Rileggendo tra antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti
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Rileggendo tra antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti
Pathologica (2001) 93:700-706 © Springer-Verlag 2001 RILETTURE E. Fulcheri · L. Ventura Rileggendo tra antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti mummificati o disseccati L’istologia dei tessuti mummificati è ormai tecnica e metodologia consolidata in paleopatologia; numerosi lavori scientifici sono basati su osservazioni istologiche e istopatologiche e molti Centri di ricerca biomedica su materiale antico ne fanno uso corrente [1-9]. Come noto, esistono due tipi di mummificazione: la mummificazione naturale e la mummificazione artificiale, detta anche imbalsamazione. La mummificazione naturale, sia essa rapida (per disidratazione o congelamento) o lenta (preceduta da autolisi o da fenomeni putrefattivi più o meno imponenti), non prevede l’azione diretta o l’opera dell’uomo. Nel primo caso (mummificazione rapida), il fattore ambientale gioca un ruolo essenziale. In altre parole, un clima secco e molto caldo consente di escludere o ridurre al minimo l’autolisi, l’autodigestione e la putrefazione e di ottenere nel contempo una rapida disidratazione, che porta a mummificazione il soggetto in breve tempo. L’esempio classico è rappresentato dalla mummificazione naturale nell’antico Egitto in ceste di vimini sepolte nella sabbia del deserto rovente e sterile (Fig. 1). Nel secondo caso (mummificazione lenta), l’autodigestione consente di eliminare rapidamente liquidi e la putrefazione, più o meno rapida e tumultuosa, viene arrestata sotto l’azione del clima caldo, secco e ventilato o per particolari condizioni createsi nella bara o nel sarcofago (microclima in ambiente confinato). Esempi possono essere le mummie italiane delle Cripte dei Cappuccini di Palermo o le mummie naturali dei sarcofagi monumentali nelle basiliche e nei templi (Fig. 2). La mummificazione artificiale, detta anche imbalsamazione, è dovuta all’impiego di balsami semplicemente spalmati sul cadavere o introdotti nelle cavità naturali del corpo, anche a seguito di complesse tecniche di preparazione, includenti eviscerazioni più o meno estese, lavaggi e perfusioni. Oltre ai balsami e a particolari misture di sostanze minerali e vegetali, in alcuni periodi storici vennero impiegati il bitume o il natron con eccellenti risultati. Sia nel caso di im- E. Fulcheri () Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento DI.C.M.I, Università degli Studi di Genova, Via de Toni 14, I-16132 Genova, Italia e-mail: [email protected] Tel.: +39-010-3537816 Fax: +39-010-3537803 L. Ventura Unità Operativa di Anatomia Patologica, Ospedale San Salvatore, Azienda USL, l’Aquila, Italia Fig. 1 Mummia egiziana naturale predinastica. Museo di Antropologia, Università di Torino Rileggendo tra le antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti mummificati o essicati Fig. 2 Mummie naturali delle Latomie dei Cappuccini di Palermo balsamazioni semplici che nel caso di imbalsamazioni più complesse il risultato finale è comunque sempre notevolmente influenzato dalle condizioni del clima, in cui la salma viene trattata e successivamente conservata. Non bisogna però pensare che tutte le mummie siano uguali per caratteristiche tessutali; infatti, una mummificazione naturale lenta, come già descritto, o una imbalsamazione non riuscita perfettamente determineranno la conservazione di corpi già parzialmente compromessi dall’autolisi, dall’autodigestione o da tappe iniziali di putrefazione. È del professor Sandison, anatomopatologo di Glasgow e insigne paleopatologo, l’osservazione che, paradossalmente, per quanto concerne l’antico Egitto, le mummie naturali della gente comune sepolta nel deserto risultano qualitativamente migliori rispetto alle mummie artificiali proprie dei periodi più tardi, imbalsamate con tecniche meno sofisticate e più approssimative [10]. Nell’esame istologico dei tessuti mummificati, un punto nodale è rappresentato dalla reidratazione dei campioni prelevati prima di includerli in paraffina. È noto infatti come sia indispensabile reidratare i tessuti prima di poterli disidratare con alcoli a concentrazioni crescenti sino all’assoluto, per poterli poi trasferire nei cosiddetti “intermedi” a diafanizzare (xilolo, benzolo, etc.) e successivamente includere in paraffina. La parte più delicata di tutto il processo consiste proprio nell’introdurre gradatamente soluzioni acquose (genericamente, reidratare senza che necessariamente debba essere introdotta acqua o per lo meno solo acqua) per distendere i tessuti, specie connettivali, e dare nuovamente volume alle cellule e alle strutture istologiche. Errori tecnici in questa fase comportano, per eccessiva e non graduale reidratazione, la frammentazione per lisi dei tessuti e delle cellule, l’eccessivo rigonfiamento dei connettivi con dispersione dei tessuti e perdita dell’integrità isto-architetturale. Per contro, una inadeguata e insufficiente reidratazione non consente un’ottimale diafanizzazione e conseguentemente determina una imperfetta impregnazione in paraffina, risultando così in un campione difficile da sezionare con il microtomo o particolarmente duro e anelastico, 701 sì da ottenere sezioni friabili e facilmente disgregantisi nei bagni di fluttuazione e distensione. Il miglior preparato istologico si può ottenere solo con un’accurata scelta del liquido reidratante, ottimizzando i tempi di reidratazione, modificandoli in base alle caratteristiche del tessuto, sia intrinseche che estrinseche, dovute cioè al tipo di mummificazione e alle sostanze chimiche impiegate. I tessuti mummificati, adeguatamente reidratati, mantengono gran parte delle caratteristiche istologiche ed isto-architetturali proprie dei tessuti freschi, seppure con una grande variabilità da caso a caso (Figg. 3-5). Tale variabilità deriva dalle differenti modalità di mummificazione, naturale o artificiale, dalla qualità della mummificazione ottenuta e infine dalle sostanze impiegate nella mummificazione, qualora questa sia di tipo artificiale. Anche in tessuti eccellentemente mummificati tuttavia sono presenti alcune caratteristiche che li differenziano dai tessuti freschi; in particolare, e in riferimento alla cute, si può sempre notare come i fascicoli di fibre collagene o elastiche del derma tendano ad aggregarsi in bande ematossilinofile; come le fibre reticoliniche siano Fig. 3 Mummia egiziana naturale predinastica: cute Fig. 4 Mummia egiziana naturale predinastica: muscolo 702 Rileggendo tra le antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti mummificati o essicati Fig. 5 Mummia egiziana naturale predinastica: polmone collassate in trabecole di vario spessore, in parte frammentate, e infine come tutto il connettivo lasso sia addensato in bande irregolari. La diversità delle caratteristiche fisico-chimiche dei tessuti mummificati, rispetto a quelli freschi, determina una diversa affinità tintoriale che si traduce visivamente con aberrazioni cromatiche, metacromasia o viraggi nei colori. Tali variazioni, che possono essere modeste o marcate, limitano notevolmente la lettura del preparato e inducono ad una scelta ragionata delle varie metodiche di colorazione da impiegare. Tornando al problema della reidratazione, per dare freschezza e rendere soffici i tessuti, sono state proposte durante gli anni alcune “ricette”, reclamizzate di volta in volta come le migliori. Storicamente i primi lavori sono riferibili a Czermack nel 1852 [11], Wilder nel 1904 [12] e successivamente, nel 1910, a Sir Marc Armand Ruffer [13], padre della Paleopatologia (Fig. 6). Tali metodologie peraltro sono state successivamente sviluppate e numerosi Autori hanno mes- Fig. 6 Sir M.A. Ruffer. Ritratto dell’antiporta del trattato “Studies in paleopathology of Egypt”, edito dall’University of Chicago Press nel 1921 so a punto tecniche di reidratazione volte ad ottenere un materiale quanto più simile a quello fresco. Ricordiamo in un elenco sintetico le tappe principali di questa storia, tappe che verranno riprese e analizzate successivamente nel testo: Williams (1927) [14], Wilson (1927) [15], Simmandl (1928) [16], Van Cleve e Ross (1947) [17], Graf (1949) [18], Sandison (1955) [19], Tapp (1979) [20], Turner e Holtom (1980) [21], Herman (1982) [22], Fulcheri, Rabino e Fenoglio (1985) [23], Terribile (1987) [24], Fechner, Petkovits, Brinkmann (1988) [25] (Tab. 1). Tabella 1 Tecniche di reidratazione: cronologia riassuntiva Autore Pubblicazione Anno Riferimento bibliografico Czermack Wilder Ruffer Williams Wilson Simmandl Van Cleve e Ross Graf Sandison Tapp Turner e Holtom Herman Fulcheri, Rabino, Fenoglio Terribile Wiel Marin Fechner, Petkovits, Brinkmann Sitz Kais Akad Wiss Wienn Am Anthrop Cairo Scient J Arch Pathol Am Natur Anthropologie Science Acta Anatome Stain Technol Manchester Museum MASCA Journal Pensilvania Paleopath News Ver Deutsche Ges Path Pathologica Arch Kriminol 1852 1904 1910 1927 1927 1928 1947 1949 1955 1979 1980 1982 1985 1987 1988 [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] [18] [19] [20] [21] [22] [23] [24] [25] Rileggendo tra le antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti mummificati o essicati Esaminando le diverse “ricette” è possibile suddividere le tecniche di reidratazione in tre classi principali. 1) Soluzioni idro-alcoliche di formaldeide. Gran parte delle soluzioni reidratanti hanno in comune una base idro-alcolica tamponata. In pratica, si tratta di misture di alcool e foermalina in diverse percentuali. La for- Tabella 2 Reidratazione secondo Sandison (1955) [19] Soluzione A (Softening) Alcol 95° 30% Formolo 2% 50% Na2CO3 5% 20% 12-18 h Decantare aggiungendo alcol 96° in passaggi successivi fino ad ottenere un liquido trasparente Alcol 80° Fenolo 8% in alcol assoluto 96% Alcol assoluto (3 passaggi) Alcol assoluto-amile acetato Amile acetato (3 passaggi) Celloidina 1% in benzoato di metile (3 passaggi) Benzene Benzene-paraffina Paraffina Paraffina Inclusione in paraffina 3-6 15-18 2 1 6-18 24 1/2 3 1-2 15-18 h h h h h h h h h h 703 malina viene utilizzata come fissativo di base, tuttavia a basse concentrazioni risulta coadiuvante all’azione dell’alcol (Tab. 2). Poiché i tessuti essiccati contengono sostanze lipidiche, è necessario usare un solvente lipofilo che aumenti la diffusione dell’acqua al loro interno e a tal proposito viene utilizzato l’alcol etilico. Dunque, anche se l’alcol può indurre la formazione di nuovi legami chimici [26], che talora sono responsabili dei viraggi di colore o degli effetti metacromatici, lo stesso, a diverse gradazioni (non certo assoluto), resta un costituente indispensabile nella reidratazione. L’azione dell’alcol non si limita alla sola capacità di penetrare i tessuti come solvente dei lipidi, ma assolve anche al ruolo di fissatore dei tessuti stessi, in questo complementato dall’azione della formalina. Risulta quindi evidente la fondamentale importanza dell’alcol rispetto alla formalina, che può anche essere omessa, come nella soluzione proposta da Simandl o da Fechner [16-25]. Taluni Autori [20] hanno proposto invece l’uso della sola formalina, con ciò privilegiando una migliore conservazione delle proprietà chimiche dei tessuti. Tessuti mummificati artificialmente, vale a dire con balsami o sostanze chimiche, che di fatto costituiscono dei veri e propri fissativi. In questi casi, la fissazione con formolo può essere considerata a tutti gli effetti superflua. In ogni metodica di eccellenza occorre valutare inoltre con attenzione un altro parametro, vale a dire la necessità di operare in ambiente ottimale per pH e osmolarità. A tal proposito, le soluzioni proposte dai diversi Autori prevedono una variante tamponata per renderla quanto più possibile simile al plasma umano (Tab. 3). Tabella 3 Le diverse “ricette” reidratanti utilizzate: schema comparativo per un ragionamento analitico e critico sulla tipologia e la natura delle soluzioni. I volumi indicati si riferiscono ad un volume finale di 100 ml Soluzione di Sandison Etanolo 95% Formalina 1% Carbonato di sodio 5% 30 ml 50 ml 20 ml Soluzione di Ruffer Etanolo 95% Formalina 2% Carbonato di sodio 5% 30 ml 50 ml 20 ml Soluzione di Van Cleve e Ross Etanolo 95% Formalina 2% Fosfato trisodico 0.25% 30 ml 50 ml 20 ml Soluzione di Turner e Holtom Etanolo 95% Formalina 2% Sodio Cloridrato 0.85% 30 ml 50 ml 20 ml Soluzione di Tapp Formolo salino 5% Soluzione di Simandl Etanolo assoluto Acqua distillata 60 ml 40 ml Soluzione di Fechner Etanolo assoluto Acqua distillata Tampone fosfato 0.2 M, pH 7 30 ml 50 ml 20 ml Soluzione di Graf Tampone salino 5% 100 ml 100 ml 704 Rileggendo tra le antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti mummificati o essicati 2) Siero umano L’osservazione che anche la miglior metodica di reidratazione non può portare a risultati di eccellenza, se non viene effettuata in condizioni simili a quelle naturali, suggerì l’impiego del siero umano (Tab. 4). Sebbene assai usato in passato [22], venne sconsigliato per il timore che potesse determinare fenomeni di cross-reazione nelle indagini di immunoistochimica. Seppur con prudenza, venivano infatti proposti i primi lavori di immunoistochimica e di istoenzimatica, volti a dimostrare che i tessuti mummificati possono preservare le proprietà antigeniche [2728]. Venne quindi proposto l’impiego di sieri inattivati al calore (Hermann, 1982) [22]. Il siero inattivato perde infatti ogni proprietà antigenica, mantenendo inalterate le caratteristiche chimiche e fisiche necessarie alla reidratazione. Una variante alla metodica di Herman, proposta e studiata da Fulcheri e coll. [23] e successivamente corretta da Terribile Wiel Marin [24], è stata validata mediante test multipli e prove di colorazione con anticorpi diretti verso antigeni tumore-associati, microfilamenti o filamenti intermedi componenti del citoscheletro [29]. Questa metodica prevede una pre-fissazione dei tessuti, mediante vapori di formaldeide. I vapori di formaldeide sono in grado di determinare un’efficace fissazione in assenza virtuale di acqua [30]. La pre-fissazione, analogamente a quanto avviene per i tessuti congelati o per i liquidi cellulati, si rende necessaria se, nelle soluzioni reidratanti non è previsto l’impiego di formalina o la percentuale d’alcol è troppo bassa. 3) Ammorbidenti per tessuti (fabric softener) L’uso dei fabric softener viene spesso citato in letteratura [8, 31, 32, 33] ed è particolarmente consigliato nel caso di campioni di grosse dimensioni [8]. Inizialmente, venne proposto per migliorare l’inclusione di materiali cartilaginei e chitinosi di particolare durezza e, solo successivamente, venne proposto per le indagini istologiche sui tessuti mummificati. Quando si parla di fabric softener, occorre rammentare che non si tratta di tessuti istologici bensì di filati e materiale tessile. Il softener è semplicemente un ammorbidente, uno dei tanti reclamizzati in televisione con palese godimento di chi indossa il capo di abbigliamento ammorbidito. Sul mercato sono presenti una gran quantità di ammorbi- Tabella 4 Reidratazione secondo Herman (1982) [22] Siero umano normale inattivato a 56oC a 4oC 30 min 12-48 ore H2O 5 min Etanolo 75% 15 min Etanolo 80% 2 ore Successiva inclusione routinaria in processatore automatico denti e le formule sono parzialmente mantenute segrete per ovvi motivi commerciali. Le misture sono dunque differenti e assai complesse per quanto riguarda gli additivi introdotti, ma il principio cardine di questi prodotti è una forte concentrazione di prodotti di reazione contenenti acidi grassi, poliammidi e amino esteri, nonché tensioattivi. Fabric softener e soluzioni reidratanti particolari sono utilizzate anche per la reidratazione di grosse parti anatomiche o di interi organi, senza che necessariamente vengano effettuate campionature per l’esame istologico. Per questi prodotti non si hanno conferme o verifiche relativamente al problema della conservazione delle proprietà antigeniche dei tessuti, questa volta... istologici. Tornando a considerazioni di carattere generale, si deve ricordare ancora che la durata del trattamento, come riportato da tutti gli Autori, è assai variabile e può variare da alcune ore ad alcuni giorni, soprattutto in base alle dimensioni del campione. Un’innovazione particolarmente interessante è stata operata in Medicina Legale da Fechner e coll. [25], con l’introduzione forno a microonde nel trattamento di campioni tessutali disidratati, ottenendo, come era logico attendersi, una drastica riduzione dei tempi di trattamento. La reidratazione con forno a microonde rappresenta una novità assoluta nel campo della paleopatologia, la cui applicazione richiede tuttavia estrema cautela nei tessuti molto antichi e delicati. Spesso viene suggerito di reidratare pezzi di grosse dimensioni, anche effettuando un overtreatment, così da ottenere un rigonfiamento eccessivo nelle porzioni periferiche, ma una reidratazione ottimale nelle porzioni centrali del campione. Tale indicazione ci trova totalmente in disaccordo, poiché non consideriamo opportuno “sprecare” porzioni di tessuto, al contrario riteniamo che si debbano effettuare prelievi mirati e di piccole dimensioni, per non danneggiare eccessivamente il reperto. Per tali motivi riteniamo che occorra ottimizzare la metodica di reidratazione in base alle caratteristiche del tessuto e al volume del prelievo. Nella reidratazione di campioni troppo piccoli o tessuti particolarmente delicati uno svantaggio può essere rappresentato dal fatto che è assai facile ottenere un buon dettaglio citologico a scapito della perdita dei rapporti isto-architettonici del tessuto (buona citologia e pessima istologia). Nei tessuti delicati, uno dei problemi che spesso si riscontrano è che la rapida penetrazione d’acqua nel tessuto secco rigonfia sensibilmente quest’ultimo e può persino disgregarlo. Tale problema può essere eliminato, o perlomeno limitato, includendo in agar il campione secco prima di reidratarlo, secondo una vecchia tecnica recentemente rispolverata da Ventura e coll. [34]. L’inclusione provvisoria in agar consente inoltre di orientare il campione nella maniera desiderata. In conclusione pensiamo che sia stato interessante proporre una rilettura critica e ragionata delle varie tecniche di reidratazione dei tessuti mummificati, per scoprire quale sia Rileggendo tra le antiche e nuove ricette per dare freschezza ai tessuti mummificati o essicati l’arcano che consente di rendere flessibili ed elastici i tessuti dopo migliaia di anni, individuare i pregi e i difetti delle diverse metodiche ed eventualmente scegliere quella migliore da adottare nei laboratori. Molto si stupiranno di questa affermazione i nostri giovani lettori (riprendendo la celeberrima frase di Collodi) che non si interessano punto di Paleopatologia. “No ragazzi, avete sbagliato”, noi abbiamo invece pensato questa rilettura proprio per coloro che di Paleopatologia non si interessano o non sanno che farsene; questi invitiamo a riflettere che la mummificazione naturale è uno dei fenomeni trasformativi più comuni alle nostre latitudini e nelle condizioni in cui vengono di regola tumulati i cadaveri (vedasi la bella sintesi di Fornaciari scritta su questo tema e il capitolo decimo del piacevole libro di Grilletto “La splendida vita delle mummie” [35, 36]). Può capitare che una perizia di carattere medico legale venga richiesta dopo molto tempo dalla inumazione e si svolga per l’appunto su un cadavere parzialmente mummificato. La reidratazione dei tessuti mummificati riveste allora interesse anche per la Medicina Legale e per l’Anatomia Patologica nella risoluzione di eventuali controversie peritali. In Medicina Legale dunque la reidratazione dei tessuti mummificati può essere considerata una tecnica di base, che deve essere conosciuta con precisione; essa si rivela utile, non solo nell’esame di cadaveri o parti di cadaveri mummificati, ma anche nella identificazione di tracce. Proprio Fechner ribadì l’importanza di poter riconoscere istologicamente minimi frammenti di tessuti essiccati o mummificati adesi ad armi o parti di strutture o autovetture. L’esiguità dei frammenti richiede tecniche assi sofisticate di reidratazione che comunque, come già detto, non differiscono da quelle sopra descritte. Sempre a proposito di Medicina Legale, occorre infine ricordare che l’impiego delle differenti soluzioni reidratanti è stato sperimentato con successo per ottenere le impronte digitali da cadaveri mummificati [37, 38]. Resta poi un’ultima occasione, quella che ognuno di noi vorrebbe che mai si avverasse, quella tanto temuta e deprecata, quella che al solo accenno evoca plateali riti scaramantici (anche di cattivo gusto). Ci riferiamo all’evenienza in cui una biopsia venga posta, e successivamente soggiorni a lungo, in un contenitore privo di liquido fissativo (posta in contenitore prima del fissativo che poi non verrà mai introdotto o, evenienza più frequente, posta in un contenitore a chiusura non ermetica che lasci evaporare o percolare il liquido fissativo) o sia adagiata o avvolta in “garza” che, proprio perché denominata “idrofila”, determina una rapida disidratazione dei tessuti, essiccandoli. Al di là delle responsabilità (sempre accuratamente ricercate e documentate per ovvi motivi di incolumità personale), resta il problema del recupero del materiale ai fini di una diagnosi quantomeno orientativa. In questi casi, poter disporre di una valida tecnica di reidratazione può veramente essere di grande utilità. 705 Non vogliamo infine neppure per scherzo accennare all’ultima e funesta eventualità in cui possedere un’ottima tecnica di reidratazione dei tessuti possa essere utile; non entreremo nei dettagli della tragedia che si perpetra allorquando processatori automatici, per le più svariate cause e i più insondabili accidenti, decidono di sospendere nel vuoto i cestelli o di non pompare ottimamente o affatto i liquidi. Errori di impostazione, guasti tecnici, sbalzi di corrente, imperizia degli operatori, o semplicemente sfortuna. Vista la percentuale di simili catastrofici eventi, registrata almeno una volta in ogni servizio o divisione di Anatomia Patologica, considerata la stagionalità, a dir poco perversa, in cui l’evento si perpetra, vale a dire l’estate, notato il tropismo spiccato per le giornate con ponti festivi o “feste comandate”, ci sembra non azzardato parlare, non solo di sfortuna, ma di disgrazia vera e propria, autentica iella. Allora ci sembra corretto affermare, a conclusione della nostra rilettura, come le tecniche di reidratazione siano utili per la Paleopatologia, per la Medicina Legale e per la... iella. Bibliografia 1. Ruffer MA (1913) Studies in paleopathology in Egypt. J Pathol Bacteriol 18:149 2. Sandison AT (1981) Diseases in the ancient world. In: Anthony PP, Macsween RNM (eds) Recent advances in Histopathology, n° 11. Churchill Livingstone, Edinburg, pp 1-18 3. Rabino Massa E, Chiarelli B (1976) Histology of naturally dessiccated and mummified tissues of ancient Egyptians. 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