le ricette della signora toku

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le ricette della signora toku
LE RICETTE DELLA SIGNORA TOKU
di Naomi Kawase.
Con Masatoshi Nagase, Kirin Kiki.
Giappone 2015. 113'
I rami fioriti dei ciliegi bucano prepotenti la monotonia di un anonimo quartiere pieno di
palazzi, scale di servizio, gente che corre al lavoro. La meraviglia della vita riesce a farsi strada tra
il grigiore di una giornata senz’anima, così il passo lieve e stupito dell’anziana signora Toku si
contrappone all’incedere stanco e rassegnato di Sentaro che fin dal primo mattino si reca al suo
negozietto di frittelle. Il film si costruisce tutto attorno a questo contrasto e a questa sotterranea
domanda: come è possibile ringraziare la vita e gioire di essa nella condizione di solitudine,
separazione o malattia? La signora Toku è uno di quei personaggi che non si dimenticano: ferita nel
corpo dalla lebbra che le ha deformato le mani, ferita nella sua umanità cresciuta nella separatezza
di un sanatorio, con il sogno di un bambino che le è stato negato, esce nella città come una fragile
Gelsomina per regalare ciò che sa fare: frittelle squisite che incantano il palato. Esce soprattutto per
ricercare un altro essere umano a cui regalare quello che lei stessa è riuscita a distillare dalla sua
vita così sofferta: una saggezza semplice e candida che la rende capace di ringraziare per ogni
piccola fonte di gioia che la giornata può offrire.
La storia che la regista giapponese Naomi Kawase ci propone è molto semplice: Sentaro è
un uomo disincantato e solo che conduce con rassegnazione un piccolo chiosco in cui vende frittelle
ripiene di una tipica marmellata di fagioli rossi. Alle sue spalle vi è una vita difficile e una madre
perduta senza un commiato. Un giorno compare in cerca di un lavoro, ma soprattutto di un
momento di contatto umano, la signora Toku che si propone di lavorare per lui per preparare la
marmellata che riesce a fare in modo delizioso. Questa ha trascorso buona parte della sua vita in un
sanatorio a causa della lebbra che ancora le deturpa le mani; pur essendo anch’essa sola ha in sé un
senso contagioso di gratitudine e di stupore verso il creato. A partire dalla stessa preparazione della
sua mitica marmellata, Toku si rivolge agli ingredienti come se fossero animati e vivi, esseri da
rispettare e da trattare con dolcezza: “Li dobbiamo accogliere nel modo giusto” – dice Toku a
Sentaro che non capisce a cosa si riferisca e risponde “I clienti vanno accolti bene”. – “Io parlavo
dei fagioli.” Ribatte Toku. Ciò che incanta in questo film è proprio questo atteggiamento che
emerge sempre più esplicitamente nelle parole e nei gesti dell’anziana signora: una sorta di
francescana umiltà e letizia che la fa entrare in comunione con gli altri esseri e presenze: a
impegnarsi ad esempio in una magica “promessa a tre” con una giovane conosciuta nel negozio, lei
stessa e la luna che assisteva alla scena.
Al termine Toku lascerà a Sentaro una sorta di testamento spirituale che si può sintetizzare
in questa frase: "Noi siamo nati per osservare e ascoltare questo mondo; è solo così che, anche
senza riuscire nella vita, possiamo trovare, possiamo davvero trovare, un senso alla nostra
esistenza". Questa saggezza e questo esempio libereranno lo stesso Sentoro dal sentirsi un “forzato
della vita” e gli permetteranno di reinventare il suo ruolo di umile venditore di frittelle non più però
cupo e frustrato ma pieno di partecipazione e gioia. L’opera di misericordia rappresentata da questo
film è alquanto misteriosa: Sentaro ha in effetti accolto Toku che era malata nel corpo, ma la stessa
ha liberato Sentaro dalla sua triste rassegnazione. Forse si tratta di una nuova opera: liberare i
prigionieri. (Paolo Breviglieri)