farlo. Il primo ministro Silvio Berlusconi dice “I militanti del Genova Social Forum, secondo quanto mi ha riferito il ministro Scajola, avrebbero occultato i violenti” per poi aggiungere che durante il blitz alla scuola Diaz, le forze dell’ordine avrebbero trovato armi improprie e arrestato una novantina di persone. Interpretando a posteriori le dichiarazioni rilasciate dai politici che mutuamente non si riconoscevano responsabili di quanto accaduto, appare evidente che nessuno di essi sapesse quantificare in modo credibile le persone fermate e arrestate, se erano state ferite, se era stata usata loro violenza, che tipo di armi erano state trovate e da chi. Scajola sembrava non sapere cosa effettivamente fosse accaduto nel settore che egli, sotto la sua diretta responsabilità, dirigeva e amministrava. Se la competenza significa anche conoscenza delle cose, Scajola ha dimostrato che, al contrario, l’incompetenza è 10 comunque giustificata e, tutto sommato, ben accetta. In difesa di Scajola, contro il quale il centrosinistra aveva presentato una mozione di sfiducia, interviene Fini che afferma che “[. . . ] è unicamente un’arma di propaganda politica”. Aggiunge anche che “Tutti vogliamo l’accertamento della verità, ma il governo per ragioni politiche ha un motivo in più per volerlo: perché quando sarà accertata sarà evidente a tutti che la mozione di sfiducia che è stata presentata oggi è unicamente un’arma di propaganda politica, è una mozione di sfiducia strumentalmente presentata, non già nel tentativo lecito di accertare la verità, ma di mettere in difficoltà il governo”. Evidentemente non soddisfatto prosegue stillando un dubbio amletico “Dio non voglia che chi ha scagliato parole pesanti come pietre non si accorga che le collusioni e le complicità di cui hanno goduto i violenti non siano limitate all’ultrasinistra, ma coinvolgano anche qualche collega che siede nei banchi del Parlamento repubblicano”. Dai commenti non si esime neppure uno dei paladini del neonato Pdl, l’allora sottosegretario dell’Interno Alfredo Mantovano, che profetizzando le intenzioni del centrosinistra afferma che una Commissione Parlamentare d’inchiesta sul G8 avrebbe “[. . . ] il solo scopo di criminalizzare le forze di polizia nel loro insieme, di ostacolare il lavoro dell’autorità giudiziaria e di individuare, non sette mesi ma sette anni dopo, delle responsabilità politiche da utilizzare in questi giorni di campagna elettorale”. Nessuno dei Ministri, nessuno dei segretari o dei sottosegretari del Governo Berlusconi 2001 verrà ritenuto responsabile di quanto avvenuto e commesso tra il 21 e 22 luglio 2001 a Genova. Nessuno di loro, Silvio Berlusconi compreso, sarà mai tenuto a giustificare il mancato funzionamento di un meccanismo dello Stato palesemente impazzito. Nomi Giovanni Luperi; Francesco Gratteri; Gilberto Caldarozzi; Filippo Ferri; Massimiliano Di Bernardini; Fabio Ciccimarra; Nando Dominici; Spartaco Mortola; Carlo Di Sarro; Massimo Mazzoni; Renzo Cerchi; Davide Di Novi; Vin- VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 cenzo Canterini; Michelangelo Fournier; Fabrizio Basili; Ciro Tucci; Carlo Lucaroni; Emiliano Zaccaria; Angelo Cenni; Fabrizio Ledoti; Pietro Stranieri; Vincenzo Compagnone; Massimo Nucera; Maurizio Panzieri; Pietro Troiani; Michele Burgio; Salvatore Gava; Alfredo Fabbrocini; Luigi Fazio. Sono i 29 poliziotti inquisiti e accusati per le violenze commesse alla scuola Diaz e nella caserma Bolzaneto. Il procedimento a loro carico è ancora in corso. Nessuno dei poliziotti ha mai mostrato segni di rimorso o ripensamento. Mark Covell ha 33 anni ed è un giornalista inglese di Indymedia. Era al G8 per documentare quanto stava accadendo. Claudio de Acha ha 17 anni, è nato il 21 settembre del 1958 e viveva vicino alla città di La Plata. Di lui non si hanno più notizie dal 16 settembre del 1976. Karl Boro riuscì a scappare sul tetto della Diaz. Commise l’imprudenza di rientrare che gli costò ematomi a gambe e braccia, la frattura del cranio e un’emorragia del torace. María Claudia Falcone ha 16 anni, è nata il 16 agosto del 1960 e viveva a La Plata. È scomparsa il 16 settembre del 1976 e di lei non s’è saputo più nulla. Nicola Doherty è una assistente londinese di 26 anni. Richard Moth, il suo compagno cercò di proteggerla con il suo corpo. Non appartenevano né a nessuna frangia bellicosa né ai black block. Hanno entrambi riportato contusioni e ferite varie sul corpo. Horacio Ungaro ha 17 anni, è nato il 12 maggio del 1959 e viveva a Gonnet. È scomparso nella notte del 16 settembre del 1976. Melanie Jonasch, 28 anni, è una studentessa di archeologia di Berlino. Durante la mattanza alla scuola Diaz perse conoscenze a causa dei colpi che ricevette alla testa. Daniel Alberto Racero ha 18 anni, è nato il 28 luglio del 1958. Frequentava la scuola Normale num.3. È scomparso il 16 settembre del 1976. Daniel Albrecht ha 21 anni ed è uno 11 studente di violoncello a Berlino. Era al G8 per semplice protesta. Gli venne riscontrata un’emorragia cerebrale. María Clara Ciocchini ha 18 anni ed è nata il 21 aprile del 1958. Viveva a La Plata. Come i suoi compagni è scomparsa durante la notte del 16 settembre del 1976. Michael Gieser ha 35 anni ed è un economista belga armato di spazzolino da denti. Fu preso a randellate quando ancora era in pigiama. Francisco López Muntaner ha 16 anni, è nato il 7 settembre del 1960 e frequentava la scuola di Belle Arti a Buenos Aires. La sua arte venne persa per sempre nella notte del 16 settembre del 1976. Una linea invisibile unisce queste persone appartenenti a tempi e luoghi diversi. Quella strana anomalia del tempo e dello spazio definita dalla fisica o dalla fede o dal carma per chi ci crede, ha solo fatto in modo che gli uni non fossero gli altri. TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 VOL.I. . . No.3 12 Appendice c Figura 1: La classe di Marcelo Brodsky - Marcelo Brodsky. Tutti i diritti riservati. L A BUONA MEMORIA DI M ARCELO B RODSKY a fuoco, mentre Martin, il miglior amico di Brodsky, fu uno dei tanti desaparecido uccisi dalla dittatura argentina. La foDi IVAN_III ( IVAN _ III @ THEIMPRESS . COM ) to che Brodsky ha ritoccato sembra quasi un’annotazione, un promemoria, un percorso a ritroso che lo coinvolge anche È la foto della classe di Marcelo personalmente. Quei due compagni soBrodsky. È quella del 1◦ anno, 6◦ sezio- no lo specchio che riflette con un angone del collegio Nacional de Buenos Ai- lo molto più ampio il destino di coloro res. Alcuni volti sono messi in evidenza che furono ragazzi come Claudio e Marcon un cerchio. Sono quelli dei compa- tin. Sono il riflesso di una nazione che di gni dei quali Marcelo ha avuto notizie, quei ragazzi non ne ha voluto fare degli che vivono in qualche altra città, che la- uomini e poi dei vecchi. Sono il rifiuvorano, che hanno una famiglia. Che so- to, la negazione della fanciullezza, della no morti. I ritratti di due compagni sono giovinezza, della maturità. Brodsky tenta di ricostruire una stobarrati e cerchiati in rosso, sono quelli di Claudio, il secondo in alto a sinistra, e ria, una buona memoria9 , partendo daldi Martin, il terzo a destra nella seconda l’esperienza scolastica condivisa con i suoi antichi compagni di classe. Il destifila da basso. Claudio venne ucciso in un conflitto no di ognuno di loro ricostruisce in qual9 10 che maniera quello delle due persone a lui più care, quello del fratello Fernando Rubén, anch’egli vittima della dittatura, e dell’amico e compagno di scuola Martin10 . Quello di Marcelo è un dolore che ha attraversato tempo e spazio, ricordo e oblio. La foto che insieme ad altri lo ritrae alunno è la via di fuga che, in modo indelebile, gli permetterà di aggiungere alla sua memoria il doloroso ricordo di Claudio, di Martin e di suo fratello Fernando, rapito dal governo il 14 agosto 1979 e probabilmente morto nel febbraio del 1980. La storia di Fernando è simile a quella di molti altri ma allo stesso tempo emblematica. Rappresenta il tentativo di nascondere le colpe dei singoli facendosi scudo dei corpi delle vittime che non esi- http://www.24marzo.it/index.php?module=pagemaster&PAGE_user_op=view_page&PAGE_id=111 http://www.zonezero.com/exposiciones/fotografos/brodsky/gruposp.html VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 stono più. Sono l’esperimento non riuscito di una storia senza memoria, sono il tentativo di confinare fuori dal tempo il ricordo di chi non ha più uno spazio per la vita, rappresenta il tentativo di abolire la verità per stabilire l’illusione di una verità a comando. Il potere del Governo, di ogni cattivo Governo, è se non quello di occupare tutti gli spazi e i settori della società civile, quello di servirsene a proprio uso e consumo confondendone l’uso democratico con l’abuso autoritario. L’informazione diventa allora il mezzo attraverso il quale tramandare la propria visione della verità; una verità che assume, grazie anche alla forza governativa che la stimola, il valore di vero solo perché l’atto stesso dell’informazione la rende, la vorrebbe rendere, automaticamente e inequivocabilmente vera. La propaganda non è altro che lo strumento che permette di deviare l’interesse dal contenuto, la cui verità o falsità perde di valore, alla sua diffusione. La divulgazione ossessiva, sistemica e costante di qualunque dato artefatto, 13 falso o inconsistente rende quello stesso dato genuino, vero e fondato. La memoria non è buona memoria e la verità non è vera verità sino a quando sia una che l’altra coincidono con la visione di uno Stato unicamente piegato su se stesso o sulle persone che lo governano. Sono molte, troppe le foto le immagini in grado di raccontare, anche da sole, l’orrore e la violenza di tutte le dittature. Ne ho scelte tre. Figura 2: Foto segnaletiche scattate all’interno dell’ESMA, la Escuela Superior de Mecánica de la Armada trasformato in centro di detenzione durante la dittatura argentina. Da sinistra a destra: Fernando Rubén Brodsky, Ida Adad e Graciela Alberti. Chi è Marcelo Brodsky Marcelo Brodsky11 è un artista impegnato anche per la difesa dei Diritti Umani. Dopo anni di esilio a Barcellona vive oggi a Buenos Aires, città che fu costretto a lasciare proprio a causa di quella dittatura che gli uccise il fratello. La sua arte unisce gli strumenti classici tipici della scrittura e dell’immagine con quelli specifici della multimedialità moderna per esprimere le proprie esperienze e memorie, per narrare l’ansia delle assenze. Immagini anche personali, come vecchie foto che ritraggono lui, gli ami- ci o vecchi compagni di classe accompagnano e aiutano Marcelo Brodsky a ristabilire una verità e una memoria per troppe volte distorta e strappata. Il suo progetto “Buena Memoria” è stato rappresentato in tutta Europa, in Nord America e in America Latina. Questo documento è dedicato a tutti i desaparecido del mondo e a tutti coloro che, per quell’anomalia del tempo e dello spazio che per convenzione indichiamo con “fisica”, avrebbero potuto esserlo. 11 http://www.marcelobrodsky.com/intro.html VOL.I. . . No.3 TheImpress – nuove connessioni nella rete 19 FEBBRAIO 2009 14 Riferimenti bibliografici [1] Guido Knopp. Goodbye DDR. Hobby & Work, 2006. [2] Giuseppe De Lutiis. I servizi segreti in Italia. Editori Riuniti, 1998. [3] Mario Del Pero. La C.I.A. Storia dei servizi segreti americani. Giunti, 2005. [4] El Clarin. http://www.clarin.com/diario/2005/12/12/conexiones/azucena.htm. Documento in flash del quotidiano argentino “El Clarin” che narra la storia del ritrovamento dei cadaveri dei fondatori de Las Madres de Plaza de Mayo. [5] The National Security Archive. http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB77/. Sono presenti alcuni documenti declassificati del governo statunitense in formato *.doc e *.pdf. [6] Kennet N. Waltz. Teoria della politica internazionale. Il Mulino, 1987.