istanbul dopo parigi e bruxelles: cosa ci insegna il “commando

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istanbul dopo parigi e bruxelles: cosa ci insegna il “commando
Analysis No. 301, luglio 2016
ISTANBUL DOPO PARIGI E BRUXELLES: COSA
CI INSEGNA IL “COMMANDO SUICIDA”?
GLI EFFETTI DEL “NUOVO TERRORISMO
INSURREZIONALE” DI MATRICE ISLAMICA
Claudio Bertolotti
L’attacco del 28 giugno all’aeroporto internazionale Atatürk di Istanbul è stata un’azione spettacolare portata a
compimento da una squadra d’assalto di tipo “commando suicida”, organizzato e strutturato, al pari di quelli
che hanno operato in Francia (Parigi, 13 novembre 2015) e a distanza di circa tre mesi dal similare attacco in
Belgio (Bruxelles, 22 marzo 2016). Un attacco imponente che ha ottenuto, come risultati, la morte di 45
persone e il ferimento di almeno 238, l’attenzione mediatica globale, l’indebolimento di Erdoğan e
dell’economia turca (riduzione dei flussi turistici e di affari) e il temporaneo blocco dei trasporti aerei da e per
la Turchia. Sebbene non sia giunta alcuna rivendicazione e assunzione di responsabilità per l’attacco, le
speculazioni basate su metodologia, tipologia di tecnica e di equipaggiamento utilizzato, inducono a focalizzare
l’attenzione sul fenomeno IS/Daesh. Al di là della tipologia di attacchi e del grado di emulazione degli stessi in
diversi contesti nazionali, la volontà di provocare terrore, attraverso azioni scarsamente prevedibili e
limitatamente contrastabili, discenderebbe l’introduzione e l’evoluzione di tecniche nuove e sempre più
spregiudicate, in grado di adattarsi velocemente e in maniera economica alle contromisure, spesso onerose e
impegnative, adottate dai governi e dalle istituzioni deputate alla sicurezza collettiva.
Claudio Bertolotti, Ph.D, Senior Researcher - Indipendent Strategic Analyst, CEMRES - "5+5 Defence Initiative",
CeMiSS - Military Center for Strategic Studies, Italian MoD, ITSTIME - Italian Team for Security, Terroristic Issues
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& Managing Emergencies
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Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
ISBN 978-88-909499-5-1
L’azione e i risultati
L’attacco del 28 giugno all’aeroporto internazionale Atatürk di
Istanbul è stata un’azione spettacolare portata a compimento da una
squadra d’assalto di tipo “commando suicida”, organizzato e
strutturato, al pari di quelli che hanno operato in Francia (Parigi, 13
novembre 2015) e a distanza di circa tre mesi dal similare attacco in
Belgio (Bruxelles, 22 marzo 2016).
Sette i componenti della squadra di attacco: tre caduti nella fase
condotta dell’azione, uno catturato, tre in fuga; altre 13 persone
sarebbero state arrestate dalle autorità turche. I tre attaccanti erano
originari di Uzbekistan, Kirghizistan e Russia (Cecenia); in
particolare, il ceceno Ahmed Redjapovic Chataev, la “mente”
dell’attacco, aveva lo status di rifugiato e per questo, nonostante il suo
arresto in Bulgaria per i suoi legami con l’organizzazione terroristica
di matrice islamica, era stato rilasciato successivamente in Austria.
La Turchia è stata colpita attraverso la tecnica dell’azione
spettacolare; un attacco che ha ottenuto, come risultati, la morte di
45 persone1 e il ferimento di almeno 238, l’attenzione mediatica
globale, l’indebolimento di Erdoğan e dell’economia turca (riduzione
dei flussi turistici e di affari) e il temporaneo blocco dei trasporti
aerei da e per la Turchia. Elemento, quest’ultimo, da tenere in
considerazione e in linea con quanto già avvenuto in Belgio con il
blocco dei voli europei.
Per la Turchia, si tratta dell’ottavo attacco di tipo “suicida” portato a
compimento nei primi sei mesi del 2016; azioni, che hanno provocato
la morte di almeno 140 persone, attribuite, e in alcuni casi
rivendicate, a gruppi riconducibili a militanti curdi e al fenomeno
dello Stato islamico (IS/Daesh).
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Al momento non è giunta alcuna rivendicazione e assunzione di
responsabilità per l’attacco; ma le speculazioni basate su metodologia,
tipologia di tecnica e di equipaggiamento utilizzato, inducono a
focalizzare l’attenzione sul fenomeno IS/Daesh. Inoltre, quello che è
stato portato a compimento è un attacco che pone in evidenza una
crescente abilità di penetrare le linee difensive degli obiettivi sensibili
Tra i morti accertati, la maggior parte dei quali è di nazionalità turca (inclusi dieci membri
dello staff aeroportuale), vi sono sei sauditi, due iracheni, un tunisino, un cinese, un iraniano,
un ucraino, un giordano, un uzbeco.
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e, in particolare, di rappresentare una minaccia significativa per gli
aeroporti e dunque una minaccia diretta anche all’Europa.
Un attacco che, dopo gli eventi avvenuti in Francia e in Belgio –
spartiacque sostanziale nell’evoluzione del fenomeno terroristico
contemporaneo –, evidenzia come il fondamentalismo jihadista, che
si diffonde dal Medio Oriente, attraverso il Nord Africa, sia una
minaccia sempre più concreta, nonostante dal punto di vista
territoriale IS/Daesh sia in fase regressiva: una minaccia che è
conseguenza dell’evoluzione neo-jihadista riconducibile al fenomeno
Stato islamico in combinazione con le dinamiche conflittuali locali
(interne all’area Mena), con gli influssi dell’area asiatica (come
dimostra la componente asiatica che ha preso parte all’azione), ma
anche della componente musulmana europea spesso di seconda-terza
generazione (attacchi avvenuti in Europa).
Un’imposizione di violenza che ha portato a compimento con successo
un’operazione articolata e coordinata. Ciò che è avvenuto è stato un
classico esempio di trasferimento di capacità tattica da un teatro
operativo a un altro. Ma a differenza del passato, dove le tecniche,
tattiche e procedure venivano trasferite dall’Iraq all’Afghanistan,
alla Siria, o alla Libia, oggi l’evoluzione di una tecnica di
combattimento maturata e collaudata nell’area del Grande Medio
Oriente – dal sub-continente indiano al Maghreb – si è imposta
ancora una volta al di fuori delle aree di crisi propriamente dette, in
un paese ai confini dell’Unione europea, e potrebbe essere replicata
in altri stati dell’Ue, tra i quali l’Italia, che rappresenta un obiettivo
significativo, sul cui territorio vi sono molteplici target di alto valore
(Hvt – High Value Target) materiale e simbolico.
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È la tecnica del “commando suicida”, ampiamente utilizzata e
affinata, che ha fatto la sua comparsa per la prima volta nel 2008 in
Afghanistan e di cui l’autore di questo contributo ha trattato nel libro
Shahid. Analisi del terrorismo suicida e in altri studi successivi
dedicati al fenomeno degli attacchi suicidi, anticipando quegli
sviluppi a cui oggi assistiamo.
Oggi, esportando questa tecnica, il fenomeno IS/Daesh ha
confermato di essere capace di operare con efficacia, dimostrando di
disporre di “combattenti” in grado di costituire nucleo di individui
determinati, con adeguato livello di addestramento e coordinamento,
con buona capacità operativa in un contesto urbano e un livello di
capacità logistica e intelligence adeguato. Si tratta di capacità
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procedurali già applicate in Afghanistan, prima, e nei teatri operativi
del Syraq (Siria e Iraq) della Libia e, più recentemente, dell’Europa 2.
La dinamica dell’attacco: tattica e azione condotta
Un attacco da manuale, caratterizzato da un processo di
pianificazione molto accurato e strutturato su tre fasi di cui, la prima,
attraverso l’innovativa introduzione dell’azione “diversiva”. Un
risultato, frutto di un’azione durata complessivamente 90 secondi,
che innalza il livello di sofisticazione operativa. Dei tre attaccanti
suicidi, uno ha colpito in prossimità dell’area parcheggio, due hanno
attaccato il terminal 2 voli internazionali. Vediamo, in sintesi, le fasi
dell’operazione.
Fase “uno”: il diversivo – Ripetendo uno schema già utilizzato
nell’attacco di Bruxelles di questa primavera, gli attaccanti sono
arrivati in aeroporto a bordo di un taxi dando avvio alla prima fase
dell’attacco che è stata avviata con un’esplosione nel parcheggio
adiacente al terminal 2. Due attaccanti suicidi – equipaggiati di
cinture esplosive e armi leggere d’assalto – si sono avvicinati al punto
di accesso e controllo presidiato dalla polizia ingaggiando un conflitto
a fuoco prima che uno di questi si facesse esplodere attirando
l’attenzione del personale della sicurezza e inducendo a una
concentrazione degli sforzi verso l’esterno.
Chi ha pianificato l’azione sapeva, dunque, che parte del personale
addetto alla sicurezza si sarebbe portato sul luogo dell’azione, come
previsto dalle procedure aeroportuali adottate dopo l’attacco a
Bruxelles, consentendo così agli attaccanti di approfittare della
distrazione del personale impegnato nell’anello più esterno del
sistema (prima linea di difesa).
Ed è proprio la prima linea di difesa a essere quella più critica,
poiché è il filtro più sensibile e sottoposto a maggiore stress in quanto
chiunque debba accedere all’aeroporto deve transitarvi ed essere
sottoposto ai controlli. La riduzione del personale in seguito
all’azione diversiva ha consentito di creare una breccia nella
sicurezza che ha poi dato il via alla fase due dell’attacco.
C. Bertolotti, A. Beccaro, Suicide Attacks: Strategy, from the Afghan War to Syraq and
Mediterranean region. A triple way to read the asymmetric threats, in “Sicurezza,
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Terrorismo e Società – Security, Terrorism, Society – International Journal”, n. 2/2015,
Milano, ed. Università Cattolica del Sacro Cuore, ISSN 2421-4442, in
http://www.sicurezzaterrorismosocieta.it/?page_id=16.
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Fase “due”: la breccia – Il secondo attentatore si sarebbe fatto
esplodere pochi istanti dopo, in prossimità del vicino accesso al
terminal 2. Approfittando della ridimensionata efficacia della prima
linea di difesa provocata dalla riduzione del personale in essa
presente dopo il diversivo che l’aveva resa vulnerabile, il nucleo
d’attacco (un elemento) è penetrato nel terminal 2 voli internazionali,
procedendo con la condotta della successiva fase operativa. Questa è
la fase che ha provocato il più alto numero di caduti, a causa
dell’elevata concentrazione di passeggeri e personale in servizio
all’aeroporto in prossimità dei punti di controllo.
Fase “tre”: penetrazione – Gli effetti devastanti dell’esplosione –
distruzione di porte, vetri, e riduzione dell’efficacia del cordone di
sicurezza – hanno così consentito al terzo attaccante di entrare
all’interno del terminal 2 aprendo il fuoco sulla folla in fuga; ferito da
un poliziotto, ma non neutralizzato, è riuscito infine a farsi esplodere
provocando danni materiali alla struttura interna.
Tattica, tecnica e procedura3
Il metodo di attacco è simile a quello portato a compimento
all’interno del teatro Bataclan di Parigi: fuoco di saturazione con
armi leggere e attacchi suicidi con cinture/giubbetti esplosivi. Inoltre,
la tipologia di obiettivo è la stessa dell’attacco a Bruxelles: un
aeroporto internazionale.
La metodologia, confermando la tecnica di attacco già utilizzata, si è
adeguata alle misure di contrasto delle forze di sicurezza e le ha rese
inefficaci.
La tattica utilizzata è il raid condotto da un “commando suicida”
dotato di capacità operativa convenzionale (tiratori dotati di armi
automatiche individuali) attraverso fasi successive. Le tre singole
fasi prese in esame e descritte sono vere e proprie operazioni militari,
in cui agli equipaggiamenti esplosivi dei combattenti-suicidi si
aggiungono le armi leggere. In particolare, le fasi operative si sono
così succedute: movimento verso l’obiettivo, diversivo, penetrazione,
uccisione indiscriminata, ricerca del panico, conclusione con la morte
autoindotta degli attaccanti (giubbotti esplosivi).
C. Bertolotti, ‘Commando suicidi’: dopo gli attacchi di Parigi, l’Italia è a rischio? Analisi
della minaccia del ‘Nuovo Terrorismo Insurrezionale’, in “Confini e conflitti. Il ritorno della
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Geopolitica” - SPECIALE TERRORISMO: il 13 novembre 2015 è un nuovo 11 settembre?”,
Centro Militare di Studi Strategici (CASD-CeMiSS), Ministero della Difesa, Roma gennaio
2016, pp. 161 - 170, ISBN 978-88-99468-13-2.
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Una conferma ulteriore allo sviluppo di una tecnica di attacco “fluida”
e adattabile che ha dato prova di efficacia in Afghanistan e
successivamente anche nel teatro operativo del Syraq. Il primo
episodio di questo tipo ad aver ottenuto un’attenzione mediatica
globale è quello di Mumbai nel novembre del 2008.
Inoltre, nella sua variante europea e turca, si è manifestata come
azione inserita in un contesto urbano, e per questo ascrivibile ad
operazione dello urban warfare contemporaneo: l’evoluzione del
combattimento nei centri abitati, difficile da contrastare, a rischio
coinvolgimento di attori non-combattenti (popolazione civile),
caratterizzato dall’imprevedibilità della minaccia e dall’elevato
numero di target potenziali.
L’equipaggiamento utilizzato è costituito da armi individuali,
precisamente fucili d’assalto AK47 con rimozione del calcio al fine di
ridurne la visibilità sotto gli abiti e all’interno di borse; alle armi
individuali si uniscono le cinture addominali esplosive (la tipologia di
esplosivo non è nota ma è probabile che si tratti di tritolo e non si
esclude, come già a Parigi e Bruxelles, l’utilizzo di perossido di
idrogeno, chiodi e bulloni con l’intento di creare l’effetto shrapnel).
Si tratta di una tattica efficace – frutto della commistione tra
l’uomo-bomba4 e la tecnica dell’assalto armato convenzionale –
basata sul coordinamento di uno o più combattenti-suicidi (in genere
divisi in sotto-unità o scaglioni), spesso sostenuti da nuclei di
«sicurezza vicina» e finalizzata alla massimizzazione dell’opera di
distruzione in funzione della penetrazione delle linee difensive e a
sostegno dell’attacco suicida principale. Una tecnica che si è
sviluppata e affinata attraverso il tempo grazie alla capacità di
information-sharing tra i gruppi di opposizione armata e l’influenza
diretta del conflitto iracheno; tecnica utilizzata ed evolutasi nel
conflitto del Kashmir e applicata da quei gruppi insurrezionali
kashmiri e pachistani, in primis il Lashkar-e-Taiba5.
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Questa tipologia di azione ottiene il risultato di un elevato numero di
vittime provocate per singolo attacco, superiore alle azioni condotte
da singoli attaccanti, e maggiore attenzione mediatica.
SBBIED: suicide body-borne improvised explosive Device.
C. Bertolotti, Attacchi suicidi in Afghanistan. Tattica militare e strategia politica tra
fallimento e successo, Tesi di Dottorato di ricerca, Università degli Studi di Torino, 2013.
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E Istanbul – come Ankara e le capitali o principali città europee –
rappresenta un importante obiettivo, strategico e simbolico al tempo
stesso; qui, le opportunità di colpire obiettivi di alto profilo sono
elevate e garantiscono quell’eco mediatica amplificata che viene
ricercata dai gruppi di opposizione armata: è l’opportunità a dettare
la scelta per la condotta dei cosiddetti «attacchi spettacolari», al fine
di spettacolarizzare la violenza.
Natura e limiti dell’obiettivo colpito
L’aeroporto internazionale “Atatürk” è un obiettivo dal forte impatto
emotivo e simbolico; tecnicamente un hard-target, con un medio
livello di sicurezza, ad elevata concentrazione di popolazione.
Il risultato, a fronte di un costo ridotto per la condotta degli attacchi,
è stata l’imposizione di significative condizioni, in termini di risorse
materiali e umane, sforzi logistico-operativi, difficoltà di
coordinamento, blocco del traffico aereo.
L’aeroporto è, di fatto, un obiettivo altamente vulnerabile e ciò ne fa
un’opzione privilegiata per gli attacchi. Le misure di prevenzione e
difesa sono in grado di essere efficaci solamente in alcune specifiche
aree, ma non in tutte e allo stesso livello.
E infatti, gli attaccanti possono far esplodere una bomba o aprire il
fuoco in prossimità dei punti di accesso, o addirittura ai posti di
controllo sulle strade che portano all’aeroporto; e in ogni caso
sarebbero in grado di colpire e far vittime. E per quanto forze speciali,
tiratori scelti, misure tecnologiche all’avanguardia possano ridurre il
livello di minaccia, agli aeroporti come ai velivoli in volo, questo non
può essere annullato; il che significa accettare il rischio calcolato. In
altri termini un prezzo in vite umane poiché, tragicamente, le vittime
di rado possono essere evitate se la volontà dei terroristi è quella di
uccidere. E il nuovo terrorismo insurrezionale di matrice islamica ha
come obiettivo quello di creare il maggior numero di morti,
attraverso la spettacolarizzazione della violenza.
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La risposta è dunque nella combinazione, un giusto equilibrio, tra
attività preventiva (intelligence), repressiva e misure di sicurezza
fisica, al fine di ridurre a un livello minimo il rischio calcolato.
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I possibili sviluppi della minaccia e potenziali obiettivi
Per quanto concerne gli attacchi diretti, con specifico riferimento agli
attacchi suicidi (e commando suicidi), quello turco, così come quello
francese prima e quello belga successivamente, è un successo in
grado di indurre all’emulazione o alla riproposta del modello di
attacco contro altri analoghi obiettivi. E questo indipendentemente
dagli effetti diretti sul piano operativo o dal numero dei morti, poiché
il terrore opera sfruttando la capacità di amplificazione
mass-mediatica della paura che è l’end-state della strategia
caratterizzante quel Nuovo Terrorismo Insurrezionale di matrice
islamica6 che così, attraverso la condotta di azioni tattiche, ottiene
significativi risultati e conseguenze sul piano strategico.
E proprio dalla volontà di provocare terrore, attraverso azioni
scarsamente prevedibili e limitatamente contrastabili,
discenderebbe l’introduzione e l’evoluzione di tecniche nuove e
sempre più spregiudicate, in grado di adattarsi velocemente e in
maniera economica alle contromisure, spesso onerose e impegnative,
adottate dai governi e dalle istituzioni deputate alla sicurezza
collettiva.
Il Nuovo Terrorismo Insurrezionale (NIT – New Insurrectional Terrorism) è l'approccio
concettuale al terrorismo contemporaneo di matrice islamica proposto ufficialmente nel 2015,
attraverso il contributo dell’Autore di questa analisi, dal gruppo di ricerca internazionale
della ‘5+5 Defense Initiative’ – l'iniziativa di difesa intergovernativa per la sicurezza del
Mediterraneo occidentale, di cui fanno parte Italia, Mauritania, Marocco, Libia, Algeria,
Tunisia, Malta, Francia, Spagna, Portogallo. Per un approfondimento, si rimanda a C.
Bertolotti, NIT: Il ‘Nuovo Terrorismo Insurrezionale’. Dalla ‘5+5 Defense Initiative 2015’ il
cambio di approccio alla minaccia dello Stato islamico, Analysis No. 292, 16 dicembre 2015,
ISPI Milano e C. Bertolotti in AA.VV., "Securing the borders of 5+5 space: cooperation and
implications", cap. 1, CEMRES, Tunisi 2015.
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