A001181 Selezione di pagine da BACIO DELLA

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A001181 Selezione di pagine da BACIO DELLA
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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Selezione di pagine da <<SENZA IL BACIO DELLA BUONANOTTE>> di Mario
Campanella, ed. Rubbettino,
Per la lettura completa del testo si rinvia al libro citato.
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Ho sempre pensato che l’ordine delle cose nella mia vita dovesse seguire i criteri naturali
della predestinazione.
E’ un ragionamento semplice da verificare nella composizione biologica del mondo, per cui
la vita è assimilabile ad un grande parco dove sopravvivono specie diverse, unite dal collante
genetico della specificità.
Ho sempre amato la filosofia e il relativismo che accompagna ogni quotidiana mutazione ed
ho compreso, sin dalla mia adolescenza tribolata e sofferta, come grazie ad essa si potessero
aprire squarci e mondi che la consapevolezza de “il fait vivre” adulto, quasi sempre,
necessariamente rimuove.
Ricordo ancora la lettura e la scoperta di Sartre e Fromm a 15 anni nel pieno della
tempesta ormonale dell’incertezza, e lo stupore di poter genufletterete mie passioni dinanzi
all’imprevedibilità, al disgusto esistenziale, e, poi, contemporaneamente, la scoperta delle cose
essenziali.
La sopportazione o, meglio, l’accettazione di quella che è definita democrazia e che si
esplica nella democraticità dei fatti, non è la conseguenza di una mia debolezza da ogni guerra,
e deposizione di armi rispetto alle tante battaglie lasciate a metà che hanno sempre fatto da
contraltare alla mia natura più intima.
E’ proprio la sovversione di una certezza scritta nel pugno della generazione che mi ha
portato a sentirmi scricchiolare, a smarrire la ricapitolazione e la conservazione come un
capitano che si trova senza cassero e senza pipa sulla nave che comanda.
E scopre che ad ogni rallentamento di nodo, che ogni torpedine precedente, ogni onda
cavalcata, altro non era che una piena, pia illusione di predominanza.
Oggi mi sento rassegnato anche se mia madre mi ripete che ho una vita davanti e che sono
ancora giovane.
Ma come darle retta se ogni mattina spunta un nuovo capello bianco che sembra il tocco
della mia malinconia?
E’ doloroso, per me, svegliarmi alle 6, e quando lo faccio diventa un problema cacciare fuori
la testa dalla finestra, mentre ancora tutti dormono e il sole che entra in gioco mi piomba
addosso mettendomi nudo in mezzo al campo, con i ricordi che ondeggiano.
Perché ci vuole molta forza a sopportare i ricordi e le angosce, i conti che non tornano
mentre la tasca delle sensazioni è ancora forte.
Non guardo più le donne, o se mi succede faccio in modo che non duri più di un istante.
L’altra volta, per esempio, ho conosciuto una ragazza particolare, con un corpo perfetto da
50 kg e un fidanzato che dura da una vita.
E’ venuta da me forse per esorcizzarmi, ed è un peccato che io muoia dalla voglia di
guardarle nemmeno il culo quando si gira, perché non me ne importa più niente di trovarmi
una donna qualsiasi, nemmeno se è bella ed è così pura. A dire il vero, proprio pura non mi
sembra, disincantata forse sì, ma come potrei dirle che ho la testa in sospeso sulla linea per
Roma quando mio figlio nacque, nell’ottobre del 1999, ero assalito da dubbi, ansie e timori.
Non so se l’origine fosse un conto aperto con Edipo o una più razionale ed egoista paura di
dover spaccare, con la precisione di una legge di Newton, la mela dei miei interessi, perdendo
ogni diritto di prelazione sulla mia vita e legando ogni residuo di gioia al suo incerto destino.
Otto mesi prima mia moglie mi aveva comunicato la notizia quasi preannunciandomi con
certezza uterina che sarebbe stato maschio. In realtà, temevo che la nascita una bambina
potesse demolire completamente la mia autonomia, considerando quanto fosse dolce e
immaginabile questo nuovo rapporto.
Era stata una gravidanza incerta e sofferta, con continui ricoveri per scongiurare un aborto
spontaneo
Era quasi un paradigma di tutte le attese successive, ma si trattava più che altro di
problemi di innesto del feto. Forse i nostri inconsci traballavano e giocavano da fondo campo
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su questo spermatozoo vagante, un poco dentro, un poco fuori. Io ero lo ying che voleva far
vivere il bambino, lei lo yang che rifletteva sulla necessità di procrearlo?
Io sapevo già abbastanza lucidamente che la mia vita matrimoniale e personale avrebbe
preso una via diversa. Me lo diceva il presentimento di una affinità elettiva che si stava
sgretolando, più che altro per quella sensazione di claustrofobia che stava sopraggiungendo
per i giusti obblighi di matrimonialità.
“Diversa”, ecco la parola più appropriata per significare l’impossibilità di prevedere dove
stesse defluendo quel corso di passione e di affetto che, pur in assenza di qualsiasi complicità,
ci aveva tenuti uniti nei due anni precedenti.
Bisognerebbe selezionarle, le parole. Decomporle e valutarle bene, ridare loro il peso e il
suono di un tempo.
Esse, nella vita matrimoniale, vanno soggette a continua interpretazione, per cui “ti voglio
bene” non vuole dire “ti amo” oppure “ti amo” non corrisponde a “ti adoro”.
Eppure, non è bastato De Sausurre a far capire agli uomini che le parole sono pietra miliare
e vita perenne, a maggior ragione quando ci si imbatte nei sentimenti.
Per non citare le rivendicazioni, le imprecazioni, le continue e velate minacce di rottura.
La rivolta delle parole, se un giorno ci sarà, farà in modo che le lettere abbiano il
sopravvento su tutto. Si instaurerà così una dittatura fondata sulla sintassi e sui contenuti di
ogni flusso espiratorio emesso per parlare riempirà gli aneliti gli uomini dalla cui bocca non
usciranno più discorsi contorti o senza senso.
Conobbi mia moglie il 2 luglio del 1996, a Roma, città che ho sempre poco amato per la
sensazione ridondante di dominio ostentato che infonde e la dispersione dei suoi vicoli. E’
strano che un giornalista, per giunta meridionale, non consideri Roma come punto di approdo,
ma il mio paradigma professionale, al di fuori della mia piccola città di provincia. È sempre
stato il binomio Milano – Napoli.
Quando conobbi Elisa ero appena uscito da una storia lunga e nevrotica con una ragazza di
sette anni più grande di me.
Ero inconsciamente predisposto ad innamorarmi e avevo il vizio irrisolto del contatto
struggente e della sofferenza vissuta come una forma di partecipazione emotiva.
La vidi scendere da un palazzo del centro con le sue forme armoniose, i lineamenti delicati,
la bocca attraente ed aggraziata, gli occhiali scuri e la sigaretta in bocca, con il passo felpato e
una malinconia che non dava tregua.
Ripensandoci, ne avrei dovuto scorgere l’incompatibilità con il mio carattere già nel
constatare che leggeva biografie di Virginia Woolf, attratta più dalla vita sofferta che dalle
opere della scrittrice, e rifiutava ogni forma di collegamento archetipico con le sue origini.
Non si sentiva per niente calabrese, né normanna (pur essendo di carnagione chiara), né
bizantina, provenendo dal versante ionico, né tanto meno borbonica come avrei voluto io.
Associava ogni possibilità di emancipazione alla sua permanenza romana, cogliendo in
questo un pregiudizio di intere generazioni che hanno spostato il new dream dalla periferia alla
metropoli, non dove si produce e ci espande, ma dove si consuma e si ozia meglio.
Mi introdusse, quella sera di luglio, in un gioco di seduzione emaciata.
Le comprai un bel vestito a strisce di Calvin Klein e la portai a mangiare a Trastevere, da
Ciarla.
Nella macchina piccola che aveva c’era il messaggio sublime di Eugenio Finardi e dell’amore
diverso.
Ancora mi imbattevo nella diversità, immemore degli errori commessi.
Stavo per scrivere una nuova storia nella mia vita.
Non si sentiva per niente calabrese, né normanna (pur essendo di carnagione chiara), né
bizantina, provenendo dal versante ionico, né tanto meno borbonica come avrei voluto io.
Associava ogni possibilità di emancipazione alla sua permanenza romana, cogliendo in
questo un pregiudizio di intere generazioni che hanno spostato il new dream dalla periferia alla
metropoli, non dove si produce e ci espande, ma dove si consuma e si ozia meglio.
Mi introdusse, quella sera di luglio, in un gioco di seduzione emaciata.
Le comprai un bel vestito a strisce di Calvin Klein e la portai a mangiare a Trastevere, da
Ciarla.
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Nella macchina piccola che aveva c’era il messaggio sublime di Eugenio Finardi e dell’amore
diverso.
Ancora mi imbattevo nella diversità, immemore degli errori commessi.
Stavo per scrivere una nuova storia nella mia vita.
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Il giovedì è consacrato dal Tribunale alle separazioni. Ospitate nell’antistanza, al secondo
piano dell’edificio giudiziario, 50 coppie del circondario attendono il loro turno d’ingresso.
L’attesa media è di 45 minuti, ma può giungere fino a tre ore, a seconda delle
rivendicazioni.
Lo spettacolo preliminare è una commedia tragica dai toni amari, bergmaniani, che si
dovrebbe e commentare nelle scuole.
L’assenza del dolore è una scoperta tremenda e io ne ho avvertito il peso.
Le donne arrivano spesso in complice comunanza, agghindate come se avessero già ripreso
il corso della vita.
Negli uomini infedeli (per la verità, ormai pochi) prevale il volto corrucciato della culpa
maxima che ne detta supinamente le condizioni.
Le donne infedeli sono più numerose perché hanno più coraggio, ma grazie a Dio sono
poche le coppie infedeli che arrivano a separarsi.
Quando noi siamo entrati, ero certo che il Presidente del Tribunale, vedendo la nostra causa
affrontata in modo consensuale, ci invitasse al dialogo.
E invece si è ripreso, da Dio laico, tutto quello che avevamo promesso al suo pari in Cielo.
<<Ecco che siete qui>> avrà pensato. <<dopo aver promesso di restare insieme “nella
gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, fino a che morte non vi separasse”>>.
<<E la morte sono io>>, avrà continuato, <<che certifico la vostra resistenza alle regole e
vi impartisco quelle regole dell’osare l’inosabile>>.
L’udienza è durata unminutoquarantacinque secondi, poco più di quanto non impiegò
Marcello Fiasconaro a battere il record del mondo degli ottocento metri piani.
Poi ci ha salutato distratti, e ci ha rinviato alla successiva omologazione.
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<<Roma, 22 maggio 2001
Mario, ti invio copia degli assegni sbagliati (attento a come li compili!).
Stando ai miei calcoli, dovresti darmi L. 2.650.000 per i tre mesi di asilo uniti al milione di
giugno (scendiamo da 1.700.000 come da accordi).
Regolati tu di conseguenza, ma evitami denunce personali per mancato mantenimento.
Devo vivere a Roma e sostenere “spese folli”. Aspetto tue notizie>> Elisa.
<<Elisa, dalla lettera inviatami si evince tutta la tua inconscia voglia di escludermi dalla
potestà genitoriale.
Non sono mai venuto meno ai miei doveri, anzi ti ho sempre dato di più, provvedendo
anche a comprare l’abbigliamento del bambino e ad aprirgli una serie di fondi di investimento
che gli serviranno quando crescerà.
Non ho paura delle denunce penali. La privazione di mio figlio è una pena sufficientemente
bastevole.
La nostra separazione consensuale si esplica nel godimento dei tuoi diritti,
nell’adempimento dei miei doveri.
Dovrei dire: “Alla faccia del principio di equità”, ma preferisco dire: “alla faccia mia!”.
Ti accludo l’assegno bancario di L. 1.560.000, inviato col solito largo anticipo.
Le tue “spese folli” sono la conseguenza della tua irresponsabilità e, comunque, a mio figlio
bado ESCLUSIVAMENTE IO.
Aspetto di sapere il tuo nuovo indirizzo, che poi sarebbe il nuovo indirizzo di mio figlio, che
sarebbe (tuo malgrado) MIO FIGLIO!>> Mario
n.d.r = per chi fosse interessato a saperne di più si rimanda al libro indicato.
È la solita storia, ma scritta e descritta molto bene!