L`amore di un addio

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L`amore di un addio
Toussaint: l'amore di un addio
L’ultimo romanzo dello scrittore belga Jean-Philippe Toussaint, ben calibrato e un po’
cattivo. A base di acido cloridrico.
di Francesca di Mattia
L’amore finisce. Ci si lascia. Ognuno va per la sua strada. E il momento della separazione
è spesso violento, inaspettato, sofferto. Oppure può trasformarsi in una storia d’amore che
si inserisce clandestinamente in un rapporto già concluso, appropriandosi di sentimenti
ancora in evoluzione, congelati ma stranamente vivi.
E questa storia è liquida, evanescente, illuminata da schermi ipertecnologici che si
accendono da soli in una stanza d’albergo ad annunciare l’arrivo di un fax, e questa storia
non chiede niente e non dà niente, pur riuscendo a suggerire sfumature sconosciute del
corpo e dell’anima amati in passato ed ora sospesi, fluttuanti, in attesa del colpo finale che
li salvi da un falso armistizio, forse un terremoto.
Quello che nel libro dello scrittore belga Jean-Philippe Toussaint, Fare l’amore (titolo
banale quanto sublime), avvolge la notte di Tokyo, in due scosse lunghe e nello stesso
tempo impercettibili, in cui i due amanti, maschere di sé stessi, fanno l’amore per strada
come due sconosciuti, e le lacrime di lei - un vero e proprio “dono”, le considera l’uomo
che racconta la storia -, inondano un addio stabilito, da consumare lentamente, copulando,
o forse ancor più masturbandosi, sfiorando una pelle già lontana ma straordinariamente
intatta: “Eravamo in effetti così fragili e affettivamente disorientati che l’assenza dell’altro
era senza dubbio la sola cosa che ci potesse ancora riunire”.
E l’acido cloridrico, che il protagonista tiene in un flacone sempre a portata di mano fin
dalla prima pagina, è una presenza pericolosa che attraversa i volti di lei e di lui,
minacciati ogni momento da una possibile deflagrazione. Una metafora che l’autore ha
scelto volutamente per creare una suspence di sottofondo, come una musica in rettotono
che avanza mentre, speculari, i due amanti si guardano e distolgono lo sguardo, ridono e
piangono, ma la lacrima non ha una direzione: “Avrei potuto berla dalla sua guancia,
quella lacrima, lasciarmi cadere sul suo viso e raccoglierla con la lingua… essere in
comunione con lei in questo sconforto… ma non feci nulla, non l’ho baciata, non l’ho
baciata una sola volta quella notte”.
Lei è Marie, una scultrice e stilista di Parigi che sta per esporre una collezione a Tokyo.
Decide di celebrare un rito d’addio invitando a partire colui che è, e già non è più, il suo
uomo. Dopo sette anni insieme.
Tensione, mancanza di corrispondenze gestuali e di pensiero, il disagio del fuso orario che
disperde nel romanzo l’unità spazio-tempo lasciando stordito anche il lettore, la stanza a
tratti caldissima, in altri momenti gelata – temperatura mentale e animale -, la piscina
all’ultimo piano che sembra costruita in cielo, la cui acqua è capace di allontanare il
sentimento dal corpo che nuota indifferente, la terra tremante, le telecamere di un museo
che riprendono l’immagine filtrata di Marie facendola apparire e scomparire agli occhi di
lui, come se un surrogato della realtà potesse mostrare la realtà.
E la post-modernità del Giappone, fredda e impalpabile, immortalata da Toussaint con
immagini fotografiche, riflette una piccola apocalisse, un’ansia di sapere come andrà a
finire, se ci sarà una fine, e dove pioverà quel maledetto acido.
L’insopportabilità e il disgusto reciproci li faranno allontanare: l’uomo andrà a Kyoto per
qualche giorno, a dormire ore e ore da un amico, mentre Marie è impegnata
nell’allestimento della mostra, dove aleggia un vestito splendente di lustrini che lei ha
indossato nella notte del terremoto, un alter ego travestito e nato dall’arte a cui tutto è
concesso, anche credere di amare quando non si ama più.
Kyoto-Tokyo, lui e lei, si ritrovano in questo dittico che si fa chiasmo beffardo, in una
cabina telefonica, quando la voce di Marie raggiunge ancora lui, e tutto sembra ricomporsi
con eleganza, con pochi gesti e poche parole, momenti veri di teatro Kabuki. E
all’incontrario si riversano i pensieri dei due esseri umani, trasportati dalla finzione in una
vertigine metafisica.
L’abilità di Toussaint sta nello scrivere di tutto questo con leggerezza, investendo di
pesantezza solo il flacone d’acido, il vero contenitore di un’esplosione potenziale. In
questa descrizione lenta e meticolosa, effimera e scivolosa, minimalista e plumbea, c’è
qualcosa che non si può non chiamare amore.
Un miracolo opaco, sì, ma tangibile. Non arrivare necessariamente ad una conclusione, no,
immaginare che l’acido possa cadere su qualcos’altro e non su loro due.
L’amore finito, l’addio, la decisione - carcasse di animali abbandonati - si separano
dall’uomo e dalla donna, lasciandoli diventare un tentativo inespresso, una possibilità
riposta, un sorriso sommesso, una piccola verità nascosta: due sonnambuli che possono
sopravvivere a tutto, anche ad una città fantascientifica, che li riflette e in essi si confonde.
Avventurarsi al giorno d’oggi in un romanzo che parla "solo" di sentimenti è sempre un
azzardo. Eppure l’autore riesce ad esprimerli con efficacia nel continuo gioco di contrasti e
oscillazioni, nel “fare e dis-fare l’amore”, coinvolgendo e amplificando i sensi dei
protagonisti.
Toussaint, classe ’57, oltre ad essere scrittore - noto in Italia per La stanza da bagno, edito
da Guanda, e La televisione (Einaudi, 2002) - è anche fotografo e regista.
E’ considerato, insieme a Jean Echenoz, le nouveau romancier degli anni ’80, ha
pubblicato sette romanzi (tutti per l’Éditions de Minuits), è tradotto in molti Paesi e ha
riscosso molto successo in Giappone, dove è stato una decina di volte - e nel libro si sente.
Da noi, invece, non ha ancora avuto molta fortuna. La casa editrice Nottetempo lo rilancia,
pubblicando la sua ultima opera, che segna una svolta stilistica e psicologica dell’autore.
Queste pagine ricordano, al di là del colore asiatico, attimi del film In the mood for love di
Wong-Kar Waï, per la malinconia inesorabile, la tenerezza trattenuta e la sensualità dei
corpi e degli elementi. Tra freddo e febbre, separazione e fusione, bellezza e distruzione, il
romanzo scatena le sue seduzioni, le fantasie, le trappole.
La scrittura di Toussaint è chirurgica e trasparente, impietosa, raffinata e volgare. Nella
crudezza degli atti sessuali si posa lievemente la purezza dell’erotismo orientale.
Evitando facili psicologismi, l’autore mette le sue parole in mano ai personaggi,
marionette danzanti. E, verso la fine, la cronaca gelida dei fatti suscita nel lettore un
respiro affannoso, che può placarsi solo in un’immagine senza risposte, in un angolo al di
fuori dei due amanti in addio, che precipita in un abisso.
E ci si sorprende di uscirne come da una notte di sonno agitato, o meglio, da una vero
scisma intimo, da un “disastro infinitesimale”.
Toussaint, Jean-Philippe
Fare l'amore
Nottetempo, 2003 pp. 145, euro 13 Traduzione di Roberto Ferrucci
http://www.railibro.rai.it/recensioni.asp?id=115