03_Una crisi per uno scenario Sconosciuto. Cipollini

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03_Una crisi per uno scenario Sconosciuto. Cipollini
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UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
Artigiani e imprenditori di fronte al cambiamento
Claudio Cipollini, Esperto di innovazione integrata e di sistemi complessi
territoriali. Attualmente insegna Gestione e comunicazione delle imprese non
profit all’Università La Sapienza di Roma. Direttore Generale di Retecamere,
società per i progetti integrati di sviluppo del Sistema delle Camere di
Commercio italiane.
È pericoloso credere di sapere.
È molto più salutare sapere che non si sa.
I cambiamenti di paradigma ci portano in un territorio che non solo è sconosciuto perché
non è stato esplorato, ma che non è stato esplorato e pertanto non si può conoscere
per la semplice ragione che non esisteva prima.
Richard Norman
Una crisi epocale
Forse è per i motivi esposti da Norman nel
20031 che non sono tutti falsi gli allarmi che negli ultimi anni “suonano” sulla crisi finanziaria, economica
e sociale. Forse più che allarmi dovremmo chiamarli rese dei conti e finalmente consapevolezza che
un’era è nella sua fase terminale e una nuova era si
sta affacciando. Sta finendo l’epoca delle certezze
e delle sicurezze sempre cercate, sempre credute,
ma mai trovate; l’epoca dello sviluppo e dello sfruttamento della natura infiniti; della ricerca del particolare e della perdita del totale. Ma anche l’epoca che
ci ha portato ricchezza materiale, cultura e salute.
Non quindi una semplice crisi finanziaria e economica, pur con tutto il suo peso, ma una ben più com1 In BURMAN E. (2002), Internet nuovo Leviatano. Verso il futuro paradigma
di pensiero e di business, Etas, Milano.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
plessa crisi epocale che riguarda integralmente e
complessivamente le tematiche socio-economiche,
ideali e politiche, e quindi conseguentemente anche imprenditoriali. E’ una fase simile come quella,
per esempio, che si ebbe a cavallo tra’700 e ’800 o
come quella del passaggio dal Medioevo agli albori
rinascimentali del ’300 e poi ai trionfi del ’400. Cosa
ci sarà domani? Non riuscì a prevederlo Dante, così
come Mantegna, né Voltaire, Napoleone, Kant, Smith
o Marx. Qualcuno ha presunto di saperlo, ma ha fallito miseramente. L’ignoranza del futuro ci ha ricordato
tra gli altri Taleb2 ci ha fatto troppo spesso dimenticare tutte le volte che un evento qualsiasi ha cambiato la
previsione. E’ una crisi che riguarda tutti dalla stessa
Cina, agli Stati Uniti, a tutta l’Europa. Le differenze
sono solo che laggiù a Shanghai e a New Dheli, come
a Rio e a Città del Capo devono ancora soddisfare
alcuni bisogni di base, mentre in Europa siamo già
“soddisfatti”. In Italia però non siamo riusciti a trovare
sistemi e strumenti per gestire il cambiamento e siamo ancora immersi in una crisi strutturale e profonda
3
. Ricorda a tal proposito Bruni4 come quando siamo
riusciti come Paese a essere creativi e innovativi abbiamo costruito gli artigiani-artisti, i distretti industriali
del Made in Italy, i cooperatori sociali e di comunità
e nel Quattrocento l’Umanesimo e il Rinascimento.
2 TALEB N.N. (2007) Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra
vita. Il Saggiatore. Milano
3 “Gli Stati membri che hanno conseguito risultati superiori alla media in
fatto d’innovazione hanno risposto alla crisi economica prendendo l’iniziativa,
ed in particolare ricorrendo a provvedimenti aggiuntivi di natura temporanea
per incoraggiare ricerca ed innovazione. Generalmente non è stato così
per i paesi che sono al di sotto della media UE, il che sembra segnalare la
probabilità di un allargamento del divario esistente sotto il profilo dei risultati
conseguiti in fatto di attività di R&S e d’innovazione. Per tali paesi risulta
quindi ancora più importante migliorare le competenze disponibili e rafforzare
la quota spettante alle attività ad elevato contenuto di professionalità ed in
campo tecnologico nelle loro economie.” Una politica industriale integrata per
l’era della globalizzazione. Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e
sostenibilita. Commissione Europea - COM(2010) 614. p.14
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BRUNI L. (2012), Le nuove virtù del mercato, Città Nuova Editrice
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
Oggi siamo fermi perché abbiamo smesso di cooperare e collaborare e pensiamo solo a lamentarci e a
mantenere e difendere le rendite di posizione ovvero le posizioni di potere acquisite. Alcuni dati di base
però li abbiamo ormai acquisiti anche noi e li possiamo considerare una prima certezza, pur se non utile
a fare delle previsioni. In generale, specie nei paesi
occidentali, ma con una propagazione del fenomeno
a livello globale, siamo da poco entrati in un’epoca (in
un “territorio” come lo definisce Norman) dove le nostre vite sono caratterizzate da notevoli complessità,
accompagnate da incertezze diffuse e dalla mancanza di norme di comportamento condivise.5 Si tratta di
una realtà estremamente fluida, le cui diverse componenti si scompongono e si ricompongono continuamente, e in cui ciascun individuo inizia a prendere
coscienza di essere parte di un insieme: soggetto in
rete con altri soggetti. Viviamo in un mondo globalizzato, dove le identità locali sono in rete, dove la complessità ha raggiunto alti livelli di incognite e dove le
persone, tutte le persone, sono ormai sempre più in
grado di esprimere pareri, bisogni e desideri. E dove,
infine, stiamo passando dal vincolo e dalla regola del
manuale e delle leggi sacre alla regola del rispetto e
della responsabilità. In questo barlume, in mezzo a
questa landa piena di nebbie, effluvi, nubi e rumori
possiamo – forse – solo cercare di “aspettare-agendo” su almeno tre fronti:
•
ideale: in attesa di finire di “esplorare i nuovi
territori” e di prenderne possesso, vale forse la
pena da un lato rafforzare le regole che liberalizzano le nostre capacità di pensare, di valo5 Nel mondo che sta emergendo, la complessità è una condizione
irriducibile quanto ineluttabile, che, se da una parte genera confusione e
incertezza, dall’altra ci offre, nelle attuali trasformazioni sociali, economiche,
politiche e culturali, la possibilità di pensare noi stessi in modo nuovo» TAYLOR
M. (2005), Il momento della complessità. L’emergere di una cultura a rete,
Codice, Torino. p. 3
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•
•
rizzare e consolidare il senso e il significato di
responsabilità e di rispetto tra di noi, consentendo così a ognuno la sua libertà personale e
collettiva; dall’altro di diffondere il concetto di
bene e di felicità comune6.
politico: conseguentemente forse vale la
pena riorganizzare le modalità di partecipazione democratica alla vita pubblica, la macchina
organizzativa dell’amministrazione pubblica,
ma anche le modalità di fare impresa. Come?
Da un lato affrontando, con nuovi approcci e
utilizzando anche le nuove tecnologie, le modalità di rappresentanza di tutti i cittadini che
vivono in tutti i territori e dei diversi insiemi a
cui ciascuno appartiene; dall’altra adeguando
la macchina pubblica al nuovo ambiente che si
va esplorando e non certo all’organizzazione
ottocentesca, “settoriale” e “specialistica” ormai non più in grado di rispondere alle nuove
esigenze dei nuovi cittadini e delle imprese.
Insieme e in parallelo difendere e affermare i
diritti di ognuno, nel rispetto di tutti; cattolici,
mussulmani, protestanti e laici, immigrati e residenti, giovani e vecchi, donne e uomini, omo
e eterosessuali, imprese e lavoratori, volontari
e dipendenti;
socio-economico: rimettere in sesto quello
che non si è riusciti a fare negli ultimi anni (infrastrutture materiali e immateriali, liberalizzazione sane, rafforzamento della cultura e delle
competenze, democraticità del merito, ecc)
per almeno consentirci di sopravvivere durante
l’esplorazione e non soccombere, cercando di
6 E’ qui da ricordare a tal proposito come già nel Settecento gli studiosi di
economia italiani affermassero che la felicità è pubblica – oggi diremo che è un
bene comune – perché deve necessariamente essere di tutti e non di alcuni.
Altrimenti sarebbe di nessuno.
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
raggiungere gli obiettivi e gli indicatori che abbiamo definito con gli altri partner europei per
l’Europa del 20207 e sui quali siamo in tragico
ritardo8. Non si tratta di inventarsi qualcosa,
ma di fare dell’innovazione il driver del nuovo
sviluppo, di “copiare” chi ha già fatto e bene e
di ritarare l’organizzazione della cosa pubblica.
In questo articolo intendo dare un contributo
per un approccio nuovo che consenta di impostare,
progettare, realizzare e vendere prodotti e servizi di
una piccola e media impresa italiana in modo innovativo, adeguandoli alla complessità dell’epoca che
viviamo.
Il contesto
Da una serie di esperienze e riflessioni è emerso infatti che il processo per realizzare e vendere un
prodotto/servizio vive una contraddizione notevole
poiché è impostato in modo settoriale e “lineare”,
senza tener conto della complessità della realtà a cui
è destinato. Da una modalità che affidava il mobile
al falegname, il materasso e le lenzuola al commerciante, la pittura della camera al pittore, si è passati
alle imprese di progettazione e costruzione, all’uso
avanzato di tecnologie, alla partecipazione dei fruitori,
7 La strategia Europa 2020 prevede tre priorità: Crescita intelligente, ovvero
basare lo sviluppo economico basato sulla conoscenza e sull’innovazione;
Crescita sostenibile, ovvero promuovere un’economia più efficiente, più verde
e più competitiva; Crescita inclusiva, ovvero promuovere un’economia
che consenta un alto tasso di occupazione e favorisca la coesione sia tra
le persone sia tra i territori. In questo ambito cinque sono gli obiettivi da
raggiungere entro il 2020:
• un lavoro per il 75% delle persone tra i 20 e i 64 anni;
• il 3% del PIL europeo investito in ricerca e sviluppo;
• il 20/20/20 in tema di clima e energia;
• almeno il 40% dei giovani devono essere laureati e meno del 10%
abbandonare la scuola;
• il rischio povertà deve diminuire per almeno 20 milioni di persone.
8 Vedi:
http://italia2020.wordpress.com/2012/12/04/obiettivi-strategiaeuropa-2020-litalia-a-che-punto-si-trova/
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all’elaborazione dei progetti, alla sensibilità per il rispetto dell’ambiente. Per qualsiasi prodotto/servizio
non bastano più il tagliatore, l’elettricista, l’ingegnere,
l’architetto – presi singolarmente –, ma è necessario
riqualificare l’organizzazione e i processi, coinvolgendo équipe multidisciplinari e spesso anche multiculturali che, una volta chiarito l’obiettivo da raggiungere,
lavorino in forme integrate costituendo una rete tra
committenza, progettazione, realizzazione e vendita e
mettendo a diposizione del progetto, nella sua complessità, il singolo know-how specialistico e rendendo
così possibile la realizzazione dell’intervento. Questo,
dunque, sarà non la semplice somma di diversi addendi, ma una funzione complessa primaria, integrata
a sua volta da una funzione secondaria, derivante e
conseguente dalla primaria. In altre parole, Fp + Fs =
FI (Fp è la funzione primaria, Fs la funzione suppletiva
e FI la funzione che determina l’intervento) e dove Fs
= Fp + s e dove s è generato automaticamente dal
livello di complessità e di integrazione quali-quantitativa di Fp.9 Un segnale importante in questa direzione
fu lanciato dal fisico Anderson quando nel 1972 pubblicò un articolo dal titolo più che indicativo, More is
different, nel quale sottolineava come l’intero è non
solo di più, ma anche molto diverso dalla somma
delle parti e come sia fondamentale comprendere i
comportamenti nuovi derivanti dalla composizione di
parti in un sistema complesso.10
Se si analizza la definizione classica di organizzazione di un prodotto/servizio – che vale sia per
la realizzazione di un mobile, sia per la vendita di
agroalimentari in un negozio, sia per la realizzazione
9 CIPOLLINI C. (2011) La mano comlessa. Condivisione e collaborazione
per lo sviluppo dei territori . ETS Edizioni. Pisa
10 ANDERSON P.W. (1972), More is different, in “Science”, n.s., 177, 4047,
pp. 393-6.
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
gioiello – si ritrovano in essa le fasi ormai storicamente consolidate: progettazione, tempi, risorse, budget
ecc. E questo schema di riferimento può essere adottato per qualsiasi tipologia di oggetto o di attività da
progettare, al limite anche per preparare un pranzo,
che richiede anch’esso di prendere in considerazione
obiettivi, vincoli (padelle disponibili, numero di fuochi,
ingredienti, ristoranti aperti ecc.), risorse necessarie
(cuoco, camerieri e soldi da spendere), tempi (domenica prossima o stasera), qualità (pollo del supermercato o tartufo e champagne). Ma se preparare una
cena è una questione di inventiva e organizzazione,
cucinare un buon piatto è un vera e propria attività
integrata. Spaghetti, olio, aglio, vongole, sale, peperoncino e acqua: bastano per fare un buon piatto si
spaghetti alle vongole? No di certo. Serve altro: serve
la capacità di scegliere gli ingredienti adatti, di saperli
cucinare nei tempi giusti, di mescolarli con le modalità
e nel momento adeguato. Ed ecco che un insieme di
ingredienti, progettati e realizzati nei modi e nei tempi
giusti, diventa un sistema unico. La necessità di elaborare un nuovo approccio per realizzare un prodotto/servizio nasce, pertanto, dalla considerazione che
la vecchia (e purtroppo ancora utilizzata) modalità ha
ormai rivelato la sua totale inadeguatezza a rispondere alle istanze non solo dell’ambiente, ma soprattutto
delle persone, dei loro bisogni e desideri. Sono questi
in primo luogo a essere profondamente mutati e di
stare mutando sempre di più e sempre in più, almeno nelle società cosiddette avanzate, dove i bisogni
primari sono stati ormai sostanzialmente soddisfatti,
così come è stato abbattuto lo zoccolo duro dell’ignoranza. Le esigenze personali si sono diversificate
e sono divenute più complesse: non solo mangiare,
dormire, vestirsi, ma anche, e sempre più, conoscere, informarsi, viaggiare, divertirsi (nel senso completo
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ed epicureo del termine), fare esperienze e crescere
spiritualmente e culturalmente. Il lavoro, d’altra parte, sta divenendo sempre più un’attività svolta sì per
necessità, ma anche per il piacere e la passione di
dedicarsi a qualcosa di voluto e non solo dovuto.
Occorre però mettere a punto strumenti e approcci
che ci consentano di “processare” l’obiettivo atteso,
di analizzarne i contenuti, per consentire a ciascuno
di vivere pienamente la propria vita in questa società
che è un patchwork indefinibile e incerto. Una società
che vive in un’epoca dove il tempo – ricordando la
metafora di Popper – non si misura con gli orologi – figli dell’era moderna, di Newton e delle macchine teoricamente perfette –, ma con le nuvole che cambiano
a ogni istante, che a ogni istante disegnano forme
familiari e sconosciute, sogni e realtà, cambiando forma e colore, spessore e luminosità. Come annotano
Hawking e Mlodinow : «Siamo noi a creare la storia
con la nostra osservazione, e non la storia a creare
noi».11 Traducendo dalla fisica alla creazione e realizzazione e vendita di un prodotto/servizio anche qui
non può esistere “la legge”, “il manuale”, ma approcci
e metodi di interventi logici e coerenti nei diversi contesti spaziali, ambientali e temporali di intervento. La
funzione dell’imprenditore, si trasforma allora da “predefinita nello spazio” ad “adattata al tempo”. Queste
figure non sono più realizzatori di prodotti/servizi, ma
facilitatori di esperienze personali, di desideri di vita. Il
prodotto e il servizio diventano utilità temporanee per
consentire a ognuno di esercitare e esprimere una
propria esigenza. Facilitare esperienze e trasformazioni a ognuno. Cambia sostanzialmente il ruolo dell’imprenditore. Cambia il relativo approccio al processo
di ideazione, realizzazione e vendita del prodotto/ser-
vizio. La sostenibilità ambientale ed economica, figlia
delle nuove sensibilità e degli allarmi lanciati dagli anni
settanta del secolo scorso, interagisce in un sistema
di intervento il cui grado di complessità è aumentato
con l’inserimento, insieme alle esigenze collettive appunto ecologiche e finanziarie, di quelle empatiche e
nello stesso tempo (o in tempi diversi, è lo stesso) di
quelle dell’individuo, del suo presente, ma anche del
suo passato e del suo futuro. Contemporaneamente.
Agli inizi del terzo millennio ci troviamo di fronte a una
realtà culturale e socio-economica che vede terminati
i bisogni del mangiare, dell’alloggio, si consuma, si
viaggia, spesso si sperpera come ricorda Melograni
12
. Non esistono più Stati, istituzioni, partiti, ma sempre più movimenti globali che mettono in rete persone
che hanno interessi comuni, ovvero che sostengono
tesi ideali e politiche condivise per un futuro migliore
quali sono il movimento dei verdi e quello delle donne. (Bauman, Touraine) 13. Vivere giorno per giorno,
vivere l’“attimo fuggente”, è l’unica strategia possibile dell’«uomo desideroso di libertà» di Bauman, che
esalta l’indipendenza da ogni legame e la liberta massima di movimento per essere sempre pronti a adeguarsi alla realtà che incontriamo14. Siamo nell’inferno
o in paradiso? Io credo che siamo usciti da un’epoca
dove pensavamo di poter raggiungere il paradiso,
stiamo sull’orlo dell’inferno, ma, se siamo umili e accorti possiamo mettere i piedi per terra! In altri termini
da almeno venti anni il sistema economico, sociale e
ambientale con il quale abbiamo costruito successi e
sviluppato redditi e conoscenze negli ultimi duecentocinquanta anni si è andato sempre più sgretolando
11 HAWKING S., MLODINOW L. (2011), Il grande disegno, Mondadori,
Milano.
14 BAUMAN Z. (2002), Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori,
Milano. p. 98
12 MELOGRANI P. (1996), La modernità e i suoi nemici, Mondadori, Milano
13 BAUMAN Z., TOURAINE A. (2010), Migranti, messaggeri d’ignoto, in
“Reset”, luglio- agosto.
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e ridefinendo e ancora oggi non ha individuato nessuna nuova certezza, ma neanche nuovi equilibri benché labili. Eravamo quasi 800 milioni nella metà del
Settecento, anni nei quali furono messe a punto le
teorie sociali e economiche che hanno poi dominato
e producevamo e distribuivamo beni e prodotti, ma
anche libri e lettere, utilizzando cavalli e navi a vela
che impiegavano ore e gironi se non mesi per arrivare
a pochi o a migliaia di chilometri; oggi siamo 7 miliardi
e inviamo i prodotti in aereo, treno, auto o via internet impiegando al massimo 1 giorno se non pochi
attimi; siamo passati da due a venti potenze e micro
potenze economiche; è stato sconfitto il fascismo e
il comunismo e il capitalismo presenta variegate aree
di crisi; l’economia e i mercati si sono completamente globalizzati; i livelli di alfabetizzazione culturale si
sono notevolmente accresciuti nella media e hanno
raggiunto alti livelli nei paesi occidentali; le tecnologie
– o come forse meglio lo definisce Kelly il technium
quando afferma che la “tecnologia vuole quello che
vogliamo noi, la stessa lunga lista di meriti cui tanto
aspiriamo” 15– si è radicato e diffuso; la multimedialità
e il digitale hanno rivoluzionato tutti i sistemi di apprendimento e informazione oltre che di produzione;
abbiamo iniziato a comprendere che la Terra rischia
di non sopportarci più e che quindi dobbiamo divenire sostenibili noi e i nostri prodotti, servizi e azioni
materiali16. Alcuni filosofi, economisti, biologi e altri ex
specialisti la chiamano era postmoderna. Altri, o gli
stessi, la definiscono l’era della complessità e dei sistemi. Altri ancora, o alcuni degli stessi, dibattono da
anni, , sul ruolo e il potere assunto dalla Tecnica (con
15 KELLY K. (2011), Quello che vuole la tecnologia, Codice, Torino.p.277
16 La sostenibilità ambientale, sociale e economica deve consentire l’
“equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere
la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie” Rapporto
Brundtland. 1987
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
la T maiuscola), iniziando da Anders 17 che definiva
l’uomo antiquato in quanto incapace di governare le
macchine, anzi in rivalità con loro. Certo è che non è
più l’epoca della settorializzazione e del riduzionismo
e delle specializzazioni autoreferenziali. É tutto interrelato e a sistema.
Verso un progresso condiviso?
In questo quadro complessivo, si stanno affacciando sia nuovi modelli di riferimento, sia focalizzazioni specifiche sulle nuove interazioni e rapporti tra
impresa e cliente. Per quanto riguarda gli approcci
e le linee di riferimento per “esplorare i territori sconosciuti” la condivisione sembra essere uno degli
strumenti più attendibili e utili su almeno tre fronti.
Quello delle interrelazioni tra persone 18 e attori dell’agire quotidiano (imprese, imprese sociali e amministrazione pubblica) vede in un rapporto basato sulla
fiducia e sulla capacità di essere reciproci una grande
potenzialità, come approfondirò anche in seguito 19.
Quello tra i generi ha confermato, perlomeno nei paesi del Nord Europa, e ancora con tanta diffidenza in
Italia, che l’integrazione tra le caratteristiche femminili
e maschili consente di gestire in modo migliore (con
tassi percentuali a due cifre) i processi di governance
e di sviluppo sia pubblici sia privati e imprenditoriali.
Quello tra le identità culturali delle persone riconosce
nell’integrazione tra le culture e le tradizioni una base
più solida e complessa di riferimento per un progresso
17 ANDERS G. (1963) L’uomo è antiquato. Il Saggiatore. Milano
18 A tal proposito interessanti le tesi, tra cui quella del minor costo oggi,
grazie alle reti fisiche e virtuali, della cooperazione tra le persone di Benkler.
BENKLER Y. (2001) The penguin and the leviathan. How cooperation triumphs
over self-interest. Crown Business. New York
19 A tal proposito interessanti gli studi condotti sulle interazioni tra biologia,
morale e benessere sociale. A livello sperimentale neuroendocrinologico
negli studi delle interazioni ormone-cervello è stato infatti dimostrato come
nei mammiferi l’organizzazione neuronale focalizzata sul proprio benessere
si è modificata per stimolare il benessere degli altri. Vedi a tal proposito
Churchland P.S.(2012) Neurobiologia della morale. Raffaello Cortina. Milano
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sostenibile e per una felicità di tutti. E’ Romano che,
a tal riguardo, nella sua analisi sulle città europee, riesce a concettualizzare quello che sta succedendo e
uno scenario positivo in prospettiva: “... vedo anche
gli europei abbarbicarsi smarriti alla loro civiltà alla deriva, li vedo tornare a trovare un conforto nella loro
antica urbs, li vedo ansiosi nelle periferie delle loro
città – che in altri continenti non sgomenterebbero
nessuno –, li sento assediati da immigrati non europei
che di questa nostra civiltà non sanno nulla e nulla
sapranno, li sento forse travolti da una mutazione che
non sono più in grado di avvertire e controllare. Forse, invece, come l’araba fenice questa nostra civitas
riprenderà a vivere fortificata proprio dal confronto
con altri mondi, forse i cittadini europei ritroveranno il
conforto dei muri dell’urbs e, rassicurati della propria
identità nell’esserne prima di tutto cittadini, affronteranno con qualche maggiore certezza il loro futuro.”20
Una condivisione e interrelazione sistemica che vede
nel corpo e delle attività e funzioni interconnesse tra i
vari organi, la metafora a noi più vicina.
Nello specifico dei temi sociali e economici i
modelli sono basati su formule innovative sotto certi
aspetti e postmoderne sotto altre (intendo dire che
riprendono e innovano teorie e prassi già esposte
o praticate nei secoli scorsi) di interrelazioni umane
accompagnate da una rilettura della “mano invisibile” di Smith. Mi riferisco al filone dell’economia civile
così come al dibattito avviato sul post-capitalismo.
Se infatti da un lato i primi propugnano nuove forme
di mercato basate sulla ri-scoperta del dono e della
gratuità delle persone e rafforzano molto il concetto
di bene comune (Zamagni e Bruni per esempio21), rivisitando le teorie del Genovesi e di altri autori della
20 ROMANO M. (2010), Ascesa e declino della città europea, Raffaello
Cortina, Milano. p. 197-198
21 BRUNI L, ZAMAGNI S. (2004) Economia Civile, Il Mulino. Bologna
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
Napoli e dell’Italia del Settecento e le prassi francescane, dall’altra si sente ormai come improrogabile
reinventare il capitalismo e innescare una nuova crescita, integrando il concetto di progresso economico
e progresso sociale, sostenendo che è l’intera società
attuale suddivisa in pubblico e privato, amministrazione della cosa pubblica e imprese private, ma anche
imprese sociali, che deve rivisitare le loro attuali posizioni e interazioni considerando il progresso come
una obiettivo unitario e integrato e non come derivata
di una lotta tra opposte concezioni, tra permessi e
licenze, tra profitto e rendicontazione sociale. (Kramer e Porter, Tapscott e Williams tra gli altri)22. Sono
concetti innovativi. Sono segnali ancora non molto
vistosi che però iniziano a far intuire alcuni possibili
nuovi percorsi, nuovi comportamenti, nuove fedeltà.
Collaborazione, empatia, assertività, sociale, qualità,
rete, sistemi, integrazione, indipendenza, sono alcuni
ingredienti di questi percorsi ancora da costruire. Servono e danno comunque un significato per adeguarsi
alla complessità dell’attuale periodo storico e iniziano
a caratterizzare la nuova persona che si va trasformando dove impegno, condivisione, integrazione e
olismo ci riporteranno a una nuova partnership con
la natura.
Servono e danno comunque un significato per
adeguarsi alla complessità dell’attuale periodo storico nonché alle caratteristiche della postmodernità
e iniziano a caratterizzare la nuova persona che si
è andata trasformando descritta da Rifkin23: l’epoca
moderna ha permesso di accelerare le comunicazioni
interpersonali, di riempire di informazioni e contenuti
22 TAPSCOTT D., WILLIAMS A.D. (2010), Macrowikinomics, Rizzoli, Milano;
PORTER M., KRAMER M. (2011), Creare valore condiviso, in “Harvard
Business Review Italia”, 1-2, gennaio-febbraio.
23 RIFKIN J. (2000), L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy,
Mondadori, Milano.
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le reti e le comunità di persone attraverso l’ideazione
e la realizzazione di infrastrutture, macchine e tecnologie mai viste prima. E così Bruni ci da la definizione
postmoderna di bene comune nel suo ultimo libro
dove afferma: “Il dato nuovo e cruciale , è che con
l’inizio del terzo millennio, siamo entrati, decisamente
nell’era dei beni comuni, una fase della storia dell’umanità che da un certo punto di vista è inedita (per le
dimensioni del problema certamente), (...) In questa
nuova era, i beni economici e sociali decisivi per la
qualità della vita sulla terra, e forse per la sua stessa
sopravivenza, sono e saranno beni utilizzati contemporaneamente da tanti, da tutti in alcuni casi (ad es. lo
strato di ozono), e che sottostanno a leggi ben diverse da quelle che regolano la produzione e il consumo
dei beni privati, quelli studiati dalla scienza economica in questi due secoli”24. D’altro canto, tornando al
concetto lanciato da Porter e Kramer sulla necessità
di creare valore condiviso per ripartire, è lo stesso Rifkin25 che sintetizza i vantaggi e gli svantaggi di stare
in rete, non solo dal punto di vista economico, ma
anche emotivo: “La rete impone, a chi vi partecipa, la
rinuncia ad una parte della propria autonomia e della
propria sovranità; d’altro canto la spontaneità e la creatività che “germogliano” in un ambiente cooperativo,
offrono ai partecipanti un vantaggio competitivo della nuova economia high tech. Le conseguenze sono
quelle di un’onda che permea ogni giorno sempre più
il nostro agire, facendoci rendere conto in ogni campo che possiamo ottimizzare – ma non rendere perfetto – il risultato desiderato attivando le reti di relazioni e non più la proprietà del nostro individualismo.”
È quanto ribadiscono, passando dal mondo del business a quello più generale e totale dell’intero globo,
24 BRUNI L. op.cit. pag. 70-71
25 RIFKIN J. Op.cit. p.32
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
Tapscott e Williams quando affermano che le imprese
potranno prosperare in futuro se faranno propri i principi della collaborazione, apertura, condivisione, integrità e interdipendenza, principi fondamentali per tutti
per andare verso un mondo sostenibile socialmente, ambientalmente e economicamente. Quindi nessuna impresa potrà fare a meno di essere in rete in
modo consapevole, essendolo già nella realtà anche
se spesso negata. Fornitori, infrastrutture, clienti, ma
anche scuole, università, ospedali, sono tutti agenti
diretti e indiretti della rete di riferimento. E allora tanto
vale far venire allo scoperto tali trame e connessioni e
renderli propositive e propulsive. Porter e Kramer citano peraltro alcuni esempi come quello della Nestlé
per il caffè Nespresso, della Yara (la più grande azienda al mondo per i fertilizzanti) e del Research Triangle
(IT e scienze naturali) che in contesti geografici diversi
(America Latina, Africa e Stati Uniti) hanno avviato o
valorizzato il loro business favorendo l’infrastrutturazione dei territori, la collaborazione e la formazione
di cooperative e condividendo programmi di sviluppo con la pubblica amministrazione. Le aziende, una
volta trovate le carenze, devono – sempre in un’ottica
imprenditoriale individuare le forme di condivisione
con chi – imprese, non profit e la stessa amministrazione pubblica - è in grado per competenza e funzione di svolgerle meglio. Il vantaggio sarà reciproco e
condiviso tra i nuovi protagonisti dello sviluppo che si
interreleranno orizzontalmente in organizzazioni “piatte”: persone, imprenditori, volontari e amministratori
pubblici. I profitti e i vantaggi saranno di ciascuno. In
una fase storica come quella attuale infatti, gli scenari prospettati devono e possono essere perseguiti,
ma soprattutto la scarsità delle risorse economiche
ci deve portare a condividere tra istituzioni programmi e obiettivi massimizzando i costi e i benefici degli
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interventi e minimizzando i relativi costi, competenze
e ruoli. Ancora troppo spesso sovrapposti e “autobloccanti”. Persone che rappresentano interessi di
imprese profit e non profit, persone che governano
il processo di intervento, persone che domandano:
emerge con forza la necessità di un approccio sistemico per contemperarne gli input e gestirne gli output, ottimizzando – per quanto possibile – risorse e
risultati attesi. La prospettiva positiva e ottimistica è
quella di arrivare a condividere esigenze e bisogni del
particolare per risolverli nel generale.
Uno scenario che potrebbe precludere una
sorta di economia condivisa, dove i protagonisti della
produzione di beni, servizi e di esperienze sono imprese profit e quelle a “movente ideale”26, che condividono insieme alle amministrazioni pubbliche programmi e obiettivi per poi suddividere responsabilità
e compiti, in un ambiente competitivo e collaborativo
insieme. E per ognuno i suoi ritorni attesi.
Questo in un quadro dove, nello specifico
dei rapporti tra imprese e gente, ogni persona tende sempre più a ricercare esperienze per contribuire
alla propria trasformazione personale e sociale, oltre
che economica, e dove conseguentemente le imprese devono rivisitare le proprie modalità e i propri
approcci integrando ideazione, produzione e vendita
verticalmente e orizzontalmente in reti e sistemi adattivi sempre più complessi. A tal proposito Toffler27 già
venticinque anni or sono dichiarava che i “creatori di
esperienze” avrebbero costituito in breve un settore
fondamentale dell’economia, e che quindi si sarebbe giunti, per la prima volta nella storia, a mettere a
punto tecnologie per fabbricare l’esperienza umana.
Soddisfatti, almeno nei paesi occidentali e non solo, i
26 BRUNI L. SMERILLI A. (2011) La leggerezza del ferro. Un’introduzione
alla teoria economica delle «organizzazioni a movente ideale». Vita e pensiero.
27 TOFFLER A. (1988), Lo choc del futuro, Sperling & Kupfer, Milano.
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
bisogni, ci si sta dedicando ai desideri, così come dai
prodotti industriali si è passati ai servizi e ora ci si sta
concentrando sulla produzione e la vendita di esperienze. Nel secondo dopoguerra, poi, rifacendosi alla
psicoanalisi e alla sociologia, vari autori introdussero il
concetto di “teatralizzazione nelle attività d’impresa”:
Goffman28, ad esempio, applicava la metafora del teatro, della sceneggiatura, ai comportamenti quotidiani delle persone. Da qualche decennio stiamo entrando in una nuova realtà: un “mondo allargato” – parafrasando Prigogine – nel quale dovremo gestire non
obiettivi certi da raggiungere, ma processi in divenire
verso possibili scenari desiderati. Un mondo dove,
per Baudrillard (1980), il gioco dei sensi eliminerà la
realtà. Un mondo dove le esperienze che vorremmo
fare sono sempre e comunque mediate da tecnologie di produzione e riproduzione delle differenti società. Un nuovo driver prende peraltro sempre più il
sopravento: la domanda della gente. Domanda che
non esprime soltanto più bisogni, ma anche, e sempre più, desideri, che diviene obbligatorio soddisfare
in quanto insiti nella domanda stessa. «Il passaggio
ulteriore [...] è verso il nuovo paradigma dell’esperienza nell’agire del consumo», osserva Fabris.29 Pine II
e Gilmore30 sostengono la tesi che l’economia esperenziale è e sarà la quarta forma dopo le commodity, i prodotti e i servizi. La nuova gente postmoderna
vuole infatti acquistare non solo più prodotti e servizi, ma esperienze da ricordare e utili ai propri fini
di trasformazione personale, oltre che sociale e economica. Risponde Rifkin (2000) sostenendo come il
nuovo prodotto sia l’accesso al tempo e alla mente,
28 GOFFMAN E. (1997), La vita quotidiana come rappresentazione, il
Mulino, Bologna
29 FABRIS G. (2009), Societing. Il marketing nella società postmoderna,
Egea, Milano
30 PINE B.J., GILMORE J.H. (2000), L’economia delle esperienze, Etas,
Milano.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
la “compravendita di esperienze umane”. Non più
quindi “che mi serve?”, ma “cosa provo?” Lo scenario che si va delineando in modo sempre più netto,
in un divenire continuo, è dunque il palcoscenico su
cui “recitare” la propria vita e dove le imprese devono recitare la propria vendita dei prodotti. Stimolando
così comportamenti empatici, il genere umano, ormai
Homo urbanus, andrà verso un sistema di relazioni
che da sole creeranno condizioni di progresso ben
più ricche di quelle mai generate finora. Dunque, le
persone per le quali si progetta, si realizza un prodotto o un servizio stanno cambiando: non sono più
soltanto il risultato dell’era moderna, non si richiamano più a certezze religiose, ideologiche e culturali. Le
regole fisse, i manuali, le leggi stesse, non servono
più per indirizzare e controllare le azioni degli individui,
ma dovrebbero poter mutare per lasciarli liberi di agire responsabilmente. Ancora Rifkin definisce questo
“nuovo individuo” come un essere proteiforme (con
riferimento ai diversi aspetti e forme che Proteo, la
divinità marina della mitologia greca, poteva assumere). Siamo quindi di fronte a persone che esprimono
desideri, che chiedono servizi, prodotti, infrastrutture,
che non sono più le stesse di venti, trenta anni or
sono. Sono persone che, secondo Pine e Gilmore –
stanno diventando esse stesse il prodotto. Accanto
alle “imprese delle esperienze” si pongono ora, infatti,
le “imprese delle trasformazioni”, quelle attività che,
dopo aver venduto alle persone la possibilità di fare
esperienze, consentono loro, nel divenire, di trasformarsi. I dati economici esposti da Pine e Gilmore dimostrano come il tasso di crescita del PIL nominale
e dell’occupazione negli Stati Uniti dal 1959 al 1996,
riguardante il tema delle “esperienze” e delle “trasformazioni”, sia superiore a quello dei “beni” e dei “servizi”, e come lo stesso indice dei prezzi al consumo sia
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
salito ben di più per queste due aree economiche. La
traduzione nel concreto dei riferimenti per il committente di questo nuovo individuo che sta crescendo ce
la fornisce infine Bauman31 attraverso la metafora del
turista e del vagabondo e dei loro bisogni e desideri
reali. In essa il primo rappresenta la personificazione
della persona che cerca di “evitare come il fuoco tutto ciò che esiste per sempre, nei secoli dei secoli e
finché morte non ci separi”. E proprio perché turista,
il nostro nuovo individuo viaggia leggero con oggetti
“usa e getta”, pronto a muoversi secondo bisogni e
sogni, non decidendo quasi mai quanto fermarsi in un
luogo, con l’obiettivo di viaggiare e non di percorrere
un tragitto prestabilito, come il pellegrino. E quando si
ferma «il luogo della sosta è un accampamento, non
una dimora” il suo mondo è fatto di “vedute non di
forme»32, non sta a casa per sua scelta. All’opposto
c’è chi invece non vuol viaggiare, ma è costretto a
farlo dagli eventi e dalle circostanze esterne, e non
per sua scelta. Questo è il vagabondo, la cui libertà
è quella di non spostarsi, di stare a casa “repliche
distorte e menomate di una specie nuova, che si è
adattata alle esigenze del nuovo mondo postmoderno”. Il turista è mosso dal cuore, dal desiderio di sperimentare e innovare per trasformarsi; il vagabondo si
muove solo perché costretto, quando viene licenziato. Due figure che Bauman usa come metafore dei
due opposti che oggi popolano sempre più il mondo.
Due opposti frutto di una certezza – siamo tutti, oggi,
“viaggiatori-attraverso-la-vita” – e di un’unica variabile, che è la “libertà di scelta dei percorsi esistenziali”.
E quindi il turista perfetto diviene indispensabile per
il vagabondo senza futuro, e viceversa; sono specchio e stimolo l’uno dell’altro. Il nuovo bene e il nuovo
31 BAUMAN Z. (2009), L’arte della vita, Laterza, Roma-Bari. p.99
32 ivi, pp. 100-1
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
male. Lo yin e lo yang. Sono loro due i nostri abitanti, i nostri consumatori e acquirenti dei negozi, centri
commerciali, i nostri colletti bianchi e blu che vivono
parte del loro tempo negli uffici e nelle fabbriche e a
cui piace tanto andare a teatro.
Al nuovo prodotto-cliente-turista servono
quindi servizi e prodotti riqualificati e rinnovati, che
gli consentano di vivere l’esperienza desiderata per
potersi trasformare. È lui la persona da inseguire per
realizzare il nuovo mondo postmoderno; lui e la sua
rete di interrelazioni, che compongono di volta in volta
sistemi che si adattano alle esigenze e ai desiderata dei membri di ciascuna comunità di interessi. Per
il vagabondo – finché esisterà – bastano prodotti,
oggetti, servizi moderni, dotti di tutto di cui ha bisogno, ma che non gli consentiranno mai di realizzare
un sogno reale: cambiare. Allora il paese, la città, la
campagna non sono più il luogo fisico dove stare stabilmente e “legati”, ma sempre di più un’opportunità
per muoversi quando si vuole e come si vuole per
fare nuove esperienze, oggetto e soggetto di un divenire continuo, dove il driver di riferimento fondante
è il tempo governato dalla legge di Heisenberg. “Ciascuno si costruisce il proprio itinerario formativo, la
propria religione, il proprio lavoro, i propri rapporti sociali, la propria vita affettiva, il proprio credo politico,
i propri abiti di vita.” 33 Se la tesi di Pine e Gilmore è
realistica – e da un decennio in effetti buona parte
dell’economia dei paesi più avanzati si è andata dirigendo verso il quarto stadio previsto dai due autori
–, allora la progettazione e la realizzazione dei prodotti e dei servizi offerti dalle imprese e ancor più da
quelle piccole degli artigiani e dei commercianti dovranno adeguarsi, offrendo alle persone occasioni di
fare esperienze, ovvero resisteranno per alcuni anni
finché anche l’ultimo vagabondo non si arrenderà. Il
cliente è il terminale dell’economia esperienziale – in
particolare per le aziende che già offrono prodotti e
servizi mirati al singolo cliente, alla sua esperienza
unica e irripetibile – al tempo stesso egli si identifica
anche con il progetto, con l’intervento. A Owatonna,
nel Minnesota, da Cabela’s c’è uno spazio di 14.000
metri quadrati dove si vende – oltre agli articoli relativi – l’esperienza della caccia, della pesca e della
vita all’aperto: colline alte 10 metri, cascate, oltre 100
animali imbalsamati, un angolo per ammirare i Big
Five (leone, elefante, leopardo, rinoceronte e bufalo),
sogno e desiderio di ogni cacciatore, tre acquari con
pesci in cattività. E a New York, Hollister, una catena
di negozi di abbigliamento, ha realizzato uno spazio
che il cliente può “vivere” come uno stabilimento balneare sulle rive dell’oceano in California: acqua vera
che scorre e acqua iperreale, filmata e fotografata,
costumi, asciugamani, bagnini e bagnine interpretati
da ragazze e ragazzi in costume da bagno. Un’esperienza unica, tanto più se vissuta nel glaciale inverno
newyorkese. Altri esempi interessanti sono stati ripresi da Sfodera34 nel libro sul marketing esperenziale: la
libreria a Cerritos in California, il negozio Prada a New
York e il Mid Columbia Medical Center a The Dalles
in Ohio i più interessanti. Il flagship store Prada, per
esempio, viene aperto a Soho nel 2001 in una superficie di 4.000 metri quadrati con l’obiettivo di offrire al
cliente-visitatore un luogo di incontro e di socializzazione dove vivere e condividere la brand experience
di Prada. Il cliente non si reca presso il Prada Epicenter solo per il gusto di visitare un luogo di vendita:
qui, infatti, può imparare, può coltivare se stesso, può
33 AMENDOLA G. (2003), La città postmoderna. Magie e paure della
metropoli contemporanea, Laterza, Roma-Bari (nuova ed.) p. XXI
34 SFODERA F. (2010), Marketing esperienziale tra evoluzione e applicazione,
Morlacchi, Perugia.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
entrare in contatto con la merce e con i materiali di
realizzazione. Lo spazio così realizzato permette di
offrire un’esperienza che stravolge il rapporto con il
cliente, poiché tutto è stato pensato e realizzato per
far vivere un’esperienza unica, far sentire ogni cliente
una persona che vive nel suo spazio e nel suo tempo
emozionandosi e gratificandosi.
E le imprese?
In questo quadro di incertezze e di “imprevisioni” occorre cogliere l’attimo fuggente e, consapevoli dell’imprevedibilità del futuro, agire sulle certezze
del presente. Per questo girare i territori, incontrare
imprese e amministratori pubblici e volontariato è altrettanto indispensabile quanto osservare dall’estero
come ci si muove e analizzare numeri e statistiche per
comprendere che soluzioni trovare. Lo è certamente
– e se poi qualche statistica ce lo conferma è meglio –
per capire quali leve muovere per consentire alle PMI,
specie del Mezzogiorno, per tornare o andare verso
una crescita adeguata.
E di peccati negli anni passati, da questo punto di vista, ne sono stati commessi parecchi. O forse
sarebbe meglio chiamarli imprudenze e ignoranze. E
in Italia molte di più di quelle commesse in Germania,
Francia, Olanda o Svezia – come la stessa Commissione Europea ha affermato nel testo riportato in precedenza - e forse un po’ di meno di quelle commesse
in Grecia, Spagna e Portogallo. E allora, considerata
la grave crisi che sta imperversando, forse, vale la
pena rompere un pò di tabù e provare a trovare nuove strade per crescere per un progresso sostenibile,
infrangere alcuni muri, spesso di gomma, cose che
finora non sono state fatte abbastanza. I tabù sono
quelli del digitale, della rete, dell’identità e qualità, della sostenibilità, della semplificazione e della cultura e
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
innovazione. Sette tabù che a loro volta sono un sistema in rete.
Il tabù del digitale va rotto per interrompere
quell’ignoranza e quella mancata fiducia nelle tecnologie e avere l’opportunità di adeguare l’approccio
mentale e culturale del piccolo artigiano e imprenditore verso metodi più sistemici e complessi. E allora
commercio elettronico per vendere a imprese e persone in giro per il mondo e acquistare materie prime
e servizi, internet per analizzare soluzioni e progetti
della concorrenza, conoscere i risultati dei centri di
ricerca, trovare collaboratori e partner qualificati, farsi
conoscere tramite i social network, seguendo l’esempio del tassista che lavora all’aeroporto della Malpensa e ha clienti in giro per l’Europa che si prenotano e
pagano sul suo sito personale E i suggerimenti che
tra gli altri ha evidenziato Granelli nell’integrazione tra
la leggerezza del digitale e la concretezza e corporeità dei materiali utilizzati dall’artigiano35. Poi c’è il tabù
della rete, ovvero di convincersi a fare rete con altre
imprese per ottimizzare costi e capacità produttive,
possibilità di vendita sui mercati globali e una migliore
logistica.
Bisogna fidarsi certo, ma da due anni c’è anche una legge che aiuta e consente migliori prestazioni a ogni singola azienda. Condividere e collaborare
tra imprese, cosí come con l’amministrazione pubblica e le organizzazioni non governative cosí come
con le persone, è la nuova strada da percorrere per
trovare le nuove soluzioni per un progresso più sostenibile e meno incerto. Altro tabù è quello dell’identità e della qualità. In un’economia globalizzata, dove
i prodotti a largo consumo vengono ormai prodotti
nei paesi emergenti, per essere competitivi le imprese
35 GRANELLI A. (20010) Artigiani del digitale. Come creare valore con le
nuove tecnologie. Luca Sossella, Bologna.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
necessariamente devono focalizzarsi sulla capacità di
esaltare l’identità della provenienza dei loro territori
così come ancora di più sulla qualità dei loro prodotti e dei loro servizi. Identità che per un paese come
il nostro significa valorizzare non solo le produzioni
agricole, agroalimentari e enogastronomiche o quelle
artigianali, il design, ovvero le produzioni tipiche della
nostra tradizione industriale quali la moda, la casa,
ma mettere a disposizione di turisti e gente straniera e
italiana la possibilità di fare un’esperienza, di esaudire
un desiderio, di conoscere e apprezzare un prodotto,
un servizio, una storia sì, ma anche una visione del futuro. Ma qualità vuol dire anche, e in Italia e nel Mezzogiorno sopratutto, il coraggio e la capacità di integrare nel processo produttivo le donne e di investire
sui giovani. Sono due elementi fondamentali e caratterizzanti imprescindibili per innovare gli approcci e le
modalità strategiche di un’impresa. Sono competenze e esperienze diverse e da integrare per rendere le
nostre aziende competitive sui mercati internazionali,
così come la nostra amministrazione pubblica adeguata alla nuova era.
C’è poi il tabù della sostenibilità da rompere
con una certa urgenza, stante la criticità convergente sia degli aspetti ambientali, sia di quelli economici
e sociali. Continuare a perseverare nell’affrontarli in
modo separato nega sia l’evidenza della necessita di
un approccio complessivo e sistemico tra le tre variabili, sia la stessa impossibilità di risolvere da solo ciascun problema. Fitoussi non a caso ha recentemente
ricordato36 che neanche abbiamo ancora indicatori
che la misurano e quindi siamo in grado tanto meno
di poterla programmare e progettare.
Ma tra solo meno di quaranta anni saranno
ben dieci miliardi gli esseri umani che dovranno e
36 Il Sole 24 ore . 8 giugno 2012
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
vorranno ogni giorno mangiare, camminare, comunicare e per questo consumeranno acqua, aria, terra.
Basterà? Molti ne dubitano, e nel dubbio forse è il
caso di prendere qualche misura sostenibile. E questo significa pianificare e progettare prodotti e servizi
non solo sostenibili economicamente (il che dovrebbe valere sempre per un’impresa, ma ormai anche
per un’amministrazione pubblica), ma sopratutto ambientalmente e socialmente. E non con un approccio
separato, ma unitario e integrato. E non solo per le
imprese, ma per tutti, iniziando proprio dall’amministrazione pubblica e dall’educazione nelle scuole.
Ma ecco uno dei tabù maggiori, che peraltro
in questo periodo ha assunto dimensioni di molto
esagerate rispetto alla sua reale portata e un pó discriminatorie rispetto al presunto “bene” rappresentato dalle imprese: la semplificazione della burocrazia.
Certo occorrono forti cambiamenti e notevoli sforzi
per portare l’amministrazione pubblica da decisore
spesso autoritario e pianificatore presuntuoso del futuro a servitore e dispensatore di servizi e utilità per
il benessere delle imprese. Ma anche alcune imprese
dovranno fare un passo indietro e divenire consapevoli dell’impossibilità di continuare a approfittare dei
beni e delle risorse pubbliche per ottenere ordini e
non pagare sempre le tasse.
Sciogliere nodi, anzi interi gomitoli e matasse
di norme e permessi, integrare le risorse umane con
donne e giovani, ridare dignità di contenuti e di merito
a una professione vitale per la vita comune sono solo
alcuni dei passi essenziali da intraprendere velocemente.
Una semplificazione che deve necessariamente ripartire anche da nuove basi culturali per un’innovazione integrata nelle relazioni con le imprese e le
persone e quindi con una formazione e informazione
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
indispensabili per riconnettere il personale al mondo
del digitale così come a quello della complessità e dei
sistemi solo per citare i più urgenti. 37
E arriviamo all’ultimo tabù. Il settimo, quello che pervade tutto e tutti gli altri sei: la cultura. La
base per ritornare a avere l’attitudine per l’innovazione. Troppi anni sono stati fatti passare indenni senza
dedicare a questo tema tutte le necessarie attenzioni,
nella presunzione di averla ormai acquisita ovvero,
nella peggiore delle ipotesi, innaturata nella nostra
storia millenaria.
Una delle caratteristiche dell’era della complessità é la velocità e velocemente abbiamo perso
la capacità di innovare i nostri sistemi di produzione e
di vita, pubblici e privati, trascurando gli investimenti nella scuola e nella ricerca così come nella cultura
per tutti, avendo talvolta la presunzione di investire in
culturame o confondendo convegnistica e eventi in
occasioni culturali.
Cultura d’impresa, cultura per fare impresa,
per competere e innovare, cultura dei giovani, cultura nell’amministrazione della cosa pubblica sono tutti
tabù da rompere tutti i giorni per mantenere, gestire
e valorizzare i contenuti del nostro agire quotidiano
verso un futuro sostenibile. Una cultura che sola può
far ritornare alle capacità di innovazione per le piccole
imprese e a quella capacità di prevedere i bisogni e i
desideri della gente senza attendere una loro espressione aperta e una domanda esplicita.
Nessuno aveva chiesto la Vespa, o il distretto,
o l’Ipad. Un’innovazione che avrà sempre più bisogno di essere responsabile e eticamente corretta e
dove l’impresa, micro, piccola, media o grande che
sia dovrà investire risorse con approcci sempre più
37 vedi a tal proposito le varie proposte contenute in CIPOLLINI C. RINALDI
N.C. (2012) L’innovazione integrata. Imprese e amministrazione pubblica:
nuovi paradigmi digitali per un progresso sostenibile. Maggioli. Rimini
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
consapevoli e pieni di contenuti sostenibili 38.
Fiducia, collaborazione, condivisione, cultura,
qualità, innovazione, identità, donne, giovani, sono alcuni degli elementi di base di una rete che compone
un sistema fortemente interconnesso che rappresenta il punto di partenza per ripartire e ridare la fiducia in
un futuro possibile di benessere e progresso diverso
e migliore di quello che abbiamo ottenuto fino a oggi.
Approcci complessi per un’innovazione postmoderna
Sia nel campo del materiale sia in quello
dell’immateriale sono necessari prodotti/servizi/esperienze sostenibili dal punto di vista sia ambientale sia
economico, che richiedono nuovi approcci e nuove
metodologie. Il tema della pianificazione, progettazione, realizzazione e vendita di qualsiasi prodotto e servizio artigianale, industriale o commerciale è vissuto
ancora troppo spesso infatti, in una contraddizione
sempre più drammatica: pur essendo uno dei principali mezzi per attivare e alimentare lo sviluppo, è trattato ancora soltanto in modo specialistico e settoriale
e quindi con un’impostazione semplice e lineare ormai superata e generata dall’onda lunga dell’impostazione ottocentesca, che vedeva nella specializzazione e nell’esaltazione della tecnica i suoi fondamenti. La complessità delle interrelazioni tra le molte componenti necessarie per raggiungere l’obiettivo che ci
si prefigge richiederà prodotti/servizi capaci di far in38 A tal proposito l’iniziativa del CISE (Centro per l’innovazione e lo sviluppo
economico della Camera di Commercio di Forlì-Cesena) sull’innovazione
responsabile rappresenta un’eccellenza internazionale. Infatti La certificazione
UGO è stata concepita per generare vantaggio competitivo per le
Organizzazioni che sviluppano un’innovazione responsabile, ovvero finalizzata
a migliorare la qualità della vita. Il vantaggio consiste nella maggiore fiducia
dei mercati verso le Organizzazioni certificate, nella maggiore longevità del
business, nel più remunerativo rapporto reciproco tra impresa e collettività.
Significa soprattutto scegliere l’innovazione in favore di un ideale di etica
dello sviluppo economico, e del valore del progresso tecnologico al servizio
dell’uomo e della vita. (www.ugocertification.org)
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
teragire temi e specializzazioni diversi e al contempo
l’obiettivo stesso che si vorrà raggiungere è integrato
e interdisciplinare: non sarà più il risultato di una cultura specialistica, ma un vero e proprio sistema, una
rete complessa di riferimenti culturali ed esperienziali.
Per qualsiasi prodotto/servizio è quindi necessario riqualificare l’organizzazione e i processi, coinvolgendo
équipe multidisciplinari e spesso anche multiculturali
che, una volta chiarito l’obiettivo e la strategia da raggiungere, lavorino in forme integrate costituendo una
rete per la realizzazione del prodotto/servizio. E uno
dei capisaldi del nuovo approccio è quello di entrare
definitivamente nell’ordine di idee di “rovesciare la piramide” del processo della cosi detta “domanda” delle persone, della gente, i cui bisogni primari sono stati ormai sostanzialmente soddisfatti, così come è stato abbattuto lo zoccolo duro dell’ignoranza, perlomeno nell’Occidente. Chi stava alla base della vecchia
piramide – le persone interessate al prodotto/servizio
– si ritrova in alto, per esprimere bisogni e desideri ed
esercitare consapevolmente il ruolo di partecipazione
e indirizzo e ottenere così soddisfazione delle proprie
esigenze. Al contrario, l’amministrazione pubblica e le
imprese quando sono focalizzate verso il cliente, si
situano in basso per realizzare prodotti/servizi/esperienze secondo i desiderata e sotto il controllo dei destinatari, in un processo e sulla base di un’organizzazione che sono altrettanto basilari quanto gli obiettivi
e i contenuti. Fin da ora e sempre più in futuro, come
ho accennato precedentemente, la gente chiederà
qualcosa difficilmente definibile, forse più un’ “esperienza” che non un servizio o un prodotto. Le persone
per le quali si progetta un prodotto non si richiamano
più a certezze religiose, ideologiche e culturali. Le regole fisse, i manuali, le leggi stesse, non servono più
per indirizzare e controllare le azioni degli individui, ma
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
dovrebbero poter mutare per lasciarli liberi di agire responsabilmente. Occorrono dunque strumenti e segnali che consentano approcci “mobili”, in divenire, e
siano di supporto alle decisioni: strumenti di monitoraggio e di misurazione della soddisfazione dei destinatari degli interventi, che tengano conto delle trasformazioni e delle esperienze di ciascuno. I prodotti
e i servizi postmoderni sono work in progress continui, e se i contenuti e le caratteristiche sono oggetto
di scelte imprenditoriali, i processi devono invece essere gestiti. A tale proposito la “mano”39 , nella complessità delle sue cinque “dita” - conoscere, analizzare, progettare, realizzare e vendere - è una metafora
utile per approcciare il prodotto/servizio ponendo costante attenzione ad alcuni segnali fondamentali che
aiutano a comprendere se la rotta che si sta percorrendo è quella voluta e da considerare per un approccio innovativo e complesso. Ogni prodotto/servizio
deve rappresentare un percorso all’interno di un sistema complesso aperto, dove le variabili in gioco
possono mutare nel tempo richiesto per l’attuazione
del progetto, ma dove ognuna di esse si relaziona
con le altre in una fitta rete di persone e di esperienze.
Non si tratta di entrare nel merito delle scelte (con i
loro presupposti culturali e storici) e dei metodi del
singolo artigiano o imprenditore, ma di padroneggiare
un quadro di riferimento che consenta di intervenire in
modo da raggiungere gli obiettivi con una sufficiente
qualità integrata. In questo processo la fase critica è
quella della progettazione. Come ricorda Morin “Non
ci sono ricette; ... Si tratta di adottare una strategia
adatta al singolo caso, non un metodo universale. L’idea di strategia è per questo motivo estremamente
importante, poiché essa si modifica in funzione delle
osservazioni, delle informazioni raccolte e dei casi in
39 CIPOLLINI C. La mano complessa. Op.cit.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
cui ci si imbatte. Tutto ciò comporta una scommessa,
nella misura in cui non si è mai sicuri di giungere al
risultato che si desidera”. 40 Questo significa che ogni
prodotto/servizio è per propria natura un’azione integrata e sistemica. Tutte le variabili in gioco devono
dunque essere analizzate, valutate e inserite nel “calcolo progettuale” per far sì che il risultato finale risponda al meglio (se non nel modo ottimale) al bisogno-desiderio da soddisfare. Le differenze riguardano
il tema, non l’approccio, che deve essere comunque
sistemico e integrato. Tuttavia, prima di arrivare a un
approccio innovativo occorre decostruire quello che
c’è, destrutturare il concetto di prodotto che si è andato formando nel passato. Questo ci consente di
disporre sul tavolo le variabili in gioco composti da
tematiche specialistiche, persone, ma anche tempi e
luoghi, esperienze e tradizioni. Forse non sono tutte le
variabili; forse domani ce ne saranno altre, e altre ancora non ci saranno più. Per ogni tema ce ne sono
certamente un numero determinato e poi nei tempi
che occorrono a un progetto per realizzarsi esse
cambiano e variano, ma sempre all’interno del sistema progettuale, rispettandone obiettivi e bisogni. L’insieme degli elementi rappresenta un elenco, non
esaustivo, di riferimento per percorrere l’intero iter. È
un contenitore, una rete, un sistema al quale accedere per trarne le connessioni e i contenuti di base, i
passaggi da compiere o da verificare per procedere
verso l’obiettivo. L’elenco comprende almeno dieci
punti: gli obiettivi; le persone ; il copiare; l’innovazione; le alternative; le tecnologie; la gestione; i costi e i
tempi; la sperimentazione; e per ultimo il punto più
importante, cioè le varie ed eventuali. Non è un elenco esaustivo e onnicomprensivo, sono gli elementi
40 Intervista in: Benkirane R. (2007), La teoria della complessità, Bollati
Boringhieri, Torino. p. 25
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
base alle quali fare riferimento in ogni fase del processo del prodotto/servizio, consci della possibilità o,
meglio, della responsabilità di scegliere e di incrementare, ma non di ignorare. Proprio per questo motivo il punto più importante dell’elenco è il decimo: le
“varie ed eventuali”, che comprende tutte le scelte
possibili. Ognuno degli attori del processo ha la responsabilità di andare a individuare, in ogni passo del
viaggio progettuale, gli elementi indispensabili a raggiungere l’obiettivo e a inserirli adeguatamente. Non
esiste una lista certa, un manuale di riferimento; ci
sono solo alcune caratteristiche di base da considerare ed eventualmente scegliere e realizzare. Queste
possono – direi quasi devono – essere integrate da
altre caratteristiche, che vanno individuate per rendere il prodotto/servizio adeguato ai suoi obiettivi specifici. Dunque, cercare di organizzare il processo costituisce soltanto – in questo caso – il tentativo di “isolare” alcuni insiemi, alcuni “grappoli” di fasi temporali e
di variabili-tematiche, per consentire di rendere più
accessibile l’intero processo, e conseguentemente
più realizzabile il singolo prodotto/servizio. È per questo che, nella ricerca di punti fermi, di “paletti” dell’approccio metodologico alla complessità progettuale, la
mano e le sue cinque dita possono essere la metafora più significativa per meglio rendere contemporaneamente sia il ruolo, le funzioni e le caratteristiche di
ogni fase (dita), sia l’organicità e la sistematicità del
tutto (la mano). Una mano che rappresenta la sintesi,
oltre che la metafora, di un processo sistemico e contemporaneamente di un sistema e della relativa rete
di interconnessioni e scambiatori. Le possibili interrelazioni tra le varie fasi cronotematiche all’interno di
ciascun insieme del processo che riguarda ogni prodotto e servizio, sono infinite. Per uno artigianale ancora di più. Non c’è uno schema, non c’è il “manua-
95
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
le”, ma solo infinite possibili schematizzazioni delle
varie alternative possibili. La consapevolezza di agire
in rete, in sistemi adattivi aperti, è allora, insieme al
quadro di riferimento esposto, la motivazione principale per cui la mano può divenire uno strumento di
riferimento nell’iter complessivo di tutti gli ambiti che
interessano il prodotto/servizio. Il primo ambito è certamente quello che presenta gradi di complessità
maggiori, anche se non incide ancora sul reale e sul
materiale, ma ne è il presupposto, il progetto, il luogo
virtuale dell’adattamento del sistema del prodotto/
servizio quale esso sia. Il secondo e il terzo ambito
hanno a loro volta valenze peculiari. Il costruire è una
fase di transizione dal virtuale al materiale che comporta problematiche particolari, ma sostanzialmente
radicate e provenienti dalla conoscenza e dalla tradizione. L’ambito della vendita, presenta tematiche e
problematiche di notevole interesse e di fatto determinanti per ottimizzare la riuscita di un prodotto/servizio.
Il caso esemplare
E per finire, se dovessimo immaginarci uno
scenario plausibile e concreto per un gruppo di imprenditori-artigiani del settore per esempio della gioielleria, li vedremmo uniti in una cooperativa gestire in
varie parti del mondo centri di produzione e vendita di
esperienze da far acquistare a persone cinesi, indiane
o tedesche. Questi, prenotando un appuntamento via
internet, arriverebbero nello spazio dove si producono i gioielli e potrebbero assistere, conoscere e acquistare l‘esperienza di un gioiello di cui si apprende
e si impara la storia, la tradizione, i luoghi e i tempi
dell’invenzione, ma anche le tecnologie e l’innovazione. Un gioiello che indossato rimane lì a rammentare
UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO
sempre l’esperienza vissuta, talvolta il contributo dato
alla propria trasformazione, come un libro o un film
conservato nella libreria di casa, che solo a guardarlo
ricorda evoluzioni, gioie, passioni o dolori, sviluppi e
crescite personali.
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