Editoriale - La Termotecnica

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MAGGIO 2016
LA TERMOTECNICA
Editoriale
di GB Zorzoli
Accumulo.
Le utopie possibili se cambia la cultura
In un decennio (2005-2015) il costo dei moduli fotovoltaici si è ridotto dell’80%, superando le più ottimistiche previsioni. Analizzati con il senno di poi, sia questo exploit, sia l’incapacità di valutarne la dimensione, sono agevolmente
spiegabili.
Nel valutare le prospettive dei moduli fotovoltaici, tutti utilizzavano un metro di valutazione condizionato dalla dinamica
dei costi nei tradizionali impianti per la produzione di energia. Questi, infatti, con le taglie su cui si sono da tempo
attestati, li riducono principalmente grazie ad aumenti del rendimento e all’esperienza accumulata (learning curve).
Una decina di anni fa la forbice nelle previsioni per il fotovoltaico era quindi determinata principalmente dal giudizio
che si dava sulla rapidità con cui, trattandosi di una tecnologia in fase di decollo, sarebbero aumentati sia l’efficienza
dei moduli, sia l’effetto apprendimento.
Anche gli ottimisti stavano però sottovalutando l’effetto più importante. Gli impianti fotovoltaici sono realizzati assemblando un certo numero di moduli. Poiché la potenza del singolo modulo è pari a circa 300 W, i 55 GW che si stima
siano stati globalmente installati nel 2015, hanno attivato la domanda di circa 180 milioni di moduli. Nel 2005, con
1,3 GW installati, ne furono necessari meno di 4,5 milioni. Un effetto scala in dieci anni, di queste dimensioni, per un
prodotto realizzabile in serie con processi per la maggior parte automatizzati – che consentono una drastica riduzione
dei costi al crescere del volume della domanda – spiega come mai i prezzi dei moduli siano diminuiti così drasticamente.
Lo stesso errore rischia di ripetersi adesso, quando si avanzano previsioni sulle prospettive dei sistemi di accumulo
elettrochimici (SdA) dell’ultima generazione. Poiché è possibile realizzare in serie, con processi automatizzati, più della
metà (in termini di catena del valore) dei loro componenti, se la produzione sarà su scala sufficientemente grande, il
calo dei costi avverrà a tassi analoghi a quelli sperimentati col fotovoltaico.
Questa ipotesi è stata suffragata da un grafico contenuto in uno studio del Climate Council of Australia (Battery Storage
for Renewable Energy and Electric Cars, 2015), che mette in evidenza l’andamento, perfettamente parallelo, del calo,
al crescere della produzione, dei costi dei moduli fotovoltaici e delle batterie a ioni di litio, e più recentemente dalla
Prof. Ing. GB Zorzoli - Associazione Italiana Economisti dell’Energia
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valutazione di analisti come Kallo della RW Baird (società di servizi finanziari, attiva da quasi un secolo), secondo il
quale il costo delle batterie al litio prodotte nella Gigafactory di Tesla scenderà sotto 100$/kWh, non appena questa
avrà raggiunto nel 2020 la piena capacità.
Di conseguenza, un recente studio di Bloomberg New Energy Finance (Tom Randall, Here’s How Electric Cars Will Cause
the Next Oil Crisis, 25 febbraio 2016), da molti considerato troppo ottimistico, in realtà potrebbe rivelarsi prudenziale,
in quanto prevede che 100$/kWh saranno raggiunti non prima del 2024-2025: ciò nonostante ritiene che già nel
2022 il costo delle batterie sarà sufficientemente basso da rendere competitiva l’automobile elettrica. Un’altra stima
azzardata? Più d’uno lo pensa, ma non è certo per rincorrere inconsistenti utopie che un imprenditore accorto come
Bolloré si è messo a produrre Bluecar, un veicolo elettrico, il quale, a partire dal prossimo autunno, sarà disponibile in
car sharing a Torino (arrivando a 400 unità nel 2017).
Analoghi sono i miglioramenti dei SdA sotto il profilo prestazionale. Bluecar ha un’autonomia di 250 km, occorrono
5 ore per la ricarica completa della batteria, ma bastano 5 minuti per un percorso di 25 km (spesso sufficienti per
un giorno in città) e la batteria deve essere cambiata solo dopo 200.000 km, mentre alla Stanford University stanno
sviluppando un nuovo SdA (agli ioni di alluminio), ricaricabile in un minuto.
Quali saranno i prevedibili impatti della disponibilità di SdA con performance avanzate e a costi competitivi?
Per quanto concerne il settore dei trasporti, lo studio di Bloomberg prevede che la penetrazione delle auto elettriche
tra 2023 e 2028 provocherà un calo di 2 milioni di barili di greggio al giorno nella domanda di prodotti petroliferi,
cioè un surplus pari a quello che ha prodotto la crisi dei prezzi attuale, mentre nel 2040 un quarto del parco circolante
sarà a trazione elettrica, con il conseguente spiazzamento di 13 milioni di barili di greggio al giorno e un aumento
della domanda elettrica di 1.900 TWh (quasi l’8% dei consumi elettrici mondiali del 2015), e il 35% delle auto vendute
sarà elettrica.
Analoghe le previsioni per la diffusione dei SdA nei sistemi elettrici. Uno studio semiufficiale dell’istituto di ricerca Agora
prevede l’installazione in Germania, entro la metà del prossimo decennio, di 68 GW di SdA stazionari che, oltre a
rendere programmabile la produzione eolica e fotovoltaica, avranno applicazioni molteplici, dalla rete di trasmissione
fino alle utenze domestiche, contribuendo in modo rilevante a tutti i servizi di rete. Non meno importanti saranno i
ritorni economici, resi possibili dal power shift, cioè dalla cessione dell’elettricità accumulata quando il suo prezzo è
elevato. Già oggi sono disponibili dispositivi che consentiranno di trarne vantaggio anche al prosumer domestico, sia
con l’erogazione automatica dell’energia sulla base dell’andamento dei prezzi, sia a seguito di un comando azionato
dal prosumer tramite smartphone.
Quando avranno raggiunto elevati livelli di penetrazione, i SdA modificheranno la situazione attuale non solo per il
superamento dell’obbligo di produrre in tempo reale l’energia richiesta dalla rete, ma anche sotto il profilo del rischio.
L’evento estremo che la regolazione dovrà risolvere, di norma non sarà più il blackout, bensì il burnout, cioè il mancato
funzionamento delle linee elettriche, causato dall’incremento eccesivo della loro temperatura, per la contemporanea
immissione rete di troppa energia da parte dei SdA.
A ogni modo i problemi posti dalla maggiore complessità del sistema elettrico – dovuta anche al diffondersi di mini
e microreti – saranno mitigati dallo sviluppo dell’ICT, in particolare dell’interconnettività, che ha già incominciato a
interagire in modo sinergico col mondo dell’energia. Secondo “Navigant Research” (società attiva nelle ricerche di
mercato), nel prossimo futuro oltre al cloud computing avremo a disposizione le energy cloud, architetture decentralizzate, che includeranno tecnologie quali l’energy storage, le Virtual Power Plant, la domotica, la demand response
e software avanzati.
Oltre a consentire un’elevata interoperabilità tra elementi eterogenei (come infrastrutture elettromeccaniche della rete
e transazioni di mercato), saranno proprio i software avanzati a rendere possibili regolazioni in grado di rispondere
tempestivamente a situazioni estreme, siano esse rischi di blackout o di burnout.
Gli ostacoli maggiori agli sviluppi qui delineati non dovrebbero perciò venire dalla mancanza di tecnologie appropriate. Probabilmente gli impedimenti più difficili da rimuovere saranno dovuti alle difficoltà, per gli addetti ai lavori,
di adattarsi a cambi culturali così drastici in modo altrettanto tempestivo.