L`avventura del Conte Verde

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L`avventura del Conte Verde
L’avventura
del Conte Verde
di Enrico Cernuschi
M
Storia di un
transatlantico italiano
sui mari della Cina
tra il 1937 e il 1943
ercy ships, ovverosia “navi
della misericordia”, è un termine difficilmente traducibile in
italiano. Con questa definizione si identificano,
infatti, i bastimenti adibiti a compiti umanitari
diversi dalle navi ospedale. L’espressione utilizzata nella nostra lingua è, a sua volta, “navi protette”
in quanto l’attività e le singole missioni di queste
unità (solitamente navi passeggeri adattate per una
particolare bisogna), nei conflitti devono essere
concordate e riconosciute preventivamente da tutte
le parti in causa.
Adibite solitamente a scambi di prigionieri e al rimpatrio di internati civili e di personale protetto (a
partire dai rispettivi corpi diplomatici delle nazioni
in guerra) o, talvolta, al rifornimento di viveri e di
medicinali a favore delle popolazioni civili, le navi
in questione sono state protagoniste, nel corso del
XX Secolo, di numerose e singolari avventure, quasi
tutte poco o punto note, perché la riservatezza e la
scarsa pubblicità data alle loro navigazioni rappresentava la migliore garanzia di successo di queste
difficili missioni.
Una delle poche eccezioni in questo senso è rappresentata dalle tre impegnative traversate effettuate,
tra il 1942 e l’anno successivo, da alcuni transatlantici italiani utilizzati per rimpatriare dall’Etiopia oltre ventimila nostri connazionali.
Furono belle imprese, rese possibili da una fattiva collaborazione umanitaria messa in atto, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, dai Governi di Washington, Roma e Berna, che riuscirono, infatti, a per-
suadere, dopo quasi un
anno di sforzi, il Gabinetto inglese ad aprire le porte dei campi di concentramento dove erano stati
internati, dopo l’occupazione dell’Africa Orientale, i civili italiani, uomini
donne e bambini, residenti in Etiopia.
Un’altra vicenda per certi aspetti simile, anche se di proporzioni decisamente inferiori, ebbe luogo nel 1942 in acque diverse
ma, ancora una volta, con un transatlantico italiano
nelle vesti del protagonista: si tratta del rimpatrio di
parte dei civili statunitensi sorpresi in Cina nel dicembre 1941 dall’inizio della guerra del Pacifico e restituiti, infine, ai loro compatrioti grazie a una missione, condotta in modo impeccabile nonostante
contrattempi a dir poco romanzeschi, realizzata dal
piroscafo passeggeri Conte Verde. Si tratta di una storia inedita che viene narrata oggi, per la prima volta
nella sua interezza, ai nostri lettori.
La nave
Tutte le navi hanno un’anima. Quella del Conte Verde
aveva, evidentemente, una vocazione umanitaria.
Ordinata nel 1919 dal Lloyd Sabaudo l’unità in questione rappresentò, assieme al gemello Conte Rosso di
18.761 tonnellate, un atteso e deciso salto di qualità
per la marineria italiana rispetto alle precedenti, più
piccole, navi passeggeri di lusso Principessa Jolanda e
Principessa Mafalda da 9.210 t. Varato il 21 ottobre
1922 ed entrato in servizio l’anno successivo, il Conte Verde navigò per anni su e giù per l’Atlantico fino a
quando non passò, nel 1932, alla linea con l’Estremo
Oriente andando incontro al proprio destino.
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Il Conte Rosso (a sinistra) e il
Conte Verde in banchina alla
Stazione Marittima di Genova,
in una vecchia cartolina illustrata; in apertura un manifesto del Lloyd Sabaudo che pubblicizza la tratta Italia – Brasile Argentina sulla quale prestava
servizio il transatlantico
La prima vicenda drammatica in cui incorse la nave,
fino a quel momento nota, più che altro, per la qualità e regolarità del servizio e per l’ottima cucina italiana, fu il tifone che la colse a Hong Kong il 2 settembre 1937. Ricordato ancora oggi come “The
Great Typhoon” quell’evento causò diverse migliaia
di morti tra gli abitanti strappando, tra l’altro, gli ormeggi della motonave passeggeri giapponese Asama Maru, di 16.975 t. L’unità nipponica, fuori controllo, entrò in collisione con il transatlantico italiano provocando gravi danni riparati, infine, dopo oltre un anno di lavori.
Mentre i cantieri di Hong Kong dapprima e di Trieste
poi provvedevano alla rimessa in linea del piroscafo
italiano, i nazisti austriaci, dopo essersi riuniti finalmente al Grande Reich, accelerarono il “congedo”
degli ebrei già in atto sin dal 1933. Sia la spoliazione
sia l’allontanamento di quella minoranza non crearono, in verità, particolari problemi, ma la loro definitiva partenza si rivelò, sin dall’inizio, piuttosto
complicata poiché tutte le nazioni, a partire dalla
Gran Bretagna nella sua qualità di titolare del mandato della Società delle Nazioni in Palestina, si rifiutarono di accogliere i profughi.
Alla fine, in seguito a una complicata combinazione
tra statunitensi, cinesi, giapponesi ed italiani, saltarono fuori, dall’autunno 1938 in poi, diverse migliaia di visti per la Concessione internazionale di
Shanghai. Le compagnie di navigazione italiane,
prima tra tutte il Lloyd Triestino, proprietario dal
1938 del Conte Verde, offrirono una quota fissa di posti riservati a quei disgraziati a condizioni subito
giudicate di favore dagli interessati e nel giro di due
anni oltre 20.000 ebrei (alcune fonti parlano, però,
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di quasi 30.000) raggiunsero quell’imprevedibile terra promessa
nonostante le vivaci
proteste avanzate, sin
dall’inizio del 1939, dagli inglesi.
Il Conte Verde partecipò
lui pure, con partenze
da Trieste e da Venezia, a questo traffico, lasciando un
buon ricordo tra i passeggeri israeliti d’origine tedesca, austriaca e ceca. Lo scoppio della guerra, infine, il
10 giugno 1940, sorprese la nave a Shanghai, dove rimase inattiva per oltre un anno e mezzo, avendo i
giapponesi comunicato immediatamente agli italiani, ai britannici e ai francesi che non avrebbero tollerato atti di ostilità in quel territorio (formalmente posto sotto un regime internazionale ma, in pratica,
sotto il controllo militare di Tokyo sin dall’autunno
1937) costringendo, di conseguenza, i vari nemici
europei a una dignitosa indifferenza reciproca.
La missione
Meno di una settimana dopo l’inizio, il 7 dicembre
1941, della Guerra del Pacifico, le autorità italiane a
Roma e in Estremo Oriente furono interessate, tramite la Svizzera e il Comitato Internazionale della
Croce Rossa, in merito alla richiesta statunitense di
poter dar corso, tramite il Conte Verde, al rimpatrio
dei propri civili rimasti bloccati in Cina.
La risposta di Roma fu immediatamente positiva ed
ebbe così inizio una serie di lunghe trattative che
culminarono, infine, in una prima missione di
scambio di internati civili tra statunitensi e giapponesi (i britannici preferirono dar corso a trattative
separate) affidata, da una parte, al transatlantico
svedese Gripsholm, noleggiato dal governo di Washington, e dall’altra al Conte Verde e al precedentemente ricordato Asama Maru, completato nel 1929
e noto per essere la più elegante e lussuosa motonave passeggeri nipponica del tempo. Le tre navi
avrebbero dovuto incontrarsi nel porto neutrale
portoghese di Lorenço Marques, in Mozambico.
missione metodista un “The Resurrection has come!”
destinato a diventare il motto di quella navigazione.
Poche ore dopo la partenza, alle sette del mattino
del 30 giugno, il Conte Verde, dipinto di grigio, illuminato e contraddistinto da grandi croci bianche
(circondate da lampadine dello stesso colore) verniciate sulle murate e sui fumaioli e dal sole rosso giapponese in campo bianco a centronave, fu avvistato,
a meno di 7.000 metri di distanza, dal sommergibile
statunitense Plunger. Il comandante del battello, il
tenente di vascello David C. White, soprannominato “Trigger Happy”, ovvero Grilletto Facile, ordinò
immediatamente la manovra d’attacco.
Per un benigno caso della sorte il secondo si ricordò,
essendo la nave illuminata, di aver letto un messaggio
inviato qualche tempo prima a questo proposito dal
Comando in capo della US Navy nel Pacifico. Dopo
averlo ritrovato nel brogliaccio, l’intraprendente
“XO” (Executive Officer) si precipitò in camera di manovra quando ormai la distanza era scesa a 800 metri e
i tubi di prora erano già stati allagati. Tutto si ridusse,
alla fine, a una fotografia del transatlantico scattata al
periscopio e a un sospiro di delusione del comandan-
La caduta dell’Africa Orientale Italiana, o dell’Impero come si
usava dire, celebrata in una cartolina propagandistica del famoso
illustratore Gino Boccasile; sul campo di battaglia troneggia la figura del Duca d’Aosta
Dopo un viaggio in Giappone, il piroscafo italiano
partì da Shanghai, la sera del 29 giugno 1942 con a
bordo il console generale statunitense Frank Lockhart e 599 cittadini americani. I civili in questione,
uomini, donne e bambini, in massima parte missionari, diplomatici, uomini d’affari e giornalisti, avevano trascorso i mesi precedenti agli arresti domiciliari in Cina e in Giappone oppure ristretti in alcuni
alloggiamenti di fortuna.
Le condizioni di vita non dovevano essere state delle migliori visto che la cosa che più colpì la maggioranza degli internati, una volta arrivati a bordo, ciascuno con non più di due valigie a testa e accolti dal
personale italiano, fu “la vista abbagliante delle tovaglie bianche e delle lenzuola pulite!”. Il cibo italiano,
anche se gli spaghetti erano stati fatti col riso, fu
molto apprezzato, ma il maggior successo fu riscosso dalla “delightful music” dell’applauditissima “Italian orchestra”, destinata ad accompagnare quella
lunga traversata di oltre seimila miglia e a lasciare un
ricordo incancellabile tra i passeggeri, strappando
ben presto dalle labbra del severissimo capo della
In una copertina di Vittorio Pisani per la Tribuna Illustrata, in
Africa Orientale la guarnigione dell’Amba Alagi, ultima resistenza
italiana, alla fine deve soccombere agli inglesi le cui truppe, dopo
la resa, tributano l’onore delle armi al valoroso nemico vinto
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Come ultimo argote del sommergibile
mento l’italiano disse
per le ventimila tonche, essendo morto
nellate mancate.
quattro giorni prima
Il 5 luglio, uno dei
un passeggero adulto,
rimpatriandi, il mispoteva benissimo imsionario luterano Dotbarcare e nutrire due
tor Edwins, arrivato
bambini. A quest’osa bordo in barella,
servazione il suo inmorì e fu sepolto in
terlocutore, probabilmare.
mente istruito in preIl 6 luglio, il Conte
Verde arrivò a Singacedenza affinché non
pore, dove incontrò
tirasse troppo la corda
l’Asama Maru (con a
con quegli strani albordo l’ambasciatoleati che il caso aveva
Il transatlantico svedese Gripsholm che, con la livrea diplomatica che vere americano a Tokmesso a fianco deldiamo in questa foto, prenderà parte a questa incredibile missione di
scambio
di
internati
yo Joseph C. Grew e
l’Imperatore, rispose
altri 800 civili statuche ne avrebbe accettato uno solo lasciando, subito dopo, con magnaninitensi) e imbarcò acqua, nafta e viveri freschi.
mità, ai bambini il diritto di scegliere. Subito il fratello
Il 9 luglio, quando ormai la nave, pronta a muovere,
maggiore, interpellato, disse di prendere a bordo la soera ormeggiata sui cavi leggeri e con le caldaie in
rellina mentre la bambina affermò a sua volta che non
pressione, ebbe infine luogo un incidente internal’avrebbe mai abbandonato.
zionale inatteso e imprevedibile quando fu avvistaA questo punto chiesero urgentemente di entrare
ta una motolancia che dirigeva a tutta velocità verso
nel salotto del comandante il commissario di bordo,
la nave italiana.
allontanatosi pochi minuti prima, e il medico capo
Joseph e Wendy O’Flanagan
del Conte Verde. Entrambi comunicarono che la dotAccostatasi al piroscafo, l’imbarcazione comunicò
toressa Sheila Roberts, moglie del console statunidi avere a bordo due bambini statunitensi, fratello e
tense a Chefoo e ricoverata sin dall’imbarco in insorella, di età inferiore ai dieci anni. I due piccoli,
fermeria, era spirata. Il colonnello giapponese chiedalla testa rapata a zero, erano accompagnati da un
se di vedere il cadavere, ma il medico replicò che si
capitano di corvetta della Marina Imperiale giappotrattava, con ogni probabilità, di una forma contanese: erano Joseph e Wendy O’Flanagan, figli di un
giosa e che comunque, in quel momento, “i mormouomo d’affari americano imbarcato sull’Asama Mani avevano invaso l’infermeria chiudendosi dentro per i
ru, in quel momento già alla fonda.
loro complicati riti funebri”.
Dispersi nell’immensa Cina dopo l’inizio delle ostiRichiesti dal comandante di confermare il decesso
lità erano stati inclusi, nonostante tutto, nel dicementrambi gli ufficiali firmarono, senza esitare, il rebre 1941, nelle liste dei civili da rimpatriare. Finiti,
gistro di bordo. Subito dopo Chinca affermò, con un
dopo alcune avventure, sotto la protezione di queltono che non ammetteva repliche, che i conti torl’ufficiale giapponese, i due bambini, ciascuno con
navano e che non aveva altro tempo da perdere per
una piccola valigetta in mano, avrebbero dovuto esdue mocciosi, visto che ormai si rischiava di partire
sere riuniti al loro genitore. Il colonnello nipponico
in ritardo. Dopo una serie di scattanti saluti tra lo
preposto allo scambio, però, si oppose in quanto i
Stato Maggiore della nave italiana e l’impenetrabile
loro nomi non figuravano nella lista d’imbarco.
ufficiale di Marina nipponico, subito tornato a borIl rappresentante svizzero, a sua volta, si chiamò sudo della lancia ed allontanatosi, l’unica concessione
bito fuori, lasciando la “grana” nelle mani del co(subito accordata) chiesta dal colonnello per non
mandante italiano Edmondo Chinca. Uomo di cuoperdere la faccia, fu quella di confinare i due bambire (il comandante Marino Iannucci della Regia Nave
ni in una cabina a bordo per tutta la navigazione
coloniale Eritrea, a quel tempo in Cina, parlò di lui
senza farli mai uscire.
nelle proprie memorie definendolo “il buon ChinIn realtà la signora Roberts, gravemente ammalata,
ca”) cercò a sua volta di far ragionare, senza succesmorì soltanto l’11 luglio. La sua disgrazia, come talso, il responsabile giapponese.
volta accade, fu la fortuna per un’altra famiglia divi-
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sa dalla guerra, oltre che per
tutti coloro che si erano gettati, senza tanto pensare, in
quel ginepraio internazionale. La storia, però, non era
ancora finita.
Dato il regime di assoluto divieto di comunicazioni tra gli
internati a bordo delle due
navi il commissario di bordo
del Conte Verde dovette provvedere di persona, una volta
arrivati a destinazione, ad informare, con le dovute maLa motonave giapponese Asama Maru, famosa per essere considerata il più bel transatlantico delniere, il padre dei due coragla marina mercantile nipponica, prese parte alla missione trasportando oltre 800 civili americani
giosi bambini per evitare il rischio, tutt’altro che remoto,
trovarono, splendente nei colori svedesi blu e oro, il
di un accidente al momento del loro incredibile inGripsholm. Mercantili di tutte le nazioni, in guerra e
contro in terra africana.
neutrali, italiani inclusi (il piroscafo Gerusalemme),
erano
ormeggiati in quel porto. La più scassata e rugChi muore e chi nasce
ginosa tra tutte, però, nel ricordo dei presenti, era
La nascita a bordo, il 14 luglio, di un bambino del
senz’altro una vecchia carretta statunitense, casualpeso di 2 chili e settecento grammi battezzato Crimente presente quel giorno.
stoforo, in italiano, in onore di Colombo, non cauL’età
della nave e lo stato della vernice non impedisò per contro (e per fortuna) ulteriori problemi di
rono, tuttavia, al suo equipaggio di sventolare per
contabilità se non in sede storica, visto che si deve a
l’occasione una bandiera a stelle e strisce extra large
questo lieto evento, festeggiato sia dagli statunitenconfezionata la notte precedente e di segnalare un
si sia dagli italiani (i quali donarono il corredo per il
fragoroso benvenuto, fischiato dalla sirena e dalla
neonato) il fatto che le poche storie pubblicate in
gente, oltre a issare un gran pavese d’eccezione per
merito a queste vicende parlino, ancora oggi, “di cirdare il benvenuto ai propri connazionali, parecchi
ca 600 rimpatriati” non sapendo oggettivamente codei quali piansero, a quel punto, senza ritegno.
me definire il nuovo arrivo, cui fu attribuita, tra l’alDopo 24 ore, il successivo scambio avvenne rapidatro, anche la cittadinanza italiana, essendo venuto
mente: due lunghe file di passeggeri scesero, rispetal mondo sotto il tricolore.
tivamente, da poppa e imbarcarono da prora, senza
Le due successive settimane di navigazione consiincrociarsi. I nuovi ospiti giapponesi della nave itastettero, una volta che si prescinda dalla sopravveliana, tutti in condizioni decisamente migliori rinuta necessità di razionare l’acqua potabile in seguispetto ai loro predecessori, si chiusero, a loro volta,
to a problemi al distillatore, in una sorta di gara tra il
in un assoluto silenzio durante il viaggio di ritorno
Conte Verde e l’Asama Maru. La nave giapponese, inoppure tradirono, specialmente quelli provenienti
fatti, doveva aprire “per principio” la formazione,
dall’America latina, un certo rimpianto per il loro
ma nonostante fosse di dieci anni più giovane si riforzato rientro.
velò ben presto meno marina del piroscafo italiano,
Le due navi giunte dall’Oriente imbarcarono in Motanto che questo, nel corso del monsone estivo, fu
zambico anche 12.000 pacchi ciascuna contenenti
più volte costretto a rallentare, a compiere volte tonviveri, medicinali e posta confezionati dalla Croce
de o, addirittura, a fermarsi per far passare per prima
Rossa e destinati, nominativamente, agli internati
l’unità alleata, con grande divertimento sportivo
anglo-americani in mano nipponica. La felice condei passeggeri statunitensi i quali definirono ben
segna del materiale affidato agli italiani fu certificapresto il Conte Verde come una “piccola città” o, meta
personalmente, fino all’ultimo dei colli, dai regi
glio, una sorta di seconda Brooklyn italo-americana
consoli distaccati in Cina e in Giappone tra il setgalleggiante.
tembre 1942 e il gennaio dell’anno successivo.
Il pomeriggio del 22 luglio, infine, le due navi pasQuelli presi in carico dai giapponesi arrivarono anseggeri dell’Asse entrarono a Lorenço Marques dove
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Tra il 1942 e il 1943, in una missione analoga, un gruppo di transatlantici italiani (Vulcania, Saturnia, Duilio e Giulio Cesare trasformati in Mercy Ships) verrà impiegato per rimpatriare dall’Africa Orientale 30.000 nostri connazionali civili internati dagli inglesi dopo la
caduta dell’Impero; nella foto, il Vulcania nel 1942
ch’essi a destinazione, ma non furono mai rimessi ai
destinatari venendo ritrovati intatti, dopo la fine della guerra, nei campi in quanto gli impegni assunti dal
governo di Tokyo prevedevano l’arrivo dei materiali,
ma non la loro distribuzione. Quest’interpretazione
dei patti costò certamente la vita a più di un internato o prigioniero anglosassone e l’impiccagione, dopo
il 1946, di almeno tre diplomatici e militari nipponici coinvolti in quel gioco di parole di dubbio gusto.
Il seguito
Ripartito il 26 luglio 1942 il Conte Verde arrivò a
Shanghai, dopo due scali a Singapore e in Giappone,
l’8 settembre 1942. Chiesto vanamente dal Governo di Tokyo nel corso del 1943, il transatlantico italiano fu “militarizzato” quello stesso anno, a scanso
di guai, restando sempre con la bandiera tricolore
della Mercantile al picco (non essendo stato né requisito dalla Regia Marina né iscritto nei ruoli del
naviglio ausiliario dello Stato) ed equipaggio interamente nazionale mentre il comandante Chinca rispolverava, per l’occasione, il proprio grado di capitano di corvetta di complemento.
Destinato a una nuova missione umanitaria da perfezionare, questa volta a Goa, nell’India portoghese, incontrando, assieme alla nave passeggeri Teia Maru
(alias l’ex transatlantico francese Aramis, sequestrato
senza tanti complimenti dai giapponesi nel 1942), e il
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solito Gripsholm, l’approntamento del transatlantico
italiano fu però ostacolato, dopo il 25 luglio 1943, dai
nipponici, anche a costo di rimandare la data del nuovo scambio, fissato originariamente per il 1 settembre
1943 e posticipato, il 24 agosto, a metà ottobre.
Il 9 settembre 1943, infine, alle ore 7.30 del mattino,
l’equipaggio del transatlantico, obbedendo disciplinatamente al proprio comandante, quantunque
tutti sapessero bene di andare incontro, nella migliore delle ipotesi, a maltrattamenti d’ogni genere,
incendiò e autoaffondò la propria nave, ora dipinta
con due enormi insegne della Croce Rossa sui due
fianchi. Le altre navi italiane in Cina e in Giappone
fecero lo stesso. I nipponici tentarono subito di recuperare il transatlantico ribattezzandolo, amministrativamente, Kotobuki Maru, con l’intenzione di
farne un trasporto truppe. Risollevata dal fondo nel
luglio 1944 la nave fu però nuovamente affondata,
l’8 agosto 1944, da un bombardamento aereo statunitense. Ridotta a un rottame e sempre con il nome
italiano a poppa, fu rimorchiata in Giappone e demolita, infine, nel 1951 dopo essere stata restituita,
formalmente, all’Italia.
Non si sfugge al destino e la sorte del Conte Verde era,
evidentemente, quella di una Mercy Ship o, se vogliamo, di un’unità “militarizzata”, ma non di una
nave ausiliaria d’animo e bandiera diversa da quel■
la italiana.