BIOGRAFIA a cura di Christian Uva

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BIOGRAFIA a cura di Christian Uva
BIOGRAFIA
a cura di Christian Uva
Carlo Lizzani nasce a Roma il 3 aprile 1922. Il suo poliedrico profilo artistico
e umano si esplicita da subito in una multiforme operosità che, durante tutta la
carriera, lo vede impegnato parimenti sul fronte della speculazione intellettuale
e dell’animazione culturale quanto su quello di una pratica filmica inizialmente
connessa con una intensa militanza politica nelle file del PCI (dopo aver per un
certo periodo, soprattutto nel 1942-43, cullato il sogno di diventare un politico
di professione, Lizzani verrà dissuaso proprio da Enrico Berlinguer).
Sin da giovane si dimostra osservatore attento e partecipe della realtà storico-politica e cinematografica che lo circonda, cominciando a svolgere un
ruolo attivo all’interno della vicenda neorealista anzitutto attraverso i suoi
contributi sulle pagine di riviste come «Cinema» e «Bianco e Nero». Tale
propensione verso la scrittura si declina presto non solo nella forma saggistica, ma anche in quella più “creativa” della sceneggiatura nell’ambito di
un’attività che lo porta sul campo a collaborare con maestri quali Roberto
Rossellini (a fianco del quale partecipa, nel 1947, all’avventura della realizzazione di Germania anno zero) e Giuseppe De Santis (conosciuto nel 1942,
insieme con Gianni Puccini, presso la sala “Cineattualità” di Via Borgognona), con cui stabilisce un sodalizio professionale punteggiato da opere
come Caccia tragica (1948) e Riso amaro (1949). Dopo aver ricoperto anche
il ruolo di attore in Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano, Carlo Lizzani
esordisce nella regia nel 1951 con Achtung! Banditi!, film sulla Resistenza che
marca l’orientamento successivo della sua carriera registica, come dimostra
già, solo due anni più tardi, l’esempio di Cronache di poveri amanti (da Vasco
Pratolini), ancora una vicenda di antifascismo.
La Storia con la “s” maiuscola, sempre interpretata nel suo rapporto con le
storie (con la “s” minuscola) degli uomini e in particolare con la configurazione
da esse assunta nel territorio della cronaca, si segnala dunque, sin da subito, come
il motore propulsivo di una filmografia densa di titoli e di incursioni nelle forme
e nei generi più diversi (dalla commedia di Il carabiniere a cavallo al western all’i355
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taliana di Requiescant, dal gangster movie di Banditi a Milano all’erotico di
Kleinhoff Hotel, senza contare tutta la parallela linea documentaristica, altrettanto ricca di esempi dalla matrice più diversa).
La produttiva dialettica tra le due fondamentali componenti dell’”anima
divisa in due” di Carlo Lizzani (il teorico che mette costantemente al vaglio
della pratica le proprie intuizioni, recependo dalla militanza sul campo stimoli
per un arricchimento continuo del ruolo di intellettuale) si traduce negli anni
anche in una prolificità sul piano critico e teorico che lo vede costantemente
impegnato nel recupero della memoria del cinema italiano. Tra i principali
frutti di tale attività si evidenzia, da un lato, tra le altre opere, una Storia del
cinema italiano (alla prima edizione, del 1954, ne seguiranno altre quattro, fino
a quella più recente e aggiornata del 1992) e, dall’altro, una serie di videomonografie sul neorealismo e sui suoi maggiori esponenti la cui ideale sintesi cinematografica è rappresentata nel 1996 da Celluloide, film in cui il regista si rifà
all’omonimo libro di Ugo Pirro per ricostruire la genesi di Roma città aperta,
opera-simbolo della stagione neorealista.
Impegnato anche sul fronte della didattica in qualità di docente di regia e sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia e di Tutor del Corso di Filmaker alla Act Multimedia, Lizzani si conferma dunque, nel tempo, come una
delle personalità artistiche più capaci di tenere saldo un rapporto con la fattualità delle cose, che si rispecchia in una pari intelligenza e abilità nel mantenersi al
passo con i sempre più repentini mutamenti della realtà, come dimostra ad esempio in occasione del mandato di direttore della Mostra del Cinema di Venezia
quando, tra il 1979 e il 1982, oltre ad aprire le porte alla televisione, rivolge a più
riprese una specifica attenzione al futuro tecnologico del cinema attraverso l’organizzazione di una serie di mirate iniziative culturali.
L’urgenza di raccontare in “presa diretta” il presente e il passato del Paese si
concretizza nell’ultimo trentennio anche in una pratica televisiva che, come testimoniano i casi di Stato d’emergenza (sulla vicenda Dozier) o Maria José, l’ultima
regina (2002), traduce la voglia di Lizzani di rivolgersi ad un pubblico quanto più
ampio possibile, mantenendo tuttavia sempre ben presente l’attenzione ad un’estetica mai disgiunta, in sintonia con il dettato neorealista, da un rigoroso atteggiamento etico nei confronti della realtà e del mondo.
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