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24 CURIOSITÀ Il “verziere” dei Doria a Dolceacqua Andrea Leonardi In un avvolgente paesaggio segnato da un possente maniero si decide, nella seconda metà del XVI secolo, di costruire un giardino. La pressione degli eventi storici e i destini dei protagonisti non impedirono a questo remoto angolo di Liguria di aprirsi alla cultura del tempo celebrando così le ambizioni dei committenti. 25 CURIOSITÀ Tommaso Borgonio, Castrum et Oppidum Dulcis Aquae, 1682 (Archivio fotografico I.I.S.L.). Alle pagine precedenti Dolceacqua, veduta d’insieme in un’immagine dei primi del ’900 (Archivio fotografico S.B.A.S. della Liguria). resti dell’antico verziere dei Doria, riconducibili alla seconda metà del XVI secolo, si trovano a Dolceacqua, un borgo dell’estremo Ponente Ligure. Il centro risulta feudo della famiglia Doria dalla metà del XIII secolo - Oberto Doria lo acquistò il 18 Gennaio 1270 - fino al Seicento quando, all’epoca del conflitto tra Genova ed il Piemonte, la Signoria sostenne Genova subendo l’onta dell’occupazione sabauda nel 1634; quasi 20 anni dopo, nel 1652, i Doria rientrarono in possesso dei territori di famiglia, tramutati in Marchesato, dopo aver dichiarato la propria sottomissione ai Savoia. I Il verziere era ubicato in una dimensione ambientale ed urbanistica di grande interesse: il più im- portante dei rock villages 1 è composto ancora da due nuclei dislocati sulle rive opposte del torrente Nervia e collegati dalla slanciata struttura del ponte a schiena d’asino. La Terra, sulla riva orientale, è il quartiere più antico: presenta passaggi stretti e coperti - riconducibili ad una fondazione altomedievale - ed è collocato ai piedi del castello ridotto in rovine durante la guerra franco-austriaca del 1745. La riva occidentale ospita il Burgo Novo, basso-medievale, sviluppatosi al di fuori delle mura e dotato di un andamento influenzato dalla strada fiancheggiante il corso d’acqua. Su questa sponda sorse, contiguo all’attuale Via della Liberazione, il lussureggiante giardino all’italiana immaginabile come uno spazio ornato da cedri, aranci e limoni, essenze in quel tempo rare e di gran pregio. Era percepibile come estensione dell’angusto abitato fortificato ma, purtroppo, la proliferazione dei blocchi edilizi ha determinato il quasi totale annullamento degli antichi luoghi di svago e di delizie. Girolamo Rossi, ne la Storia del Marchesato di Dolceacqua, non diede più di tanto risalto alle vicende del verziere: ne denunciò però lo stato di abbandono scrivendo, nel 1902, di pregevoli ed artistici resti circondati da un considerevole numero di edifici per l’industrie e i commerci; una condizione per altro certificata anche da una fotografia del 1886, purtroppo non molto nitida, firmata CURIOSITÀ 27 da un certo “Michel” di Nizza. La sua denuncia rimase inascoltata per una trentina d’anni fino a quando, nel 1934, fu emanato un primo intervento di tutela: un decreto di vincolo, conservato tuttora presso l’odierna Soprintendenza ai Beni Achitettonici ed Ambientali di Genova, a protezione di avanzi di sculture sulla destra del Nervia facenti parte dell’antico verziere dei D’Oria. Oggi, a causa delle trasformazioni dell’area urbana, risulta difficile ricostruire nel suo insieme il giardino ma possiamo supporre la presenza di un primitivo nucleo già nei primi decenni del Cinquecento. Questo è possibile grazie ad un documento, del 1523, intitolato Jura Magnifici Domini Dulcisaque, dov’è menzionato un viridarium vocatum lo jardini de li citroni de lo trolio 2. A redigere l’atto fu Bartolomeo Grimaldi, Capitano luogotenente del Signore di Monaco, al fine di conoscere i diritti e le proprietà signorili vantate dai Doria. Si tratta di un vero e proprio inventario stilato sull’onda degli eventi succes- sivi al fallimento della congiura del 22 Agosto 1523 - di Andrea, l’Ammiraglio, e Bartolomeo Doria, Signore di Dolceacqua, organizzata ai danni di Luciano Grimaldi, zio di Bartolomeo e dominus della rocca di Monaco. L’esito negativo dell’azione aveva costretto Bartolomeo Doria - esecutore delle volontà di Andrea Doria, mandante dell’omicidio - a fare omaggio dei propri feudi al Duca di Savoia in modo da garantirsi un sicuro rifugio nei suoi Stati; l’atto di vassallaggio ebbe luogo il 1° Luglio 1524. Il castello, occupato dai Grimaldi, tornò tra i possedimenti dei Doria grazie ad Andrea che, nel 1527, riusciva ad espugnarlo. In seguito Lamberto, Imperiale II e soprattutto Stefano Doria - verosimilmente il committente del verziere - ristabilirono le fortune della famiglia. Stefano Doria (1522 - 1580) si era messo al servizio del Duca Emanuele Filiberto di Savoia qualche anno dopo i traumatici avvenimenti sfociati nell’assedio di Nizza del 1543 che orientarono l’espansione savoiardo-piemonte- se verso la parte italiana 3. Proprio come capitano d’arme del Duca di Savoia compì eroiche gesta nella presa di Bastia capitolata il 29 Luglio 1564. Emanuele Filiberto gli concesse importanti riconoscimenti in possedimenti e denari - il castello di Rocchetta, la nomina a Consigliere di Stato e a Capitano generale della città e contado di Nizza - cui si aggiunse, nel 1565, il titolo di Cavaliere dell’Ordine di San Giacomo di Compostella conferitogli dal re di Spagna Filippo II. Avviò una serie di lavori per rendere la corte degna dello status raggiunto: arricchì il castello soprattutto nell’ala orientale dove, a suo tempo, il fratello Imperiale aveva iniziato lavori e restauri; aggiunse arazzi di Fiandra e arredi acquistati durante i viaggi compiuti attraverso l’Europa; e, stando a Girolamo Rossi, commissionò al Cambiaso una parte delle decorazioni 4. Una mole di interventi, tra i quali è inquadrabile anche la realizzazione del verziere, rivelatrice di un vivace contesto culturale; in parte Veduta della Terra con, al centro, lo spazio del Verziere così come si presentava nel 1886. 28 CURIOSITÀ resa necessaria dai danni provocati, nella Contea di Ventimiglia, dal terremoto del 20 Luglio 1564. In definitiva, soffermarsi sulla seconda metà del XVI secolo vuol dire mettere a fuoco il ruolo di Stefano Doria: ambizioso personaggio circondato da un’ampia corte 5 - composta da un luogotenente, un cappellano, un segretario, un medico, un chirurgo, un capitano della compagnia delle guardie, un paggio, un cacciatore, un palafreniere, quattro staffieri, due camerieri, due dispensieri, un credenziere, due cuochi, un portinaio - che aprì una stagione “virtuosa”, dal punto di vista politico ed economico, tale da giustificare un intervento così impegnativo. Lastra del sepolcro di Stefano Doria nella cripta della chiesa di San Giorgio (Archivio fotografico I.I.S.L.). Di Stefano Doria, oltre le gesta militari, conosciamo il volto: quando morì, nel Luglio del 1580, non fu sepolto nella parrocchiale di Sant’Antonio Abate, ubicata nel cuore di Dolceacqua, bensì nella cripta dell’antica chiesa romanica di San Giorgio, a pochi chilometri dall’abitato. Qui rintracciamo la pietra tombale con il ritratto del Capitano a figura intera: indossa l’armatura; la testa e i piedi sono appoggiati a dei cuscini; le mani, giunte sulla spada da lui usata in numerose battaglie, conducono lo sguardo dell’osservatore in basso verso l’elmo piumato e lo scudo ornato con lo stemma di famiglia. Proprio un confronto con i tratti somatici incisi sulla lastra della chiesa di San Giorgio 6 ha consentito il riconoscimento di Stefano Doria in un’opera giovanile di Bernardo Castello, una Madonna del Rosario, recante la data del 1582 e custodita nella chiesa di Sant’Antonio Abate. Lo intravediamo tra gli adoranti il trono della Vergine insieme a papa Pio V, Filippo II e il cardinale Michele Bonelli: è l’uomo col viso segnato dagli anni, collocato alla sinistra del trono, dipinto in posizione frontale e straordinariamente so- migliante all’effigie funebre. Un particolare di cui tener conto è la presenza, sulla destra, di due donne: sono state identificate come le mogli di Stefano Doria, vale a dire Apollonia Grimaldi e Caterina del Carretto. La notizia del matrimonio di Stefano Doria con Apollonia Grimaldi, celebrato nel 1552, è riferita da Pietro Gioffredo nella Storia delle Alpi Marittime: un’unione funestata dall’impossibilità della consorte d’assicurare la discendenza al casato; più tardi, sposò la nobile Caterina del Carretto, figlia del Marchese di Finale, e probabile committente di quest’opera votiva in memoria del marito. Gli intrecci familiari considerati poc’anzi - inerenti le famiglie Doria, Grimaldi e Del Carretto - sono fissati sulla superficie del grande stemma, uno dei pochi apparati decorativi superstiti del verziere, incassato in una lunetta allogata al centro di un luminoso ambiente voltato. A sinistra dello scudo scorgiamo, seppure abrasa, l’aquila dei Doria; sulla destra, in uno spazio diviso orrizzontalmente, i simboli araldici dei Del Carretto con un altro aquilotto posto in alto. Al di fuori dello scudo a cartoccio, sempre sulla destra ed in corrispondenza della piccola aquila, notiamo una grande “A” interpretabile come riferimento ad Apollonia Grimaldi, prima moglie di Stefano Doria e, dalla parte opposta, un’altra lettera capitale sfortunatamente non più leggibile. Lo stemma diventa così fondamentale per ipotizzare una collocazione cronologica ed individuare la committenza del giardino: Stefano salì al potere dopo l’uccisione in battaglia del fratello Imperiale II avvenuta, nel 1558, in Corsica e si risposò, anni dopo, con Caterina del Carretto. Quindi, la creazione di questo luogo potrebbe collocarsi tra il 1565, anno dell’onorificenza assegnatagli da Filippo II e momento di massimo CURIOSITÀ 29 Gli apparati decorativi superstiti oggi inseriti in una bottega artigiana. Stemma con le insegne araldiche delle famiglie Doria e Del Carretto. L’accesso al vano porticato. Una delle maschere che decorano gli spazi del Verziere. splendore personale, ed il 1580, anno della sua scomparsa. A questo punto il problema è riflettere sul possibile aspetto del verziere: un tassello significativo è la testimonianza di Edward e Margaret Berry prosecutori, negli anni ‘30 del Novecento, di una tradizione di viaggio e scoperta attraverso la Riviera Ligure iniziata nella seconda metà del XIX secolo. Nella loro guida, intitolata At the western gate of Italy, scrivono di un vecchio quadro di Dolceacqua del 1682 dov’era riportata una pianta. È ragionevole pensare che il quadro fosse la bella immagine, intitolata Castrum et Oppidum Dulcis Aquae, inserita nel Theatrum Sabaudiae di Tommaso Borgonio. Definita con grande cura, restituisce numerosi ed importanti dettagli: il castello è somigliante ad un palazzo signorile rinascimentale e CURIOSITÀ Bernardo Castello, Madonna del Rosario, 1582 (Archivio fotografico S.B.A.S della Liguria). 30 non ad un antico maniero; ci sono le chiese ed i luoghi di devozione; gli edifici risultano intervallati da viridaria murata - menzionati sin dal 1523 - e campi. Infatti, l’area in questione continuò ad essere sfruttata anche dal punto di vista agricolo, confermando una condizione di castrum e villa attestata sin dal lontano 5 Gennaio 1253 7. Nell’incisione il giardino è rappresentato con enfasi e si mostrava, alla fine del XVII secolo, in forme geometriche: la zona più ampia, coincidente con la curvatura dell’ansa del torrente Nervia, era occupata da aiuole quadrangolari delineate, lungo il perimetro, da alberi; altre piante erano disposte simmetricamente intorno alla fontana circolare. Sempre nel Burgo Novo, in posizione centrale, vediamo un edificio di notevoli dimensioni che mantiene però, in una sorta di ideale gerarchia, misure ridotte rispetto al castello. Esso era, forse, il palacio ubicato in platea dulcisaquae ricordato, nel secondo decennio del Cinquecento, da Bartolomeo Grimaldi. Il modo in cui la costruzione è stata presentata e la maniera di porsi rispetto al territorio circostante consentono di pensarla come una sorta di grande terrazza, un’osservatorio da dove ammirare i punti notevoli del Marchesato in sintonia con l’idea di giardino, elaborata nel corso del Cinquecento, quale luogo di manifestazione del potere esaltato da uno scenografico rapporto con il paesaggio. Una lettura di questo tipo deve comunque tenere conto delle numerose alterazioni - le dimensioni del ponte, i volumi del castello, le ampie strade frapposte alle case della Terra - esistenti nella figurazione del Theatrum Sabaudiae, ideate per celebrare il dominio assoluto dei Doria ma anche orientate da repertori iconografici consolidati negli anni. Naturalmente, non può escludersi CURIOSITÀ 31 un legame tra il palacio del documento di Bartolomeo Grimaldi, l’edificio presente nell’incisione e quanto è rimasto del verziere: l’accesso agli spazi sopravvissuti è garantito da tre arcate poggianti su pilastri, una delle quali ancora dotata dell’originaria decorazione architettonica composta da modanature e paraste; si tratta del brano architettonico visibile nella foto del 1886 ancora aperto, in quegli anni, su un vasto prato rettangolare delimitato da un muro. All’interno, un sistema di lunette segna il perimetro della sala contraddistinta dallo stemma Doria-Del Carretto. La vera sorpresa è però data, in uno spazio più raccolto, dal ninfeo con le pareti “popolate” da volti di faunetti e maschere attorniate da agglomerati, da concrezioni calcaree e da finte crepe in grado di restituire l’illusione di una rivalsa della Natura sull’uomo e sugli oggetti da lui edificati. Gli ambienti superstiti del verziere erano l’approdo finale di un percorso, integrato agli spazi esterni, in larga parte soffocati dalle profonde trasformazioni intervenute nell’area tra l’Ottocento ed il Novecento; quanto rimane è dovuto alla sensibilità di chi ha svolto per tanti anni la propria attività artigiana senza infierire ulteriormente su questi pochi resti. In definitiva è auspicabile un restauro conservativo che, attraverso l’analisi più approfondita degli stati passati e l’indagine della complessa compagine del presente, gli restituiscano almeno in parte l’identità perduta. Note 1. Questa definizione prende spunto dal testo di Wiliam Scott, Rock villages of the Riviera, edito a Londra nel 1888; ripresa anche da Nino Lamboglia, ne I Monumenti Medioevali della Liguria di Ponente, essa fa ormai parte di una consolidata tradizione locale. 2. La provenienza del documento n. XXX, pubblicato ne La Storia del Marchesato di Dolceacqua, non è indicata; nella breve nota introduttiva Girolamo Rossi scrive di aver raccolto “una serie di documenti, fra cui qualche apografo venutoci da mano imperita” ai quali affida la prova delle cose e dei fatti che narra. 3. Un’esauriente ed articolata ricostruzione dell’espansione savoiardo-piemontese in Liguria la troviamo in Storia della Contea di Ventimiglia di Filippo Rostan, si vedano in particolare i capitoli XI e XII. 4. Si tratta di un’indicazione piuttosto lacunosa – Girolamo Rossi non dice se si trattava di Giovanni o del più celebre figlio Luca – presentata a p. 116 della Storia del Marchesato di Dolceacqua; oltre al castello di Dolceacqua c’è un riferimento al Santuario di N.S. delle Grazie di Isolabona. 5. L’elenco è tratto dal testo di Girolamo Rossi che lo presenta a p. 117. 6. L’identificazione di Stefano Doria con il personaggio posto sulla sinistra – alle spalle della Vergine – è stata fatta da Bruno Ciliento; a tal proposito si veda la scheda su Bernardo Castello: Madonna del Rosario pubblicata nel volume Restauri in provincia di Imperia 1986-1993, pp. 111112. 7. Il documento è edito nella Storia del Marchesato di Dolceacqua a p. 199; l’attribuzione recita “notai ignoti, reg. I, sala 74, A.S.G.”. Bibliografia TOMMASO BORGONIO, Castrum et Oppidum Dulcis Aquae, in Theatrum Sabaudiae, 1682. PIETRO GIOFFREDO, Corografia delle Alpi Marittime. Storia delle Alpi marittime, Historiae Patriae Monumenta edita iussu Regis Caroli Alberti, IV, Aug. Taurinorum 1839. MARIANO BARGELLINI, Storia popolare di Genova dalla sua origine sin ai nostri tempi, Genova 1856. GIROLAMO ROSSI, Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei Comuni di Val Nervia, Bordighera 1903. E DWARD B ERRY - M ARGARET B ERRY , Alla porta occidentale d’Italia, Londra 1931. NINO LAMBOGLIA, I monumenti medioevali della Liguria di Ponente, Torino 1969. F ILIPPO R OSTAN , Storia della Contea di Ventimiglia, Bordighera 1971. LUIGI MITCHELL, Studi preliminari sul castello di Dolceacqua, Bordighera 1983. LAURO MAGNANI, Il tempio di Venere, Genova 1987. LUCIA NUTI, Liguria, la cultura delle città, Firenze 1992. BRUNO CILIENTO, Bernardo Castello: Madonna del Rosario, scheda n. 7 in “Restauri in provincia di Imperia 1986 - 1993”, Genova 1995. I.I.S.L. = Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera. S.B.A.S = Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Liguria. Le fotografie alla pag. 29 sono di Franco Boggero. Un ringraziamento va a Franco Boggero per gli utili consigli ed a Frank Vigliani che mi ha gentilmente messo a disposizione la fotografia dove si intravede il “Verziere” risalente al 1886. Madonna del Rosario, particolare con il volto di Stefano Doria (Archivio fotografico S.B.A.S. della Liguria).