Il suo nome è “270”
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Il suo nome è “270”
Salviamo il topo e … “L’empatia per il più piccolo degli animali Einstein. la bambina è la più grande delle doti di un uomo” diceva Ma cos’è l’empatia? Noi oggi studiamo lingue quali l’italiano, l’inglese, il tedesco, e con esse comunichiamo in continuazione. Ecco, l’empatia è un modo che gli animali usano per comunicare proprio come noi usiamo le lingue. Quando siamo bambini, anche noi siamo “empatici”, ma con il passare del tempo, molte persone perdono questa dote. “Sentire” le emozioni di chi ci sta vicino,di chi soffre o di chi gioisce, ed interpretarle, ecco cos’è l’empatia. Fortunatamente, nel corso dei secoli ci sono sempre stati individui empatici, che hanno sentito l’esigenza di aiutare i più deboli, dagli ebrei alle donne; ai deboli di sempre, si aggiunge oggi una nuova “categoria”: gli animali. Oramai non sono considerati più esseri inferiori, ma ESSERI SENZIENTI. Dimostrato anche dalla scienza, gli animali provano emozioni, proprio come le proviamo noi. Quindi possono essere felici o essere tristi, di conseguenza provano dolore. Il movimento animalista (ovvero quello in difesa degli animali) si è mobilitato e sta raggiungendo diversi obiettivi; grazie al suo intervento, ora, i diritti degli animali sono oggetto di specifici corsi di laurea (in Italia, ad esempio, ci sono corsi di biodiritto a Genova e all’Università degli Studi di Milano). Gli animalisti vogliono (vogliamo, perché io ne faccio parte) dimostrare che la vivisezione, oggi, è inutile oltre che controproducente, se non per il guadagno di molte case farmaceutiche. Ma perché possiamo sostenere che la vivisezione è inutile? La sperimentazione su cavia non sostituisce quella sull’uomo perché un farmaco, per essere messo in commercio, deve comunque essere sperimentato su di esso. Ora, anche senza conoscere poi molto la genetica, sappiamo che il nostro patrimonio genetico non è uguale a quello di un topo (a meno che qualche lettore non abbia la coda) o a quello di una scimmia, pur essendo molto simile. Se siamo diversi da sesso a sesso, figuriamoci tra specie! Sappiamo inoltre che esistono metodi sostitutivi (già utilizzati in America e in Italia da I-CARE). Ma quali sono questi metodi? Frutto di molte ricerche, i metodi sostitutivi sono essenzialmente tre: la ricostruzione del nostro corpo in vitro, in silicio, e, metodo che dai medici viene definito il più efficace e il più “futurista”, la medicina personalizzata. Essa si basa sul prelievo ( di qualche millimetro) di un tessuto malato, sul quale poi si svolgeranno tutte le ricerche. Fantastico, vero? Così si salva il topo e … la bambina! Perciò anche io, come molti, trovo la vivisezione una pratica insensata. Io ho degli ideali, e combatto per difenderli. Quando vengono aperti gli occhi su quello che davvero accade nel mondo, penso che non si possa rimanere indifferenti: ci si sente in dovere di fare qualcosa (non solo contro lo sfruttamento animale ma, ad esempio, anche contro lo sfruttamento minorile), in modo da cambiare le cose. E il cambiamento parte da noi, anche scrivendo un racconto in classe. Giada Felline, 1a A-L IL SUO NOME È 270 ! La stanza era buia, ma si accorse che stava accadendo qualcosa. C’era una confusione indescrivibile e un’agitazione mai verificatasi prima. Gli esseri che fino ad allora lo avevano usato e che lo avevano scrutato per anni con quegli occhi perfidi e superiori ora erano quasi spaventati, arrabbiati, e continuavano a entrare ed uscire. ”Forse qualcuno di più cattivo di loro sta venendo a prenderci”, pensò. Quella giornata, però, era come al solito: 7 ore al buio e 4 con la luce del neon accesa davanti al suo torace aperto in due come un libro e le zampette divaricate fermate da pezzi di spago. Quanto odiava essere toccato da quelle mani ricoperte di lattice! Quanto stava male quando gli iniettavano quegli strani virus che ormai lo avevano fatto diventare tutto rugoso! Ma a chi importava? A chi importava se dopo essere stato “aperto e richiuso” non si muoveva per ore e ore dal dolore? Delle volte si chiedeva se quegli esseri che lo usavano provassero sentimenti o sapessero solo guardarlo con quegli occhi di ghiaccio. Si chiedeva A COSA SERVISSE torturare lui e le altre quattrocento cavie di quella stanza, ma non riusciva a trovare una risposta logica, un filo conduttore. <<Ehi, numero 270, cosa sta succedendo?!>> gli chiese un’altra cavia. <<Non lo so, ma ho paura>> rispose lui. Il frastuono si fece più forte quando, a un certo punto, nel buio più totale, sentì che la sua gabbia stava per essere aperta. “Voglio morire” fu l’unica cosa che riuscì a pensare. Non vedeva chi stesse aprendo la sua prigione, ma ne sentiva l’odore, il respiro. Quando si accorse che la gabbia era completamente aperta, lo pervase un brivido dietro la schiena, che si era fatto strada tra le cicatrici. Sarebbe svenuto da lì a qualche istante. Un paio di mani lo avvolsero quando la sua paura aveva ormai superato ogni limite. Venne portato subito via, in un’altra stanza. Era ampia e ben illuminata; così poté scorgere il volto di quell’ uomo che lo aveva “rapito”. Il suo sguardo era profondo, intenso. Stava facendo una smorfia che fino ad allora la piccola cavia non aveva mai visto: era un sorriso. Chi mai avrebbe pensato che esistesse un’espressione del genere? Gli occhi e la bocca esprimevano qualcosa che colpì al cuore la piccola cavia. Il proprietario di quel sorriso lo accarezzò. Tutto si fermò intorno al piccolo 270. Non era mai stato accarezzato! Quelle mani erano così dolci e delicate! Lui si lasciò accarezzare ancora e ancora, fino ad addormentarsi completamente. Quando si svegliò, era in uno scatolone. Perché era finito lì dentro? Perché era solo? Alzando gli occhi, però, riconobbe il volto del suo amico umano che lo aveva portato via da quell’università (per non dire lager) dove avrebbero sperimentato su di lui fino a farlo morire. Era tranquillo. Spostando lo sguardo notò poi che il buio che vedeva era un buio diverso: non era il soffitto di una stanza ma il cielo, che non aveva mai visto in vita sua. E solo quando scorse la luna, si rese conto che finalmente era libero e che avrebbe avuto un futuro migliore. Dallo scatolone fu trasferito in una gabbietta con oggetti e cure che non ne facevano più la tremenda prigione conosciuta fino ad allora. Passarono tre mesi prima che qualcuno decidesse di adottarlo, forse per il suo aspetto o per i pregiudizi contro le cavie, ma resta il fatto che 270 trovò una casa e una famiglia che seppe amarlo. Non rivide più il suo salvatore, ma non dimenticò mai la delicatezza delle sue mani e la profondità e dolcezza dei suoi occhi. GIADA FELLINE 1a A-L !