17-09 ore 17 ghielmi

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17-09 ore 17 ghielmi
Torino
Tempio Valdese
Mercoledì 17.IX.08
ore 17
La Divina Armonia
Lorenzo Ghielmi direttore
e organo
Händel
Boyce
Geminiani
Georg Friederich Händel
(1685-1759)
Concerto per organo e orchestra
in si bemolle maggiore op. 4 n. 2 HWV 290
A tempo ordinario e staccato
Allegro
Adagio e staccato
Allegro ma non presto
William Boyce
(1711-1779)
Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore op. 2
Allegro
Moderato e dolce
Allegro
Georg Friederich Händel
Concerto per organo e orchestra
in sol minore op. 7 n. 5 HWV 310
Staccato ma non troppo allegro
Adagio
Andante larghetto e staccato
Adagio
Menuet
Concerto per organo e orchestra
in sol minore op. 4 n. 1 HWV 289
Larghetto e staccato
Allegro
Adagio
Andante
Francesco Saverio Geminiani
(1687-1762)
Concerto grosso
in mi minore op. 3 n. 3
Adagio e staccato. Allegro
Adagio
Allegro
Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino
Georg Friederich Händel
Concerto per organo e orchestra
in fa maggiore op. 4 n. 4 HWV 292
Allegro
Andante
Adagio
Allegro
La Divina Armonia
Lorenzo Ghielmi, direttore e organo
Isabella Bison, Daniela Beltraminelli, Ayako Matsunaga,
Agnes Stradner, Monika Toth, Chiara Zanisi, violini
Krishna Nagaraja, viola
Marco Testori, violoncello
Nicola Barbieri, contrabbasso
Emiliano Rodolfi, Rei Ishizaka, oboe
Gilat Rotkop, fagotto
Gianluca Capuano, cembalo
Se desiderate commentare questo concerto, potete collegarvi al
calendario presente sul sito www.mitosettembremusica.it dove è
attivo uno spazio destinato ai commenti degli spettatori
La Divina Armonia
Johann Sebastian Bach annotava ai margini della sua Bibbia: «Dove vi è una musica profonda, là è sempre presente Dio con la sua grazia».
La musica è espressione del trascendente, l’armonia raffigurazione del disegno divino: la cultura occidentale ha sempre vissuto queste verità affidando alla musica il
compito di rivestire la preghiera, dal gregoriano alla polifonia classica, dalla musica d’organo ai grandi capolavori sacri del barocco e del romanticismo.
Per molti compositori il desiderio ultimo nel creare musica è stato quello di avvicinarci alla dimensione spirituale della nostra esistenza, guidandoci a scoprire, nel
gioco delle consonanze fra i suoni, le risonanze fra l’uomo, il creato e il creatore.
Ecco allora che la ricerca filologica e un’interpretazione che si accosti il più possibile alle intenzioni degli autori sono il segno del rispetto per quella musica profonda, che ci avvicina a contemplare la bellezza della divina armonia.
L’ensemble La Divina Armonia è stato fondato nel 2005 da Lorenzo Ghielmi. Ogni
componente del gruppo ha alle sue spalle una lunga esperienza nel campo della
musica barocca, conservando nel contempo l’entusiasmo di creare qualcosa di nuovo
e irripetibile. Il gruppo ha suonato in tutta Italia, in Svizzera, in Austria e in Belgio:
nel 2008 è stato ospite di importanti stagioni italiane ed europee (Serate musicali di
Milano, Festival Internazionale di Aosta, Bozar di Bruxelles, Les Arts Renaissants a
Toulouse). Registra per l’etichetta belga Passacaille (Concerti op. 4 di Händel, J.S.
Bach chamber music, Concerti per organo di Haydn). La registrazione dell’op. 4 di
Händel ha conseguito numerosi premi discografici, fra cui il Diapason d’or.
Lorenzo Ghielmi si dedica da anni allo studio e all’esecuzione della musica rinascimentale e barocca. Tiene concerti in tutta Europa, in Giappone e negli Stati
Uniti, e numerose sono le sue registrazioni radiofoniche e discografiche.
Ha pubblicato un libro su Nicolaus Bruhns, studi sull’arte organaria del XVI e XVII
secolo e sull’interpretazione delle opere di Bach.
Insegna organo, clavicembalo e musica d’insieme presso l’Accademia Internazionale della Musica di Milano e all’Istituto di Musica Antica: dal 2006 gli è stata affidata la cattedra di organo presso la Schola Cantorum di Basilea.
È organista titolare dell’organo Ahrend della basilica milanese di San Simpliciano,
su cui ha eseguito l’opera omnia per organo di J.S. Bach.
Fa parte della giuria di concorsi organistici internazionali (Toulouse, Chartres,
Tokyo, Bruges, Freiburg, Maastricht, Losanna, Norimberga) e gli sono stati affidati
conferenze e corsi di specializzazione da numerose istituzioni musicali (Accademia
di Haarlem, Mozarteum di Salisburgo, Conservatoire National Supérieur de Musique di Parigi, Hochschule für Musik di Lubecca, New England Conservatory di
Boston).
per organo e orchestra di Händel nacquero come brani legati ai suoi oraItoriconcerti
tori. Quando, nella primavera del 1735, egli presentò al Covent Garden gli oraEsther, Athalia e Deborah, «dilettò per la prima volta il pubblico suonando dei
concerti per organo, un genere di sua invenzione, composto generalmente di una
fuga improvvisata, di un pezzo cromatico o di un adagio, grazie al quale egli rivelava non soltanto la ricchezza e la facilità della sua invenzione, ma anche la perfetta precisione e la piacevolezza della sua esecuzione»: così scriveva uno dei primi
storici della musica, Charles Burney, nel suo libro su Händel apparso nel 1785.
Händel adoperava quindi l’organo in un modo nuovo: non più come strumento
austero e solenne, adatto a sostenere da solo composizioni solitamente contrappuntistiche, bensì come strumento brillante, capace quanto un altro solista di
opporsi degnamente a un’orchestra. Normalmente il compositore si serviva di piccoli organi inglesi da teatro, spesso privi di pedaliera, con un solo manuale e pochi
registri, tali da avere essenzialmente il carattere di strumenti per musica da camera, mentre l’orchestra perlopiù comprendeva archi e due oboi.
I concerti per organo di Händel non seguono ancora strutture fisse, e lasciano un
grande spazio all’improvvisazione (i Concerti dell’op. 7 più ancora che quelli dell’op. 4), arte nella quale Händel era maestro, come ci riferiscono varie testimonianze dell’epoca, fra le quali quella di Johann Mattheson. Sei concerti per organo
composti fra il 1735 e il 1736 furono pubblicati dall’editore John Walsh come
op. 4. Essi mostrano varie tipologie di movimenti: il Concerto in sol minore op. 4
n. 1 si apre con un Larghetto e staccato, vicino allo stile delle ouvertures teatrali lulliane, con figure a ritmo scandito che si alternano a brillanti passaggi rapidi di tipo
improvvisatorio. L’Allegro successivo è imperniato su spunti tematici discendenti,
che l’organo abilmente fiorisce. Dopo un Adagio di raccordo affidato all’organo,
nell’Andante conclusivo organo e orchestra dialogano su un tema vivacemente ritmico a note ribattute. Il Concerto in si bemolle op. 4 n. 2, dopo un movimento
introduttivo che, con i suoi ritmi puntati, richiama ancora l’ouverture “alla francese”, presenta un Allegro in cui l’orchestra lascia spazio non solo a semplici fioriture dell’organo, ma a veri e propri passi “cadenzali”. Anche qui, nell’Adagio e staccato l’organo domina sovrano, appena sostenuto da alcuni accordi del tutti. L’ultimo Allegro ha il gentile carattere di Minuetto (era, anzi, conosciuto come Minuetto
di Esther, poiché era stato udito per la prima volta nel concerto inserito fra le due
parti di questo oratorio). Il Concerto in fa maggiore op. 4 n. 4 ha un esordio totalmente diverso: non più “alla francese”, bensì “all’italiana”, con figure tematiche
vivaci e ben rilevate; nel secondo movimento, Andante, all’organo risponde l’orchestra con spunti motivici di derivazione corelliana (è noto che Händel aveva ben
conosciuto Arcangelo Corelli durante il proprio soggiorno giovanile in Italia, e
aveva tratto largamente spunto dai Concerti grossi del violinista italiano, per i suoi
Concerti grossi degli anni 1734-1740). L’Adagio centrale è un autentico recitativo
strumentale riservato all’organo, mentre l’Allegro finale è una trionfale Fuga che
chiude solennemente la composizione, realmente prestandosi a ricreare con l’armonia dei suoni “la raffigurazione del disegno divino”, secondo le parole di Lorenzo Ghielmi.
I concerti pubblicati come op. 7 nel 1761, due anni dopo la morte dell’autore, sono
invece assai diversi: vi sono compresi brani composti fra il 1740 e il 1751, e in alcuni casi il loro assemblaggio come “concerto” unitario esiste soltanto in quella pubblicazione. Del pari, sono molto più estese le parti per organo ad libitum destinate
all’improvvisazione, soprattutto nei tempi adagio: testimonianza di come Händel
rimanesse attivo come esecutore fino ai suoi ultimi anni. Il Concerto in sol minore
op. 7 n. 5 fa perno su tre movimenti (Staccato ma non troppo allegro, Andante larghetto e staccato, Menuet ) fra i quali si interpongono due tempi Adagio di raccordo. Il primo movimento è costruito su una melodia alquanto nota, e anche l’Andante presenta una ben riconoscibile formula ritmico-melodica ostinata dell’orche-
stra, sulla quale l’organo si libra con variazioni. Normalmente questo concerto
viene chiuso con una Gavotta che compare anche nell’op. 4 n. 3 (quarto movimento), e che Händel aveva già utilizzato in composizioni precedenti, come per
esempio la Sonata per flauto diritto op. 1 n. 2, il cui inserimento, però, non è dovuto a Händel bensì a un suo copista, e che sarà omessa nell’esecuzione odierna.
Londinese d’adozione e amico di Händel fu Francesco Saverio Geminiani. Allievo a
Roma di Arcangelo Corelli, del quale trascrisse nella forma del Concerto grosso le
sonate violinistiche dell’op. 3 e dell’op. 5, esportò in Inghilterra il gusto corelliano
per la pienezza della cavata e per lo stile “parlante” nel trattamento degli archi: un
gusto che trasmise a sua volta all’allievo Charles Avison, uno fra i primi grandi critici e scrittori di estetica musicale. Autore di un trattato per violino, Geminiani, per
ciò che concerne la tecnica, si spinge certo più avanti rispetto a Corelli, i cui modelli idiomatici e formali sono comunque fondamentalmente rispettati. Anche per
merito di Geminiani, pertanto, la forma del Concerto grosso italiano, basato sul
contrasto fra due gruppi strumentali (concertino e tutti), si conquistò una diffusione europea.
Ancora un aspetto dell’elegante e aristocratica musica strumentale inglese del Settecento è rappresentato dall’opera di William Boyce, corista nella cattedrale di San
Paolo a Londra e poi organista nella Cappella reale. Le sue Sonate e le sue otto
Sinfonie ebbero nel periodo pre-galante una grande fortuna, per la grazia e l’amabilità dell’espressione e per la gradevolezza degli impasti sonori. Messa in ombra
dal carattere più incisivo della produzione londinese di Johann Christian Bach,
quella di Boyce viene attualmente riscoperta, e ritenuta da musicologi ed esecutori
del tutto degna di essere riproposta al pubblico.
Giulia Giachin