10/07/2015 La tutela penale del marchio: il reato di contraffazione

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10/07/2015 La tutela penale del marchio: il reato di contraffazione
La tutela penale del marchio: il reato di contraffazione
anche per il “3D”, e il caso della Pantera Rosa
Il nostro ordinamento, agli artt. 473 e 474 c.p., tutela i marchi o i segni distintivi di prodotti industriali
anche attraverso l’esercizio del potere punitivo, rivolto alle condotte di chi contraffa ovvero mette in
circolazione
prodotti
contraffatti
all’interno
del
territorio
dello
Stato.
Per quanto, come noto, sia di recente intervenuta la depenalizzazione di detti reati, asseritamente ritenuti ed
etichettati “reati minori”, s’intende di seguito portare all’attenzione del lettore una recente pronuncia resa
dalla Cassazione Penale (Cass. Pen., Sez. II, 13 febbraio 2015, n. 9362), in merito alla tutela da accordarsi
ai “personaggi di fantasia”, oggetto di registrazione quali marchi tridimensionali dalla forte componente
figurativa.
Come noto, possono costituire marchi d’impresa, ed essere come tali registrati, tutti i segni atti a essere
riprodotti graficamente, quali anche la forma del prodotto o il suo confezionamento; parimenti, possono
costituire marchi d’impresa i cd. ‘marchi tridimensionali’, tali essendo quelli la cui rappresentazione è
realizzata per mezzo di una forma tridimensionale, quale il prodotto fisico ovvero il suo confezionamento.
Il caso giunto all’attenzione della Suprema Corte muoveva dal ricorso presentato dall’imputato che era
stato perseguito - nei precedenti gradi di giudizio - per i delitti di “contraffazione, alterazione o uso di
marchi o segni distintivi ovvero di brevetti modelli e disegni” (art. 473 c.p.), “introduzione nello Stato e
commercio di prodotti con segni falsi” (art. 474 c.p.) e “ricettazione” (art. 648 c.p.). In particolare, la Corte
d’Appello di Napoli aveva dichiarato prescritti i primi due delitti, residuando quello di ricettazione.
La condotta delittuosa consisteva nell’aver introdotto nel territorio dello Stato un copioso numero di
peluche rappresentanti il personaggio della “Pantera Rosa”, di titolarità della Metro Goldwin
Mayer, contraffatto.
La difesa contestava la configurabilità dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p., ritenendo che la Metro
Goldwin Mayer non fosse titolare di un marchio registrato in Italia e che, comunque, il peluche della
Pantera Rosa non potesse essere oggetto di registrazione quale marchio tridimensionale, giacché la loro
forma era imposta dalla natura stessa del prodotto. In conclusione, difettando la sussistenza di un marchio
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tridimensionale, non potevano ritenersi integrate le fattispecie di cui agli artt. 473 e 474 c.p..
Il presupposto dei summenzionati delitti, al di là delle componenti oggettive e soggettive del reato (fatto
tipico edolo), è la registrazione del segno distintivo - in questo caso il marchio - di cui si assume la
contraffazione. Nel caso di specie, era stato ampiamente provato, nel grado di merito, che il marchio fosse
registrato; tuttavia, anche se così non fosse stato, v’è da dire che la prassi giurisprudenziale riconosce tutela
penale anche ai marchi di largo uso e di incontestata utilizzazione da parte di una determinata società
produttrice, che si assume abbiano in tal modo acquisito una notazione distintiva nei confronti del
pubblico.
La Cassazione, prima di esporre il proprio decisum, ha ritenuto di dover operare un excursus sul tema,
riportando gli orientamenti che, nel tempo, si sono avvicendati in seno alle sue diverse sezioni.
Nel primo biennio del 2000, la Sezione III aveva ritenuto che non potesse riconoscersi alcuna tutela
penale ai beni costituenti una mera imitazione figurativa di prodotti industriali, senza una palese
contraffazione del marchio; nello specifico, si ebbe a ritenere che la messa in commercio di pupazzi che
raffiguravano personaggi quali Winnie The Pooh o i Pokemon non integrasse i delitti di cui agli artt. 473 e
474 c.p., in quanto sugli stessi non era apposto il marchio riferibile ai loro titolari.
Successivamente, altra sezione della Suprema Corte, ritenne che i delitti di contraffazione potevano dirsi
integrati nel caso in cui un personaggio di fantasia, oggetto di marchio registrato, fosse stato
riprodotto, anche in maniera non del tutto fedele, ma tale da indurre una certa confusione nel pubblico dei
consumatori, ponendoli nella situazione di ‘dubbio’ circa l’originalità o meno dei prodotti. Detto
orientamento,
è
stato
poi
condiviso,
negli
ultimi
anni,
anche
dalla
Sezione
II.
La Sezione III è poi ritornata sul tema nel 2006, ribadendo l’insufficienza della mera imitazione figurativa
di prodotti tutelati da diritti di proprietà industriale, qualora sugli stessi non sia apposto il marchio che si
assume essere contraffatto.
Non potendosi, per ragioni di economicità espositiva, riesaminare dettagliatamente i motivi che hanno
supportato i contrapposti orientamenti nelle diverse pronunce, vale la pena considerare la netta prevalenza
di quello espresso dalla Sezione V.
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In tal caso, la Suprema Corte (S.C.) ha ritenuto che il minoritario orientamento espresso dalla propria
sezione III, potesse essere superato dal combinato disposto di cui agli artt. 7 e 9 del D.lgs. n. 30/2005
(Codice di proprietà industriale), in base ai quali sono suscettibili di registrazione, come marchi
d’impresa, tutti i segni (…) atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre
imprese, salvo il caso in cui questi siano costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa
del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che da un
valore sostanziale al prodotto.
Sulla base di una interpretazione di quanto sopra, la S.C. ha ritenuto che fossero appunto integrati i delitti
di cui agli artt. 473 e 474 c.p., in quanto la riproduzione del personaggio della “Pantera Rosa” - seppur non
pedissequamente fedele – era comunque tale da presentare una forte somiglianza, così generando “una
oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico a
identificare
erroneamente
la
merce
come
proveniente
da
un
determinato
produttore”.
Lucido, quindi, il ragionamento seguito dalla S.C. sulla scorta delle citate previsioni normative: il marchio
figurativo, di specie tridimensionale, laddove riferito a un personaggio di fantasia, è suscettibile di
registrazione come marchio d’impresa, in quanto il suo carattere distintivo è dato da una pluralità di
elementi che vanno oltre la mera forma (es. il colore, l’espressione del personaggio etc).
Si deve ritenere, conseguentemente, che l’assenza di marchi distintivi su un prodotto contraffatto non è di
per se tale da escludere il rischio di inganno o confusione sul consumatore medio, essendo necessario
verificare se la forma e la dimensione, del prodotto registrato come marchio, possieda una caratterizzazione
tale da conferire allo stesso una determinata capacità distintiva. Giova ricordare, peraltro, che questa ultima
potrebbe acquisirsi anche per via della fama che il prodotto abbia ottenuto nel tempo, in maniera e misura
tale da creare nel pubblico la propensione ad associare il prodotto alla casa produttrice.
Il dubbio che potrebbe residuare è dato dal fatto che il peluche ha necessariamente una forma
tridimensionale, la quale dunque risulterebbe di per se ‘ovvia’ e necessaria per ottenere un risultato
tecnico. Tuttavia, si può dirimere detta criticità considerando che il marchio della “Pantera Rosa” è
composto da una serie di elementi “aggiuntivi” che possiedono un certo carattere distintivo, quali appunto
la forma corporea e l’espressione della pantera, nell’insieme idonei a conferirle un’elevata capacità
individualizzante.
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(L’unica criticità che - a opinione di chi scrive - merita residuale attenzione, è data dal fatto che
il colore del peluche è riportato anche nella denominazione del marchio, il che di per se rappresenta un
fattore
di
indebolimento
del
marchio
stesso
rispetto
al
prodotto
cui
si
riferisce).
Nondimeno, trattandosi di marchio registrato e notorio, è indubbio affermarne la piena meritevolezza di
tutela, anche e soprattutto sul piano penale; anche se la già citata “depenalizzazione dei reati minori” tende
a svuotare d’ importanza - ma non di significato - la pronuncia della Corte.
Ci troviamo, in altri termini, in un ordinamento in cui la giurisprudenza rimane ferma nell’estensione della
sfera punitiva alle violazioni di ogni tipologia di marchio, comprese le più controverse - come quelle
tridimensionali, appunto - mentre il legislatore tende a sminuirne il disvalore, modificando le norme sulle
quali
i
giudici
saranno
chiamati
Dott.ssa
a
decidere
il
Paola
BLB - Benedetti Lorusso Benedetti Studio Legale
fonte: NoAllaContraffazione
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caso
concreto.
Perinu