L`AUTORITA` PERDUTA: IL CORAGGIO CHE I

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L`AUTORITA` PERDUTA: IL CORAGGIO CHE I
L'AUTORITA' PERDUTA: IL CORAGGIO CHE I FIGLI CI CHIEDONO Primo incontro della Scuola per Genitori 2012 – prof. Paolo Crepet Mercoledì 29.02.2012, Auditorium Biblioteca Comunale di Montebelluna Anche quest'anno non si è smentito, il suo intervento è stato energico e vigoroso nello spronare i genitori ad assumere pienamente il proprio compito educativo, a non retrocedere davanti alle proprie responsabilità e a stanare i giovani nelle case. Il prof. Paolo Crepet è tornato sui temi a lui cari dell'educazione e del ruolo degli adulti verso le nuove generazioni, senza fare sconti e soprattutto con tanti esempi concreti tratti dalla vita di tutti i giorni. Pubblichiamo i passaggi fondamentali del suo intervento all'incontro di apertura della V edizione della Scuola per Genitori, che per la prima volta quest'anno è stata organizzata dal Credito Trevigiano a Montebelluna. Desidero cominciare stasera il mio dialogo con voi a partire da una riflessione in merito al tempo che stiamo vivendo, ed in particolare a questa “CRISI” di cui continuamente parliamo. Voglio essere sincero, io ero molto più preoccupato PRIMA, quando la gente credeva di stare bene perchè non le pareva mancasse nulla e le “vacche erano grasse”: comportandosi in questo modo non sentiva il rumore del tarlo sulla trave e, come si sa, così facendo prima o poi la trave si spezza. Ora, invece, la crisi ci pone davanti ad un inevitabile ed ineludibile BIVIO: due sole sono le possibilità, non esiste la terza via, quella facile, quella furba, quella che finora è stata la più tipicamente italiana. Oggi o tiriamo a campare, e dunque perdiamo una grande occasione di cambiare, oppure cresciamo, cioè cominciamo ad agire, a comportarci, a fare cose radicalmente diverse rispetto al passato. Questa seconda possibilità è una seria opzione da prendere in considerazione per innestare vere prospettive di futuro, non un rinnovamento di tipo gattopardiano dove “tutto cambia per non cambiare mai”. Tuttavia, per compiere il passo del cambiamento spetta a noi adulti una riflessione dura e autocritica, per certi versi difficile ed anche spiacevole, perchè chiama in causa la società che abbiamo contribuito a costruire, i figli che abbiamo – più o meno – cresciuto, le prospettive che ci siamo immaginati. Mi preoccupa molto un dato che trovo purtroppo significativo ed emblematico: in Italia ci sono 2 milioni di giovani NEET (che non studiano e non lavorano). Questo comporta, per prima cosa, un prezzo sociale ed economico insopportabile per il nostro come per qualsiasi Paese del mondo, non solo in Occidente. Se gli Stati Uniti d'America o la Cina si fossero trovati, nell'ultimo periodo, in una situazione del genere non sarebbero di certo cresciuti come hanno invece fatto. Vi faccio qualche esempio. I giovani, in Italia, sono vecchi: voglio dire, l'amministratore delegato di Luxottica viene invitato alle convention in giro per il Paese quale giovane imprenditore, eppure ha 46 anni! Come può essere? Negli USA l'età media di un professore ordinario all'università è di 30 anni: del resto è evidente che, se per esempio di mestiere fai il fisico, biologicamente il tuo cervello funziona meglio quando sei giovane rispetto a quando sei vecchio. Nei Paesi Bassi le banche hanno seguito un progetto che in Italia potrebbe sembrare pura provocazione: hanno finanziato la realizzazione delle idee più interessanti e innovative di giovani di 14-­‐15 anni. Una applicazione dell'Ipad, una delle più vendute al mondo, l'ha inventata un ragazzino olandese di 14 anni che ha evidentemente avuto l'intuizione giusta, l'intelligenza per realizzarla, l'autonomia di poterlo fare, oltre che qualcuno ad aver scommesso su di lui. Noi, in Italia, siamo terribilmente indietro. I nostri adolescenti 14enni sono doppiamente e malamente considerati: da un lato uomini e donne già mature per gestire il proprio corpo e la propria sessualità; dall'altro bambini da aiutare, sempre e comunque, e da proteggere dal lupo cattivo. Di fatto abbiamo concesso loro la massima LIBERTA' senza chiedergli in cambio alcuna RESPONSABILITA'. Come possiamo pensare che, così facendo, i nostri giovani crescano, escano di casa, diventino autonomi e affrontino il mondo da adulti? Perchè i genitori italiani non capiscono che, in questo modo, si possono solo combinare grossi guai? In fondo, la situazione attuale è evidente sotto gli occhi di tutti: i figli poltriscono sul divano, sono diventati spritz dipendenti, senza una vera formazione, un obiettivo, anche solo un'idea di futuro. Un esempio. Mi ha scritto una signora raccontandomi che il giorno di San Valentino era andata dal fiorario per comprare dei crisantemi. Quella mattina con lei in fila c'erano anche parecchi uomini ad acquistare una rosa per la propria compagna; un'unica donna, di mezza età, svolgeva questa stessa commissione per conto del figlio. Tra l'altro, sbagliando qualcosa nell'acquisto perchè era dovuta tornare indietro a cambiare il fiore! Ma dove siamo arrivati? Che i giovani delegano ai genitori addirittura di comprare il regalo per la fidanzata e che i genitori accettano la delega dei figli... Ma vi pare possibile? Ecco, nella storia che vi ho appena raccontato è evidente la decadenza della nostra società italiana! Ciò detto, l'EDUCAZIONE -­‐ che sembra un problema tanto complicato -­‐ in realtà è una questione piuttosto SEMPLICE perchè ci sono poche regole da tenere in considerazione, valide nel nostro presente come nel passato e nel futuro. Però, bisogna avere ben presente che stiamo parlando di una vera e propria ARTE tanto che l'educatore è, in realtà, un artista; deve cioè inventare strade nuove, trovare soluzioni diverse, immaginare percorsi e possibilità. Altrimenti, si riduce a diventare un burocrate, ma con la burocrazia si istruisce, non si educa. L'educazione è dunque fondata, prima di tutto, sulla RECIPROCITA'. Ve lo spiego con un esempio: viene in studio da me una famiglia, padre, madre e un figliolo adolescente. La signora mi racconta qual'è il problema: questo giovanotto – 17 anni, studente all'istutito tecnico, da settembre ha deciso di “prendersi un anno sabbatico”. Traduco: non ha più voglia di far nulla. Mi chiedono come devono comportarsi e la mia risposta è veloce e netta: “Pure voi non dovete fare più nulla. Niente. TOGLIETEGLI TUTTO: internet, la paghetta, le uscite... tutto. Vostro figlio ha abdicato al suo ruolo di figlio, non lo fa più, pertanto voi allora smettete di fare i genitori”. I due sono rimasti basiti. Penso seriamente che la situazione appena descritta sia drammatica: questo figlio è molto malato e molto a rischio, pur senza nessuna patologia. Se a 17 anni si comporta così -­‐ e gli è permesso di comportarsi così -­‐ a 20 non potete pensare che andrà meglio. E, badate bene, non sto dicendo che diventerà un delinquente perchè non è vero, in fondo non ne ha nemmeno bisogno dal momento che potrà continuare ad essere mantenuto da mamma e papà. Voi genitori non dovete aver paura che i vostri figli soffrano, vivano situazioni di dolore, si facciano male, CADANO. SI RIALZERANNO. Spesso pensiamo che l'amore per i figli sia acconsentire alle loro richieste aspettando il giorno in cui matureranno, cresceranno, cambieranno... ma in realtà ciò significa in fondo dargli la possibilità di fare quello che vogliono senza chiedere nulla in cambio. Vi preciso che io non prendo queste posizioni dal punto di vista morale; più semplicemente guardo a come sta andando il nostro mondo e mi sembra che, se continuiamo ad educare così le giovani generazioni, corriamo un grave rischio: non le sosteniamo nella COSTRUZIONE DI SÉ STESSE. “Prendersi un anno sabbatico” mette il punto proprio su questo fondamentale aspetto: significa, di fatto, sospendere la costruzione di sé, come un cantiere a cui si mettono i sigilli perchè si è stanchi di continuare a lavorare e portare a termine l'opera. Eppure così facendo non si cresce, è evidente. Come può pensare quel giovane ad una vita senza identità, senza formazione, senza autonomia... Non è possibile! Guardate quanti trentenni oggi non fanno nulla... è non dite che “se avessero un lavoro, lavorerebbero” perchè sappiamo tutti fin troppo bene che non è vero. Piuttosto, il problema reale è che questi giovani non sanno cosa fare; d'altro canto, senza una formazione specifica dove vanno? Chi li assume? E ancora: se i lavori più umili vengono svolti dagli stranieri, significa allora che i nostri figli sono progrediti, sono andati avanti? Assolutamente no! Mettiamocelo bene in testa, per progredire, per andare avanti, è necessario FARE STRADA, fare chilometri! Non si può diventare un bravo chef seguendo un programma di cucina in televisione o scopiazzando la ricetta da internet! Bisogna consumare le scarpe, muoversi, darsi un ritmo. Il mondo è sempre andato così e continuerà in questo modo: sono cambiati i mezzi di trasporto, sono cambiate le possibilità, ma la necessità di camminare, di spostarsi, di vedere da altre prospettive per imparare resta sempre la stessa. Pensate a quel genio di Puccini: musicista provetto come suo padre già a 17 anni, un giorno sente parlare dell'Aida di Verdi e decide di andare a vederla. Solo che abita a Lucca. Pertanto si fa 200 chilometri a piedi in andata e altrettanti al ritorno per INSEGUIRE LA SUA INTUIZIONE. Così è nato uno dei maggiori orgogli del nostro Paese; e di sicuro non avrà avuto la mamma a dirgli: “Ma dove vai? Ci sono pericoli, stai attento, meglio un'altra volta...”. Puccini inventò l'operetta e ci rese famosi in tutto il mondo. Con giusto orgoglio. Ne abbiamo avuti di uomini ingegnosi! Voi genitori dovete pensare che siete INCUBATORI DI TALENTO dei vostri figli in ambiti che probabilmente voi stessi nemmeno immaginate, nemmeno conoscete. DOVETE CREDERE IN LORO, SPRONARLI SEMPRE A FARE COSE DIFFICILI, AD AVERE CORAGGIO, A MUOVERSI. Se non ci credete voi nelle possibilità dei vostri figli, come potranno farlo loro? Vi dò un altro dato che a me sembra emblematico: in Italia il 70% delle case è di proprietà. Ciò significa, di fatto, che abbiamo messo i nostri soldi sul mattone, non sul futuro dei nostri figli, che in altre parole è la formazione, la scuola, la ricerca. Voglio dire: gli abbiamo dato tutto ma non strumenti veri per crearsi delle valide e solide prospettive. Da una Audi non cresce nulla, ma da Yale esce una vita. In altre parole, tutti abbiamo una casa dove abitare ma la migliore università italiana è la 260esima al mondo. Questa posizione è assolutamente drammatica. L'EDUCAZIONE OBBLIGA A PENSARE AL FUTURO, specie a quello in cui le certezze sono spesso demolite e non ci sono garanzie. Se volete essere certi del futuro non potete pretendere che sia garantito. Non è vero, pertanto, che solo il posto fisso di lavoro è l'unica possibilità di sopravvivenza. Ma secondo voi, Muti, Nurejev, Fermi, quali garanzie avevano mai? Del resto, se continuamo ad avere una media dell'età dei laureati così alta (28 anni), dove andremo a finire? Vi porto un altro esempio: un giovane di 22 anni che conosco si laurea in fisica. Conclude gli studi e decide di fare come Puccini: va a cercare il prof. Pontecorvo, uno dei massimi fisici a livello mondiale. Dopo averlo ascoltato l'esimio studioso gli offre un dottorato, “tutto quello che posso” gli dice, 400 mila lire al mese. Pochi giorni dopo dalla Princenton University quel giovanotto riceve una telefonata con una proposta di lavoro per 8.000 dolllari; ha preso il primo aereo ed ora, dopo alcuni anni, è professore candidato al Nobel per la fisica. Voglio dire: 1. CI VUOLE CORAGGIO, bisogna osare nella vita perchè è vero che “la fortuna aiuta gli audaci”; 2. SERVE MUOVERSI, fare strada, non rimanere fermi, essere pronti a cambiare e soprattutto essere autonomi. Tutto questo è possibile solo se i genitori credono nelle potenzialità dei figli, li sollecitano ad andare in cerca di realizzare la propria intuizione, li incoraggiano. Se vogliamo figli coraggiosi, dobbiamo prima di tutto esserlo noi. E, badate bene, non è vero che solo con le conoscenze giuste si fa carriera. Le storie che vi ho appena raccontato dimostrano chiaramente il contrario. Piuttosto, sono necessarie delle rinunce, in nome del futuro: e tuttavia, se hai un obiettivo chiaro in testa che ti trascina, potrai sopportare quelle rinunce con minore fatica. Le idee buone meritano di essere realizzate, di trovare la loro strada; non di restare chiuse dentro quattro mura al calduccio coccolati dalla mamma. Io non ho dubbi: SUL TALENTO BISOGNA RISCHIARE, FARE FIDUCIA, DARE GRATIFICAZIONE. Insomma, volare alto. E tuttavia, come dicevo prima, oltre questo è necessaria: 3. UNA BUONA STIMA DI SÉ STESSI, altrimenti qualsiasi ostacolo diventa un motivo valido per mollare, non si resiste e si piega la testa. Si torna a casa insomma. Ad un figlio non si può mai consigliare di accontentarsi, perchè questa è una bestialità. Forse in passato, quando mancava tutto, allora potevamo anche pensare di accontentarci, ma oggi no. E badate bene che è una questione di intelligenza, di testa, non materiale. Bob Dylan diceva: si può vivere per vivere o vivere per morire. Non è la stessa cosa. Bisogna scegliere. Alla luce di tutto questo io ribadisco: oggi ai nostri giovani dobbiamo togliere, i ragazzi devono abituarsi all'INSICUREZZA PER NON AVER PAURA. Vi porto ancora un altro esempio: all'inaugurazione di una scuola materna mi mostrano tutti gli ambienti, le aule, le cucine, le sale per i giochi... e, orgogliosi, mi segnalano che il pavimento è completamente antitrauma. Io sono rimasto basito. Come si può permettere questa malvagità; non è meglio che i nostri figli, se cadono, imparano a rialzarsi? Non possiamo illuderli che il mondo sarà “antitrauma”, perchè è una grande falsità e per loro è assolutamente deleterio. Mi chiedo: perchè invece non fargli vivere l'esperienza della frustrazione, proporzionata all'età? Penso sarebbe molto più educativo, li aiuterebbe a crescere. Fate un conto di quanti soldi impieghiamo per COSTRUIRE INGANNI SULLE LORO SPALLE... Come lo chiamate XFactor o Amici? Programmi che fanno credere ai ragazzini di poter diventare artisti nel giro di una stagione televisiva, quando sappiamo bene che ci vogliono anni e anni di duro studio e di gavetta. Nella vita, quella vera, i discografici sono terribili, i contratti reali sono impegnativi e se non vali non ci mettono nulla a mandarti via. Con delusioni cocenti da cui diventa sempre più difficile rialzarsi. Perchè allora dobbiamo ingannare una intera generazione? Un altro esempio ancora: ho conosciuto una ragazza di 32 anni, figlia di un potente professore universitario di medicina. Nel suo corso di studi è riuscita ad ottenere prima il diploma, poi la laurea in scienze della riabilitazione, grazie alle telefonate del papà al preside di turno. Massimo dei voti, minimo sforzo, nessun entusiasmo. Durante gli anni dell'università ha studiato con un'altra giovane, di famiglia più semplice e intenzionata a terminare velocemente il suo corso di laurea per trovare lavoro. La prima è uscita con 110 e lode, la seconda con 104. La ragazza figlia del professore ha cominciato a lavorare in un centro di riabilitazione, sempre su segnalazione del papà al dirigente della struttura. Una sera le si è presentato davanti il figlio di un caro amico in gravissime condizioni per un incidente d'auto e lei si è resa conto, nel giro di un attimo, che non avrebbe saputo fare nulla di ciò che sarebbe stato urgente fare. Pur mancandole il coraggio di ammetterlo ha chiesto aiuto; i colleghi le hanno pertanto consigliato di rivolgersi ad una giovane professionista, molto capace. Era la ragazza 104. Ora, voi capite il dramma di questa situazione: la “figlia di papà” non potrà più fare rewind nella sua vita e, nello stesso tempo, si è bruciata il futuro, perchè non ha costruito la sua professionalità. Il padre per difendersi accamperà la scusa di “averlo fatto per il suo bene”, mentre in realtà l'ha uccisa perchè non l'ha aiutata a costruire se stessa, la sua autostima e la fiducia di potercela fare. Quella è una ragazza senza identità... e i suoi problemi non riguarderanno solo il lavoro, è molto probabile che ne risentirà anche la vita affettiva. Tuttavia, io credo addirittura che il vero problema non riguarda nemmeno i nostri figli, ma I FIGLI DEI NOSTRI FIGLI, cioè delle future generazioni: troveranno il barile raschiato ed allora non sarà sufficiente arrabbiarsi con i propri genitori; potranno salvarsi solo se avranno imparato a creare “un altro barile”, un'altra possibilità. Non c'è alternativa. Questa è la vita: non importa se il barile è raschiato, l'importante è essere in grado di inventarne uno nuovo. Tutte le crisi del mondo ce lo hanno insegnato! Tenete bene a mente che LA SEVERITÀ NELL'EDUCARE I FIGLI NON È MANCANZA DI AMORE. Piuttosto i figli hanno bisogno di CAPITANI che sanno come comportarsi, che dirigono la nave, che scrutano l'orizzonte e mettono una rotta. Loro invece, i figli, non devono comandare su nulla (= dove andare in vacanza, cosa comprare al supermercato...), non possono stare al centro di tutte le attenzioni. Non sono vodafone: tutto gira intorno a me. Conosco una famiglia che ha saputo educare la figlia ad andare a letto da sola alle nove di sera. Chissà se centra con il fatto che la nonna di questa bambina è svedese, così come la madre! Mi sembra una pura questione di buon senso, non avere figli che urlano e pretendono attenzioni fino a tardi ma dormono tutte le ore di cui hanno bisogno per essere riposati al mattino e lasciano agli adulti i loro spazi di relazione. In più – questo lo dico per inciso -­‐ non è necessario andare continuamente a vedere se si sono addormentati, se tutto è a posto... perchè così facendo correte il rischio di comunicare ai vostri bambini ansia e preoccupazione; è come dire che non ci si fida del fatto che possano dormire soli. Inoltre, resto fermamente convinto che LE REGOLE non vanno messe in discussione dai figli. Sono quelle che voi decidete, punto e basta. Anche voi adulti, non solo i vostri figli, avete bisogno di futuro. E' un grande dolore invecchiare con un figlio 45enne scioperato che vive in casa e non sa cosa fare nella vita. Inoltre io dico, quando i ragazzi compiono azioni che non rispettano le regole esistono LE PUNIZIONI, evidentemente proporzionate a seconda dell'età. I tristi fatti di cronaca accaduti a Bassano dei giorni scorsi (un ragazzo di 16 anni e una ragazza di 14 anni trovati nel bagno della scuola mentre consumavano sesso orale, probabilmente anche con uno scambio di denaro) ci interrogano su cosa fare davvero con quei due adolescenti, su come intervenire in modo educativo ed incisivo nei loro confronti. Vi dico subito che uno dei fondameni della maleducazione è il quieto vivere: non possiamo prendere sempre le decisioni più semplici solo perchè desideriamo stare tranquilli e non affrontare i problemi. Per questo vi chiedo: secondo voi, sospendere un ragazzo di 16 anni alcuni giorni da scuola è veramente una punizione, o in fondo gli stiamo facendo un favore? Cosa ha capito quella ragazzina di quanto è accaduto? Come ha rielaborato l'intera questione? Ribadisco: ci sono le regole e ci sono le punizioni. Quest'ultime non devono essere procedimenti automatici (= cioè pura forma burocratica) ma piuttosto devono fare male ai ragazzi che hanno trasgredito, andando a toccare “nervi” scoperti perchè solo così diamo loro la possibilità di impareare, di crescere, di maturare. Perchè un governatore non può decidere che nel suo territorio i rave party sono proibiti, sempre e comunque? Perchè non decidiamo che a chiunque vende alcol a minori di 16 anni si deve togliere il locale? Bisogna pertanto essere severi e tuttavia anche creativi, nella misura in cui si osservano attentamente le situazioni e si cerca di andare ad incidere nel punto in cui c'è un deficit. In conclusione: 1. fate qualcosa, non state fermi perchè non si può più rimandare; 2. siate severi e rendeteli responsabili, ad ogni età; 3. siate autorevoli; 4. fate i conti con la vostra coscienza, perchè sull'educazione dei vostri figli non è colpa degli altri. Nel dibattito che è seguito con le persone presenti in sala il prof. Crepet è stato sollecitato a ritornare su tre questioni: come comportarsi con un figlio che prolunga gli anni di università perchè “se la prende con comodo” e bivacca a casa? Come gestire l'educazione al confronto con gli altri genitori e figli, spesso cresciuti in modo diverso dal nostro? Come aiutare un figlio ad avere coraggio nella vita, anche nell'ambito della socialità, spronandolo a non essere indeciso, insicuro? Sintenticamente, così ha risposto il prof. Crepet. In merito alla prima domanda vorrei ribadirvi che i figli hanno sempre bisogno di un buon comandante, di qualcuno che li guidi in maniera energica e sicura, come un cavallo con un cavaliere. Un buon cavaliere poi ha due caratteristiche: 1. fa sentire al cavallo di essere ben presente e consapevole perchè questo rassicura l'animale sulla direzione da prendere, gli ostacoli da superare, le pause e le corse; 2. usa le redini e gli speroni, cioè le regole (= per dare uno stile di vita) e le rassicurazioni (= per capire che “sei bravo”, ce la puoi fare). Così si possono superare gli ostacoli. Allora il mio consiglio per i figli che tergiversano all'università è “togliere tutto”: maglie, scarpe, cellulare, uscita con il fidanzato o la fidanzata... tutto... quei figli fanno di mestiere una sola cosa: gli studenti. Se smettono loro, smettete anche voi. E' una questione di reciprocità, è nei patti, non si discute. Se anche si laureano in corso, abbiate bene a mente che si tratta solo il “minimo sindacale”, non finiscono certo nel guiness dei primati. Ci sono milioni di studenti lavoratori che faticano molto di più, in Italia e nel mondo. ATTENZIONE PERO': se scegliete questa strada – quella di “togliere” -­‐ in famiglia dovete essere tutti allineati rispetto alla scelta presa; non può esserci poi la nonna, la zia, la sorella che inficiano il vostro intervento con i loro atteggiamenti. Arrabbiatevi di meno, ma siate autorevoli con i vostri figli e non permettetegli di fare quello che vogliono senza nulla in cambio. In qualsiasi caso, lasciate che si arrangino. Io credo che ARRANGIARSI sia un verbo meraviglioso nell'educazione. Non possiamo usarlo con i bambini piccoli o con gli anziani; ma per tutti gli altri assolutamente sì. Il rischio, altrimenti, è pensare che “tanto c'è qualcuno che ti aiuta sempre”, che in qualche modo si può fare anche senza esserne capaci da soli. Come potete sapere se i vostri figli sono maturi, autonomi, coscienziosi, se non li mettete nelle condizioni di dimostrarvelo? E l'unica possibilità che avete di provarli è dire: “Arrangiatevi”. Se poi loro, davanti a tutto questo, si arrabbiano significa che siete sulla strada giusta, che state dando le medicina più efficaci; perchè li avete toccati proprio nel punto in cui sono più suscettibili, cioè evidentemente quello a cui tengono di più. Altrimenti, non saranno mai davvero autonomi, non se ne andranno mai dal nido! Sappiate che avere a casa un figlio a trent'anni è drammatico: trent'anni è l'età per vedere il mondo, sperimentare, provare a realizzare le proprie idee. Quando sento dire: “Questa è la prima generazione che sta peggio di quella precedente”, mi arrabbio perchè non è assolutamente vero. Loro, i giovani di oggi, hanno libertà, tecnologia e soldi. Hanno un volo Treviso NY a 0,99 euro... noi non ce lo saremmo mai nemmeno sognato! Le possibilità dei nostri figli non sono avvicinabili alle nostre. E tuttavia non se ne rendono proprio conto. Quanto tempo passano i giovani a fare ricerca in internet sulle facoltà universitarie, sulle borse di studio, sulle prospettive di crescita, sulle opportunità formative. ZERO. Però in facebook ci stanno ore, eccome! Voi non siete bancomat, non siete genitori elicottero, non siete “tenutari di bordello” (lasciando ai vostri figli “casa libera” per i loro incontri amorosi). Un genitori piuttosto è un sovraintendente: cioè deve osservare e valutare la serenità di un figlio, capire se ha imboccato la strada giusta, misurarlo sull'autonomia e sull'intraprendenza. Cosa vi interessa di guardare i loro sms... vi complicate solo la vita! Concentratevi sull'importante. Circa la seconda questione. Noi tutti abbiamo bisogno di confrontarci perchè c'è una condizione di solitudine dell'educatore di fronte alle proprie responsabilità che spinge inevitabilmente a cercare il dialogo. E questo è il senso della scuola per genitori che vale per le madri e i padri, ma anche per i docenti e per tutti coloro che si misurano, per lavoro o per passione, con le giovani generazioni. Rispetto al confronto con gli altri e con altri stili educativi: guardate a questa faccenda dal punto di vista dei vostri ragazzi. Quando percepiscono che noi genitori abbiamo poche idee ma ben chiare -­‐ e siamo conseguenti e coerenti con queste idee – diventiamo subito ai loro occhi persone da stimare. Automaticamente insegnamo l'autostima ai nostri figli. Se i ragazzi vedono l'autorevolezza negli adulti di riferimento – mamma e papà -­‐ , la continuità, l'esempio, la perseveranza, cresce in loro non solo l'orgoglio dell'appartenenza ma soprattutto la stima. In terzo luogo, non fidatevi degli altri. Se si instilla sicurezza in un figlio, si ha già fatto un buon lavoro. Tutto il resto non conta, non ha valore. Un figlio ha, da questo punto di vista, un diritto fondamentale: sapere cosa pensano suo padre e sua madre, i quali, tuttavia, non possono cambiare opinione ogni minuto, altrimenti generano solo una grande confusione. Sulle questioni più importanti le idee devono rimanere solide e fedeli, oltre che rispecchiarsi poi nella pratica quotidiana. Altrimenti non contano nulla. Allora, “chi se ne importa degli altri, del loro giudizio”. Se siete autorevoli e dite questo ai vostri figli assumerete una grande forza. La famiglia è anche appartenenza ad un modo di pensare, è orgoglio. D'altro canto, se manifestate ciò che pensate permettete ai figli di andare contro le vostre idee, perchè si cresce anche per opposizione. Questo è il ciclo della vita. E questo dà forza nella vita. L'appartenenza. Ma se tuo padre è un bancomat come fai ad andarci contro? Se non è nè carne nè pesce contro cosa prendi posizione? Rispetto a tutto questo, alle vostre scelte, non sentitevi giudicati dagli altri. Ed usate l'IRONIA. Prendete in giro i vostri figli; è un boomerang, come l'uso del paradosso. Per esempio: un ragazzo guarda il Grande Fratello. Voi potete andare contro questo programma televisivo, oppure non fare nulla, o ancora stare anche voi davanti alla televisione e prendere in giro ciò che vedete. Questa terza via è la più incisiva. Esempio: “Come si può andare a letto senza sapere se Tizio ha baciato Caio?”. Non è una maniera direttiva di prendere posizione (così non si consacra l'idea del figlio per opposizione), piuttosto si entra nel merito della questione e tuttavia si usa il paradosso per innestare un ragionamento. Funziona. In merito alla terza domanda. Partiamo da un presupposto: l'adolescenza non è un'età forte, ma piuttosto fragile. Meglio l'insicurezza a 16 anni che la troppa sicurezza perchè più graduale. Forse nemmeno una grande stima di sé è per forza un problema. Quando guardate i vostri ragazzi dovete ragionare sul lungo termine, sulla prospettiva di sviluppo, non sull'ora. Pertanto, non abbiate paura che non socializzino, che si tirino indietro davanti alle possibilità aggregative. Ogni cosa ha un suo tempo. C'è un tempo per le compagnie ed anche un tempo per stare soli. Resta fondamentale, a questa età, lo studio perchè è una buona ginnastica per imparare a costruire il proprio futuro. La socializzazione, invece, non è di vostra competenza, riguarda unicamente i figli. Non dico “infischiatevene”, ma tenete la giusta distanza. Osservate i vostri figli, non giudicateli. Inoltre, io penso che un eccesso di socializzazione faccia male. Spesso nel gregge ci si maschera. E così non si cresce. Per crescere a volte è necessario essere soli. Avere un'idea positiva della solitudine aiuta nella vita. Sperimenta l'autonomia, mette alla prova le persone. Pertanto non banalizzate la capacità dei vostri figli di stare soli. E' più inquietante un ragazzino che non lo sappia fare, eternamente connesso con i telefonini e internet.