Intervento del Sen. Mantica - Istituto Affari Internazionali

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Intervento del Sen. Mantica - Istituto Affari Internazionali
INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO SEN. ALFREDO
MANTICA ALLA GIORNATA CONCLUSIVA DEL SEMINARIO “L’ITALIA
NELLE MISSIONI CIVILI DELL’UE – CRITICITA’ E PROSPETTIVE”
(Farnesina, 5 novembre 2009)
Signori rappresentanti della Presidenza dell’Unione Europea e del Segretariato
Generale del Consiglio, Onorevoli parlamentari, rappresentanti delle amministrazioni
e dei Comandi coinvolti nelle missioni civili della PESD, e dei mezzi di
informazione, Signore e Signori.
E’ con vivo piacere che vi porgo il saluto del nostro Ministero degli Affari Esteri in
questa mattinata conclusiva del primo Seminario sulla partecipazione italiana alle
missioni civili della PESD.
Il Seminario, come sapete, è iniziato ieri con una giornata di studio e discussione
riservata agli addetti ai lavori, dei cui risultati siete stati già informati sinteticamente
agli inizi di questa sessione pubblica.
La sessione di stamane è invece dedicata a meglio diffondere, presso l’opinione
pubblica e parlamentare, la conoscenza di queste Missioni ed il significato che esse
rivestono per la politica estera dell’Europa, e per quella dell’Italia al suo interno.
Un breve documentario e le testimonianze dei protagonisti di alcune di queste
missioni ve ne hanno illustrato e ve ne illustreranno successivamente finalità,
dimensioni, caratteristiche, e contesti geografici e politici nei quali sono dispiegate.
Da parte mia vorrei soffermarmi su alcune considerazioni, che sono anche il frutto di
numerose missioni da me effettuate nei Paesi dell’Unione Europea teatro di tali
interventi, visite nel corso delle quali mi è stato possibile apprezzare di persona il
ruolo fondamentale che le missioni PESD svolgono nella stabilizzazione di situazioni
di grave crisi, e la elevata professionalità e dedizione con cui tutto il personale, ed in
particolare quello italiano ad esse destinato, assolve i compiti che gli sono affidati.
Le missioni civili della PESD, come le operazioni militari, pur essendo orientate alla
trattazione di situazioni critiche per la sicurezza e la difesa dell’Unione, costituiscono
innanzi tutto un formidabile strumento della sua politica estera.
Con il loro lancio, dieci anni fa, l’Unione Europea è uscita da una fase nella quale il
suo impegno sulla scena politica internazionale era confinato a, pur importanti, ma
sovente inefficaci, esercizi “declaratori”, e si è arricchito di una capacità di azione
che è divenuta negli anni sempre più multiforme, sofisticata, ed universalmente
apprezzata.
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Le missioni e le operazioni PESD si aggiungono, integrandoli, ad altri strumenti
importanti di politica estera dell’Unione, gestiti dalla Commissione con il metodo
comunitario, come lo strumento di stabilità o le iniziative di aiuto allo sviluppo.
Missioni civili ed operazioni militari sono fra loro complementari e sempre più,
partendo proprio dall’esperienza delle missioni PESD, se ne invoca una loro
utilizzazione combinata.
Se infatti nel momento di crisi più acuta per la pace o di grave instabilità interna o
regionale l’intervento internazionale di peace-keeping o di peace-enforcing appare
insostituibile per la separazione delle opposte forze in campo, allo stesso tempo una
strategia di uscita delle forze internazionali impegnate non riesce facilmente a
sostanziarsi fino a che non siano state ristabilite le condizioni essenziali per la
stabilità e la convivenza a livello sia interstatale che interno. E ciò vuol dire ristabilire
in termini non solo teorici, ma anche pratici, il governo della Legge.
Se, dunque, l’importanza delle missioni civili non è minore a quella delle operazioni
militari per il raggiungimento dell’obiettivo complessivo della pacificazione e della
stabilità, vero è anche che, nell’immaginario collettivo, inevitabilmente il ruolo delle
missioni civili appare più sfumato, e più difficilmente comprensibile.
Le immagini televisive sono a questo riguardo eloquenti : mentre infatti siamo ormai
abituati a vedere i nostri contingenti militari in azione nei più diversi teatri del mondo
- e ci è ormai familiare la bandiera italiana accanto a quella dell’Unione Europea o
delle Nazioni Unite a bordo dei mezzi militari - meno evidente è l’impegno di un
magistrato italiano o tedesco che amministra la giustizia nel Kosovo, di un ufficiale
di finanza che insegna i rudimenti dei controlli anticontrabbando alle frontiere, di un
ispettore di polizia che istruisce i suoi colleghi locali sulle tecniche di indagine
criminale o sui servizi più elementari di sicurezza per la popolazione.
Nel primo caso le immagini militari evocano in noi la forza, la potenza necessaria ad
imporre la pace, nel secondo caso, più difficile forse da comunicare, illustrano gli
essenziali compiti di ricostruzione dello Stato e della sua autorità al servizio dei
cittadini, in un quadro di rispetto della legalità e dei diritti umani.
Questa giornata ha proprio l’obiettivo di orientare per una volta i riflettori sul
secondo tipo di missioni, per sottolinearne il carattere peculiare ed al tempo stesso la
sua delicatezza.
Missioni affidate alle specialità individuali più che ai grandi numeri, missioni nelle
quali è necessario, per il successo, un contatto assiduo con gli interlocutori locali, che
non di rado proprio da questo contatto traggono iniziale legittimazione, un’osmosi
continua di professionalità e sensibilità, una capacità non comune di trasmettere
valori, esperienze e procedure adattandoli allo specifico contesto del luogo.
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Missioni, per di più, che sono pianificate, gestite, e valutate in un contesto
internazionale come quello dell’Unione Europea tra componenti che, nei singoli Paesi
di provenienza, non sono abituate, a differenza delle forze armate, ad una proiezione
esterna e ad una indispensabile cooperazione.
Nei dieci anni trascorsi dal lancio della Politica Europea di Sicurezza e Difesa
l’Unione Europea, attraverso il Segretariato Generale del Consiglio, è andata
perfezionando i meccanismi di pianificazione, organizzazione, spiegamento e
gestione delle sue operazioni all’estero.
La componente militare è stata più rapida. Aiutati da una congenita attitudine alla
pianificazione e naturalmente orientati all’impiego all’estero, i nostri militari, insieme
ai colleghi europei, hanno certamente spianato la via riuscendo ad organizzare in
tempi relativamente rapidi, ed in modo efficace, gli organi comuni indispensabili per
la costruzione ed il comando di importanti operazioni militari europee, alcune delle
quali ormai concluse, altre ancora in funzione.
Più complessa si è invece rivelata la pianificazione e l’organizzazione delle missioni
civili, che tuttavia ha fatto anch’essa negli ultimi anni passi da gigante nel mettere a
punto suoi propri meccanismi, ed è costantemente alla ricerca, spesso creativa, in un
terreno tutto sommato ancora abbastanza inesplorato, di nuove soluzioni ai problemi
correnti di reclutamento e formazione del personale e di equipaggiamento delle
missioni.
A questi sviluppi l’Italia ha partecipato e continua a partecipare con il contributo
delle proprie idee, con il concorso delle sue riconosciute professionalità, sia a livello
centrale, negli organi di Bruxelles, sia a livello periferico, nelle missioni tanto militari
quanto civili, ove ha ricoperto e ricopre tuttora anche incarichi di primaria
responsabilità.
Se consideriamo le sole missioni civili della PESD, il nostro Paese è, tra gli europei,
il secondo contributore, con circa 250 unità sulle quasi 2.600 complessivamente
impegnate. Ma non è soltanto la quantità che conta (i numeri, come ho detto prima,
non riflettono a pieno la ricchezza delle diverse professionalità impegnate, dai
magistrati giudicanti ed inquirenti ai diversi corpi delle Forze di Polizia, dai
funzionari penitenziari a quelli del Ministero dell’Interno, dai consiglieri politici agli
osservatori, esperti di diritti umani, analisti politici, ecc.) .
Conta anche la qualità, quel modo tutto italiano di svolgere la missione, di
interpretare al meglio il mandato e gli obiettivi da raggiungere, con determinazione,
professionalità e flessibilità. Un modo che oramai viene citato nel mondo quale
esempio da seguire anche nei teatri di crisi più impegnativi.
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Il seminario che si conclude oggi costituisce quindi anche un momento di riflessione,
tra gli addetti ai lavori, su come meglio organizzare la partecipazione italiana a queste
missioni e come meglio rispondere alla sfida che ci viene da Bruxelles di mantenere
un livello quantitativo e qualitativo elevato, all’altezza della tradizione e del peso
politico del nostro Paese.
La partecipazione italiana, infatti, non è un fatto puramente tecnico, ma ha
innanzitutto una primaria valenza politica.
L’Italia crede in una Politica Estera e di Sicurezza comune dell’Europa; è questo uno
dei pilastri tradizionali e largamente condivisi della sua politica estera. Tanto più lo è
in momenti cruciali come questo, di transizione ad una fase più avanzata di
integrazione come quella che si apre finalmente con l’imminente entrata in vigore del
Trattato di Lisbona.
L’Italia sostiene in modo convinto e coerente il ruolo dell’Europa come attore globale
nell’arena internazionale. Per l’Italia, da sempre, l’Europa non deve essere soltanto
una potenza economica, ma anche un soggetto politico capace di contribuire alla
soluzione delle crisi internazionali e di assumere, a tale scopo, le responsabilità che
corrispondono alla sua millenaria cultura ed alla sua capacità di costruire pace e
rispetto della legalità.
E’ quindi anche al servizio di questo ideale, e non solo dell’interesse immediato, e
pur importante, alla stabilità e alla pace ai nostri confini, che è posto l’impegno dei
tanti uomini e donne impiegati nelle nostre missioni civili, individualità diverse ed
alle volte isolate, complemento prezioso delle nostre forze militari, di cui oggi in
qualche modo celebriamo la speciale testimonianza.
Ad essi va il nostro più sincero ringraziamento, per il loro lavoro ed indubbi sacrifici,
e per aver contribuito in modo decisivo all’immagine dell’Italia, e sempre ad essi va
il nostro convinto incoraggiamento a proseguire per rendere sempre più efficace e
significativo l’impegno e l’immagine dell’Europa nel mondo.
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