Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio
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Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio
Rassegne Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio, comorbilità, trattamento e prognosi Depression in the elderly: risk factors, comorbidity, treatment and prognosis CINZIA BRESSI, ELISA SAROTTI, CHRISTINA MANOUSSAKIS, MATTEO PORCELLANA, ILARIA IDA IANDOLI, PAOLA MARINACCIO, SILVIA PALETTA, GIORDANO INVERNIZZI Clinica Psichiatrica, Università di Milano, IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano RIASSUNTO. La depressione senile è la patologia depressiva che colpisce gli adulti al di sopra dei 65 anni e interessa principalmente individui con altre patologie mediche o psichiatriche. La letteratura riporta, come principali patologie concomitanti in grado di influenzare decorso e prognosi della depressione, i disturbi d’ansia, l’alcolismo e i disturbi di personalità dei cluster B e C. La depressione risulta anche associata a un aumentato rischio di sviluppare Alzheimer e l’esordio in età senile aumenta le probabilità di sviluppare demenza. Esiste, peraltro, un doppio legame tra depressione e difficoltà terapeutica della patologia medica concomitante. I fattori di rischio psicosociali più rilevanti riguardano, invece, il verificarsi di eventi negativi, lutto e disabilità. La terapia farmacologica di prima scelta include SSRIs e SNRIs; la terapia combinata (farmacologica e psicoterapica) si è dimostrata efficace ed è di prima scelta nel trattamento della depressione senile. Per quanto riguarda la prognosi, la letteratura considera come fattori importanti l’età d’esordio, la risposta al trattamento farmacologico e il tipo di terapia di mantenimento. PAROLE CHIAVE: depressione, depressione senile, geriatria, terapia farmacologica. SUMMARY. Late-life depression is defined as the depressive syndrome that occurs in people older than 65 and it often arises in the context of medical or psychiatric disorders. There is evidence that depression in the elderly plays an important role in developing alcoholism. Most commonly reported comorbidities, which influence the course and the outcome of depression, are anxiety disorders, alcoholism and cluster B and C personality disorders. Moreover, depression seems to be associated with an increased risk of developing Alzheimer’s disease, where the age of onset correlates positively with the risk for dementia. There’s a strict link between depression and “medical burden” too. The most important psychosocial risk factors are stressful events, mourning and disability. With respect to pharmacotherapy, SSRIs and SNRIs are preferred; there’s evidence that combined therapy (pharmacotherapy and psychotherapy) is appropriate and it is recommended in older patients suffering from depression. According to data, the main factors influencing the outcome of late-life depression are the age of onset, response to treatment and maintainance therapy. KEY WORDS: depression, late-life depression, elderly, drug therapy. INTRODUZIONE re, depressione minore, distimia, episodio depressivo in soggetto con disturbo bipolare dell’umore, depressione associata a patologie mediche generali o associata all’uso di farmaci. Il DSM-IV-TR non presenta, tuttavia, criteri diagnostici di patologia depressiva specifici per l’età senile ed è pertanto probabile che la prevalenza di questa La depressione senile è la patologia depressiva che colpisce soggetti con un’età superiore ai 65 anni e che, secondo il Manuale Statistico e Diagnostico-IV edizione (DSM-IV) e la Classificazione Internazionale delle Patologie (ICD-10), comprende: depressione maggioE-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 1 Bressi C, et al. malattia nella popolazione anziana sia sottostimata, poiché la sintomatologia del nucleo affettivo può essere erroneamente interpretata come espressione di una patologia organica (1). Studi condotti recentemente da Altamura, et al. mostrano, invece, che la depressione del paziente anziano ha una presentazione clinica specifica, caratterizzata in particolar modo dalla presenza di somatizzazioni, sintomi ansiosi (2), ipocondria, ideazione suicidaria, coartazione affettiva e apatia (3). Molto frequentemente la sintomatologia depressiva in età senile è accompagnata da alterazioni fisico-metaboliche (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, ecc.), deterioramento cognitivo e patologie organiche; risultano maggiori il disagio sociale e la disabilità causati dalla malattia, può peggiorare la prognosi delle patologie mediche e aumentare la mortalità (3). che la depressione avrebbe un ruolo più importante in età avanzata nel favorire l’alcolismo: nell’etilismo a esordio precoce la familiarità assumerebbe, infatti, un peso maggiore nel promuovere la malattia, mentre in quello a esordio più tardivo gli agenti eziologici più importanti sarebbero fattori di ordine ambientale, tra i quali si annovera anche la concomitante patologia depressiva. In molti casi di comorbilità è del resto difficile stabilire il rapporto causa-effetto e cioè se sia il MDD a favorire condotte di abuso d’alcol o se avvenga invece il contrario. L’elevata frequenza di associazione tra depressione ed etilismo rende ragione dell’importanza medica di indagare la quantità di alcol assunta dal paziente anziano depresso, al fine di ottimizzare la gestione clinica e la terapia da effettuare. I risultati riguardanti il trattamento in caso di comorbilità sono comunque discordanti. Nello studio di Oslin, et al. (7) sono stati reclutati al T0 2666 soggetti aderenti a un programma di terapia psichiatrica in ambito geriatrico ed è stato rilevato che in questa fase l’11,1% dei pazienti depressi consumava alcol. Gli autori hanno poi eseguito un follow-up dopo un periodo di trattamento antidepressivo e dopo la dimissione: ne è emerso che coloro che in fase di reclutamento assumevano alcol ne avevano ridotto il consumo e sembravano avere una risposta migliore alla terapia. Tali risultati contrastano con quelli ottenuti in precedenza da Cook, et al. (11) che avevano rilevato una prognosi peggiore per i pazienti depressi che abusano d’alcol. FATTORI DI RISCHIO E COMORBILITÀ Come osservato da Alexopoulos, et al. (4), la depressione senile interessa principalmente individui con altre patologie mediche o psichiatriche e particolari fattori di rischio psicosociali. Comorbilità Le malattie psichiatriche che spesso interessano i pazienti anziani con un disturbo depressivo sono prevalentemente alcolismo, ansia, disturbi di personalità (5) e decadimento cognitivo, ma esiste anche la possibilità di comorbilità con patologie mediche. Ansia Sebbene i disturbi d’ansia siano abbastanza frequenti nella popolazione anziana, la loro correlazione con la depressione è stata oggetto di pochi studi. La letteratura (12-14) sembra suggerire che il disturbo d’ansia più rappresentato nella popolazione geriatrica già affetta da MDD sia il disturbo d’ansia generalizzato (GAD). Stando ai dati ottenuti da Lenze, et al. (15), la prevalenza dei disturbi d’ansia nei pazienti anziani depressi si attesterebbe sul 23%, per salire al 35% se si includono disturbi pregressi. Questo studio sembrerebbe contraddire quello precedentemente condotto da Mulsant, et al. (16) nel quale, sebbene più della metà dei 336 pazienti reclutati nello studio presentavano punteggi alti negli item riguardanti l’ansia fisica o somatica alla Hamilton Rating Scale for Depression, solo pochi soggetti avevano poi un’effettiva diagnosi di disturbo d’ansia secondo il DSM-III-R. La divergenza Alcolismo Per quanto riguarda l’alcolismo, gli studi di Blixen, et al. (6) e Oslin, et al. (7) hanno dimostrato come la prevalenza di abuso d’alcol nei pazienti anziani con sintomatologia depressiva si attesti intorno al 15-30% e sia quindi piuttosto alta. Le ricerche condotte da Grant e Harford (8) su soggetti di età superiore ai 65 anni hanno inoltre evidenziato che i pazienti che presentano una storia di disturbo depressivo maggiore (MDD) hanno una prevalenza di disturbi legati all’etilismo (13,3%) 3-4 volte superiore a quella riscontrata nei pazienti con anamnesi negativa per MDD (4,5%). Tali osservazioni confermano i dati emersi dallo studio di Saunders, et al. (9). L’analisi congiunta delle ricerche condotte da Schutte, et al. (10) e Grant e Harford (8) suggerisce Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 2 Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio, comorbilità, trattamento e prognosi fra i dati ottenuti dai due studi può essere spiegata considerando il fatto che nella ricerca di Mulsant sono stati esclusi i pazienti affetti da GAD che, come visto, è il disturbo d’ansia più frequente in corso di MDD. Vari autori (14,17,18) riportano, infine, tassi di prevalenza di disturbo d’ansia minori nella popolazione geriatrica rispetto a quella più giovane: probabilmente questo dato è da attribuire sia a un effetto coorte sia al fatto che le persone con comorbilità tendono a sopravvivere meno. Gli studi di Oldehinkel, et al. (19), condotti su un numero di 86 casi di pazienti anziani depressi e 72 controlli, hanno dimostrato come la presenza di nevroticism, valutato tramite la scala del nevroticismo dell’Eysenck Personality Questionnaire, aumenti il rischio di depressione. La concomitanza di ansia e depressione senile sarebbe, inoltre, un fattore prognostico negativo, in quanto associato a un aumento della mortalità (20). Circa l’effetto della comorbilità con ansia sul trattamento della depressione, gli studi di Mulsant, et al. (16) sembravano indicare un’influenza negativa, mentre una ricerca più recente dello stesso gruppo (21) non rileva alcun effetto. Le ricerche svolte, indaganti l’effetto dei DDP sulla clinica della depressione, indicherebbero come i disturbi del cluster B riducano il funzionamento globale e la qualità della vita (32) e come la presenza di un disturbo sull’asse II sia associato a ricadute depressive, a una maggior probabilità di un’ulteriore diagnosi sull’asse I e a una storia di tentato suicidio (33). I dati concernenti gli effetti dei DDP sulla terapia antidepressiva in età avanzata sono limitati. Stando ai risultati dello studio di Kunik, et al. (33) sembrerebbe non esserci un’influenza dei disturbi di personalità sul trattamento antidepressivo, dato in contrasto con quanto ottenuto precedentemente da Thompson, et al. (28) per cui i DDP avrebbero, invece, diminuito la probabilità di risposta alla psicoterapia. Decadimento cognitivo Nella popolazione costituita da pazienti anziani depressi una percentuale significativa presenta anche un decadimento cognitivo; tale percentuale inoltre raddoppia ogni anno a partire dai 70 anni d’età, arrivando al 25% nei soggetti di 85 anni. Numerosi studi hanno dimostrato come la depressione sia associata a un maggior rischio di sviluppare Alzheimer (34-36) e come l’esordio tardivo della depressione stessa sia associato a un aumento della probabilità di sviluppare una demenza (37-39). Con questi risultati si allineano quelli ottenuti da van Ojen, et al. (40) studiando un campione di 4051 pazienti di età compresa fra i 65 e gli 84 anni, che hanno evidenziato una correlazione fra decadimento cognitivo e depressione. In ambito scientifico è presente un intenso dibattito riguardo al valore prognostico dell’età di comparsa di disturbi depressivi nel predire l’insorgenza di Alzheimer. In una metanalisi di Jorm, et al. (34) si evidenzia che un’anamnesi positiva per depressione è associata a un aumentato rischio di sviluppare Alzheimer dopo i 70 anni solamente quando i sintomi depressivi siano comparsi nei 10 anni precedenti l’insorgenza della demenza, mentre un disturbo depressivo insorto più di 10 anni prima della diagnosi di demenza è associato al rischio di sviluppare Alzheimer a qualsiasi età. Gli autori hanno inoltre concluso che la depressione in giovane età rappresenti un fattore di rischio per lo sviluppo di Alzheimer, mentre i sintomi depressivi insorti dopo i 60 anni farebbero parte della fase prodromica della demenza. Le cause del decadimento cognitivo in corso di depressione sono probabilmente multifattoriali e vi contribuirebbero processi neurodegenerativi e vascolari. È stato ipotizzato che la depressione possa portare ad Disturbi di personalità Stando ai risultati ottenuti da Kunik, et al. (22) su un campione di 547 pazienti afferenti all’Unità di Psichiatria Geriatrica, il 24% dei pazienti con MDD presentava anche un Disturbo Di Personalità (DDP). È stato evidenziato che la maggior comorbilità era presente con i DDP del cluster C (evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo, passivo-aggressivo), in base ai criteri del DSM-III-R. Queste osservazioni confermano i risultati ottenuti in numerosi studi di Abrams, et al. (23,24) e in una recente ricerca effettuata da Devanand (25) nella quale si rileva che la prevalenza di associazione con i DDP è simile nel MDD e nel disturbo distimico. Diversi autori (22,23,26-31) hanno notato una minor prevalenza dei disturbi di personalità appartenenti al cluster B (antisociale, borderline, istrionico, narcisistico) nei pazienti anziani con depressione rispetto ai soggetti più giovani. Questi secondi dati possono essere interpretati come un effetto coorte o in alternativa attribuibili alla messa in atto di condotte suicidarie, che rappresentano fattori di rischio critici di questo cluster. Inoltre, tali risultati potrebbero derivare da un’attenuazione della manifestazione di alcune condotte impulsive, necessarie per porre diagnosi, dovuta ad alterazioni neurobiologiche tipiche dell’età avanzata. Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 3 Bressi C, et al. atrofia dell’ippocampo, contribuendo al decadimento cognitivo (41,42). L’ipotesi della depressione vascolare è supportata da studi che dimostrano come indici clinici o di laboratorio di patologia vascolare siano associati alla presenza o allo sviluppo di malattia depressiva (43,44). Quest’ultima sarebbe, quindi, causata da lesioni critiche o dalla presenza di più lesioni nei circuiti frontostriatali che, come indicato dalla clinica e dal neuroimaging, condurrebbero anche al decadimento cognitivo (45-48). Diversi studi indicano, infatti, come alterazioni a carico del circuito frontostriatale contribuiscano alla patogenesi di alcune sindromi depressive insorte in tarda età (49-52): l’invecchiamento favorirebbe la disconnessione delle aree corticali frontali dalle strutture striatali, promuovendo lo sviluppo di sintomi depressivi. Uno studio di Kalayam e Alexopoulos (53) si è occupato di valutare gli effetti del decadimento cognitivo sull’efficacia del trattamento farmacologico. I soggetti che non presentavano controindicazioni all’uso di antidepressivi triciclici (TCA), o storia di resistenza al trattamento con TCA, sono stati trattati con nortriptilina, in alternativa sono state utilizzate altre categorie farmacologiche, come inibitori selettivi del reuptake di serotonina (paroxetina, fluoxetina, sertralina), bupropione, trazodone o venlafaxina. Gli autori hanno dimostrato come lesioni a livello delle connessioni frontostriatali siano associate a una maggiore probabilità di cronicità (53). Questi dati sono, inoltre, confermati da uno studio di Alexopoulos, et al. (54) in cui è stato evidenziato che tali lesioni sono associate a una maggior probabilità di ricadute (ricomparsa della sintomatologia clinica, caratteristica dell’episodio depressivo precedente, entro sei mesi dal suo riscontro) e recidiva (comparsa di un nuovo episodio depressivo che si manifesta solo dopo un periodo di almeno sei mesi di eutimia). Altamura, et al. (3) hanno condotto uno studio in cui si è indagata la possibile correlazione tra alterazioni degenerative del sistema nervoso centrale e sintomatologia depressiva. Sono stati reclutati 53 pazienti anziani con diagnosi di depressione maggiore secondo i criteri del DSM-IV; le alterazioni degenerative del sistema nervoso sono state valutate tramite Tomografia Assiale Computerizzata (TC) e il decadimento cognitivo con il Mini-Mental State Examination (MMSE), mentre la sintomatologia clinica tramite la Hamilton Rating Scale for Depressione (HAM-D), la Hamilton Rating Scale for Anxiety (HAM-A) e la Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS). I pazienti con presenza di anomalie alla TC hanno riportato al T0 punteggi più alti agli item “insonnia terminale” e “sintomi somatici” della HAM-D e all’item “ritiro emotivo” della BPRS. Al follow-up dopo cinque settimane, questi pazienti hanno riportato una minor riduzione del punteggio totale della HAM-D rispetto ai pazienti con quadro TC normale, mentre, seppur una notevole riduzione della sintomatologia è stata riscontrata in entrambi gruppi, non si è rilevata una differenza significativa per quanto riguarda la HAM-A. Inoltre, i pazienti con ritiro emotivo hanno avuto un miglioramento inferiore dei punteggi della BPRS rispetto ai controlli. I risultati dello studio mostrano pertanto che i pazienti con anomalie cerebrali rilevate alla TC e ritiro emotivo hanno prognosi peggiore. Comorbilità con patologie mediche Molti studi indicano che la presenza di patologie mediche aumenta il rischio di depressione, effetto questo che può essere dovuto tanto a fattori biologici quanto a fattori psicosociali (55,56). Tra questi ultimi sarebbero particolarmente significativi la complessità diagnostica, terapeutica e prognostica della malattia (Medical Burden) e, soprattutto, le caratteristiche psicologiche del soggetto, che possono mediarne l’impatto determinando l’insorgenza della depressione. Il legame tra sintomi affettivi e Medical Burden è del resto a doppio senso, in quanto si è visto che la depressione provoca un prolungamento del tempo di degenza per patologie croniche, un’aumentata fruizione dei servizi medici (57,58) e un aumento della mortalità (59). Alcuni studi hanno, infine, osservato come la disabilità, definita come un decadimento funzionale nel prendersi cura di sé, nelle attività quotidiane e nelle relazioni sociali, possa avere un ruolo favorente l’insorgenza della depressione. Anche in questo caso il legame è comunque duplice in quanto i sintomi depressivi possono a loro volta essere responsabili di disabilità, riducendo soprattutto la capacità di compiere le azioni strumentali della vita quotidiana riportate sulla scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living) (60,61). Fattori di rischio psicosociali I fattori di rischio psicosociali più rilevanti per la depressione senile consistono in eventi negativi o altri eventi comportanti lutto e/o disabilità. L’impatto di questi fattori di rischio sul funzionamento in età avanzata sono in gran parte modulati dalla presenza di altre variabili psicosociali, per esempio il supporto sociale e le capacità di coping (62). La ricerca di tali fattori ha come scopo quello di identificare i pazienti più esposti al rischio di depressione e, dove possibile, intervenire al fine di prevenire l’esordio della malattia. Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 4 Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio, comorbilità, trattamento e prognosi Razza, cultura e sesso chiatriche aveva esperito un trauma; secondo gli autori questo dato si può interpretare considerando il fatto che le vittime di un evento traumatico tendono a mettere in atto condotte di evitamento e quindi a isolarsi, andando incontro a più facili episodi depressivi. Le differenze culturali fra i pazienti di razze diverse influiscono non solo sulla suscettibilità ai fattori di rischio ma anche sull’andamento clinico della malattia. Tra gli Ispanici sembra esserci una forte correlazione tra patologie croniche e insorgenza di sintomi depressivi (63). Tra gli immigrati messicani, i soggetti sottoposti a un maggiore stress nel tentativo di adeguarsi alla nuova cultura hanno un rischio maggiore di sviluppare depressione e ideazione suicidiaria (64). I Coreani e i Cinesi tenderebbero, invece, a somatizzare lo stress emotivo. Infine, negli Afro-Americani è stata evidenziata una maggiore propensione a riferire le ideazioni suicidiarie, ma una minor tendenza a riportare i sentimenti di tristezza (65). Per quanto riguarda la distribuzione della depressione senile fra i sessi, si è rilevato un rapporto F/M di circa 2:1 (66). Le donne sarebbero, infatti, più predisposte a soffrire di una patologia depressiva in età geriatrica in quanto risultano essere economicamente più svantaggiate, più isolate e più facilmente affette da patologie croniche (67). A tutto ciò si aggiunge la maggior tendenza dei pazienti maschi con MDD ad attuare gesti autolesivi prima dei 65 anni. Supporto psicosociale e capacità di coping È stato dimostrato (73) il ruolo protettivo sull’insorgenza della depressione senile da parte del supporto sociale, che eserciterebbe una modulazione sugli stressor a cui viene sottoposto il soggetto (74). È importante notare che non è tanto il numero assoluto delle persone che ruotano attorno alla vita dell’individuo ad avere un’influenza positiva, quanto piuttosto la loro vicinanza emotiva. Si è visto, infatti, che la presenza di una persona affettivamente vicina sarebbe il più importante fattore protettivo nei confronti della depressione (75). Stando alle osservazioni di Antonucci (76) e Carstensen (77), i soggetti anziani tendono a ridurre il numero di rapporti sociali e a conservare i legami più stretti: una riduzione quantitativa delle relazioni sociali è conseguente all’aumentare dell’età anagrafica, ma allo stesso tempo gli anziani tendono a rinforzare le relazioni caratterizzate da buona interazione e alta partecipazione affettiva. Tuttavia, la progressiva riduzione numerica delle relazioni sociali comporta inevitabilmente un indebolimento del supporto affettivo, determinando un aumento del rischio di sviluppare depressione (78). Le teorie cognitive indicano peraltro che non è tanto la solitudine in sé quanto la percezione che ne ha il paziente a rendere più o meno probabile l’esordio di un disturbo depressivo. Le ricerche circa l’influenza dello stile di coping sull’insorgenza della patologia depressiva hanno dimostrato come le strategie di coping attivo, che indicano la tendenza a cercare di affrontare i problemi della vita quotidiana, risultino fattori protettivi (79), mentre le strategie di coping passivo (lasciare che siano altri a risolvere i problemi, rimuginare sui problemi) costituiscano dei fattori di rischio per l’insorgenza della depressione. Lutto, eventi traumatici Uno dei fattori di rischio più significativi legati all’insorgenza della depressione senile è la perdita di una persona amata (68), soprattutto se è traumatica o inaspettata, se il soggetto ha capacità di coping inadeguate e se conduce a un alto grado di isolamento sociale. Gli studi di Krause (69) hanno dimostrato come gli anziani che hanno perso un familiare nell’ultimo anno tendono ad avere un umore più depresso di quelli che non hanno subito lutti. Circa il 10-20% dei vedovi sviluppa una depressione clinicamente significativa che, se non viene trattata, può persistere e condurre a una disabilità cronica (70). Un altro potenziale fattore di rischio per lo sviluppo della depressione in età avanzata è l’esposizione a un evento traumatico. Sebbene gli anziani come gruppo abbiano meno probabilità di essere esposti a traumi, per esempio essere vittime di un crimine, tuttavia essi hanno un’alta probabilità di aver vissuto dei traumi nel corso della loro vita (conflitti bellici, deportazione, olocausto) (71). Le classi più a rischio sono quelle dei soggetti disagiati che vivono in zone con tassi maggiori di criminalità. Gli studi di Norris (71) e Cook, et al. (72) hanno rilevato che una percentuale tra il 20 e il 52% dei pazienti anziani che presentavano patologie psi- Altri fattori di rischio e fattori associati Diversi studi hanno, inoltre, dimostrato una prevalenza doppia di depressione nei caregiver, cioè nelle persone che si occupano di un ammalato, rispetto ai non-caregiver (80). Essa sarebbe compresa tra il 30% (81) e l’83% (82) e sarebbe tanto più alta quanto minore è il supporto da parte della famiglia del paziente Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 5 Bressi C, et al. e quanto maggiore è la complessità terapeutica della patologia che interessa l’ammalato (83). La sintonia affettiva tra il caregiver e il paziente rappresenta invece un fattore protettivo (84). Un importante fattore associato alla depressione senile è il rischio di suicidio (85). Esso rappresenta la tredicesima causa di morte nella popolazione anziana e la depressione ne rappresenta il principale fattore di rischio. A sostegno di quest’ultima affermazione, lo studio di Conwell e Brent (86) mostra che un suicidio commesso in età senile è più frequentemente associato alla presenza di un disturbo depressivo; le ricerche di Ross, et al. (87) condotte osservando un campione non clinico di 12.000 anziani residenti in comunità mostrano, inoltre, che nei 19 anziani che hanno commesso suicidio durante il periodo di osservazione gli indici di depressione fossero uno dei parametri più attendibili nel prevedere l’agito autolesivo. L’importanza dei disturbi dell’umore come fattori di rischio è tale che anche l’influenza delle patologie mediche e dei fattori sociali nel determinare l’ideazione o le condotte suicidarie sembra essere mediata dai sintomi depressivi. Questo dato implica che il riconoscimento e il trattamento adeguato della depressione senile debba essere un obiettivo primario al fine di prevenire il suicidio in età geriatrica. In letteratura è stato indagato anche il ruolo esercitato dall’Emotività Espressa (EE) dei familiari di un paziente anziano depresso sul decorso della malattia. Hinrichsen e Pollack (88) hanno condotto uno studio in cui è stata valutata l’EE dei familiari del paziente al momento del ricovero e a un follow-up a un anno per indagare la possibile esistenza di una correlazione tra l’EE familiare e decorso e prognosi di malattia. Dei 54 familiari reclutati, il 60% è stato considerato a bassa EE; tuttavia, i risultati dello studio mostrano che l’EE familiare non correla significativamente con la probabilità di remissione o il numero di recidive. Gli autori hanno perciò indagato se il grado di parentela potesse mediare gli effetti dell’EE familiare sulle variabili cliniche e hanno ipotizzato che i comportamenti dei familiari possano avere per il soggetto un significato differente a seconda del tipo di legame: sono state infatti riscontrate un maggior numero di recidive in pazienti con coniugi a bassa EE e figli ad alta EE e una maggior frequenza di remissioni tra i pazienti con coniugi ad alta EE e figli a bassa EE. della sintomatologia depressiva, dell’incidenza di ricaduta, recidiva e condotte suicidarie, ma anche il miglioramento del funzionamento cognitivo e lo sviluppo di modalità di coping adeguate. Il piano di trattamento dovrebbe basarsi su un’attenta valutazione dell’anziano, identificando fattori che possano rappresentare una predisposizione all’insorgenza di sintomi depressivi. Le interazioni tra farmaci o la presenza concomitante di una patologia medica cronica possono, infatti, rappresentare fattori di confondimento nell’effettuare una corretta diagnosi; pertanto, il trattamento della patologia di base o l’adozione di una terapia alternativa possono contribuire efficacemente alla risoluzione dei sintomi depressivi. Terapia farmacologica Numerosi studi confermano l’efficacia dei farmaci antidepressivi nel trattamento della depressione senile con risultati sovrapponibili a quelli ottenuti su campioni di soggetti più giovani (89,90). L’utilizzo di inibitori selettivi del reuptake di serotonina (SSRIs) e inibitori del reuptake di serotonina e noradrenalina (SNRIs) rappresenta il trattamento di prima scelta nel paziente anziano sia per la riduzione dell’incidenza di effetti avversi sia per la maggiore tollerabilità. Infatti, la terapia con antidepressivi triciclici (TCA) è altamente sconsigliabile data la scarsa selettività recettoriale, la cardiotossicità e l’elevato rischio di exitus da assunzione incongrua. L’utilizzo dei TCA può essere considerato nei casi di resistenza al trattamento con farmaci di nuova generazione in assenza di comorbilità organica di rilievo (91-93). La revisione di Roose e Schatzerg (94) si propone di valutare se la terapia farmacologica con SSRIs sia più efficace del placebo nel trattamento della depressione senile. In tale ricerca vengono considerati cinque studi controllati: fluoxetina vs placebo (95), venlafaxina vs fluoxetina vs placebo (96), sertralina vs placebo (97), citalopram vs placebo (98) e paroxetina vs placebo (99). Tre degli studi considerati (efficacia di paroxetina, fluoxetina e sertralina) hanno dimostrato una differenza statisticamente significativa nella frequenza di risposta al trattamento e remissione della sintomatologia con evidenza di una maggior efficacia della terapia farmacologica rispetto al placebo. Gli altri due studi non hanno messo in evidenza una superiorità del farmaco. Secondo gli autori (94) questi risultati, essendo sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti nei trial su popolazioni non geriatriche in cui la terapia farmacologica risulta essere più efficace del placebo in TRATTAMENTO Gli obiettivi principali del trattamento della depressione nell’anziano riguardano non solo la riduzione Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 6 Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio, comorbilità, trattamento e prognosi meno del 50% dei casi, confermano l’efficacia degli SSRIs nel trattamento della depressione senile. Altamura, et al. (100) hanno inoltre condotto uno studio di comparazione tra fluoxetina e amitriptilina nei pazienti anziani: sono stati reclutati 28 pazienti con diagnosi di depressione maggiore secondo i criteri del DSM-III e sono state loro somministrate in doppio cieco amitriptilina 75mg/die o fluoxetina 20mg/die per cinque settimane. Entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento significativo dei punteggi della Hamilton Rating Scale for Depression (HRSD) e sono stati riscontrati effetti collaterali di tipo anticolinergico di grado più severo nei pazienti trattati con amitriptilina. Sono state condotte ulteriori ricerche indaganti l’esistenza di una possibile differenza nei tempi di risposta al trattamento famacologico tra i pazienti affetti da depressione, e in particolare uno studio di Montgomery, et al. (101) dimostra che nel paziente anziano si ha un prolungamento del tempo di latenza (8-12 settimane nei pazienti anziani vs 6-8 settimane nei pazienti più giovani) che correla con il numero di episodi di depressione maggiore presenti in anamnesi. Sackeim, et al. (99) hanno inoltre condotto uno studio con l’obiettivo di valutare per diversi farmaci (sertralina vs fluoxetina, 236 pazienti; sertralina vs nortriptilina, 210 pazienti) la minima durata di trattamento farmacologico necessaria per ottenere una risposta o una remissione dei sintomi nel paziente anziano. Lo studio ha dimostrato che i pazienti anziani presentano dei tempi di risposta al trattamento farmacologico sovrapponibili a quelli dei soggetti più giovani. Tuttavia, è stato osservato che i pazienti che presentavano a 4 settimane dall’inizio del trial una riduzione dei valori ottenuti alla HRSD inferiore al 30% rispetto al T0 avevano una probabilità di remissione della sintomatologia del 35% a 12 settimane, considerando come criterio di remissione un valore HRDS ≤10 e del 16,5%, e considerando come cut-off un valore della HRDS ≤6. La depressione senile è una patologia cronica ad alto rischio di ricaduta e di recidiva. Uno studio di Reynolds, et al. (102) si è posto come obiettivo quello di investigare la frequenza di recidiva entro 3 anni in pazienti anziani con diagnosi di episodio depressivo maggiore in remissione. La ricerca ha messo a confronto tre casistiche con differenti terapie di mantenimento: placebo, nortriptilina e psicoterapia interpersonale, nortriptilina e visite psichiatriche di controllo. I risultati mostrano che a 3 anni la frequenza di recidiva è rispettivamente nei tre gruppi del 90%, del 20% e del 43%, dati che indicano una maggiore efficacia dei trattamenti integrati. Contrariamente a quello che viene effettuato nella pratica clinica per i soggetti più giovani, numerosi au- tori sostengono che nei soggetti anziani la dose di antidepressivo somministrata durante la fase acuta dovrebbe restare invariata nella fase di mantenimento, in quanto è stata dimostrata (103) una minor frequenza di recidiva. Secondo le linee-guida, la durata del trattamento farmacologico della fase acuta può protrarsi per un anno qualora l’episodio depressivo sia severo, mentre la durata della terapia di mantenimento può proseguire fino a tre anni se vi sono più episodi depressivi in anamnesi. Il farmaco viene considerato inefficace e sostituito da altra molecola se, a dosaggi terapeutici, il paziente non risponde entro 4 settimane, intendendo per risposta una riduzione del punteggio ottenuto alla HRSD di almeno 50%. La dose consigliabile nella fase iniziale del trattamento in un paziente anziano è minore rispetto al paziente giovane, ma la concentrazione plasmatica terapeutica è simile nei due gruppi (104). L’aggiustamento della dose deve essere effettuato considerando le modificazioni dei parametri fisiologici e farmacocinetici (biodisponibilità, volume di distribuzione, frazione libera plasmatica e clearance) dei soggetti anziani che presentano una maggior sensibilità agli effetti collaterali rispetto al paziente giovane. Altri antidepressivi Sebbene la maggior parte degli studi clinici sia stata condotta con SSRIs e SNRIs, vi sono altre classi di farmaci antidepressivi che si mostrano altrettanto efficaci: inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina specifici (NaSSA), inibitori della ricaptazione della noradrenalina (NaRI), mianserina e trazodone. Gli NaSSA agiscono favorendo il rilascio di adrenalina e noradrenalina attraverso il blocco dei recettori alfa-2 presinaptici. È stata dimostrata una maggiore efficacia della mirtazapina nel trattamento della depressione senile e la sua migliore tollerabilità rispetto al trazodone (NaRI) a parità di efficacia. Uno studio condotto in doppio cieco da Schatzberg, et al. (105) ha inoltre mostrato un’efficacia sovrapponibile tra l’utilizzo di mirtazapina o di paroxetina nel trattamento della patologia depressiva nel paziente anziano. È necessario ricordare al momento della prescrizione che il profilo farmacocinetico della mirtazapina è correlato al genere e all’età, pertanto nel paziente anziano è preferibile una riduzione del dosaggio. Gli studi condotti su reboxetina (NaRI) ne dimostrano l’efficacia pari a quella dei TCA ma anche la ri- Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 7 Bressi C, et al. dotta tollerabilità dovuta agli effetti collaterali provocati (aritmie) (101). Uno studio di Altamura, et al. ha dimostrato l’efficacia dell’utilizzo di mirtazapina e trazodone nel trattamento delle sindromi miste ansioso-depressive (106). Infatti, questi farmaci riducono significativamente la sintomatologia depressiva, la quota d’ansia e i disturbi del sonno e hanno una maggiore tollerabilità rispetto ai TCA. Gli effetti avversi riportati riguardano episodi di ipotensione ortostatica. tive nei confronti del farmaco presenti anche nei pazienti che assumono placebo (107). In uno studio, Reynolds, et al. (102) si sono proposti di indagare l’efficacia della IPT nel trattamento della depressione maggiore ricorrente nel paziente anziano: i risultati hanno dimostrato che la psicoterapia associata al placebo è più efficace del solo placebo nel prevenire le recidive. Sebbene i primi studi condotti sull’efficacia della IPT rispetto alla terapia farmacologica non hanno rilevato una significativa differenza tra i due trattamenti (111,112), studi più recenti (102,103) suggeriscono che la terapia con IPT e antidepressivo sia più efficace di quella con IPT e placebo sia nel trattamento dell’episodio acuto sia nel prevenire le recidive nel lungo periodo. L’associazione di antidepressivi e IPT si è dimostrata efficace nel trattamento ambulatoriale della depressione maggiore negli anziani (102,113,114), con risultati sovrapponibili a quelli ottenuti nei pazienti più giovani (115). Come dimostrato da una ricerca di Thompson, et al. (116), la psicoterapia dinamica breve si mostra efficace nel trattamento della depressione senile con riduzione e scomparsa della sintomatologia anche al follow-up di un anno. Di grande utilità risulterebbe una ricerca più approfondita che metta in comparazione il trattamento con psicoterapia dinamica breve vs terapia farmacologica nel paziente anziano. La psicoterapia e la terapia combinata Negli ultimi vent’anni numerosi studi comparativi hanno indagato l’utilizzo di psicoterapia e di terapia combinata (psicoterapia + trattamento farmacologico) nel trattamento della depressione senile, dimostrandone la significativa efficacia. In particolar modo queste ricerche hanno considerato la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), la psicoterapia interpersonale (IPT), la psicoterapia dinamica breve e il trattamento combinato IPT+terapia farmacologica (107). Dai primi anni Ottanta sono stati condotti 15 studi clinici randomizzati in cui è stata complessivamente dimostrata la maggior efficacia della CBT e della terapia problem solving (PST) rispetto al placebo nel trattamento della depressione senile. In queste ricerche, inoltre, non sono state rilevate significative differenze di efficacia tra i due tipi di terapia (108). Thompson, et al. (109) hanno condotto uno studio in cui sono state confrontate l’efficacia di CBT, terapia farmacologia (desipramina) e terapia combinata (CBT+desipramina) in un campione di 100 pazienti anziani: i dati ottenuti suggeriscono che la CBT e la terapia combinata abbiano una maggior efficacia nel ridurre la sintomatologia depressiva rispetto alla sola terapia farmacologica. Beutler, et al. (110) hanno inoltre osservato la maggior efficacia della CBT rispetto a una terapia farmacologia basata sulla somministrazione di alprazolam. È tuttavia difficile interpretare i risultati di questo studio, poiché l’alprazolam è una benzodiazepina a prevalente azione ansiolitica e poco noti sono i suoi effetti sui sintomi dell’umore (111). Sono tuttavia ancora scarsi gli studi condotti per comparare l’efficacia della CBT vs farmaci antidepressivi di nuova generazione come gli SSRIs. Per quanto riguarda la IPT, i dati presenti in letteratura riportano la presenza di efficacia del trattamento nel lungo periodo; tuttavia, la maggior parte degli studi utilizza la IPT in associazione a farmaci o placebo, rendendo difficile valutare se l’efficacia rilevata sia da riferire esclusivamente alla psicoterapia o alle aspetta- La compliance terapeutica La cura e la presa in carico del paziente anziano spesso è affidata al medico di base, che rappresenta la figura di riferimento occupandosi sia del monitoraggio e della prescrizione delle terapie mediche sia di un primo accoglimento del disagio psicologico. Pochi pazienti anziani vengono curati in centri di salute mentale (117-119) o giungono all’osservazione dello psichiatra. In una ricerca di Young, et al. (120) condotta su 9585 pazienti anziani depressi si evidenzia che quasi tutti i soggetti hanno effettuato una visita dal medico di base e che solo pochi giungono alla visita specialistica psichiatrica. Confrontando questi dati con quelli ottenuti in una popolazione più giovane, si evidenzia che gli anziani ricevono un tasso di cure relativamente inferiore. Questi dati suggeriscono che la maggior parte delle cure antidepressive viene somministrata dal medico di famiglia con il rischio di imprecisioni nella diagnosi e nella scelta del trattamento. Studi effettuati su pazienti afferenti ad ambulatori di medicina generale di di- Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 8 Il paziente anziano e la patologia depressiva: fattori di rischio, comorbilità, trattamento e prognosi versa età suggeriscono che solo il 35-43% di pazienti depressi vengono identificati come tali dai propri curanti (121). Inoltre, qualora diagnosticata, la depressione risulta spesso non trattata. Approssimativamente, l’11% di pazienti depressi con elevata frequenza di accesso agli ambulatori di medicina generale riceve un adeguato trattamento con antidepressivo, mentre il 34% riceve una terapia inadeguata e il 55% non riceve alcun tipo di trattamento (122). Il rischio di scarsa compliance ai trattamenti o di interruzione delle cure è spesso elevato ed è dovuto a diversi fattori: la mancanza di efficacia della terapia farmacologica nella riduzione dei sintomi, la comparsa di effetti collaterali dovuti alla scarsa tollerabilità, il timore di stigma sociale associato alla patologia, scarsa integrazione e collaborazione tra le diverse figure professionali (medico di base e psichiatra), la presenza di un basso livello socio-culturale e la percezione di un insufficiente supporto da parte della famiglia o dei curanti. Risulta, quindi, di notevole importanza accostare alla presa in carico farmacologica interventi a orientamento psico-educazionale, favorendo una maggior comprensione da parte del paziente del quadro clinico e delle terapie in corso, costruendo un’alleanza terapeutica in grado di garantire un maggior supporto. Inoltre, può essere di grande utilità, al fine di mantenere una buona compliance, l’estensione di tali interventi anche ai familiari dei pazienti o ai caregiver (123). La compliance farmacologica è associata a un outcome favorevole nel 40% dei pazienti con depressione maggiore di tutte le età. I pazienti che non proseguono il trattamento hanno un maggior rischio di cronicità e complicanze. Dew, et al. (129) si sono proposti di valutare l’esistenza di una possibile correlazione tra i tempi di remissione della sintomatologia e la prognosi. È stato reclutato un campione di 95 pazienti, di età maggiore o uguale a 60 anni e con una diagnosi di depressione maggiore ricorrente. I pazienti sono quindi stati monitorati per 18 settimane, durante le quali hanno effettuato un trattamento combinato (nortriptilina e psicoterapia interpersonale). Per valutare se caratteristiche precedenti il trattamento si possano considerare come indici prognostici, sono stati individuati tra i pazienti quattro sottogruppi: un primo gruppo caratterizzato da rapida risposta alla terapia e regressione dei sintomi depressivi, un secondo gruppo caratterizzato da una risposta più lenta al trattamento, un terzo gruppo “misto” con punteggi nella HRSD fluttuanti al di sopra e al di sotto della soglia e un ultimo gruppo di non-responder. Infine, specifiche caratteristiche precedenti il trattamento sono state associate ai pazienti. Confrontando i dati rilevati, gli autori hanno quindi evidenziato come alti livelli di stress, minor supporto sociale, esordio precoce della sintomatologia depressiva, elevata quota d’ansia, età avanzata e deprivazione di sonno riferita dal paziente e confermata tramite EEG correlassero con l’appartenenza ai profili con prognosi peggiore. Lo stesso gruppo di ricerca (130) ha in seguito reclutato un campione di 140 pazienti anziani per valutare se l’appartenenza a uno dei sottogruppi individuati nel precedente studio (129) fosse in grado di predire l’efficacia di una terapia di mantenimento. A tal fine gli autori hanno identificato anche tra questi soggetti i quattro sottogruppi precedentemente descritti, confrontando il numero di recidive verificatesi nei 3 anni dopo il reclutamento. Nel corso degli anni di osservazione i pazienti hanno effettuato uno dei seguenti trattamenti di mantenimento: terapia combinata (nortriptilina + terapia interpersonale), monoterapia (nortriptilina o terapia interpersonale) o placebo. I dati osservati al follow-up mostrano che la terapia combinata e la monoterapia in fase di mantenimento si rilevano entrambe più efficaci del placebo, ma non si rilevano differenze significative tra di esse. Inoltre, i pazienti appartenenti al gruppo con rapida risposta alla terapia e remissione della sintomatologia hanno beneficio sia da una terapia di mantenimento combinata sia da una monoterapia, mentre i pazienti con altre caratteristiche di risposta al trattamento hanno beneficio se trattati con terapia combinata di mantenimento. Parlando di prognosi della depressione senile, è importante stabilire quali siano i parametri atti a descrivere il decorso della malattia e la risposta al trattamento. L’utilizzo di una terminologia universalmente accettata e di criteri standardizzati ha infatti dei risvol- PROGNOSI Il confronto tra gli esiti della depressione del soggetto anziano e dell’adulto è stato oggetto di dibattito (124): se i primi studi sembravano indicare una maggior efficacia del trattamento nella depressione con esordio in età avanzata (125,126), ricerche successive non hanno confermato tali risultati (127,128). La letteratura ha pertanto indagato la possibilità che un esordio sintomatologico in età senile o più giovane possa determinare differenze prognostiche significative. In questa indagine è necessario tener conto di alcuni aspetti metodologici: occorre infatti indicare l’età d’esordio della patologia depressiva, in quanto può influenzare decorso e prognosi della malattia, e stabilire se esistano dei sottogruppi con pattern di risposta diversi che potrebbero agire come confondenti nella determinazione della prognosi. Rivista di psichiatria, 2008, 43, 1 9 Bressi C, et al. ti pratici vantaggiosi sia nella pratica clinica sia nella ricerca. Particolarmente rilevanti ai fini prognostici risultano essere le definizioni di risposta al trattamento e di remissione. Si intende per risposta al trattamento una diminuzione di almeno 50% del punteggio ottenuto al T0 nella HRDS o nella Montgomery Asberg Rating Scale for Depression (MARSD). Per quanto riguarda la valutazione della remissione, i criteri risultano essere più complessi e variabili, rendendo difficile ottenere dei dati univoci nei diversi studi: attualmente infatti si considerano differenti valori soglia per i pazienti anziani (HRSD ≤10) e i soggetti più giovani (HRSD ≤7). Questa differenza è data dal fatto che numerosi ricercatori ritengono che gli anziani presentino una minor probabilità di ottenere un recupero intercritico con totale assenza di sintomi e che nell’età avanzata sia più frequente la comorbilità con patologie organiche che possono influenzare il decorso della malattia (131). I risultati concernenti la prognosi a breve termine della depressione senile sono discordanti: secondo alcuni autori (132,133), i pazienti in età avanzata avrebbero una risposta migliore al trattamento rispetto ai pazienti più giovani, mentre altri studi riportano risultati opposti (134-136) o non rilevano differenze significative (137-140). Anche gli studi che hanno indagato l’esistenza di una correlazione tra età d’esordio della sintomatologia depressiva e risposta al trattamento riportano risultati contrastanti: se per alcuni Autori un esordio sintomatologico tardivo si accompagna a una migliore risposta al trattamento (141) o a una minor probabilità di ricadute (142), per altri si assocerebbe invece a una peggiore risposta al trattamento (143). Questi risultati discordanti potrebbero riflettere il fatto che la prognosi, nei pazienti anziani affetti da patologia depressiva, correla positivamente con un esordio tardivo della sintomatologia e negativamente con la presenza di comorbilità con patologie organiche. Reynolds, et al. (102,141) hanno invece condotto degli studi sulla prognosi a lungo termine dimostrando che l’età senile correla con più alti tassi di recidiva e con una minor durata dei periodi intercritici. Non hanno, invece, rilevato correlazioni significative tra età d’esordio e prognosi di malattia. tante in età avanzata nel favorire l’alcolismo e i disturbi d’ansia, in particolare il disturbo d’ansia generalizzato. Queste comorbilità comportano inoltre una prognosi più sfavorevole e un aumento della mortalità. La presenza di un disturbo sull’asse II, nella maggior parte dei casi del cluster C, è associata a ricadute depressive, a una maggior probabilità di un’ulteriore diagnosi sull’asse I e a una storia di tentato suicidio. La depressione si associa a un maggior rischio di sviluppare Alzheimer e l’esordio tardivo della sintomatologia aumenterebbe, probabilmente, a causa di fattori degenerativo-vascolari che determinano la formazione di lesioni critiche a livello dei circuiti frontostriatali, che si assocerebbero anche a una maggiore probabilità di cronicità, ricadute e ricorrenza. La presenza di comorbilità con patologie mediche aumenta il rischio di sviluppare depressione, che a sua volta provoca, tuttavia, un prolungamento dei tempi di degenza, un’aumentata fruizione dei servizi medici e un aumento della mortalità. I fattori di rischio psicosociali più rilevanti per la depressione senile consistono in eventi negativi o altri eventi comportanti lutto e/o disabilità; avrebbe, invece, un ruolo protettivo la presenza di un adeguato supporto sociale. L’efficacia del trattamento farmacologico nel ridurre la sintomatologia depressiva è dimostrata da numerosi studi e il trattamento di prima è scelta prevede l’utilizzo di SNRIs e SSRIs. È, inoltre, indicata nel paziente anziano una terapia combinata. Per quanto riguarda la prognosi, è stato evidenziato come alti livelli di stress, minor supporto sociale, esordio precoce ed elevata quota d’ansia correlino con una prognosi peggiore. BIBLIOGRAFIA 1. 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