La donna greca nell`antichità
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La donna greca nell`antichità
La donna greca nell'antichità gruppo: I sicofanti Amedeo Paolo Battaglia, Bernardo Bilotta, Riccardo Lanzoni, Simone Lippi Bruni, Alessandro Quaglia Ugo Enrico Paoli, La donna greca nell'antichità, Firenze, 1953 capitoli I, II e III Ambito disciplinare: Storia antica Stile: trattatistico-narrativo nel corpo del testo, trattatistico nelle note. L'autore, probabilmente, ha voluto descrivere la situazione della donna nell'antica Grecia in modo da essere comprensibile per chiunque; le note, invece, hanno un linguaggio più tecnico, rivolgendosi a chi possiede una certa cultura in ambito storiografico. Il testo si presenta molto chiaro, semplice e conciso. L'autore riesce a stabilire con il lettore un rapporto quasi colloquiale, come se gli stesse parlando direttamente. Chi legge, in questo senso, si sente più a suo agio nel portare avanti la lettura, che scoprirà non essere pesante o noiosa quanto piacevole e rilassante. Divisione in sequenze Capitolo I, In pubblico 1. L'apparente assenza di donne nella povli~. Ad Atene, le donne non apparivano in pubblico: era l'uomo che prendeva parte alla vita pubblica e provvedeva ad ogni cosa, anche alla spesa al mercato. 2. Il mondo delle donne. Le donne ateniesi erano relegate nel gineceo, lì dovevano restare sempre e comunque, uscendone solo in occasione di matrimoni, di funerali o di riti sacri. 3. La donna nelle occasioni pubbliche. Quando c'erano le grandi feste sacre o funerali, alle donne era concessa l'uscita dal gineceo e la partecipazioni ai riti e alle processioni funebri. Erano queste le uniche occasioni in cui un uomo poteva adocchiare una giovane donna. Capitolo II, Indiscrezioni 1. I vestiti femminili. La donna greca poteva indossare tre differenti capi d'abbigliamento: il citwvn, citwvnion, iJmavtion. Era in uso, inoltre, portare sopra l' iJmavtion una mantellina più piccola, molto simile a uno scialle. Questi abiti erano molto costosi ed erano un terzo o metà della dote nuziale. Capitolo III, L'infanzia-Le nozze 1. L'infanzia e la giovinezza Le bambine venivano tenute in casa nel gineceo (gunaikwni`ti"), controllate gelosamente, prive di istruzione; per questo erano distratte coi giochi: bambole (di coccio, legno o cera), palla, trottola, cerchio, altalena (una leggenda riportata da Esichio dice che una figlia di Egisto e Clitennestra per il dolore delle nefandezze della sua famiglia si era impiccata e questo aveva prodotto tante altre impiccagioni di bambine per emulazione; per ovviare al pericolo della fine della specie, su suggerimento dell'oracolo di Apollo, tutti i padri costruirono altalene, perché le fanciulle potessero penzolare da una corda senza pericolo.). 2. Il matrimonio Una giovane fra i tredici e quindici anni era considerata in età adatta per il matrimonio e il padre o il fratello (chi ne aveva la potestà, kuvrio") le trovavano un marito, molto più attempato; di rado succedeva che una donna rimanesse nubile (in questo caso, poteva anche essere venduta schiava, per questo Solone aveva vietato la vendita delle ragazze, secondo quanto dice Plutarco in Solone, 23); se per dissesti economici o guerre il kuvrio" non trovava un marito alla giovane, questa doveva essere sposata da un parente. Il celibato era punito a Sparta, in Atene era sentito come una condizione irregolare; il matrimonio era considerato dovere morale del cittadino, per generare prole di cittadini e perché i genitori, morendo, lasciassero chi avrebbe avuto cura del sepolcro. La legge infatti imponeva ai figli di curare il sepolcro dei genitori e puniva con la denuncia di empietà (grafhv ajsebeiva") e la condanna a morte chi non lo facesse. Esisteva la pratica dell'esposizione (e[kqesi") che la legge non considerava reato; frequente nel caso di figlie femmine prive di dote. Il matrimonio era un contratto fra il padre della sposa e lo sposo, avveniva fra membri della stessa classe sociale, poteva essere favorito da mediatrici (promnhvstriai) e non richiedeva il consenso della donna; ella infatti non aveva capacità giuridica, non era titolare di diritti, non era neppure proprietaria dei beni che le spettavano per appartenenza alla famiglia. Il matrimonio era costituito da due momenti: ejgguvhsi" il contratto fra padre e sposo, in cui si determinava la dote e il corredo; e[kdosi", consegna allo sposo e inizio della coabitazione, sunoivkhsi". Nel caso in cui in una famiglia rimasta senza titolari maschi tutto passava alla donna (ejpivklhro", erede), i parenti maschi di linea maschile della donna avevano diritto di rompere il matrimonio e sposarla, entrando in possesso dei suoi beni. 3. Nozze La festa di nozze aveva lo scopo di dare notorietà al contratto che si era stipulato, dato che in Atene non esistevano uffici di stato civile. 4. Scioglimento del matrimonio Il vincolo matrimoniale cessava, se veniva meno la convivenza; i casi erano: 1- ajpovleiyi~., se la moglie si allontanava, per comportamento scorretto del marito (questo era mal visto dall'opinione pubblica); 2- e[kpemyi"., se il marito cacciava la moglie; 3- ajfaivresi"., se il padre o altri avesse obbligato la donna a separarsi (vedi caso dell'eredità). Sintesi La condizione femminile è sempre stata, nella Grecia classica, subordinata a quella dell'uomo, che doveva essere onorato e rispettato dalla moglie. Di lei, veniva deciso il destino fin dalla nascita, compreso chi avrebbe dovuto sposare. Ad alcune bambine veniva insegnato a leggere e a scrivere, per lo più dalle loro madri, ma gli uomini potevano aver da ridire su questo: una donna istruita avrebbe avuto troppo potere. La donna greca non poteva prendere parte a qualsiasi forma di vita pubblica se non in alcune, rare celebrazioni, come il suo matrimonio o il funerale di un familiare. Rari erano, dunque, i rapporti col mondo esterno; essi avvenivano dialogando con le ancelle o con le schiave, quando rientravano dall'esterno nel gineceo. In sostanza, era l'uomo che conduceva le redini della vita femminile ed ella poteva in qualche modo realizzarsi solo nell'ambito della vita domestica. Numerosi erano gli abiti e gli accessori di cui essa poteva usufruire; in casa per dar sfoggio alla sua bellezza, dedicata al marito che rientrava dall'ajgorav, fuori per onorare gli déi nelle cerimonie religiose a cui era ammessa. La donna della Grecia era, in conclusione, poco gratificata, ma, allo stesso tempo, temuta. L'uomo aveva paura di quella figura che, spesso, era in grado di stupire anche i più audaci dei politici o dei re.