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Attualità
Intervista a Cora Sternberg
Personaggi Una delle più importanti oncologhe del mondo racconta come ha
rivoluzionato le terapie per battere i tumori
C'è un'aria rarefatta, nel reparto di Oncologia del grande complesso ospedaliero San
Camillo Forlanini di Roma: silenzio assoluto, due o tre infermiere che si aggirano nel
corridoio del day hospital su cui si aprono ampie stanze con pareti di vetro, corredate di
letti per i pazienti in terapia. Una dottoressa in camice bianco dall'aspetto giovane, capelli
lunghi e scuri, i lineamenti minuti, mi sorride. Sto aspettando che, fra una mezz'ora, si
spalanchino le porte e compaia una famosissima oncologa, l'americana che ha
rivoluzionato le ricerche sul cancro e che ora dirige il reparto del San Camillo, attorniata
da uno stuolo di assistenti. I primari, si sa, amano le entrate teatrali. "Sono Cora
Sternberg", sussurra a sorpresa la dottoressa minuta, venendomi incontro. Mi invita a
entrare nel suo studio. "Al mio primo convegno europeo, a Erice, tutti pensavano che
fossi un vecchio professore", dice subito con un grande sorriso, notando il mio stupore.
"Era il 1988. Ero giovane ma già nota nel campo dell'oncologia medica, per le mie
scoperte sulla terapia del cancro dell'apparato genito-urinario", aggiunge con semplicità.
Eppure Cora Sternberg ha alle spalle tanti anni di ricerche, di esperienze, di successi nel
difficile campo dell'oncologia. Inoltre è autrice di centinaia di studi e articoli che
rappresentano una svolta nella terapia dei tumori. Ed è carica di titoli e riconoscimenti
internazionali. Per la sua coraggiosa, continua sfida a uno dei più terribili mali del nostro
tempo, questa donna è diventata un mito; è la dottoressa dei miracoli che cura i casi
disperati di cancro, e non solo quello dell'apparato genito-urinario, ma tutte le forme di
tumori solidi. A lei si rivolgono malati da tutto il mondo. Le maggiori organizzazioni
americane ed europee per la ricerca sul cancro se la contendono. I suoi interventi ai
congressi oncologici fanno scalpore. "Pensi che, nel 2001, ho parlato davanti a 28 mila
persone", prosegue. "Ora sono a capo di tredici dipartimenti del San Camillo". Comincio a
capire di trovarmi in un mondo lontano anni luce dal nostro. Qui non sono a Roma ma in
un lembo d'America: quella pragmatica, che investe alla grande nella ricerca scientifica e
non conosce inutili cerimoniali. Dottoressa Sternberg, lei è in controtendenza rispetto alla
"fuga di cervelli" che dall'Italia trasmigrano in America. Come mai ha lasciato gli Usa per
il nostro Paese che, per i ricercatori, non è certo un paradiso? "Proprio quel mio primo
convegno in Europa, a Erice, ha cambiato la mia vita. Lì ho conosciuto il mio futuro
marito, Vito Pansadoro, urologo di fama internazionale. Alla fine del meeting c'era una
festa e lui mi ha invitata a ballare. Ci siamo innamorati ballando, proprio come nei film. Ci
siamo sposati, abbiamo due bambini meravigliosi. Ma sa qual è il bello? Non solo ho
lasciato l'America per l'Italia, ma faccio rientrare qualche "cervello in fuga" - ossia
ricercatori e specialisti italiani che si erano stabiliti negli Stati Uniti - invitandoli a far
parte del mio staff. Sono molto orgogliosa dei miei collaboratori, voglio sempre il meglio.
Più sono bravi, più sono contenta: non bado certo al fatto che potrebbero farmi ombra".
Come si è trovata nell'ambiente medico italiano? "Sono 16 anni che vivo qui e, a essere
sincera, ho incontrato un mucchio di difficoltà. Mi sono scontrata con la burocrazia: pensi
che io, con dieci anni di esperienza e due specializzazioni conseguite negli Stati Uniti, ho
dovuto rifare in Italia gli esami di Stato. Solo nel 2002 mi hanno riconosciuta
ufficialmente come oncologa. E poi c'è il problema delle assunzioni: qui è così difficile
avere un lavoro! Ho creato una fondazione per la cura e la ricerca sui tumori intitolata ai
miei genitori, Samuel & Barbara Sternberg, sovvenzionata da donazioni di privati: così ho
la possibilità di cooperare con i più importanti gruppi internazionali di ricerca. In pratica
sono io a pagare i miei collaboratori con i proventi della fondazione, in attesa che siano
assunti. A volte li vedo scoraggiati, ma io riesco sempre a tirarli su". La solita, banale
domanda su cosa pensi Sternberg del Bel Paese mi muore sulle labbra. Già so la risposta:
qui c'è il sole, c'è il buon cibo, ma... Ma chi lavora o vuol lavorare bene, ha vita difficile.
Lei è moglie, madre, scienziata di fama internazionale, ma soprattutto è medico: cura
senza sosta malati gravi. Come riesce ad avere tempo per sé, a riposarsi? "Il mio riposo è
proprio poco, per la verità. Lavoro sempre, non ho orari. Non faccio vita mondana, io e
mio marito frequentiamo solo un ristretto gruppo di amici. Seguo sempre i miei figli, sono
la mia gioia: li accompagno a scuola tutte le mattine. Naturalmente il mio staff è di
grande aiuto. Spesso mi devo assentare per partecipare ai convegni internazionali. Poi
studio, mi aggiorno continuamente sulla ricerca di cure dei tumori. E incito i miei
collaboratori a fare altrettanto". Come ha fatto a convivere con un sistema sanitario come
quello italiano, stantio e ingolfato dalla burocrazia? "Dirigo questo reparto dal 2002, e ho
letteralmente capovolto metodi e terapie. Ho creato una serie di infrastrutture,
computerizzato le cartelle cliniche e formato, come ho detto, uno staff di specialisti di
livello internazionale. Questo è diventato un centro all'avanguardia, conosciuto in tutto il
mondo, dove si usano i nuovi farmaci. In quest'epoca, la conoscenza biologica molecolare
sta facendo grandi passi avanti, e c'è una vera esplosione dell'oncologia medica. Ora
abbiamo tanti mezzi per combattere i tumori invasivi, quelli a uno stadio avanzato.
Prima, contro il carcinoma renale o contro il tumore alle ossa non c'era niente da fare,
adesso esistono farmaci che li curano. E non parliamo del cancro al seno: abbiamo
raggiunto risultati incredibili". La chemioterapia fa ancora tanta paura? "La chemioterapia
non è più quella di vent'anni fa. Vede come sono tranquilli i nostri pazienti? Fanno tutti
cure chemioterapiche. Noi somministriamo farmaci che evitano gli effetti collaterali, per
esempio la nausea. E diamo loro nuove speranze e fiducia". Cora Sternberg parla
velocemente, a bassa voce, senza accalorarsi. Ma si avverte, nell'ascoltarla, che ha
energia da vendere, che è determinata nel raggiungere lo scopo: combattere e vincere il
male con tutti i mezzi più nuovi. Come ha trovato la forza di combattere una battaglia
così difficile come quella contro il cancro? "I miei genitori vennero in America dalla
Polonia durante la seconda guerra mondiale; erano tutti e due insegnanti di matematica.
Mia madre avrebbe voluto essere medico, ma non le è stato possibile. A me è parso
naturale realizzare la sua aspirazione. Certo, quando ho cominciato le donne in medicina
erano poche, ancor meno nel campo di specializzazione che ho scelto. Ma io volevo
assolutamente aiutare chi soffriva, chi non aveva speranze. Volevo distruggere i tabù di
un male che stava diventando sempre più frequente, come il cancro alla prostata. Allora
chi era allo stadio avanzato aveva poche speranze. Le mie scoperte sulla terapia per
questo tipo di tumore mi hanno resa presto famosa, ma io continuo ad allargare il campo
di ricerca a tutti i tumori solidi: sono coinvolta in una serie di nuovi progetti. La lotta, per
me, non finisce mai. Qui i pazienti sanno che noi siamo pronti a combattere con loro. In
America ho studiato anche psichiatria, il che mi ha aiutata molto a capire le angosce e le
depressioni dei pazienti e dei familiari. È impossibile non essere spaventati dal cancro!
Ora, nel mio staff, ci sono anche psichiatri e psicologi". Pensa che, in questa lotta contro
il cancro, si arriverà alla vittoria completa? "Ne sono convinta. Siamo già a buon punto, i
mezzi per combattere questo mostro non mancano. Stanno arrivando nuovi farmaci, di
grande efficacia". Si sente americana o europea? "Sono nata a Filadelfia, ma i miei
genitori erano europei. E vivo da tanti anni in Italia. Mi sento dunque americana ed
europea in egual misura. E voglio continuare a gettare ponti fra due mondi così diversi".
Paola Sorge
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