Procedura di conciliazione nel licenziamento per giustificato motivo
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Procedura di conciliazione nel licenziamento per giustificato motivo
FIBA CISL NAZIONALE LICENZIAMENTI PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO Procedura obbligatoria di conciliazione preventiva Chiarimenti del Ministero del Lavoro A diversi mesi dall' entrata in vigore della Legge di riforma del mercato del lavoro (cd. Fornero) e dall' operatività delle modifiche apportate da quest’ultima all'art. 7 della Legge n. 604/66 e, quindi, dell' obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione per I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (cd. economico o per motivi economici), il Ministero del Lavoro ha fornito, con la circolare n. 3 del 16 gennaio 2013 (vedi testo allegato), i “primi chiarimenti operativi” sulla nuova procedura conciliativa, oggetto del presente commento. Posto che l’ impostazione del nuovo sistema sanzionatorio per i licenziamenti individuali introdotto dalla Legge Fornero si caratterizza per un obiettivo alleggerimento delle tutele rispetto a quelle previste nel sistema normativo precedente (potenziando la tutela cd. indennitaria a scapito della tutela cd. reintegratoria) e posto che tale impostazione si riverbera anche sul licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (fattispecie di licenziamento cui i datori di lavoro ricorrono più di frequente in un’epoca, quale quella attuale, sempre più caratterizzata da processi di riorganizzazione e ristrutturazione delle imprese), riteniamo che una puntuale conoscenza della nuova procedura preventiva di conciliazione nel licenziamento cd. economico da parte dei lavoratori e dei dirigenti sindacali (chiamati ad assisterli in questo delicato frangente) sia di grande utilità. Ciò nell’ auspicio che tale procedura non sia destinata a risolversi in una mera formalità, ma che possa, in concreto, creare le condizioni di un fattivo confronto tra le parti, diretto alla ricerca di soluzioni alternative all'irrogazione del recesso. L’art. 1, comma 40, della suddetta legge introduce, mediante la riscrittura dell'art. 7 della l. n. 604/1966 e nell’ottica di deflazionare il contenzioso giudiziario, una procedura di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di conciliazione, costituita presso la Direzione territoriale del lavoro, che il datore di lavoro, avente i requisiti dimensionali previsti dal nuovo articolo 18, comma 8, della legge n. 300/70, deve obbligatoriamente esperire prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (che d’ora in avanti denomineremo g.m.o.). Tale licenziamento è quello determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Diversamente dal passato, in cui le forme di conciliazione erano state introdotte in via obbligatoria per definire contenziosi già in atto, la nuova procedura è preventiva, cioè deve essere posta in essere quando il datore di lavoro manifesta l'intenzione di voler procedere ad un recesso per motivi oggettivi e prima che questo abbia effetto. Detta procedura si configura, quindi, come condizione di procedibilità. Poiché si tratta di procedura obbligatoria, la sua mancata ottemperanza da parte del datore di lavoro comporta una sanzione, rispetto al passato, più efficace. Anche nel caso in cui si dovesse trattare di un licenziamento giustificato, il giudice, in caso di impugnazione del lavoratore, è tenuto a riconoscere, comunque, un risarcimento ad hoc a favore del lavoratore ricompreso tra le 6 e le 12 mensilità secondo Statuto. il nuovo art. 18 dello Ma passiamo subito ad illustrare i contenuti della circolare sui quali il Ministero del Lavoro ha preliminarmente consultato le parti sociali; va segnalato che, soprattutto nella parte relativa all’istruttoria della procedura, sono state accolte dal Ministero alcune richieste della Cisl volte a creare per la commissione di conciliazione le migliori condizioni e modalità organizzative al fine della riuscita del tentativo di conciliazione, anche alla luce dei tempi assai brevi richiesti dalla legge. Datori di lavoro obbligati La circolare innanzitutto rammenta che i datori di lavoro obbligati ad esperire la procedura sono tutti quelli che, in ciascuna sede, stabilimento, ecc. occupino più di 15 dipendenti o più di 5 se imprenditori agricoli, nonché quelli che, nello stesso ambito comunale, occupino più di 15 lavoratori, pur se ciascuna unità produttiva non raggiunga tali limiti e, in ogni caso, quelli che occupino più di 60 dipendenti su scala nazionale. Ai fini del computo i lavoratori a tempo parziale indeterminato e i lavoratori intermittenti sono calcolati “pro quota”. Per quanto riguarda l’individuazione della soglia numerica, la circolare ribadisce la validità dei consolidati indirizzi giurisprudenziali della Cassazione formatisi intorno alla legge n. 108/1990 che è la normativa di riferimento per la definizione dell'ambito dimensionale. In base a tali indirizzi, secondo i quali bisogna fare riferimento ai parametri di “media” o di “normalità” del dato occupazionale in un determinato periodo (vedi Cassazione n. 2546/2004, n. 2241/1987 e n. 2371/1986), possono rientrare, a pieno titolo, nell'ambito di applicazione del nuovo art. 7, legge n. 604/1966 anche quei datori di lavoro che, al momento del licenziamento, occupano meno di 15 dipendenti. La circolare precisa poi che non rientrano nel computo, per effetto di specifiche disposizioni legislative, le seguenti tipologie contrattuali: a) i lavoratori assunti con rapporto di apprendistato (art. 7, comma 3, D.lgs. n. 167/2011); b) quelli con contratto di inserimento (fino a quando tale contratto rimarrà nel nostro ordinamento e cioè fino alla fine del 2013) e reinserimento (art. 20 della legge n. 223/1991); c) gli assunti, già impiegati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità, secondo la previsione contenuta nell’ art. 7, comma 7, del D.lgs. n. 81/2000; d) i lavoratori somministrati perché, per effetto dell’ art. 22, comma 5, del D.lgs. n. 276/ 2003, non rientranti nell’organico dell’utilizzatore. Ambito «oggettivo» della procedura La circolare, dopo aver ricordato che, anche sulla base di una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. 11465/2012), il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva è una scelta riservata all’imprenditore, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice, richiama l’ampia casistica di ipotesi di licenziamento per g.m.o. delineata negli anni dalla giurisprudenza della Cassazione. A titolo esemplificativo, la circolare evidenzia dapprima due ipotesi di licenziamento nelle quali ricorre il giustificato motivo oggettivo: • la ristrutturazione di reparti; • la soppressione del posto di lavoro. Viene precisato che queste due ipotesi non possono essere solo genericamente individuate ma vanno ricondotte all'effettiva e documentata esigenza di dover sopprimere o ridurre il reparto o, a maggior ragione, il singolo posto di lavoro dimostrando l'impossibilità di ricollocazione o riutilizzazione del lavoratore in alter mansioni. La circolare individua inoltre, sempre in via non esaustiva, ulteriori ipotesi quali: terziarizzazione ed esternalizzazione di attività; inidoneità fisica; impossibilità del cd. “repechage” all' interno del “gruppo di imprese”; licenziamento di lavoratore a tempo indeterminato in edilizia anche per chiusura del cantiere; provvedimenti di natura amministrativa che incidono sul rapporto (ad es. ritiro della patente di guida ad un autista o del porto d'armi ad una guardia giurata); misure detentive. La circolare invece esclude dall'ambito dei licenziamenti per g.m.o. e quindi della procedura il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, ai sensi dell'art. 2110 c.c., la cui violazione, peraltro, trova una specifica tutela nell'ambito del riformulato art. 18 della legge n. 300/1970. La circolare, operando una distinzione tra “recessi plurimi” e “licenziamenti collettivi”, puntualizza poi che il tentativo di conciliazione è obbligatorio quando il datore di lavoro intenda effettuare più licenziamenti individuali nell'arco di 120 giorni anche per i medesimi motivi senza raggiungere la soglia di 5; ci si trova , in questo caso, di fronte a “recessi plurimi” per esigenze oggettive dell’ azienda, tutti ricadenti nella procedura oggi prevista per i licenziamenti individuali e non in quella disciplinata dall’ art. 4 della legge n. 223/91 (licenziamenti collettivi). A tale proposito la circolare richiama le DTL a contrastare tentativi di aggiramento delle norme e quindi a verificare che il datore di lavoro non abbia cercato di eludere l' obbligo di applicare la L. 223/91 utilizzando invece la procedura, ex art. 7 L 604, nei licenziamenti superiori a 4 unità da effettuare nell'arco dei 120 giorni a parità di motivazione. Aspetti operativi della procedura La comunicazione del datore di lavoro di voler procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere indirizzata per iscritto (mediante raccomandata con avviso di ricevimento) alla Direzione territoriale del lavoro competente, unico ed esclusivo soggetto legittimato ad istruire la conciliazione, e, per conoscenza, va inoltrata, sempre per iscritto, al lavoratore. E’ ammesso l' invio alla Direzione del lavoro utilizzando la “posta elettronica certificata”. La comunicazione è fondamentale in quanto consente di conoscere le cause che determinano, ad avviso del datore, la necessità di procedere al licenziamento. Detta comunicazione deve contenere: a) i motivi del recesso individuati in modo specifico ed improntati ai principi di “correttezza” e “buona fede”; b) le misure di assistenza al lavoratore: da intendersi - come si evince dalla circolare come eventuali possibili ricollocazioni del lavoratore che possono facilitare la soluzione della controversia. E’ particolarmente significativa la parte della circolare dedicata all’ istruttoria della Direzione territoriale del lavoro, alla quale i tempi obiettivamente brevi del tentativo di conciliazione previsti dalla legge impongono precisi oneri, a partire dalla convocazione delle parti avanti alla commissione (o sotto commissione) provinciale di conciliazione, trasmettendo l’invito a comparire entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell’istanza. A cadenza almeno settimanale la DTL provvederà inoltre a comunicare ai componenti della commissione i nominativi delle parti convocate per il tentativo di conciliazione presso la stessa commissione. La circolare precisa che la convocazione della DTL deve essere trasmessa con la massima celerità al fine di non vanificare la procedura di conciliazione, indicando una data molto ravvicinata per l’incontro, e comunque entro i 20 giorni previsti dalla legge, prevedendo riunioni “straordinarie” dell’organo conciliativo. Si pone anche attenzione all’organizzazione sia dell’Ufficio vertenze della Direzione del lavoro che dell’attività della commissione di conciliazione, che dovrà essere tale da assolvere agli oneri normativi, precisando che dell’osservanza delle indicazioni ministeriali si terrà conto ai fini della valutazione del comportamento organizzativo dei Dirigenti delle rispettive strutture. Quanto all’ attività della commissione di conciliazione, la circolare precisa che l’ingiustificata assenza del lavoratore all’incontro conciliativo abilita il datore di lavoro ad attuare il recesso, e che lo stesso non può dirsi nel caso contrario. La legge consente alle parti di essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui siano iscritte o abbiano conferito mandato o da un componente la RSA o la RSU, da un avvocato o da un consulente del lavoro iscritti al relativo albo. Pur non escludendo che in linea di principio le parti possano delegare altre persone alla trattazione, si ritiene opportuno che i soggetti interessati siano tutti presenti e, in particolar modo, il lavoratore. I termini per lo svolgimento della conc iliazione sono predeterminati. Essa si deve concludere entro 20 giorni dal momento in cui la DTL ha trasmesso la convocazione dell’incontro. Tale termine si calcola, secondo il Ministero, dalla data di convocazione e quindi “all'interno dei 20 giorni vanno computati anche quelli necessari per la ricezione della lettera raccomandata (...)”(se non è utilizzata la Pec). Il suddetto termine può essere superato, anche su richiesta della commissione, solo se le parti lo reputano necessario per il raggiungimento di un accordo. In tal caso le parti possono continuare la discussione senza alcuna limitazione temporale. La circolare sottolinea l’attività di mediazione che deve essere svolta dalla commissione di conciliazione sia in ordine all’accordo sulla indennità incentivante, che riguardo alla individuazione di forme alternative al recesso (ad esempio, il ricorso al tempo parziale, il trasferimento, l’occupazione presso altro datore di lavoro, l’offerta di una collaborazione autonoma anche presso altri datori di lavoro, il distacco temporaneo, l’attribuzione di altre mansioni), senza la necessità di formalizzare una vera e propria proposta conciliativa. Sono dunque necessari interventi organizzativi per l’ utilizzazione del personale nelle singole DTL, essendo opportuno affidare la presidenza della sottocommissione ad un funzionario particolarmente preparato sotto l’aspetto “vertenziale” e con una conoscenza degli istituti contrattuali da utilizzare in alternativa al recesso e con capacità di mediazione. La legge consente una sospensione della procedura per un periodo massimo di 15 giorni, in presenza di un legittimo e documentato impedimento del lavoratore (anche autocertificabile). Questo, che può consistere in uno stato di malattia o in altra motivazione afferibile alla propria sfera familiare, deve trovare la propria giustificazione in una tutela prevista dalla legge (ad esempio, un intervento di assistenza ex L. n. 104/1992) o dal contratto. E siti della conciliazione 1. In caso di esito negativo della conciliazione, è necessario un verbale di mancato accordo dal quale si possa desumere, con sufficiente approssimazione, il comportamento tenuto dalle parti, che sarà poi valutato dal giudice, come stabilisce la legge. Se la convocazione per il tentativo di conciliazione richiesto non dovesse essere effettuata dalla DTL, la circolare puntualizza che il datore di lavoro può procedere al recesso, una volta trascorsi i 7 giorni dalla ricezione della propria richiesta di incontro da parte della DTL. A fronte delle forti perplessità manifestate dalla CISL su questo aspetto, il Ministero del lavoro ha spiegato che non è possibile impedire il licenziamento a fronte di una adempienza della DTL, assicurando che si tratterà di casi rarissimi che, peraltro, la circolare in oggetto fa di tutto per scongiurare richiamando le DTL a comportamenti improntati a responsabilità, efficienza ed efficacia nell'intero iter della procedura, in relazione ai tempi ristretti e vincolati del suo svolgimento. Nonostante tali assicurazioni non possiamo esimerci, comunque, dal nutrire (sperando di essere smentiti dai fatti) forti perplessità sul funzionamento del nuovo istituto conciliativo perché memori del precedente del tutto negativo rappresentato dall’ istituto del tentativo obbligatorio di conciliazione vigente sino all'emanazione della legge n. 183/2010. Tale tentativo conciliativo se, da un lato, costituiva una condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria, dall'altro, si considerava validamente esperito anche se, trascorsi 60 giorni dalla proposizione della richiesta, la DTL (allora denominata Direzione Provinciale del Lavoro) non avesse, nel frattempo, proceduto alla convocazione delle parti. Simile impostazione ha comportato molto spesso che la convocazione non avvenisse nel termine prescritto e la procedura venisse considerata validamente esperita senza che, nei fatti, le parti coinvolte avessero proceduto all'incontro conciliativo. Il licenziamento adottato al termine della procedura ha effetto dal giorno di ricezione, da parte dell’Ufficio, della comunicazione datoriale relativa al “preavviso di licenziamento”, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Se, durante la procedura di conciliazione, il lavoratore ha continuato a prestare la propria attività, tale periodo si considera come “preavviso lavorato”. In sintesi il datore di lavoro può procedere al licenziamento essenzialmente al verificarsi di due ipotesi: a) mancato rispetto da parte della DTL dei termini di convocazione e svolgimento della procedura; b) fallimento del tentativo di conciliazione della controversia verificatosi sia perché le parti non hanno trovato un accordo, sia perché si è verificata l'assenza o l'abbandono della procedura da parte di una di esse (cosa che va, chiaramente, evidenziata nel relativo verbale). Il verbale, vale la pena ripeterlo, stando al dettato del comma 8 del nuovo art. 7 della legge n. 604/1966, non può essere generico e privo di contenuti; il legislatore, infatti, afferma che “il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'art. 18, comma 7, della legge n. 300/1970 e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c.”. Dal verbale si deve desumere, con sufficiente approssimazione, il comportamento tenuto dalle parli nella fase conciliativa. La circolare ricorda, dopo aver ribadito che il licenziamento intervenuto in costanza di maternità/paternità è sempre nullo, che gli effetti del licenziamento rimangono sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. 2. In caso di esito positivo del tentativo di conciliazione, le soluzioni possono essere diverse, anche alternative alla risoluzione del rapporto. In questo caso, la commissione procede alla verbalizzazione dei contenuti (ad esempio, un trasferimento, una trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale) che divengono inoppugnabili, trattandosi di una conciliazione avvenuta ex art. 410 c.p.c.. Anche la risoluzione consensuale del rapporto andrà verbalizzata, riportandone tutti i contenuti, ivi compresi quelli di natura economica. In questo caso, in deroga alla disciplina ordinaria, si riconosce al lavoratore il diritto a vedersi corrisposta l'Assicurazione sociale per l' impiego (Aspi), destinata a sostituire la «vecchia» indennità ordinaria di disoccupazione. In caso di risoluzione consensuale del rapporto davanti alla commissione di conciliazione, il lavoratore è da considerarsi esonerato dalla procedura, introdotta dalla stessa legge n.92/2012, di convalida delle dimissioni. E’ possibile che, in sede di accordo sulla risoluzione del rapporto, si possa addivenire anche alla composizione di altre questioni di natura economica riguardanti il rapporto di lavoro (differenze retributive, ore di straordinario, tfr), purché ci sia la piena consapevolezza del lavoratore circa la definitività della questione e la sua conseguente inoppugnabilità ex art. 410 c.p.c.. Ovviamente, qualora dalla discussione emerga che tale requisito non ci sia, sarà necessario, osserva il Ministero, “stralciare” la parte relativa alla “chiusura delle pendenze economiche” e concentrarsi soltanto su quello che è l'obiettivo della procedura, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In relazione a quanto sopra, osserva ancora la circolare, è opportuno - in caso di somme corrisposte a vario titolo al lavoratore (ad accettazione della risoluzione del rapporto, differenze paga, Tfr ecc.) - evidenziare separatamente le stesse e, in particolare, quelle finalizzale all'accettazione del licenziamento. Luigi Verde (servizio legale nazionale)