03_Una crisi per uno scenario Sconosciuto. Cipollini
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03_Una crisi per uno scenario Sconosciuto. Cipollini
65 UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO Artigiani e imprenditori di fronte al cambiamento Claudio Cipollini, Esperto di innovazione integrata e di sistemi complessi territoriali. Attualmente insegna Gestione e comunicazione delle imprese non profit all’Università La Sapienza di Roma. Direttore Generale di Retecamere, società per i progetti integrati di sviluppo del Sistema delle Camere di Commercio italiane. È pericoloso credere di sapere. È molto più salutare sapere che non si sa. I cambiamenti di paradigma ci portano in un territorio che non solo è sconosciuto perché non è stato esplorato, ma che non è stato esplorato e pertanto non si può conoscere per la semplice ragione che non esisteva prima. Richard Norman Una crisi epocale Forse è per i motivi esposti da Norman nel 20031 che non sono tutti falsi gli allarmi che negli ultimi anni “suonano” sulla crisi finanziaria, economica e sociale. Forse più che allarmi dovremmo chiamarli rese dei conti e finalmente consapevolezza che un’era è nella sua fase terminale e una nuova era si sta affacciando. Sta finendo l’epoca delle certezze e delle sicurezze sempre cercate, sempre credute, ma mai trovate; l’epoca dello sviluppo e dello sfruttamento della natura infiniti; della ricerca del particolare e della perdita del totale. Ma anche l’epoca che ci ha portato ricchezza materiale, cultura e salute. Non quindi una semplice crisi finanziaria e economica, pur con tutto il suo peso, ma una ben più com1 In BURMAN E. (2002), Internet nuovo Leviatano. Verso il futuro paradigma di pensiero e di business, Etas, Milano. 66 Quaderni di ricerca sull’artigianato plessa crisi epocale che riguarda integralmente e complessivamente le tematiche socio-economiche, ideali e politiche, e quindi conseguentemente anche imprenditoriali. E’ una fase simile come quella, per esempio, che si ebbe a cavallo tra’700 e ’800 o come quella del passaggio dal Medioevo agli albori rinascimentali del ’300 e poi ai trionfi del ’400. Cosa ci sarà domani? Non riuscì a prevederlo Dante, così come Mantegna, né Voltaire, Napoleone, Kant, Smith o Marx. Qualcuno ha presunto di saperlo, ma ha fallito miseramente. L’ignoranza del futuro ci ha ricordato tra gli altri Taleb2 ci ha fatto troppo spesso dimenticare tutte le volte che un evento qualsiasi ha cambiato la previsione. E’ una crisi che riguarda tutti dalla stessa Cina, agli Stati Uniti, a tutta l’Europa. Le differenze sono solo che laggiù a Shanghai e a New Dheli, come a Rio e a Città del Capo devono ancora soddisfare alcuni bisogni di base, mentre in Europa siamo già “soddisfatti”. In Italia però non siamo riusciti a trovare sistemi e strumenti per gestire il cambiamento e siamo ancora immersi in una crisi strutturale e profonda 3 . Ricorda a tal proposito Bruni4 come quando siamo riusciti come Paese a essere creativi e innovativi abbiamo costruito gli artigiani-artisti, i distretti industriali del Made in Italy, i cooperatori sociali e di comunità e nel Quattrocento l’Umanesimo e il Rinascimento. 2 TALEB N.N. (2007) Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita. Il Saggiatore. Milano 3 “Gli Stati membri che hanno conseguito risultati superiori alla media in fatto d’innovazione hanno risposto alla crisi economica prendendo l’iniziativa, ed in particolare ricorrendo a provvedimenti aggiuntivi di natura temporanea per incoraggiare ricerca ed innovazione. Generalmente non è stato così per i paesi che sono al di sotto della media UE, il che sembra segnalare la probabilità di un allargamento del divario esistente sotto il profilo dei risultati conseguiti in fatto di attività di R&S e d’innovazione. Per tali paesi risulta quindi ancora più importante migliorare le competenze disponibili e rafforzare la quota spettante alle attività ad elevato contenuto di professionalità ed in campo tecnologico nelle loro economie.” Una politica industriale integrata per l’era della globalizzazione. Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilita. Commissione Europea - COM(2010) 614. p.14 4 BRUNI L. (2012), Le nuove virtù del mercato, Città Nuova Editrice UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO Oggi siamo fermi perché abbiamo smesso di cooperare e collaborare e pensiamo solo a lamentarci e a mantenere e difendere le rendite di posizione ovvero le posizioni di potere acquisite. Alcuni dati di base però li abbiamo ormai acquisiti anche noi e li possiamo considerare una prima certezza, pur se non utile a fare delle previsioni. In generale, specie nei paesi occidentali, ma con una propagazione del fenomeno a livello globale, siamo da poco entrati in un’epoca (in un “territorio” come lo definisce Norman) dove le nostre vite sono caratterizzate da notevoli complessità, accompagnate da incertezze diffuse e dalla mancanza di norme di comportamento condivise.5 Si tratta di una realtà estremamente fluida, le cui diverse componenti si scompongono e si ricompongono continuamente, e in cui ciascun individuo inizia a prendere coscienza di essere parte di un insieme: soggetto in rete con altri soggetti. Viviamo in un mondo globalizzato, dove le identità locali sono in rete, dove la complessità ha raggiunto alti livelli di incognite e dove le persone, tutte le persone, sono ormai sempre più in grado di esprimere pareri, bisogni e desideri. E dove, infine, stiamo passando dal vincolo e dalla regola del manuale e delle leggi sacre alla regola del rispetto e della responsabilità. In questo barlume, in mezzo a questa landa piena di nebbie, effluvi, nubi e rumori possiamo – forse – solo cercare di “aspettare-agendo” su almeno tre fronti: • ideale: in attesa di finire di “esplorare i nuovi territori” e di prenderne possesso, vale forse la pena da un lato rafforzare le regole che liberalizzano le nostre capacità di pensare, di valo5 Nel mondo che sta emergendo, la complessità è una condizione irriducibile quanto ineluttabile, che, se da una parte genera confusione e incertezza, dall’altra ci offre, nelle attuali trasformazioni sociali, economiche, politiche e culturali, la possibilità di pensare noi stessi in modo nuovo» TAYLOR M. (2005), Il momento della complessità. L’emergere di una cultura a rete, Codice, Torino. p. 3 67 68 Quaderni di ricerca sull’artigianato • • rizzare e consolidare il senso e il significato di responsabilità e di rispetto tra di noi, consentendo così a ognuno la sua libertà personale e collettiva; dall’altro di diffondere il concetto di bene e di felicità comune6. politico: conseguentemente forse vale la pena riorganizzare le modalità di partecipazione democratica alla vita pubblica, la macchina organizzativa dell’amministrazione pubblica, ma anche le modalità di fare impresa. Come? Da un lato affrontando, con nuovi approcci e utilizzando anche le nuove tecnologie, le modalità di rappresentanza di tutti i cittadini che vivono in tutti i territori e dei diversi insiemi a cui ciascuno appartiene; dall’altra adeguando la macchina pubblica al nuovo ambiente che si va esplorando e non certo all’organizzazione ottocentesca, “settoriale” e “specialistica” ormai non più in grado di rispondere alle nuove esigenze dei nuovi cittadini e delle imprese. Insieme e in parallelo difendere e affermare i diritti di ognuno, nel rispetto di tutti; cattolici, mussulmani, protestanti e laici, immigrati e residenti, giovani e vecchi, donne e uomini, omo e eterosessuali, imprese e lavoratori, volontari e dipendenti; socio-economico: rimettere in sesto quello che non si è riusciti a fare negli ultimi anni (infrastrutture materiali e immateriali, liberalizzazione sane, rafforzamento della cultura e delle competenze, democraticità del merito, ecc) per almeno consentirci di sopravvivere durante l’esplorazione e non soccombere, cercando di 6 E’ qui da ricordare a tal proposito come già nel Settecento gli studiosi di economia italiani affermassero che la felicità è pubblica – oggi diremo che è un bene comune – perché deve necessariamente essere di tutti e non di alcuni. Altrimenti sarebbe di nessuno. UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO raggiungere gli obiettivi e gli indicatori che abbiamo definito con gli altri partner europei per l’Europa del 20207 e sui quali siamo in tragico ritardo8. Non si tratta di inventarsi qualcosa, ma di fare dell’innovazione il driver del nuovo sviluppo, di “copiare” chi ha già fatto e bene e di ritarare l’organizzazione della cosa pubblica. In questo articolo intendo dare un contributo per un approccio nuovo che consenta di impostare, progettare, realizzare e vendere prodotti e servizi di una piccola e media impresa italiana in modo innovativo, adeguandoli alla complessità dell’epoca che viviamo. Il contesto Da una serie di esperienze e riflessioni è emerso infatti che il processo per realizzare e vendere un prodotto/servizio vive una contraddizione notevole poiché è impostato in modo settoriale e “lineare”, senza tener conto della complessità della realtà a cui è destinato. Da una modalità che affidava il mobile al falegname, il materasso e le lenzuola al commerciante, la pittura della camera al pittore, si è passati alle imprese di progettazione e costruzione, all’uso avanzato di tecnologie, alla partecipazione dei fruitori, 7 La strategia Europa 2020 prevede tre priorità: Crescita intelligente, ovvero basare lo sviluppo economico basato sulla conoscenza e sull’innovazione; Crescita sostenibile, ovvero promuovere un’economia più efficiente, più verde e più competitiva; Crescita inclusiva, ovvero promuovere un’economia che consenta un alto tasso di occupazione e favorisca la coesione sia tra le persone sia tra i territori. In questo ambito cinque sono gli obiettivi da raggiungere entro il 2020: • un lavoro per il 75% delle persone tra i 20 e i 64 anni; • il 3% del PIL europeo investito in ricerca e sviluppo; • il 20/20/20 in tema di clima e energia; • almeno il 40% dei giovani devono essere laureati e meno del 10% abbandonare la scuola; • il rischio povertà deve diminuire per almeno 20 milioni di persone. 8 Vedi: http://italia2020.wordpress.com/2012/12/04/obiettivi-strategiaeuropa-2020-litalia-a-che-punto-si-trova/ 69 70 Quaderni di ricerca sull’artigianato all’elaborazione dei progetti, alla sensibilità per il rispetto dell’ambiente. Per qualsiasi prodotto/servizio non bastano più il tagliatore, l’elettricista, l’ingegnere, l’architetto – presi singolarmente –, ma è necessario riqualificare l’organizzazione e i processi, coinvolgendo équipe multidisciplinari e spesso anche multiculturali che, una volta chiarito l’obiettivo da raggiungere, lavorino in forme integrate costituendo una rete tra committenza, progettazione, realizzazione e vendita e mettendo a diposizione del progetto, nella sua complessità, il singolo know-how specialistico e rendendo così possibile la realizzazione dell’intervento. Questo, dunque, sarà non la semplice somma di diversi addendi, ma una funzione complessa primaria, integrata a sua volta da una funzione secondaria, derivante e conseguente dalla primaria. In altre parole, Fp + Fs = FI (Fp è la funzione primaria, Fs la funzione suppletiva e FI la funzione che determina l’intervento) e dove Fs = Fp + s e dove s è generato automaticamente dal livello di complessità e di integrazione quali-quantitativa di Fp.9 Un segnale importante in questa direzione fu lanciato dal fisico Anderson quando nel 1972 pubblicò un articolo dal titolo più che indicativo, More is different, nel quale sottolineava come l’intero è non solo di più, ma anche molto diverso dalla somma delle parti e come sia fondamentale comprendere i comportamenti nuovi derivanti dalla composizione di parti in un sistema complesso.10 Se si analizza la definizione classica di organizzazione di un prodotto/servizio – che vale sia per la realizzazione di un mobile, sia per la vendita di agroalimentari in un negozio, sia per la realizzazione 9 CIPOLLINI C. (2011) La mano comlessa. Condivisione e collaborazione per lo sviluppo dei territori . ETS Edizioni. Pisa 10 ANDERSON P.W. (1972), More is different, in “Science”, n.s., 177, 4047, pp. 393-6. UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO gioiello – si ritrovano in essa le fasi ormai storicamente consolidate: progettazione, tempi, risorse, budget ecc. E questo schema di riferimento può essere adottato per qualsiasi tipologia di oggetto o di attività da progettare, al limite anche per preparare un pranzo, che richiede anch’esso di prendere in considerazione obiettivi, vincoli (padelle disponibili, numero di fuochi, ingredienti, ristoranti aperti ecc.), risorse necessarie (cuoco, camerieri e soldi da spendere), tempi (domenica prossima o stasera), qualità (pollo del supermercato o tartufo e champagne). Ma se preparare una cena è una questione di inventiva e organizzazione, cucinare un buon piatto è un vera e propria attività integrata. Spaghetti, olio, aglio, vongole, sale, peperoncino e acqua: bastano per fare un buon piatto si spaghetti alle vongole? No di certo. Serve altro: serve la capacità di scegliere gli ingredienti adatti, di saperli cucinare nei tempi giusti, di mescolarli con le modalità e nel momento adeguato. Ed ecco che un insieme di ingredienti, progettati e realizzati nei modi e nei tempi giusti, diventa un sistema unico. La necessità di elaborare un nuovo approccio per realizzare un prodotto/servizio nasce, pertanto, dalla considerazione che la vecchia (e purtroppo ancora utilizzata) modalità ha ormai rivelato la sua totale inadeguatezza a rispondere alle istanze non solo dell’ambiente, ma soprattutto delle persone, dei loro bisogni e desideri. Sono questi in primo luogo a essere profondamente mutati e di stare mutando sempre di più e sempre in più, almeno nelle società cosiddette avanzate, dove i bisogni primari sono stati ormai sostanzialmente soddisfatti, così come è stato abbattuto lo zoccolo duro dell’ignoranza. Le esigenze personali si sono diversificate e sono divenute più complesse: non solo mangiare, dormire, vestirsi, ma anche, e sempre più, conoscere, informarsi, viaggiare, divertirsi (nel senso completo 71 72 Quaderni di ricerca sull’artigianato UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO ed epicureo del termine), fare esperienze e crescere spiritualmente e culturalmente. Il lavoro, d’altra parte, sta divenendo sempre più un’attività svolta sì per necessità, ma anche per il piacere e la passione di dedicarsi a qualcosa di voluto e non solo dovuto. Occorre però mettere a punto strumenti e approcci che ci consentano di “processare” l’obiettivo atteso, di analizzarne i contenuti, per consentire a ciascuno di vivere pienamente la propria vita in questa società che è un patchwork indefinibile e incerto. Una società che vive in un’epoca dove il tempo – ricordando la metafora di Popper – non si misura con gli orologi – figli dell’era moderna, di Newton e delle macchine teoricamente perfette –, ma con le nuvole che cambiano a ogni istante, che a ogni istante disegnano forme familiari e sconosciute, sogni e realtà, cambiando forma e colore, spessore e luminosità. Come annotano Hawking e Mlodinow : «Siamo noi a creare la storia con la nostra osservazione, e non la storia a creare noi».11 Traducendo dalla fisica alla creazione e realizzazione e vendita di un prodotto/servizio anche qui non può esistere “la legge”, “il manuale”, ma approcci e metodi di interventi logici e coerenti nei diversi contesti spaziali, ambientali e temporali di intervento. La funzione dell’imprenditore, si trasforma allora da “predefinita nello spazio” ad “adattata al tempo”. Queste figure non sono più realizzatori di prodotti/servizi, ma facilitatori di esperienze personali, di desideri di vita. Il prodotto e il servizio diventano utilità temporanee per consentire a ognuno di esercitare e esprimere una propria esigenza. Facilitare esperienze e trasformazioni a ognuno. Cambia sostanzialmente il ruolo dell’imprenditore. Cambia il relativo approccio al processo di ideazione, realizzazione e vendita del prodotto/ser- vizio. La sostenibilità ambientale ed economica, figlia delle nuove sensibilità e degli allarmi lanciati dagli anni settanta del secolo scorso, interagisce in un sistema di intervento il cui grado di complessità è aumentato con l’inserimento, insieme alle esigenze collettive appunto ecologiche e finanziarie, di quelle empatiche e nello stesso tempo (o in tempi diversi, è lo stesso) di quelle dell’individuo, del suo presente, ma anche del suo passato e del suo futuro. Contemporaneamente. Agli inizi del terzo millennio ci troviamo di fronte a una realtà culturale e socio-economica che vede terminati i bisogni del mangiare, dell’alloggio, si consuma, si viaggia, spesso si sperpera come ricorda Melograni 12 . Non esistono più Stati, istituzioni, partiti, ma sempre più movimenti globali che mettono in rete persone che hanno interessi comuni, ovvero che sostengono tesi ideali e politiche condivise per un futuro migliore quali sono il movimento dei verdi e quello delle donne. (Bauman, Touraine) 13. Vivere giorno per giorno, vivere l’“attimo fuggente”, è l’unica strategia possibile dell’«uomo desideroso di libertà» di Bauman, che esalta l’indipendenza da ogni legame e la liberta massima di movimento per essere sempre pronti a adeguarsi alla realtà che incontriamo14. Siamo nell’inferno o in paradiso? Io credo che siamo usciti da un’epoca dove pensavamo di poter raggiungere il paradiso, stiamo sull’orlo dell’inferno, ma, se siamo umili e accorti possiamo mettere i piedi per terra! In altri termini da almeno venti anni il sistema economico, sociale e ambientale con il quale abbiamo costruito successi e sviluppato redditi e conoscenze negli ultimi duecentocinquanta anni si è andato sempre più sgretolando 11 HAWKING S., MLODINOW L. (2011), Il grande disegno, Mondadori, Milano. 14 BAUMAN Z. (2002), Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori, Milano. p. 98 12 MELOGRANI P. (1996), La modernità e i suoi nemici, Mondadori, Milano 13 BAUMAN Z., TOURAINE A. (2010), Migranti, messaggeri d’ignoto, in “Reset”, luglio- agosto. 73 74 Quaderni di ricerca sull’artigianato e ridefinendo e ancora oggi non ha individuato nessuna nuova certezza, ma neanche nuovi equilibri benché labili. Eravamo quasi 800 milioni nella metà del Settecento, anni nei quali furono messe a punto le teorie sociali e economiche che hanno poi dominato e producevamo e distribuivamo beni e prodotti, ma anche libri e lettere, utilizzando cavalli e navi a vela che impiegavano ore e gironi se non mesi per arrivare a pochi o a migliaia di chilometri; oggi siamo 7 miliardi e inviamo i prodotti in aereo, treno, auto o via internet impiegando al massimo 1 giorno se non pochi attimi; siamo passati da due a venti potenze e micro potenze economiche; è stato sconfitto il fascismo e il comunismo e il capitalismo presenta variegate aree di crisi; l’economia e i mercati si sono completamente globalizzati; i livelli di alfabetizzazione culturale si sono notevolmente accresciuti nella media e hanno raggiunto alti livelli nei paesi occidentali; le tecnologie – o come forse meglio lo definisce Kelly il technium quando afferma che la “tecnologia vuole quello che vogliamo noi, la stessa lunga lista di meriti cui tanto aspiriamo” 15– si è radicato e diffuso; la multimedialità e il digitale hanno rivoluzionato tutti i sistemi di apprendimento e informazione oltre che di produzione; abbiamo iniziato a comprendere che la Terra rischia di non sopportarci più e che quindi dobbiamo divenire sostenibili noi e i nostri prodotti, servizi e azioni materiali16. Alcuni filosofi, economisti, biologi e altri ex specialisti la chiamano era postmoderna. Altri, o gli stessi, la definiscono l’era della complessità e dei sistemi. Altri ancora, o alcuni degli stessi, dibattono da anni, , sul ruolo e il potere assunto dalla Tecnica (con 15 KELLY K. (2011), Quello che vuole la tecnologia, Codice, Torino.p.277 16 La sostenibilità ambientale, sociale e economica deve consentire l’ “equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie” Rapporto Brundtland. 1987 UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO la T maiuscola), iniziando da Anders 17 che definiva l’uomo antiquato in quanto incapace di governare le macchine, anzi in rivalità con loro. Certo è che non è più l’epoca della settorializzazione e del riduzionismo e delle specializzazioni autoreferenziali. É tutto interrelato e a sistema. Verso un progresso condiviso? In questo quadro complessivo, si stanno affacciando sia nuovi modelli di riferimento, sia focalizzazioni specifiche sulle nuove interazioni e rapporti tra impresa e cliente. Per quanto riguarda gli approcci e le linee di riferimento per “esplorare i territori sconosciuti” la condivisione sembra essere uno degli strumenti più attendibili e utili su almeno tre fronti. Quello delle interrelazioni tra persone 18 e attori dell’agire quotidiano (imprese, imprese sociali e amministrazione pubblica) vede in un rapporto basato sulla fiducia e sulla capacità di essere reciproci una grande potenzialità, come approfondirò anche in seguito 19. Quello tra i generi ha confermato, perlomeno nei paesi del Nord Europa, e ancora con tanta diffidenza in Italia, che l’integrazione tra le caratteristiche femminili e maschili consente di gestire in modo migliore (con tassi percentuali a due cifre) i processi di governance e di sviluppo sia pubblici sia privati e imprenditoriali. Quello tra le identità culturali delle persone riconosce nell’integrazione tra le culture e le tradizioni una base più solida e complessa di riferimento per un progresso 17 ANDERS G. (1963) L’uomo è antiquato. Il Saggiatore. Milano 18 A tal proposito interessanti le tesi, tra cui quella del minor costo oggi, grazie alle reti fisiche e virtuali, della cooperazione tra le persone di Benkler. BENKLER Y. (2001) The penguin and the leviathan. How cooperation triumphs over self-interest. Crown Business. New York 19 A tal proposito interessanti gli studi condotti sulle interazioni tra biologia, morale e benessere sociale. A livello sperimentale neuroendocrinologico negli studi delle interazioni ormone-cervello è stato infatti dimostrato come nei mammiferi l’organizzazione neuronale focalizzata sul proprio benessere si è modificata per stimolare il benessere degli altri. Vedi a tal proposito Churchland P.S.(2012) Neurobiologia della morale. Raffaello Cortina. Milano 75 76 Quaderni di ricerca sull’artigianato sostenibile e per una felicità di tutti. E’ Romano che, a tal riguardo, nella sua analisi sulle città europee, riesce a concettualizzare quello che sta succedendo e uno scenario positivo in prospettiva: “... vedo anche gli europei abbarbicarsi smarriti alla loro civiltà alla deriva, li vedo tornare a trovare un conforto nella loro antica urbs, li vedo ansiosi nelle periferie delle loro città – che in altri continenti non sgomenterebbero nessuno –, li sento assediati da immigrati non europei che di questa nostra civiltà non sanno nulla e nulla sapranno, li sento forse travolti da una mutazione che non sono più in grado di avvertire e controllare. Forse, invece, come l’araba fenice questa nostra civitas riprenderà a vivere fortificata proprio dal confronto con altri mondi, forse i cittadini europei ritroveranno il conforto dei muri dell’urbs e, rassicurati della propria identità nell’esserne prima di tutto cittadini, affronteranno con qualche maggiore certezza il loro futuro.”20 Una condivisione e interrelazione sistemica che vede nel corpo e delle attività e funzioni interconnesse tra i vari organi, la metafora a noi più vicina. Nello specifico dei temi sociali e economici i modelli sono basati su formule innovative sotto certi aspetti e postmoderne sotto altre (intendo dire che riprendono e innovano teorie e prassi già esposte o praticate nei secoli scorsi) di interrelazioni umane accompagnate da una rilettura della “mano invisibile” di Smith. Mi riferisco al filone dell’economia civile così come al dibattito avviato sul post-capitalismo. Se infatti da un lato i primi propugnano nuove forme di mercato basate sulla ri-scoperta del dono e della gratuità delle persone e rafforzano molto il concetto di bene comune (Zamagni e Bruni per esempio21), rivisitando le teorie del Genovesi e di altri autori della 20 ROMANO M. (2010), Ascesa e declino della città europea, Raffaello Cortina, Milano. p. 197-198 21 BRUNI L, ZAMAGNI S. (2004) Economia Civile, Il Mulino. Bologna UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO Napoli e dell’Italia del Settecento e le prassi francescane, dall’altra si sente ormai come improrogabile reinventare il capitalismo e innescare una nuova crescita, integrando il concetto di progresso economico e progresso sociale, sostenendo che è l’intera società attuale suddivisa in pubblico e privato, amministrazione della cosa pubblica e imprese private, ma anche imprese sociali, che deve rivisitare le loro attuali posizioni e interazioni considerando il progresso come una obiettivo unitario e integrato e non come derivata di una lotta tra opposte concezioni, tra permessi e licenze, tra profitto e rendicontazione sociale. (Kramer e Porter, Tapscott e Williams tra gli altri)22. Sono concetti innovativi. Sono segnali ancora non molto vistosi che però iniziano a far intuire alcuni possibili nuovi percorsi, nuovi comportamenti, nuove fedeltà. Collaborazione, empatia, assertività, sociale, qualità, rete, sistemi, integrazione, indipendenza, sono alcuni ingredienti di questi percorsi ancora da costruire. Servono e danno comunque un significato per adeguarsi alla complessità dell’attuale periodo storico e iniziano a caratterizzare la nuova persona che si va trasformando dove impegno, condivisione, integrazione e olismo ci riporteranno a una nuova partnership con la natura. Servono e danno comunque un significato per adeguarsi alla complessità dell’attuale periodo storico nonché alle caratteristiche della postmodernità e iniziano a caratterizzare la nuova persona che si è andata trasformando descritta da Rifkin23: l’epoca moderna ha permesso di accelerare le comunicazioni interpersonali, di riempire di informazioni e contenuti 22 TAPSCOTT D., WILLIAMS A.D. (2010), Macrowikinomics, Rizzoli, Milano; PORTER M., KRAMER M. (2011), Creare valore condiviso, in “Harvard Business Review Italia”, 1-2, gennaio-febbraio. 23 RIFKIN J. (2000), L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano. 77 78 Quaderni di ricerca sull’artigianato le reti e le comunità di persone attraverso l’ideazione e la realizzazione di infrastrutture, macchine e tecnologie mai viste prima. E così Bruni ci da la definizione postmoderna di bene comune nel suo ultimo libro dove afferma: “Il dato nuovo e cruciale , è che con l’inizio del terzo millennio, siamo entrati, decisamente nell’era dei beni comuni, una fase della storia dell’umanità che da un certo punto di vista è inedita (per le dimensioni del problema certamente), (...) In questa nuova era, i beni economici e sociali decisivi per la qualità della vita sulla terra, e forse per la sua stessa sopravivenza, sono e saranno beni utilizzati contemporaneamente da tanti, da tutti in alcuni casi (ad es. lo strato di ozono), e che sottostanno a leggi ben diverse da quelle che regolano la produzione e il consumo dei beni privati, quelli studiati dalla scienza economica in questi due secoli”24. D’altro canto, tornando al concetto lanciato da Porter e Kramer sulla necessità di creare valore condiviso per ripartire, è lo stesso Rifkin25 che sintetizza i vantaggi e gli svantaggi di stare in rete, non solo dal punto di vista economico, ma anche emotivo: “La rete impone, a chi vi partecipa, la rinuncia ad una parte della propria autonomia e della propria sovranità; d’altro canto la spontaneità e la creatività che “germogliano” in un ambiente cooperativo, offrono ai partecipanti un vantaggio competitivo della nuova economia high tech. Le conseguenze sono quelle di un’onda che permea ogni giorno sempre più il nostro agire, facendoci rendere conto in ogni campo che possiamo ottimizzare – ma non rendere perfetto – il risultato desiderato attivando le reti di relazioni e non più la proprietà del nostro individualismo.” È quanto ribadiscono, passando dal mondo del business a quello più generale e totale dell’intero globo, 24 BRUNI L. op.cit. pag. 70-71 25 RIFKIN J. Op.cit. p.32 UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO Tapscott e Williams quando affermano che le imprese potranno prosperare in futuro se faranno propri i principi della collaborazione, apertura, condivisione, integrità e interdipendenza, principi fondamentali per tutti per andare verso un mondo sostenibile socialmente, ambientalmente e economicamente. Quindi nessuna impresa potrà fare a meno di essere in rete in modo consapevole, essendolo già nella realtà anche se spesso negata. Fornitori, infrastrutture, clienti, ma anche scuole, università, ospedali, sono tutti agenti diretti e indiretti della rete di riferimento. E allora tanto vale far venire allo scoperto tali trame e connessioni e renderli propositive e propulsive. Porter e Kramer citano peraltro alcuni esempi come quello della Nestlé per il caffè Nespresso, della Yara (la più grande azienda al mondo per i fertilizzanti) e del Research Triangle (IT e scienze naturali) che in contesti geografici diversi (America Latina, Africa e Stati Uniti) hanno avviato o valorizzato il loro business favorendo l’infrastrutturazione dei territori, la collaborazione e la formazione di cooperative e condividendo programmi di sviluppo con la pubblica amministrazione. Le aziende, una volta trovate le carenze, devono – sempre in un’ottica imprenditoriale individuare le forme di condivisione con chi – imprese, non profit e la stessa amministrazione pubblica - è in grado per competenza e funzione di svolgerle meglio. Il vantaggio sarà reciproco e condiviso tra i nuovi protagonisti dello sviluppo che si interreleranno orizzontalmente in organizzazioni “piatte”: persone, imprenditori, volontari e amministratori pubblici. I profitti e i vantaggi saranno di ciascuno. In una fase storica come quella attuale infatti, gli scenari prospettati devono e possono essere perseguiti, ma soprattutto la scarsità delle risorse economiche ci deve portare a condividere tra istituzioni programmi e obiettivi massimizzando i costi e i benefici degli 79 80 Quaderni di ricerca sull’artigianato interventi e minimizzando i relativi costi, competenze e ruoli. Ancora troppo spesso sovrapposti e “autobloccanti”. Persone che rappresentano interessi di imprese profit e non profit, persone che governano il processo di intervento, persone che domandano: emerge con forza la necessità di un approccio sistemico per contemperarne gli input e gestirne gli output, ottimizzando – per quanto possibile – risorse e risultati attesi. La prospettiva positiva e ottimistica è quella di arrivare a condividere esigenze e bisogni del particolare per risolverli nel generale. Uno scenario che potrebbe precludere una sorta di economia condivisa, dove i protagonisti della produzione di beni, servizi e di esperienze sono imprese profit e quelle a “movente ideale”26, che condividono insieme alle amministrazioni pubbliche programmi e obiettivi per poi suddividere responsabilità e compiti, in un ambiente competitivo e collaborativo insieme. E per ognuno i suoi ritorni attesi. Questo in un quadro dove, nello specifico dei rapporti tra imprese e gente, ogni persona tende sempre più a ricercare esperienze per contribuire alla propria trasformazione personale e sociale, oltre che economica, e dove conseguentemente le imprese devono rivisitare le proprie modalità e i propri approcci integrando ideazione, produzione e vendita verticalmente e orizzontalmente in reti e sistemi adattivi sempre più complessi. A tal proposito Toffler27 già venticinque anni or sono dichiarava che i “creatori di esperienze” avrebbero costituito in breve un settore fondamentale dell’economia, e che quindi si sarebbe giunti, per la prima volta nella storia, a mettere a punto tecnologie per fabbricare l’esperienza umana. Soddisfatti, almeno nei paesi occidentali e non solo, i 26 BRUNI L. SMERILLI A. (2011) La leggerezza del ferro. Un’introduzione alla teoria economica delle «organizzazioni a movente ideale». Vita e pensiero. 27 TOFFLER A. (1988), Lo choc del futuro, Sperling & Kupfer, Milano. UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO bisogni, ci si sta dedicando ai desideri, così come dai prodotti industriali si è passati ai servizi e ora ci si sta concentrando sulla produzione e la vendita di esperienze. Nel secondo dopoguerra, poi, rifacendosi alla psicoanalisi e alla sociologia, vari autori introdussero il concetto di “teatralizzazione nelle attività d’impresa”: Goffman28, ad esempio, applicava la metafora del teatro, della sceneggiatura, ai comportamenti quotidiani delle persone. Da qualche decennio stiamo entrando in una nuova realtà: un “mondo allargato” – parafrasando Prigogine – nel quale dovremo gestire non obiettivi certi da raggiungere, ma processi in divenire verso possibili scenari desiderati. Un mondo dove, per Baudrillard (1980), il gioco dei sensi eliminerà la realtà. Un mondo dove le esperienze che vorremmo fare sono sempre e comunque mediate da tecnologie di produzione e riproduzione delle differenti società. Un nuovo driver prende peraltro sempre più il sopravento: la domanda della gente. Domanda che non esprime soltanto più bisogni, ma anche, e sempre più, desideri, che diviene obbligatorio soddisfare in quanto insiti nella domanda stessa. «Il passaggio ulteriore [...] è verso il nuovo paradigma dell’esperienza nell’agire del consumo», osserva Fabris.29 Pine II e Gilmore30 sostengono la tesi che l’economia esperenziale è e sarà la quarta forma dopo le commodity, i prodotti e i servizi. La nuova gente postmoderna vuole infatti acquistare non solo più prodotti e servizi, ma esperienze da ricordare e utili ai propri fini di trasformazione personale, oltre che sociale e economica. Risponde Rifkin (2000) sostenendo come il nuovo prodotto sia l’accesso al tempo e alla mente, 28 GOFFMAN E. (1997), La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna 29 FABRIS G. (2009), Societing. Il marketing nella società postmoderna, Egea, Milano 30 PINE B.J., GILMORE J.H. (2000), L’economia delle esperienze, Etas, Milano. 81 82 Quaderni di ricerca sull’artigianato la “compravendita di esperienze umane”. Non più quindi “che mi serve?”, ma “cosa provo?” Lo scenario che si va delineando in modo sempre più netto, in un divenire continuo, è dunque il palcoscenico su cui “recitare” la propria vita e dove le imprese devono recitare la propria vendita dei prodotti. Stimolando così comportamenti empatici, il genere umano, ormai Homo urbanus, andrà verso un sistema di relazioni che da sole creeranno condizioni di progresso ben più ricche di quelle mai generate finora. Dunque, le persone per le quali si progetta, si realizza un prodotto o un servizio stanno cambiando: non sono più soltanto il risultato dell’era moderna, non si richiamano più a certezze religiose, ideologiche e culturali. Le regole fisse, i manuali, le leggi stesse, non servono più per indirizzare e controllare le azioni degli individui, ma dovrebbero poter mutare per lasciarli liberi di agire responsabilmente. Ancora Rifkin definisce questo “nuovo individuo” come un essere proteiforme (con riferimento ai diversi aspetti e forme che Proteo, la divinità marina della mitologia greca, poteva assumere). Siamo quindi di fronte a persone che esprimono desideri, che chiedono servizi, prodotti, infrastrutture, che non sono più le stesse di venti, trenta anni or sono. Sono persone che, secondo Pine e Gilmore – stanno diventando esse stesse il prodotto. Accanto alle “imprese delle esperienze” si pongono ora, infatti, le “imprese delle trasformazioni”, quelle attività che, dopo aver venduto alle persone la possibilità di fare esperienze, consentono loro, nel divenire, di trasformarsi. I dati economici esposti da Pine e Gilmore dimostrano come il tasso di crescita del PIL nominale e dell’occupazione negli Stati Uniti dal 1959 al 1996, riguardante il tema delle “esperienze” e delle “trasformazioni”, sia superiore a quello dei “beni” e dei “servizi”, e come lo stesso indice dei prezzi al consumo sia UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO salito ben di più per queste due aree economiche. La traduzione nel concreto dei riferimenti per il committente di questo nuovo individuo che sta crescendo ce la fornisce infine Bauman31 attraverso la metafora del turista e del vagabondo e dei loro bisogni e desideri reali. In essa il primo rappresenta la personificazione della persona che cerca di “evitare come il fuoco tutto ciò che esiste per sempre, nei secoli dei secoli e finché morte non ci separi”. E proprio perché turista, il nostro nuovo individuo viaggia leggero con oggetti “usa e getta”, pronto a muoversi secondo bisogni e sogni, non decidendo quasi mai quanto fermarsi in un luogo, con l’obiettivo di viaggiare e non di percorrere un tragitto prestabilito, come il pellegrino. E quando si ferma «il luogo della sosta è un accampamento, non una dimora” il suo mondo è fatto di “vedute non di forme»32, non sta a casa per sua scelta. All’opposto c’è chi invece non vuol viaggiare, ma è costretto a farlo dagli eventi e dalle circostanze esterne, e non per sua scelta. Questo è il vagabondo, la cui libertà è quella di non spostarsi, di stare a casa “repliche distorte e menomate di una specie nuova, che si è adattata alle esigenze del nuovo mondo postmoderno”. Il turista è mosso dal cuore, dal desiderio di sperimentare e innovare per trasformarsi; il vagabondo si muove solo perché costretto, quando viene licenziato. Due figure che Bauman usa come metafore dei due opposti che oggi popolano sempre più il mondo. Due opposti frutto di una certezza – siamo tutti, oggi, “viaggiatori-attraverso-la-vita” – e di un’unica variabile, che è la “libertà di scelta dei percorsi esistenziali”. E quindi il turista perfetto diviene indispensabile per il vagabondo senza futuro, e viceversa; sono specchio e stimolo l’uno dell’altro. Il nuovo bene e il nuovo 31 BAUMAN Z. (2009), L’arte della vita, Laterza, Roma-Bari. p.99 32 ivi, pp. 100-1 83 84 Quaderni di ricerca sull’artigianato UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO male. Lo yin e lo yang. Sono loro due i nostri abitanti, i nostri consumatori e acquirenti dei negozi, centri commerciali, i nostri colletti bianchi e blu che vivono parte del loro tempo negli uffici e nelle fabbriche e a cui piace tanto andare a teatro. Al nuovo prodotto-cliente-turista servono quindi servizi e prodotti riqualificati e rinnovati, che gli consentano di vivere l’esperienza desiderata per potersi trasformare. È lui la persona da inseguire per realizzare il nuovo mondo postmoderno; lui e la sua rete di interrelazioni, che compongono di volta in volta sistemi che si adattano alle esigenze e ai desiderata dei membri di ciascuna comunità di interessi. Per il vagabondo – finché esisterà – bastano prodotti, oggetti, servizi moderni, dotti di tutto di cui ha bisogno, ma che non gli consentiranno mai di realizzare un sogno reale: cambiare. Allora il paese, la città, la campagna non sono più il luogo fisico dove stare stabilmente e “legati”, ma sempre di più un’opportunità per muoversi quando si vuole e come si vuole per fare nuove esperienze, oggetto e soggetto di un divenire continuo, dove il driver di riferimento fondante è il tempo governato dalla legge di Heisenberg. “Ciascuno si costruisce il proprio itinerario formativo, la propria religione, il proprio lavoro, i propri rapporti sociali, la propria vita affettiva, il proprio credo politico, i propri abiti di vita.” 33 Se la tesi di Pine e Gilmore è realistica – e da un decennio in effetti buona parte dell’economia dei paesi più avanzati si è andata dirigendo verso il quarto stadio previsto dai due autori –, allora la progettazione e la realizzazione dei prodotti e dei servizi offerti dalle imprese e ancor più da quelle piccole degli artigiani e dei commercianti dovranno adeguarsi, offrendo alle persone occasioni di fare esperienze, ovvero resisteranno per alcuni anni finché anche l’ultimo vagabondo non si arrenderà. Il cliente è il terminale dell’economia esperienziale – in particolare per le aziende che già offrono prodotti e servizi mirati al singolo cliente, alla sua esperienza unica e irripetibile – al tempo stesso egli si identifica anche con il progetto, con l’intervento. A Owatonna, nel Minnesota, da Cabela’s c’è uno spazio di 14.000 metri quadrati dove si vende – oltre agli articoli relativi – l’esperienza della caccia, della pesca e della vita all’aperto: colline alte 10 metri, cascate, oltre 100 animali imbalsamati, un angolo per ammirare i Big Five (leone, elefante, leopardo, rinoceronte e bufalo), sogno e desiderio di ogni cacciatore, tre acquari con pesci in cattività. E a New York, Hollister, una catena di negozi di abbigliamento, ha realizzato uno spazio che il cliente può “vivere” come uno stabilimento balneare sulle rive dell’oceano in California: acqua vera che scorre e acqua iperreale, filmata e fotografata, costumi, asciugamani, bagnini e bagnine interpretati da ragazze e ragazzi in costume da bagno. Un’esperienza unica, tanto più se vissuta nel glaciale inverno newyorkese. Altri esempi interessanti sono stati ripresi da Sfodera34 nel libro sul marketing esperenziale: la libreria a Cerritos in California, il negozio Prada a New York e il Mid Columbia Medical Center a The Dalles in Ohio i più interessanti. Il flagship store Prada, per esempio, viene aperto a Soho nel 2001 in una superficie di 4.000 metri quadrati con l’obiettivo di offrire al cliente-visitatore un luogo di incontro e di socializzazione dove vivere e condividere la brand experience di Prada. Il cliente non si reca presso il Prada Epicenter solo per il gusto di visitare un luogo di vendita: qui, infatti, può imparare, può coltivare se stesso, può 33 AMENDOLA G. (2003), La città postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea, Laterza, Roma-Bari (nuova ed.) p. XXI 34 SFODERA F. (2010), Marketing esperienziale tra evoluzione e applicazione, Morlacchi, Perugia. 85 86 Quaderni di ricerca sull’artigianato entrare in contatto con la merce e con i materiali di realizzazione. Lo spazio così realizzato permette di offrire un’esperienza che stravolge il rapporto con il cliente, poiché tutto è stato pensato e realizzato per far vivere un’esperienza unica, far sentire ogni cliente una persona che vive nel suo spazio e nel suo tempo emozionandosi e gratificandosi. E le imprese? In questo quadro di incertezze e di “imprevisioni” occorre cogliere l’attimo fuggente e, consapevoli dell’imprevedibilità del futuro, agire sulle certezze del presente. Per questo girare i territori, incontrare imprese e amministratori pubblici e volontariato è altrettanto indispensabile quanto osservare dall’estero come ci si muove e analizzare numeri e statistiche per comprendere che soluzioni trovare. Lo è certamente – e se poi qualche statistica ce lo conferma è meglio – per capire quali leve muovere per consentire alle PMI, specie del Mezzogiorno, per tornare o andare verso una crescita adeguata. E di peccati negli anni passati, da questo punto di vista, ne sono stati commessi parecchi. O forse sarebbe meglio chiamarli imprudenze e ignoranze. E in Italia molte di più di quelle commesse in Germania, Francia, Olanda o Svezia – come la stessa Commissione Europea ha affermato nel testo riportato in precedenza - e forse un po’ di meno di quelle commesse in Grecia, Spagna e Portogallo. E allora, considerata la grave crisi che sta imperversando, forse, vale la pena rompere un pò di tabù e provare a trovare nuove strade per crescere per un progresso sostenibile, infrangere alcuni muri, spesso di gomma, cose che finora non sono state fatte abbastanza. I tabù sono quelli del digitale, della rete, dell’identità e qualità, della sostenibilità, della semplificazione e della cultura e UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO innovazione. Sette tabù che a loro volta sono un sistema in rete. Il tabù del digitale va rotto per interrompere quell’ignoranza e quella mancata fiducia nelle tecnologie e avere l’opportunità di adeguare l’approccio mentale e culturale del piccolo artigiano e imprenditore verso metodi più sistemici e complessi. E allora commercio elettronico per vendere a imprese e persone in giro per il mondo e acquistare materie prime e servizi, internet per analizzare soluzioni e progetti della concorrenza, conoscere i risultati dei centri di ricerca, trovare collaboratori e partner qualificati, farsi conoscere tramite i social network, seguendo l’esempio del tassista che lavora all’aeroporto della Malpensa e ha clienti in giro per l’Europa che si prenotano e pagano sul suo sito personale E i suggerimenti che tra gli altri ha evidenziato Granelli nell’integrazione tra la leggerezza del digitale e la concretezza e corporeità dei materiali utilizzati dall’artigiano35. Poi c’è il tabù della rete, ovvero di convincersi a fare rete con altre imprese per ottimizzare costi e capacità produttive, possibilità di vendita sui mercati globali e una migliore logistica. Bisogna fidarsi certo, ma da due anni c’è anche una legge che aiuta e consente migliori prestazioni a ogni singola azienda. Condividere e collaborare tra imprese, cosí come con l’amministrazione pubblica e le organizzazioni non governative cosí come con le persone, è la nuova strada da percorrere per trovare le nuove soluzioni per un progresso più sostenibile e meno incerto. Altro tabù è quello dell’identità e della qualità. In un’economia globalizzata, dove i prodotti a largo consumo vengono ormai prodotti nei paesi emergenti, per essere competitivi le imprese 35 GRANELLI A. (20010) Artigiani del digitale. Come creare valore con le nuove tecnologie. Luca Sossella, Bologna. 87 88 Quaderni di ricerca sull’artigianato necessariamente devono focalizzarsi sulla capacità di esaltare l’identità della provenienza dei loro territori così come ancora di più sulla qualità dei loro prodotti e dei loro servizi. Identità che per un paese come il nostro significa valorizzare non solo le produzioni agricole, agroalimentari e enogastronomiche o quelle artigianali, il design, ovvero le produzioni tipiche della nostra tradizione industriale quali la moda, la casa, ma mettere a disposizione di turisti e gente straniera e italiana la possibilità di fare un’esperienza, di esaudire un desiderio, di conoscere e apprezzare un prodotto, un servizio, una storia sì, ma anche una visione del futuro. Ma qualità vuol dire anche, e in Italia e nel Mezzogiorno sopratutto, il coraggio e la capacità di integrare nel processo produttivo le donne e di investire sui giovani. Sono due elementi fondamentali e caratterizzanti imprescindibili per innovare gli approcci e le modalità strategiche di un’impresa. Sono competenze e esperienze diverse e da integrare per rendere le nostre aziende competitive sui mercati internazionali, così come la nostra amministrazione pubblica adeguata alla nuova era. C’è poi il tabù della sostenibilità da rompere con una certa urgenza, stante la criticità convergente sia degli aspetti ambientali, sia di quelli economici e sociali. Continuare a perseverare nell’affrontarli in modo separato nega sia l’evidenza della necessita di un approccio complessivo e sistemico tra le tre variabili, sia la stessa impossibilità di risolvere da solo ciascun problema. Fitoussi non a caso ha recentemente ricordato36 che neanche abbiamo ancora indicatori che la misurano e quindi siamo in grado tanto meno di poterla programmare e progettare. Ma tra solo meno di quaranta anni saranno ben dieci miliardi gli esseri umani che dovranno e 36 Il Sole 24 ore . 8 giugno 2012 UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO vorranno ogni giorno mangiare, camminare, comunicare e per questo consumeranno acqua, aria, terra. Basterà? Molti ne dubitano, e nel dubbio forse è il caso di prendere qualche misura sostenibile. E questo significa pianificare e progettare prodotti e servizi non solo sostenibili economicamente (il che dovrebbe valere sempre per un’impresa, ma ormai anche per un’amministrazione pubblica), ma sopratutto ambientalmente e socialmente. E non con un approccio separato, ma unitario e integrato. E non solo per le imprese, ma per tutti, iniziando proprio dall’amministrazione pubblica e dall’educazione nelle scuole. Ma ecco uno dei tabù maggiori, che peraltro in questo periodo ha assunto dimensioni di molto esagerate rispetto alla sua reale portata e un pó discriminatorie rispetto al presunto “bene” rappresentato dalle imprese: la semplificazione della burocrazia. Certo occorrono forti cambiamenti e notevoli sforzi per portare l’amministrazione pubblica da decisore spesso autoritario e pianificatore presuntuoso del futuro a servitore e dispensatore di servizi e utilità per il benessere delle imprese. Ma anche alcune imprese dovranno fare un passo indietro e divenire consapevoli dell’impossibilità di continuare a approfittare dei beni e delle risorse pubbliche per ottenere ordini e non pagare sempre le tasse. Sciogliere nodi, anzi interi gomitoli e matasse di norme e permessi, integrare le risorse umane con donne e giovani, ridare dignità di contenuti e di merito a una professione vitale per la vita comune sono solo alcuni dei passi essenziali da intraprendere velocemente. Una semplificazione che deve necessariamente ripartire anche da nuove basi culturali per un’innovazione integrata nelle relazioni con le imprese e le persone e quindi con una formazione e informazione 89 90 Quaderni di ricerca sull’artigianato indispensabili per riconnettere il personale al mondo del digitale così come a quello della complessità e dei sistemi solo per citare i più urgenti. 37 E arriviamo all’ultimo tabù. Il settimo, quello che pervade tutto e tutti gli altri sei: la cultura. La base per ritornare a avere l’attitudine per l’innovazione. Troppi anni sono stati fatti passare indenni senza dedicare a questo tema tutte le necessarie attenzioni, nella presunzione di averla ormai acquisita ovvero, nella peggiore delle ipotesi, innaturata nella nostra storia millenaria. Una delle caratteristiche dell’era della complessità é la velocità e velocemente abbiamo perso la capacità di innovare i nostri sistemi di produzione e di vita, pubblici e privati, trascurando gli investimenti nella scuola e nella ricerca così come nella cultura per tutti, avendo talvolta la presunzione di investire in culturame o confondendo convegnistica e eventi in occasioni culturali. Cultura d’impresa, cultura per fare impresa, per competere e innovare, cultura dei giovani, cultura nell’amministrazione della cosa pubblica sono tutti tabù da rompere tutti i giorni per mantenere, gestire e valorizzare i contenuti del nostro agire quotidiano verso un futuro sostenibile. Una cultura che sola può far ritornare alle capacità di innovazione per le piccole imprese e a quella capacità di prevedere i bisogni e i desideri della gente senza attendere una loro espressione aperta e una domanda esplicita. Nessuno aveva chiesto la Vespa, o il distretto, o l’Ipad. Un’innovazione che avrà sempre più bisogno di essere responsabile e eticamente corretta e dove l’impresa, micro, piccola, media o grande che sia dovrà investire risorse con approcci sempre più 37 vedi a tal proposito le varie proposte contenute in CIPOLLINI C. RINALDI N.C. (2012) L’innovazione integrata. Imprese e amministrazione pubblica: nuovi paradigmi digitali per un progresso sostenibile. Maggioli. Rimini UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO consapevoli e pieni di contenuti sostenibili 38. Fiducia, collaborazione, condivisione, cultura, qualità, innovazione, identità, donne, giovani, sono alcuni degli elementi di base di una rete che compone un sistema fortemente interconnesso che rappresenta il punto di partenza per ripartire e ridare la fiducia in un futuro possibile di benessere e progresso diverso e migliore di quello che abbiamo ottenuto fino a oggi. Approcci complessi per un’innovazione postmoderna Sia nel campo del materiale sia in quello dell’immateriale sono necessari prodotti/servizi/esperienze sostenibili dal punto di vista sia ambientale sia economico, che richiedono nuovi approcci e nuove metodologie. Il tema della pianificazione, progettazione, realizzazione e vendita di qualsiasi prodotto e servizio artigianale, industriale o commerciale è vissuto ancora troppo spesso infatti, in una contraddizione sempre più drammatica: pur essendo uno dei principali mezzi per attivare e alimentare lo sviluppo, è trattato ancora soltanto in modo specialistico e settoriale e quindi con un’impostazione semplice e lineare ormai superata e generata dall’onda lunga dell’impostazione ottocentesca, che vedeva nella specializzazione e nell’esaltazione della tecnica i suoi fondamenti. La complessità delle interrelazioni tra le molte componenti necessarie per raggiungere l’obiettivo che ci si prefigge richiederà prodotti/servizi capaci di far in38 A tal proposito l’iniziativa del CISE (Centro per l’innovazione e lo sviluppo economico della Camera di Commercio di Forlì-Cesena) sull’innovazione responsabile rappresenta un’eccellenza internazionale. Infatti La certificazione UGO è stata concepita per generare vantaggio competitivo per le Organizzazioni che sviluppano un’innovazione responsabile, ovvero finalizzata a migliorare la qualità della vita. Il vantaggio consiste nella maggiore fiducia dei mercati verso le Organizzazioni certificate, nella maggiore longevità del business, nel più remunerativo rapporto reciproco tra impresa e collettività. Significa soprattutto scegliere l’innovazione in favore di un ideale di etica dello sviluppo economico, e del valore del progresso tecnologico al servizio dell’uomo e della vita. (www.ugocertification.org) 91 92 Quaderni di ricerca sull’artigianato teragire temi e specializzazioni diversi e al contempo l’obiettivo stesso che si vorrà raggiungere è integrato e interdisciplinare: non sarà più il risultato di una cultura specialistica, ma un vero e proprio sistema, una rete complessa di riferimenti culturali ed esperienziali. Per qualsiasi prodotto/servizio è quindi necessario riqualificare l’organizzazione e i processi, coinvolgendo équipe multidisciplinari e spesso anche multiculturali che, una volta chiarito l’obiettivo e la strategia da raggiungere, lavorino in forme integrate costituendo una rete per la realizzazione del prodotto/servizio. E uno dei capisaldi del nuovo approccio è quello di entrare definitivamente nell’ordine di idee di “rovesciare la piramide” del processo della cosi detta “domanda” delle persone, della gente, i cui bisogni primari sono stati ormai sostanzialmente soddisfatti, così come è stato abbattuto lo zoccolo duro dell’ignoranza, perlomeno nell’Occidente. Chi stava alla base della vecchia piramide – le persone interessate al prodotto/servizio – si ritrova in alto, per esprimere bisogni e desideri ed esercitare consapevolmente il ruolo di partecipazione e indirizzo e ottenere così soddisfazione delle proprie esigenze. Al contrario, l’amministrazione pubblica e le imprese quando sono focalizzate verso il cliente, si situano in basso per realizzare prodotti/servizi/esperienze secondo i desiderata e sotto il controllo dei destinatari, in un processo e sulla base di un’organizzazione che sono altrettanto basilari quanto gli obiettivi e i contenuti. Fin da ora e sempre più in futuro, come ho accennato precedentemente, la gente chiederà qualcosa difficilmente definibile, forse più un’ “esperienza” che non un servizio o un prodotto. Le persone per le quali si progetta un prodotto non si richiamano più a certezze religiose, ideologiche e culturali. Le regole fisse, i manuali, le leggi stesse, non servono più per indirizzare e controllare le azioni degli individui, ma UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO dovrebbero poter mutare per lasciarli liberi di agire responsabilmente. Occorrono dunque strumenti e segnali che consentano approcci “mobili”, in divenire, e siano di supporto alle decisioni: strumenti di monitoraggio e di misurazione della soddisfazione dei destinatari degli interventi, che tengano conto delle trasformazioni e delle esperienze di ciascuno. I prodotti e i servizi postmoderni sono work in progress continui, e se i contenuti e le caratteristiche sono oggetto di scelte imprenditoriali, i processi devono invece essere gestiti. A tale proposito la “mano”39 , nella complessità delle sue cinque “dita” - conoscere, analizzare, progettare, realizzare e vendere - è una metafora utile per approcciare il prodotto/servizio ponendo costante attenzione ad alcuni segnali fondamentali che aiutano a comprendere se la rotta che si sta percorrendo è quella voluta e da considerare per un approccio innovativo e complesso. Ogni prodotto/servizio deve rappresentare un percorso all’interno di un sistema complesso aperto, dove le variabili in gioco possono mutare nel tempo richiesto per l’attuazione del progetto, ma dove ognuna di esse si relaziona con le altre in una fitta rete di persone e di esperienze. Non si tratta di entrare nel merito delle scelte (con i loro presupposti culturali e storici) e dei metodi del singolo artigiano o imprenditore, ma di padroneggiare un quadro di riferimento che consenta di intervenire in modo da raggiungere gli obiettivi con una sufficiente qualità integrata. In questo processo la fase critica è quella della progettazione. Come ricorda Morin “Non ci sono ricette; ... Si tratta di adottare una strategia adatta al singolo caso, non un metodo universale. L’idea di strategia è per questo motivo estremamente importante, poiché essa si modifica in funzione delle osservazioni, delle informazioni raccolte e dei casi in 39 CIPOLLINI C. La mano complessa. Op.cit. 93 94 Quaderni di ricerca sull’artigianato cui ci si imbatte. Tutto ciò comporta una scommessa, nella misura in cui non si è mai sicuri di giungere al risultato che si desidera”. 40 Questo significa che ogni prodotto/servizio è per propria natura un’azione integrata e sistemica. Tutte le variabili in gioco devono dunque essere analizzate, valutate e inserite nel “calcolo progettuale” per far sì che il risultato finale risponda al meglio (se non nel modo ottimale) al bisogno-desiderio da soddisfare. Le differenze riguardano il tema, non l’approccio, che deve essere comunque sistemico e integrato. Tuttavia, prima di arrivare a un approccio innovativo occorre decostruire quello che c’è, destrutturare il concetto di prodotto che si è andato formando nel passato. Questo ci consente di disporre sul tavolo le variabili in gioco composti da tematiche specialistiche, persone, ma anche tempi e luoghi, esperienze e tradizioni. Forse non sono tutte le variabili; forse domani ce ne saranno altre, e altre ancora non ci saranno più. Per ogni tema ce ne sono certamente un numero determinato e poi nei tempi che occorrono a un progetto per realizzarsi esse cambiano e variano, ma sempre all’interno del sistema progettuale, rispettandone obiettivi e bisogni. L’insieme degli elementi rappresenta un elenco, non esaustivo, di riferimento per percorrere l’intero iter. È un contenitore, una rete, un sistema al quale accedere per trarne le connessioni e i contenuti di base, i passaggi da compiere o da verificare per procedere verso l’obiettivo. L’elenco comprende almeno dieci punti: gli obiettivi; le persone ; il copiare; l’innovazione; le alternative; le tecnologie; la gestione; i costi e i tempi; la sperimentazione; e per ultimo il punto più importante, cioè le varie ed eventuali. Non è un elenco esaustivo e onnicomprensivo, sono gli elementi 40 Intervista in: Benkirane R. (2007), La teoria della complessità, Bollati Boringhieri, Torino. p. 25 UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO base alle quali fare riferimento in ogni fase del processo del prodotto/servizio, consci della possibilità o, meglio, della responsabilità di scegliere e di incrementare, ma non di ignorare. Proprio per questo motivo il punto più importante dell’elenco è il decimo: le “varie ed eventuali”, che comprende tutte le scelte possibili. Ognuno degli attori del processo ha la responsabilità di andare a individuare, in ogni passo del viaggio progettuale, gli elementi indispensabili a raggiungere l’obiettivo e a inserirli adeguatamente. Non esiste una lista certa, un manuale di riferimento; ci sono solo alcune caratteristiche di base da considerare ed eventualmente scegliere e realizzare. Queste possono – direi quasi devono – essere integrate da altre caratteristiche, che vanno individuate per rendere il prodotto/servizio adeguato ai suoi obiettivi specifici. Dunque, cercare di organizzare il processo costituisce soltanto – in questo caso – il tentativo di “isolare” alcuni insiemi, alcuni “grappoli” di fasi temporali e di variabili-tematiche, per consentire di rendere più accessibile l’intero processo, e conseguentemente più realizzabile il singolo prodotto/servizio. È per questo che, nella ricerca di punti fermi, di “paletti” dell’approccio metodologico alla complessità progettuale, la mano e le sue cinque dita possono essere la metafora più significativa per meglio rendere contemporaneamente sia il ruolo, le funzioni e le caratteristiche di ogni fase (dita), sia l’organicità e la sistematicità del tutto (la mano). Una mano che rappresenta la sintesi, oltre che la metafora, di un processo sistemico e contemporaneamente di un sistema e della relativa rete di interconnessioni e scambiatori. Le possibili interrelazioni tra le varie fasi cronotematiche all’interno di ciascun insieme del processo che riguarda ogni prodotto e servizio, sono infinite. Per uno artigianale ancora di più. Non c’è uno schema, non c’è il “manua- 95 96 Quaderni di ricerca sull’artigianato le”, ma solo infinite possibili schematizzazioni delle varie alternative possibili. La consapevolezza di agire in rete, in sistemi adattivi aperti, è allora, insieme al quadro di riferimento esposto, la motivazione principale per cui la mano può divenire uno strumento di riferimento nell’iter complessivo di tutti gli ambiti che interessano il prodotto/servizio. Il primo ambito è certamente quello che presenta gradi di complessità maggiori, anche se non incide ancora sul reale e sul materiale, ma ne è il presupposto, il progetto, il luogo virtuale dell’adattamento del sistema del prodotto/ servizio quale esso sia. Il secondo e il terzo ambito hanno a loro volta valenze peculiari. Il costruire è una fase di transizione dal virtuale al materiale che comporta problematiche particolari, ma sostanzialmente radicate e provenienti dalla conoscenza e dalla tradizione. L’ambito della vendita, presenta tematiche e problematiche di notevole interesse e di fatto determinanti per ottimizzare la riuscita di un prodotto/servizio. Il caso esemplare E per finire, se dovessimo immaginarci uno scenario plausibile e concreto per un gruppo di imprenditori-artigiani del settore per esempio della gioielleria, li vedremmo uniti in una cooperativa gestire in varie parti del mondo centri di produzione e vendita di esperienze da far acquistare a persone cinesi, indiane o tedesche. Questi, prenotando un appuntamento via internet, arriverebbero nello spazio dove si producono i gioielli e potrebbero assistere, conoscere e acquistare l‘esperienza di un gioiello di cui si apprende e si impara la storia, la tradizione, i luoghi e i tempi dell’invenzione, ma anche le tecnologie e l’innovazione. Un gioiello che indossato rimane lì a rammentare UNA CRISI PER UN PROGRESSO SCONOSCIUTO sempre l’esperienza vissuta, talvolta il contributo dato alla propria trasformazione, come un libro o un film conservato nella libreria di casa, che solo a guardarlo ricorda evoluzioni, gioie, passioni o dolori, sviluppi e crescite personali. 97