Alessandro Simbeni La decorazione trecentesca nelle cappelle
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Alessandro Simbeni La decorazione trecentesca nelle cappelle
Alessandro Simbeni La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine UDK: 271.3(450Udine)”13” 75.046.3(450Udine)”13” Alessandro Simbeni Università degli Studi di Firenze, Italia [email protected] In questo intervento si ripropone qualche spunto di riflessione sull’analisi dell’originario programma iconografico delle cappelle absidali, sull’identificazione di alcune scene frammentarie poco considerate e sulla loro sistemazione cronologica, nonché sui modelli a cui la committenza francescana fece riferimento nel decidere i soggetti della campagna decorativa della prima metà del Trecento. Gli affreschi più antichi furono eseguiti da un artista di grande qualità, il cui linguaggio figurativo si colloca tra il bizantinismo neoellenistico lagunare e la tradizione giottesca dell’entroterra veneto verso il 1310. Ad una seconda campagna decorativa (1320 circa), opera di un maestro che si rifà più strettamente alle novità dello stile di Giotto a Padova, appartengono le figure sulla parete di fondo: san Ludovico di Tolosa, san Francesco d’Assisi e sant’Antonio di Padova. L’insistenza su temi molto cari ai Minori, quali i santi principali dell’Ordine, il Lignum vitae di Bonaventura da Bagnoregio e i martiri di Thana rendono la decorazione della chiesa di San Francesco estremamente interessante. Molte delle soluzioni iconografiche e decorative presenti in San Francesco a Udine si ritrovano anche nella chiesa francescana di San Fermo Maggiore a Verona, al punto da suggerire l’ipotesi che essa fosse stata presa come modello privilegiato dai frati udinesi. Parole chiave: arte trecentesca, iconografia francescana, Udine La decorazione pittorica della prima metà del Trecento all’interno della chiesa di San Francesco a Udine è già stata oggetto di attenzione da parte di diversi studiosi. In questo breve intervento vorrei riproporre qualche spunto di riflessione sull’analisi dell’originario programma decorativo delle cappelle absidali, sull’identificazione di alcune scene frammentarie poco considerate in sede critica e sulla loro sistemazione cronologica, nonché sui modelli a cui la committenza francescana fece riferimento nel decidere i soggetti iconografici. Com’è noto, la chiesa di San Francesco fu consacrata ufficialmente dal patriarca Gregorio da Montelongo nel 1266, anche se i lavori di costruzione si protrassero almeno fino ai primi decenni del XIV secolo.1 La pianta della chiesa è a croce latina, con navata unica e un transetto largo e poco sporgente, con tre cappelle absidali a pianta quadrata, di cui quella centrale di dimensioni maggiori. Dell’antica decorazione ad affresco oggi rimangono poche tracce, in quanto l’edificio, a seguito della soppressione della comunità religiosa in epoca napoleonica, fu usato per lungo tempo come ospedale e subì due distruttivi bombardamenti aerei durante la seconda guerra mondiale.2 La decorazione ad affresco che si è conservata meglio si trova nella zona presbiteriale, specialmente nelle cappelle absidali. Nella cappella maggiore si possono rintracciare almeno tre interventi decorativi riconducibili ad un arco di tempo che copre tutta la prima metà del XIV secolo (fig. 1). Le pitture più antiche furono eseguite da un artista il cui linguaggio figurativo rimanda senza dubbio all’ambito veneziano di inizio Trecento. Di questa prima campagna oggi sopravvive, purtroppo, solo una minima parte: sulla parete destra il monumentale Lignum vitae (da cui prende nome l’anonimo pittore), sulla sommità della parete di fondo un’Ascensione di Cristo molto frammentaria, i quattro evangelisti nella volta e un tondo con il Volto di Cristo al vertice del sottarco di ingresso (figg. 2-4). Gli studiosi, a partire da un’acuta osservazione di Pietro Toesca, si sono trovati sostanzialmente d’accordo nel riconoscere la paternità di questi affreschi ad un maestro veneziano che si muove tra la pittura lagunare influenzata dal 95 IKON, 3-2010 neoellemismo paleologo di matrice orientale e la tradizione giottesca dell’entroterra veneto, mentre rimane ancora dibattuta la sistemazione cronologica di questo primo intervento.3 Il ritrovamento - murato all’interno della facciata - di un denario aquileiese d’argento fatto coniare dal patriarca Ottobono e rimasto in circolazione solamente dal 1302 al 1315, costituisce un punto fermo per l’erezione della facciata.4 È perciò plausibile ritenere che nello stesso momento in cui si ultimavano i lavori costruttivi della chiesa si iniziasse a definire anche il programma decorativo interno, a partire, come solitamente succede, proprio dalla cappella absidale maggiore. Ritengo, pertanto, che una corretta cronologia di questi affreschi si possa attestare verso il 1310, comunque non oltre la prima metà del secondo decennio del Trecento. L’eleganza con cui sono resi i volti dei personaggi, la compostezza nell’impaginazione delle scene, la raffinatezza delle linee di contorno e dei panneggi rientrano pienamente nella fase del cosiddetto neoellenismo paleologo che trova numerosi esempi nella produzione artistica veneziana nei decenni a cavallo tra XIII e XIV secolo.5 La solida volumetria dei corpi massicci e il gusto per la caratterizzazione fisionomica dei personaggi, che giunge ad esiti ritrattistici nel volto di Bonaventura da Bagnoregio, oltre al realismo nella resa del corpo di Cristo nel Lignum vitae, presuppongono altresì la conoscenza delle pitture di Giotto a Rimini e a Padova. Lo stile di questo pittore, dalla straordinaria qualità esecutiva, si colloca quindi a metà strada tra il linguaggio figurativo veneziano di fine Duecento e quello giottesco diffuso soprattutto nell’entroterra veneto nei primi anni del Trecento, approdando ad un’originale composto che anticipa la soluzioni di Paolo Veneziano. La propensione per una datazione “alta” di queste pitture credo che si possa ricavare anche da alcuni dettagli di lontana ascendenza assisiate. Mi riferisco soprattutto ad alcuni particolari relativi al tipo di decorazione ornamentale e ad uno spiccato gusto per un certo illusionismo oggettuale. Si vedano, ad esempio, le cornici costituite da una serie di prismi sfalsati – cioè un fregio a dentelli multipli che si alternano l’uno all’altro rispetto al piano centrale - che inquadrano le raffigurazioni nella parete di fondo e in quella del Lignum vitae. Queste tipologie di modanature sono una rielaborazione di un tipo di ornamentazione di carattere scultoreo ampiamente diffuso in ambito veneziano a partire dalla seconda metà del XII secolo: all’inizio del Trecento esse trovarono una nuova applicazione nella pittura murale della terraferma veneta.6 Al medesimo gusto di studiata tridimensionalità appartengono anche le finte colonnine tortili dipinte nella volta della cappella maggiore, ad imitazione delle reali nervature architettoniche, e le decorazioni cosmatesche, soprattutto nelle vele della volta. Tutti questi elementi contraddistinguono la precoce ricezione di un tipo di decorazione tridimensionale dei partiti ornamentali che ha le sue prime radici nella basilica di San Francesco ad Assisi. Altri esempi simili nei primi anni del Trecento si possono trovare nel nord Italia, soprattutto nelle opere del cosiddetto Maestro del 1302 nel Battistero di Parma e nella sacrestia dell’abbazia di Chiaravalle della Colomba, presso Piacenza. Ad una seconda campagna decorativa appartengono le figure sulla parete di fondo: san Ludovico di Tolosa, san Francesco d’Assisi e sant’Antonio di Padova (fig. 5). La presenza del santo vescovo di Tolosa, canonizzato nel 1317, pone un termine post quem per l’esecuzione di queste pitture, che potrebbero verosimilmente essere state eseguite poco dopo l’ufficializzazione del culto del santo angioino, e quindi verso il 1320. Va segnalata l’iscrizione che identificava il santo, di cui oggi rimangono solo pochi frammenti di lettere: [sanctus l]odov[i]cu[s] […]it[…] e, nella riga inferiore, minorum. Allo stesso pittore Clara Santini attribuì anche i tondi contenenti busti di apostoli nel sottarco d’ingresso della cappella maggiore,7 mentre Enrica Cozzi ha giustamente fatto notare come l’idea di inserire i santi a figura intera all’interno di finte nicchie sia una soluzione che deriva dalla sala capitolare del convento di Sant’Antonio a Padova (la cui decorazione fu eseguita nel primo decennio del Trecento), di cui si ha una ripresa anche nell’abside dell’abbazia di Santa Maria in Sylvis a Sesto al Reghena.8 Sulla parete sinistra rimangono alcune scene, tra cui un san Cristoforo, un’Incoronazione della Vergine e un altro piccolo frammento raffigurante un angelo in volo, che costituiscono un terzo intervento, ad opera di un artista i cui modi sono molto affini a quelli del Maestro di Spilimbergo e la cui datazione si inoltra già negli anni Cinquanta del Trecento.9 Nella parete di fondo rimane qualche altro lacerto che è passato spesso inosservato negli studi: nella zona in alto a destra si vede una solida architettura scorciata entro cui stava una figura di santo, mentre subito sotto 96 Simbeni, La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine 1. Udine, San Francesco, cappella absidale maggiore 2. Udine, San Francesco, cappella absidale maggiore, parete destra, Lignum vitae 3. Udine, San Francesco, cappella absidale maggiore, volta 4. Udine, San Francesco, cappella absidale maggiore, parete di fondo, Ascensione di Cristo 5. Udine, San Francesco, cappella absidale maggiore, parete di fondo, santi francescani 97 IKON, 3-2010 rimangono le sagome di due personaggi, dalle ampie vesti, panneggiate con solchi profondi, nei quali credo si possano riconoscere la Vergine e san Giovanni Evangelista. Nella parte centrale della parete di fondo, infatti, la presenza delle due alte monofore condizionò un assetto anomalo nel programma decorativo della cappella: la Crocifissione, che solitamente occupa la parete di fondo, non poteva qui essere raffigurata in grandi proporzioni. Ecco quindi che questa scena della crocifissione, nella sua variante mistica ispirata al Lignum vitae di Bonaventura da Bagnoregio, venne spostata sulla parete destra, dove poteva trovare uno sviluppo su scala monumentale. Ma una Crocifissione, seppure di piccole dimensioni, per ragioni liturgiche non poteva mancare dietro l’altare e infatti ne fu eseguita un’altra al centro della parete, tra le due monofore, di cui si intravede ancora un frammento di sinopia relativo alle gambe di Cristo e una parte del perizoma.10 Ai lati di Cristo, oltre le finestre, rimangono le già citate figure molto frammentarie di san Giovanni Evangelista e della Vergine. L’esecuzione di tutti questi frammenti nella parete di fondo spetta senza dubbio allo stesso pittore dei tre santi francescani. Dato che, a quanto sembra, non si ravvisano chiare sovrapposizioni di strati di intonaco su nessuna delle pareti, ritengo che il programma iconografico della cappella sia stato inizialmente ideato in maniera organica dai frati udinesi, mentre l’esecuzione sia avvenuta in tre fasi distinte: ad primo intervento de Maestro del Lignum vitae, iniziato verso il 1310, subentrò – per motivi tutt’ora ignoti – una nuova bottega guidata da un maestro giottesco, la quale verso il 1320 completò la decorazione, ad esclusione della parete sinistra, dove intervenne un terzo pittore affine al Maestro di Spilimbergo verso la metà del secolo. Riguardo il Lignum vitae, già ampiamente studiato in diversi interventi da Enrica Cozzi,11 mi limito ad evidenziare alcuni particolari in cui si può notare lo stringente realismo con cui il pittore indaga il volto di Bonaventura da Bagnoregio (qui correttamente raffigurato senza nimbo, in quanto fu canonizzato solo nel 1482) e la cura con cui sono resi i dettagli di certi profeti. Per ciò che concerne l’iconografia del monumentale affresco udinese bisogna chiamare in causa il prototipo padovano, dipinto da Giotto e dalla sua bottega, in un ambiente adiacente alla sala capitolare del convento antoniano di Padova.12 L’affresco, eseguito probabilmente nei primissimi anni del secolo, ha subito gravi danneggiamenti nel corso del Novecento ed oggi sopravvive solo un piccolo frammento. Un’altra replica di questo soggetto si ha a Sesto al Reghena, che costituisce l’esemplare più vicino al prototipo padovano. Rispetto a queste due versioni è possibile notare come il dipinto di Udine sia stato ridotto iconograficamente all’essenziale: mancano, ad esempio, alcuni dettagli fortemente simbolici, come il pellicano e i quattro fiumi del paradiso che sgorgano dalla base del tronco, che spesso si ritrovano in altri esemplari. Per contro l’affresco udinese conserva una grande quantità di iscrizioni all’interno dei rami, le quali riproducono con precisione i capitoli del testo scritto da Bonaventura da Bagnoregio.13 Poiché il Lignum vitae doveva essere visibile solo dai religiosi, è probabile che la sua funzione principale fosse quella di stimolare la meditazione dei frati stessi, cosa che poteva essere agevolata dalla lettura delle citazioni bibliche, disposte secondo un ordine ascensionale e da sinistra verso destra, utilizzando un sottile procedimento mnemotecnico.14 La cappella absidale a cornu epistolae presenta una certa difficoltà di lettura, dovuta al sovrapporsi di più strati pittorici (fig. 6). Sulla parete di fondo è raffigurata l’Annunciazione, divisa in due grandi riquadri intervallati da una monofora. Andrea De Marchi è stato l’unico a notare la presenza di un palinsesto, con due raffigurazioni dello stesso soggetto, indice di una volontà di aggiornamento di tipo puramente estetico, piuttosto che iconografico.15 Nel riquadro di sinistra si può vedere la testa dell’arcangelo Gabriele che emerge al di sotto del più recente strato pittorico, la cui fattura ritengo sia collegabile ai modi espressivi del Maestro del Lignum vitae, mentre la realizzazione successiva contrasta per le diverse proporzioni monumentali ed è di carattere più marcatamente giottesco (fig. 7). Nel riquadro con la Vergine annunciata, invece, resta pressoché integro lo strato più recente (fig. 8). La figura di Maria è di buona qualità esecutiva, con un’attenzione ai dettagli naturalistici: si vedano, ad esempio, la capigliatura che traspare al di sotto del velo, la lucerna appesa al soffitto e le tende ripiegate che accentuano la suddivisione degli spazi. La Vergine è raffigurata in piedi, entro un solido edificio architettonico, scorciato in maniera schematica: va segnalato il fatto che nella nuova versione del soggetto il pittore ha in qualche modo ricalcato le 98 Simbeni, La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine 6. Udine, San Francesco, cappella absidale destra 7. Udine, San Francesco, cappella absidale destra, parete di fondo, Arcangelo Gabriele 9. Udine, San Francesco, cappella absidale sinistra, parete sinistra, Santa Chiara, San Ludovico di Tolosa, San Paolo 8. Udine, San Francesco, cappella absidale destra, parete di fondo, Vergine annunciata 99 IKON, 3-2010 forme delle architetture della scena sottostante, anche se appare evidente l’aggiornamento stilistico delle stesse in senso giottesco. Se il primo intervento pittorico può essere datato, come per le pitture della cappella maggiore, verso il 1310, l’autore dello strato più recente dimostra, invece, una più matura assimilazione del linguaggio pittorico giottesco di matrice padovana, il che suggerisce una datazione piuttosto inoltrata, probabilmente al quarto decennio del secolo. Appartiene, a mio avviso, al repertorio del Maestro del Lignum vitae anche la splendida valva dipinta alla sommità dello sguancio della monofora: il motivo tipicamente veneziano è qui reso con estrema eleganza, anche con un tentativo di restituire l’effetto tridimensionale della conchiglia. Anche la decorazione della volta, con il motivo ad archetti che delimita le vele, e le altre parti alte delle pareti laterali, con un’ornamentazione a rombi, sono attribuibili allo stesso maestro veneziano. La parete sinistra della cappella è occupata da tre grandi riquadri in cui sono raffigurati alcuni santi molto legati all’Ordine: al centro san Ludovico di Tolosa, a sinistra santa Chiara e a destra san Paolo (fig. 9). Mauro Lucco nel 1986 fu il primo a ravvisare una discrepanza tra l’esecuzione del san Ludovico, da lui ritenuta più antica, e quella degli altri due santi ai lati.16 Oltre alla diversità di scala nelle cornici decorative e alla sovrapposizione di due diversi strati di intonaco, emergono delle differenze anche a livello stilistico, con la figura di san Ludovico che sembra eseguita in maniera più rudimentale, con delle spesse linee rosse di demarcazione del viso e con i tratti del volto generalmente più schematici. Le altre due figure, invece, denotano una maggiore cura dei dettagli, sia nella resa espressionistica del volto sia nel panneggio più profondo e naturalistico delle vesti. Un’altra sostanziale differenza riguarda l’esecuzione delle decorazioni interne al nimbo dei santi: quella del san Ludovico è resa con la comune incisione, mentre gli altri due nimbi presentano una ricca e colorata ornamentazione a motivi geometrici. La datazione del san Ludovico sembra decisamente essere più antica, in linea con i tre santi francescani nella cappella maggiore, benché eseguita da un modesto pittore locale. Che le due figure ai lati, invece, siano state realizzate almeno un decennio più tardi lo conferma anche il dettaglio dello scollo molto più ampio visibile nella veste del san Paolo. Clara Santini ha ritenuto di collegare l’esecuzione di queste pitture al 1334, anno in cui è documentata la consacrazione di un altare dedicato alla Vergine in questa cappella.17 L’esistenza di uno strato pittorico (che riproduce lo stesso soggetto) sicuramente precedente, però, farebbe pensare che quella del 1334 sia stata piuttosto una riconsacrazione. Va notata, ai piedi del san Ludovico, la presenza della corona regale, che era dipinta interamente a secco e di cui oggi rimangono solamente le tracce dei contorni. Non è mai stata nemmeno segnalata, a quanto mi risulta, l’iscrizione che sta al di sotto del san Ludovico (fig. 10), che si dispiega in quattro righe, di cui propongo la seguente lettura: s(anctus) [l]odovicus ar[chi]ep(iscopu)s tolos[a]nu(s) ord[inis] minor(um) regnu(m) mu(n)di (et) o(mn)e(m) ornatu(m) seculi (con)te(m)psi p(ro)p(ter) am[orem] do(min)i i(es)u (ch)[risti] (et) [b](ea)ti p(at)ris mei fra(n)cisci de cu[…].18 Nella cappella a cornu evangeli rimangono pochissimi frammenti di una decorazione ad affresco che doveva ricoprire, come nelle altre due cappelle, tutte le tre pareti e la volta, il sottarco d’ingresso e gli sguanci della monofora. Nella volta compare lo stesso motivo ad archetti, ripetuto in maniera identica a quello nella cappella di destra, segno che il Maestro del Lignum vitae lavorò anche in questa cappella, perlomeno nelle parti alte. A giudicare dalla disposizione regolare e simmetrica delle partiture decorative e delle cornici lungo le pareti della cappella è plausibile supporre che qui si dovesse estendere un ciclo narrativo ad affresco, di cui rimane solamente una traccia poco leggibile nella parete sinistra. Enrica Cozzi ha avanzato l’interessante ipotesi che il frammento di pittura superstite possa riferirsi ad un ciclo dedicato ai martiri francescani di Thana, in India.19 Il martirio, nel quale furono trucidati i frati Tommaso da Tolentino, Pietro da Siena e Jacopo da Padova, più un terziario di nome Demetrio, avvenne il 9 aprile del 1321. La prima notizia di questi eventi è data da una lettera, datata 29 maggio 1321, 100 Simbeni, La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine inviata da frate Giordano Catalani dell’Ordine dei Predicatori, già compagno di viaggio dei missionari francescani, il quale fu il primo a raccogliere le testimonianze dell’accaduto e a raccontarne dettagliatamente le vicende.20 La notizia del martirio dei frati, quindi, si diffuse con grande celerità grazie alla spedizione di numerose lettere dalla Custodia di Tauris, che faceva parte del Vicariato Orientale, nelle quali si raccontavano dettagliatamente i fatti avvenuti a Thana. La notizia giunse ben presto anche in Occidente, se, come sembra, papa Giovanni XXII ne lesse una relazione in concistoro nell’ottobre 132121 - quindi solamente sei mesi dopo gli avvenimenti – ed è probabile che tale notizia si fosse diffusa immediatamente anche negli ambienti francescani. Tuttavia fu solo con il grande successo del celebre Itinerarium di Odorico da Pordenone, scritto nel 1331, subito dopo il suo rientro dall’Oriente, che si diffuse in Italia il culto di questi martiri.22 La più antica raffigurazione pittorica di queste vicende che sia giunta fino a noi si trova sul fondo della parete meridionale nella chiesa di San Fermo Maggiore a Verona (fig. 12): il ciclo, che doveva estendersi per una superficie almeno doppia rispetto a quanto è rimasto oggi, può essere datato agli anni Trenta del XIV secolo.23 È possibile escludere che la narrazione degli affreschi veronesi si basasse sulla lettera già citata del 29 maggio 1321, in quanto vi sono riferimenti ad alcuni fatti narrati solo nell’Itinerarium di Odorico da Pordenone. Il ciclo veronese è solitamente messo in relazione con il pontificato di Benedetto XII (1334-1342), durante il quale sembra che i martiri francescani siano stati beatificati.24 Pertanto anche il frammento di Udine potrebbe avere una datazione molto vicina agli affreschi veronesi: la scena è popolata di personaggi, fra i quali si può riconoscere con buona probabilità un frate Minore sulla destra, la cui resa morbida e profonda del panneggio della veste suggerisce una proposta di datazione verso la metà del quarto decennio del Trecento. Alla sua sinistra è raffigurato un soldato, con una folta barba e con un lungo elmo che ricorda, per l’appunto, quello dei militi dei regni d’Oriente. La scena potrebbe quindi effettivamente appartenere ad un ciclo che narrava le vicende dei martiri di Thana, anche se resta difficile riuscire a risalire al soggetto preciso. Sull’arco trionfale della chiesa era raffigurata un’imponente Annunciazione, di cui oggi sopravvivono solo pochi frammenti, mentre in alto rimane un Cristo benedicente, seduto su un trono marmoreo, dalla fattura molto elaborata. A queste pitture si possono accostare anche il san Cristoforo e il grande tondo con l’Agnus Dei, sempre sulla stessa parete, al di sopra dell’arco di ingresso della cappella absidale destra. Questi dipinti sembrano essere opera di un artista fortemente influenzato dalla cultura figurativa giottesca, ma diverso dai pittori fin qui incontrati. Il suo stile, dalla forte carica espressiva e dalla gestualità solenne, sembra avere delle tangenze con le opere del veronese Maestro del Redentore verso l’inizio degli anni Venti.25 Sui pilastri che separano le tre cappelle absidali vi sono due raffigurazioni di notevole interesse. In quello di sinistra sopravvive un rovinato riquadro con le Stimmate di san Francesco (fig. 11): purtroppo la caduta di gran parte dello strato pittorico non consente considerazioni stilistiche sicure. Vorrei richiamare l’attenzione, invece, sul santo coronato raffigurato sulla destra, che credo si possa identificare con san Luigi IX di Francia, il quale fu canonizzato nel 1297 da Bonifacio VIII e il cui culto si diffuse in Italia soprattutto grazie all’ordine francescano. Rimane ancora senza spiegazione, invece, la scelta di raffigurarlo all’interno della scena delle Stimmate, fatto che, per quanto ho potuto riscontrare, può essere considerato un unicum iconografico. Va sottolineato come la sola immagine coeva di san Luigi IX nel nord Italia si trovi nel transetto destro della chiesa di San Fermo Maggiore a Verona. Qui il santo è raffigurato seduto in trono alla presenza dei dignitari della sua corte, mentre nell’episodio a fianco compare un’altra scena pregna di simbolismo, la Vestizione di san Ludovico da Tolosa, con un evidente intento di accomunare i due santi francesi di famiglia reale che avevano glorificato con le loro azioni l’Ordine francescano.26 Tornando alla zona presbiteriale della chiesa di san Francesco a Udine, nel pilastro che separa la cappella absidale maggiore da quella di destra è raffigurata una Madonna in trono col Bambino (fig. 13), racchiusa entro una solida architettura di tipo giottesco, probabilmente allo stesso pittore autore della Stimmate. Su questo pilastro esisteva anche un altro affresco, ora perduto, raffigurante la Predica agli uccelli, la cui attribuzione ad un artista vicino al cosiddetto Maestro di Spilimbergo porterebbe ad una datazione verso la metà del secolo.27 101 IKON, 3-2010 10. Udine, San Francesco, cappella absidale sinistra, parete sinistra, iscrizione sotto san Ludovico di Tolosa 12. Verona, San Fermo Maggiore, parete meridionale della navata, Storie dei martiri francescani di Thana 11. Udine, San Francesco, pilastro divisorio, Stimmate di san Francesco con san Luigi IX. 14. Udine, San Francesco, braccio destro del transetto, fregi decorativi 13. Udine, San Francesco, pilastro divisorio, Madonna col Bambino 102 Simbeni, La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine 15. Udine, San Francesco, braccio destro del transetto, fregio alto (part.) 16. Udine, San Francesco, parete meridionale della navata, fregio basso (part. con santo vescovo) 17. Udine, San Francesco, parete settentrionale della navata, fregio basso (part. con Jacopo da Padova?) 18. Verona, San Fermo Maggiore, parete meridionale della navata, fregio decorativo con busti di santi 19. Udine, San Francesco, parete settentrionale della navata, Stimmate di san Francesco e Madonna col Bambino e santo vescovo 103 IKON, 3-2010 Nella chiesa di San Francesco esistono altri dettagli decorativi che sono rimasti a lungo ignorati in sede critica e che ritengo, invece, di grande importanza per chiarire alcuni aspetti relativi alla pianificazione dei programmi iconografici e alla periodizzazione della stesura degli affreschi in tutta la chiesa. Mi riferisco ai due fregi che si snodano nella parte alta lungo tutta la chiesa, a partire dalla parete dell’arco trionfale, lungo la navata, per girare poi sulla parete di controfacciata e tornare indietro nuovamente fino all’arco trionfale (fig. 14). Quello più alto, che si sviluppa sotto l’imposta del soffitto ligneo, è costituito da due nastri intrecciati ed è arricchito con decorazioni fogliacee verdi, gialle e rosse su fondo nero (fig. 15): questo tipo di decorazione si trova abbastanza frequentemente nei decenni a cavallo tra XIII e XIV secolo, ed è probabile che esso sia stato uno dei primi interventi pittorici eseguiti all’interno della chiesa, forse contemporaneo agli affreschi più antichi della cappella maggiore. Il fatto che la data di erezione della facciata sia compresa tra il 1302 e il 1315 non esclude tale ipotesi: la fattura del fregio alto, infatti, presenta una disomogeneità qualitativa che si può spiegare con l’intervento di due diverse botteghe di artisti. Nonostante il disegno sia lo stesso, infatti, il fregio alto nella zona del transetto appare evidentemente più raffinato, con un gusto tipicamente veneziano nelle modalità esecutive e nei contorni di colore bianco, mentre il tratto presente nel muro di controfacciata è reso in maniera più grossolana: poiché la controfacciata fu l’ultimo intervento edilizio effettuato nella chiesa è probabile che il fregio in questo punto sia stato eseguito più tardi e da un’altra bottega, su imitazione di quello del maestro veneziano. Ritengo che il responsabile di questo fregio sia proprio il Maestro del Lignum vitae, coadiuvato dalla sua bottega, con una possibile datazione a cavallo tra il primo e il secondo decennio del XIV secolo. Il fregio più basso, invece, è cronologicamente posteriore, ma ugualmente di grande interesse: qui il modo di rendere la decorazione del tralcio fogliaceo è già tipicamente trecentesco, e a mio avviso permette di ricondurlo verso la metà del terzo decennio del secolo. Nel fregio sono contenuti dei tondi con dei busti di santi raffigurati entro un quadrilobo, la cui corretta identificazione è resa molto difficoltosa dal pessimo stato di conservazione e dai molti risarcimenti del restauro: iniziando dal lato destro della chiesa si trovano, in ordine, santa Chiara, un santo diacono col libro in mano, quindi un’altra figura femminile e un santo vescovo dal volto giovane e imberbe che tiene in mano un libro (fig. 16). All’inizio della parete sinistra della navata nel fregio è raffigurato un tondo con un busto di un frate francescano senza aureola, il quale tiene in mano una spada: il fatto che non si tratti di un frate canonizzato e, vista la particolare conformazione orientaleggiante della lama ricurva, ritengo che sia da identificare con uno dei martiri francescani di Thana, mentre mostra lo strumento del suo martirio (fig. 17). Per quanto si può vedere sembra si tratti di un personaggio adulto, con la barba e con delle rughe sulla fronte: potrebbe trattarsi, forse, di frate Jacopo da Padova, il quale, secondo la narrazione delle fonti, subì una prova del fuoco da cui uscì miracolosamente indenne, per poi finire decapitato.28 È interessante confrontare questa figura con un frammento poco conosciuto del ciclo veronese precedentemente citato, dove a mio avviso si può riconoscere proprio la scena della Prova del fuoco di Jacopo da Padova: qui è raffigurato il frate, anziano e barbuto, nell’atto di entrare nel fuoco, mentre sulla destra i suoi compagni assistono alla scena con le mani legate e trattenuti da uno sgherro.29 Data l’estrema lacunosità di questi due fregi decorativi, rimane molto difficile riuscire a ricostruire l’esatta sequenza originaria e il significato iconografico che essi dovevano avere. Credo però che sia molto importante mettere in luce che esiste una situazione pressoché identica nella chiesa di San Fermo Maggiore a Verona. Anche qui sopravvivono due fregi frammentari, disposti nella parte alta della parete, i quali si sviluppano per tutto il perimetro interno della chiesa: nel caso veronese la fascia più in alto contiene busti di profeti e di santi racchiusi entro i girali fogliacei di un tralcio vegetale (fig. 18). Un recente studio di Andrea De Marchi ha messo in luce come la principale funzione dei due fregi veronesi fosse quella di diversificare lo spazio della chiesa riservato ai laici da quello destinato al clero, ma creando pure un collegamento tra le varie decorazioni pittoriche presenti nella chiesa.30 Da quanto rimane dei fregi udinesi non si riesce a comprendere se vi fosse un preciso programma iconografico che legasse i personaggi raffigurati, ma resta comunque evidente la somiglianza con quelli della chiesa veronese.31 104 Simbeni, La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine Proprio al di sotto del tondo col martire francescano vi è un minimo lacerto che faceva parte di una scena della Stimmate: è ancora ben visibile il serafino da cui partono i raggi e, sulla destra, il piccolo campanile della cappella sul monte della Verna, dettaglio iconografico immancabile nelle raffigurazioni di questo episodio (fig. 19). È possibile che in questa zona si dispiegasse un ciclo dedicato alla vita del santo fondatore dell’Ordine di cui oggi non rimane che quest’unico pezzo.32 In conclusione credo sia lecito affermare che tra San Francesco a Udine e San Fermo Maggiore a Verona vi siano molti collegamenti che non possono essere casuali. Nonostante alcune idee iconografiche si possano far derivare - come è già stato notato33 - dalla sala capitolare del convento antoniano di Padova, ritengo che il modello principale a cui si ispirarono i Minori di Udine sia stato proprio quello di Verona. La basilica di Sant’Antonio a Padova, infatti, nacque come tomba del santo, con il preciso intento di diventare una monumentale chiesa meta di numerosi pellegrinaggi. Il modello di San Fermo Maggiore, invece, era molto più adatto alle esigenze e alle dimensioni della comunità dei Minori di Udine. Il cantiere pittorico di San Francesco, tra il terzo e il quarto decennio del Trecento, si configura quindi come un importante snodo della cultura figurativa giottesca nel Friuli. Se, data anche l’estrema lacunosità della decorazione originale, non si può affermare che vi siano delle stringenti tangenze stilistiche col giottismo di declinazione veronese, come è stato suggerito da Clara Santini,34 va ribadito comunque il fatto che Udine, insieme a Sesto al Reghena e Verona, rappresenta uno dei primi casi di esplicita affermazione del linguaggio giottesco di matrice padovana nell’Italia nordorientale. 1 2 3 4 5 6 La pergamena che attesta l’atto di consacrazione, attualmente conservata presso la Biblioteca Comunale di Udine (MS 1226/I), è una copia cinquecentesca di un documento antico perduto. G. G. LIRUTI, Notizie delle vite e delle opere scritte da letterati del Friuli, I, Venezia, 1760, p. 275. Il testo del documento, per la parte relativa alla cerimonia di consacrazione, è pubblicato in E. TABIADON, I francescani a Udine, in: Memorie storiche forogiuliesi, 70, 1990, pp. 99-102. Per una rassegna storico documentaria si vedano anche C. SANTINI, I francescani e la loro chiesa a Udine, in: Sot la nape, 46, 1994, pp. 53-62 e E. TABIADON, Documenti per la storia della chiesa e del convento di S. Francesco a Udine, in: Splendori del gotico nel patriarcato di Aquileia, catalogo della mostra a cura di M. BUORA, Udine, 2008, pp. 65-68. Per gli interventi edilizi della chiesa e del convento si rimanda al recente G. MARSONI, Insediamenti ed edifici sacri francescani nella “Custodia” del Friuli nei secoli XIII e XIV, in: La Diana, 8-11, 2002-2005, pp. 31-51. Sulla storia dei Minori in Friuli si veda A. TILATTI, I frati Minori in Friuli fra il XIII e il XIV secolo, in: Frati Minori in Friuli. Otto secoli di presenze, relazioni, proposte, a cura di A. TILATTI, Vicenza, 2008, pp. 1-72. U. PIAZZO, Il restauro della chiesa di San Francesco in Udine, in: Bollettino d’Arte, 36, 1951, pp. 183-188. In particolare si vedano P. TOESCA, Il Trecento, Torino, 1951, p. 797 (principio del Trecento); A. LOVISATTI ELLERO, La chiesa di S. Francesco di Udine, Trieste, 1965, pp. 12-16 (quarto decennio); C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, pp. 185-188 (primo decennio); F. ZULIANI, La pittura del Trecento in Friuli, in: In domo habitationis. L’arredo in Friuli nel tardo Medioevo, a cura di G. FIACCADORI – M. GRATTONI D’ARCANO, Venezia, 1996, p. 30 (primo quarto del XIV secolo); E. COZZI, Pittura di epoca gotica e tardogotica nel patriarcato di Aquileia, in: Splendori del gotico nel patriarcato di Aquileia, catalogo della mostra a cura di M. BUORA, Udine, 2008, p. 12 (1320-1325 circa). C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, p. 193, n. 1. Ibid., pp. 185-186. Vi sono esempi simili – tutti databili entro i primi tre decenni del Trecento – nel rilievo con il Battesimo di Cristo nel presbiterio di San Marco a Venezia, nella parte superiore di un fregio in San Fermo Maggiore a Verona, nel bordo superiore dell’Incoronazione della Vergine nell’arco trionfale del Duomo di Gemona e nella parte alta di un paliotto in San Giusto a Trieste. M. RICCHIZZI, Un affresco frammentario in Sant’Antonio abate a Udine e l’iconografia dell’Ultima Cena 105 IKON, 3-2010 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 106 nel Trecento friulano, in: Vultus Ecclesiae, 6, 2005, pp. 19-20. C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, p. 191. E. COZZI, in: L’abbazia di Santa Maria di Sesto. L’arte medievale e moderna, II, a cura di G. C. MENIS – E. COZZI, Pordenone, 2001, p. 77; Eadem, L’influenza di Giotto nelle Venezie, in: Il secolo di Giotto nel Veneto, a cura di G. VALENZANO – F. TONIOLO (2002), Venezia, 2007, pp. 84-85; Eadem, Giotto e bottega al Santo: gli affreschi della sala capitolare, dell’andito e delle cappelle radiali, in: Cultura, arte e committenza nella basilica di S. Antonio di Padova nel Trecento, a cura di L. BAGGIO – M. BENETAZZO, 2001, Padova, 2003, pp. 85-88. C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, p. 192. Si veda la Crocifissione vitalesca nella prima cappella del braccio sinistro del transetto nel Duomo di Udine, che sembra seguire lo stesso schema utilizzato sulla parete di fondo della chiesa francescana di Udine. E. COZZI, Il “Lignum vitae” bonaventuriano nella chiesa di San Francesco a Udine, in: De lapidibus sententiae, a cura di T. FRANCO – G. VALENZANO, Padova, 2002, pp. 81-88. Nel locale rimangono pochi frammenti di due dipinti posti l’uno di fronte all’altro, che raffigurano il Lignum vitae Christi e il Lignum vitae sancti Francisci, la cui esecuzione è da ritenersi in stretto collegamento con le vicine pitture della sala del Capitolo, eseguite entro il primo decennio del XIV secolo. Su questo argomento rimando ad un mio studio, anche per la bibliografia precedente: A. SIMBENI, Il Lignum vitae sancti Francisci in due dipinti di primo Trecento a Padova e Verona, in: Il Santo, 46, 2006, pp. 187-200. Le iscrizioni sono state integralmente trascritte in E. COZZI, Il “Lignum vitae” bonaventuriano nella chiesa di San Francesco a Udine, in: De lapidibus sententiae, a cura di T. FRANCO – G. VALENZANO, Padova, 2002, p. 87. Riguardo il rapporto tra il testo del Lignum vitae di Bonaventura da Bagnoregio e l’utilizzo di schemi mnemonici si veda L. BOLZONI, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino, 2002. A. DE MARCHI, Il momento sperimentale. La prima diffusione del giottismo, in: Trecento. Pittori gotici a Bolzano, a cura di A. DE MARCHI – T. FRANCO – S. SPADA PINTARELLI, Trento, 2000, p. 74, n. 61. M. LUCCO, Pittura del Duecento e del Trecento nelle province venete, in: La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, a cura di M. LUCCO, Milano, 1986, p. 144. Si veda anche il trittico, replicato chiaramente sul modello di quello udinese, nella chiesa di San Francesco a Cividale del Friuli. A. LOVISATTI ELLERO, op. cit., p. 19. C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, p. 191. L’ultima riga (“ho disprezzato il regno del mondo ed ogni ornamento secolare per amore del Signore Gesù Cristo e del mio beato padre Francesco […]”) è citata anche nell’VIII sermone (ma senza il riferimento a san Francesco), dedicato alla festività di sant’Agata e delle sante Vergini, di Johannes Tauler, teologo domenicano tedesco (1300-1361). La citazione, in epoca più recente, è stata poi inserita da Benedetto XIV (1740-1758) nel De Benedictione et Consecratione Virginum del Pontificale Romanum II. Sulla figura storica di Giovanni Tauler si vedano J-A. BIZET, Mystiques allemands du XIVe siècle. Eckhart, Suso, Tauler, Paris, 1957, pp. 85-99 e L. GNÄDINGER, Johannes Tauler. Lebenswelt und mystiche Lehre, München, 1993. L’insistenza nel fornire di titula esplicativi le due immagini di san Ludovico nella chiesa udinese, nonché la raffigurazione del dettaglio della corona, depongono a favore di una datazione a ridosso della canonizzazione del 1317, quando probabilmente la figura del santo francese non era ancora così conosciuta da necessitare anche di questi strumenti di propaganda. E. COZZI, op. cit., 2008, p. 18. G. GOLUBOVICH, Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell’Oriente francescano, II, Quaracchi, 1913, pp. 70-71. T. DOMENICHELLI, Sopra la vita e i viaggi del Beato Odorico da Pordenone, Prato, 1881, p. 161; L. BOURDUA, The Franciscans and Art Patronage in Late Medieval Italy, Cambridge, 2004, pp. 48-49. Per la figura storica di Odorico da Pordenone si rimanda ad A. TILATTI, Odorico da Pordenone. Vita e Miracula, Padova, 2004. F. BISOGNI, Iconografia e propaganda religiosa: due cicli veronesi del Trecento, in: Scritti di storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, a cura di M. G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO - P. DAL POGGETTO, I, Milano, 1977, pp. 157-162; L. BOURDUA, op. cit., pp. 46-50; SIMBENI, op. cit., pp. 208-209. Simbeni, La decorazione trecentesca nelle cappelle absidali di San Francesco a Udine 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 Secondo una notizia difficilmente verificabile, tramandata dall’umanista Bernardino Scardeone, in seguito al martirio dei quattro missionari, i frati dell’Ordine avanzarono una richiesta di canonizzazione a Giovanni XXII ai tempi dello scisma di Pietro da Corbara, ma ottennero una conferma ufficiale solo dal suo successore, Benedetto XII; F. BISOGNI, op. cit., pp. 160-161. C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, pp. 189-190. Sulle pitture dei primi decenni del Trecento in San Fermo Maggiore a Verona rimando all’intervento di A. DE MARCHI, La prima decorazione della chiesa francescana, in: I santi Fermo e Rustico: un culto e una chiesa in Verona, a cura di P. GOLINELLI – C. GEMMA BRENZONI, Milano, 2004, pp. 199-219. C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, p. 192. «Tunc quatuor viri iniqui fratrem Iacobum rapientes, eum in flammas proiicere nitebantur. Quibus ille ait: Sinite me, quia volontarie pro fide mea hunc igne intrabo. Cuius verba non curantes, ipsum in incendium proiecerunt. Erat autem ignis tam magnus et altus, ut ipse existens minime videretur»; T. DOMENICHELLI, op. cit., p. 161. A. SIMBENI, op. cit., p. 209. A. DE MARCHI, Due fregi misconosciuti e il problema del tramezzo in San Fermo Maggiore a Verona, in: Arredi liturgici e architettura, a cura di A. C. QUINTAVALLE, Verona, 2007, pp. 129-142. Un altro esempio simile, dei primi anni del XIV secolo, si trova nel transetto della chiesa di San Nicolò a Treviso. R. GIBBS, Treviso, in: La pittura nel Veneto. Il Trecento, Milano, 1992, p. 179; A. DE MARCHI, op. cit., 2007, p. 129. Va notato che la scena delle Stimmate sussiste sullo stesso strato di intonaco del fregio basso e ne deve condividere, quindi, la datazione. A breve distanza si trova un ulteriore riquadro frammentario con una Madonna in trono col Bambino e santo vescovo (ma potrebbe anche trattarsi di uno Sposalizio mistico di santa Caterina), che evidentemente fu in seguito coperto proprio dalle Stimmate e la cui esecuzione mi sembra databile verso la fine del secondo decennio Trecento. Si veda la figura del vescovo, che per molti versi è paragonabile alle figure dei tre santi francescani sulla parete di fondo della cappella absidale maggiore. E. COZZI, op. cit., 2008, p. 16. C. SANTINI, Un’antologia pittorica del primo trecento nella chiesa di S. Francesco a Udine, in: Arte Cristiana, 82, 1994, pp. 188-190. Alessandro Simbeni Decoration in Fourteenth Century Apsidal Chapel of San Francesco in Udine This paper presents points for discussion for the analysis of the original iconographic program of the apsidal chapels, it reflects on the identification of fragmentary scenes and their chronological arrangement, as well as on models Franciscans followed when deciding on the subjects of decorative campaign of the first half of the fourteenth century. The earliest frescoes were done by an artist of great quality, whose figurative language stands between neo-helenistic byzantinism and the tradition of Giotto in the Venetian hinterland around 1310. To the second decorative campaign (about 1320), the work of a master who refers more closely to the new style of Giotto in Padua, belong the figures on the back wall: St Louis of Toulouse, St Francis of Assisi and St Anthony of Padua. The persistence of the themes close to Friars Minor, such as major saints of the Order, the lignum vitae of Bonaventure of Bagnoregio and Martyrs of Thana, make the decoration of the church of San Francesco extremely interesting. Many of the solutions and iconographic schemes in San Francesco in Udine can be found in the Franciscan church of San Fermo Maggiore in Verona suggesting that it was taken as a model favored by the Udinese Friars. 107 IKON, 3-2010 Slikarska dekoracija u apsidalnim kapelama u crkvi Sv. Franje u Udinama iz 14. stoljeća Slikarska dekoracija u unutrašnjosti crkve Sv. Franje u Udinama iz prve polovice 14. st. već je plijenila pozornost znanstvenika. U glavnoj kapeli najstarija oslikana dekoracija rad je jednoga venecijanskoga umjetnika čiji hibridni stil obuhvaća figurativni jezik bizantskoga podrijetla i grotesknu tradiciju. Od ove najranije dekoracije sačuvani su monumentalni Lignum vitae, fragmentarni prikaz Kristova Uzašašća, četiri evanđelista na svodu i tondo s licem Krista u tjemenu luka pri ulazu u kapelu. Smatram da se točna kronologija ovih fresaka može postaviti oko 1300. – 1315. g. Elegancija u licima, uravnoteženost scene, rafiniranost obrisnih linija i draperija odražavaju fazu tzv. neohelenizma dinastije Paleologa čiji su brojni primjeri u desetljećima na prijelazu iz 13. u 14. stoljeće u venecijanskoj umjetničkoj produkciji. Drugoj po redu dekorativnoj izvedbi pripadaju figure na začelnom zidu: sv. Ljudevit Tuluški, sv. Franjo Asiški, sv. Ante Padovanski. Prisutnost svetoga biskupa iz Toulusea, kanoniziranoga 1317. g., daje terminum post quem izvedbi ovih slika. Na desnom se zidu nalaze scene, među kojima su sv. Kristofor, Krunjenje Bogorodice i jedan mali fragment s prikazom anđela u letu, a vezuju se za treću intervenciju, odnosno za djelo umjetnika čiji je slikarski način rada blizak onomu Majstora iz Spilimberga i koje se datiraju u 50-e godine 14. stoljeća. Apsidalna kapela s desne strane teška je za iščitavanje zbog višeslojnosti oslika. Na začelnom je zidu prikazano Navještenje. Ako se prvi sloj može datirati, kao što je to bio slučaj u glavnoj kapeli, oko 1310. – 1315., autor najmlađega sloja pokazuje, naprotiv, zrelo usvajanje figurativnoga giottesknoga jezika na padovanskom obrascu. Desni zid kapele sadrži tri velike slike u kojima su prikazani sveci vezani uz franjevački red: u centru sv. Ljudevit Tuluški, s lijeve strane sv. Klara, a s desne sv. Pavao. U kapeli, s lijeva, moguće je da se rasprostirao narativni ciklus fresaka od kojega je sačuvan samo trag na lijevom zidu (Enrica Cozzi predložila je zanimljivu pretpostavku da se preostali fragment ove freske može vezati uz ciklus posvećen franjevačkim mučenicima u Thani, Indija). Mučeništvo, u kojem su bili smaknuti braća: Toma iz Tolentina, Petar iz Siene i Jakov iz Padove te trećeredac zvan Demetrio, zbilo se 9. travnja 1321. godine. Događaji su ispričani u poznatom Itinerariumu Odorika iz Pordenona, napisanom 1331. godine. Najstariji slikovni prikaz ovoga događaja nalazi se na dnu južnoga zida u crkvi San Fermo Maggiore u Veroni i datiran je u 30-e godine. Na pilastru koji razdvaja glavnu kapelu od one s lijeve joj strane nalazi se prikaz stigmatizacije sv. Franje, uz neuobičajenu prisutnost sv. Ljudevita IX. Francuskoga. Razlog njegove prisutnosti u ovom kontekstu može biti ikonografski unicum. Treba naglasiti da je to jedini prikaz Ljudevita IX. iz njegova vremena i to u sjevernoj Italiji, u desnom transeptu crkve San Fermo Maggiore u Veroni. U crkvi Sv. Franje postoje drugi dekorativni detalji koji su dugo vremena bili zanemarivani od strane kritike, a koji su od velikoga značenja u razješavanju nekih aspekata vezanih uz planiranje ikonografskih programa. To su dva friza što se rasprostiru u gornjem dijelu duž cijele crkve. U najdonjem frizu obuhvaćeni su tondi s poprsjima svetaca unutar četverolisnih okvira – na jednom je od njih prikazan svetac bez aureole s mačem u ruci. Možda se radi o fra Jakovu iz Padove koji je, prema izvorima, nadvladao goruću vatru iz koje je čudom izašao netaknut, a potom mu je bila odrubljena glava. Što se tiče friza, vjerujem da je vrlo važno imati na umu da postoji jedna gotovo identična situacija u crkvi San Fermo Maggiore u Veroni. U zaključku valja priznati da između crkve Sv. Franje u Udinama i San Fermo Maggiore u Veroni postoje mnoge poveznice koje ne mogu biti slučajnima. Bez obzira što neke od ikonografskih ideja mogu potjecati iz kapitularne dvorane samostana Sv. Antona Padovanskoga, mišljenja sam da je glavni model kojim su se nadahnuli minoriti iz Udina bio upravo onaj iz Verone. Bazilika Sv. Antuna Padovanskoga, rađa se poput svečeva groba s jasnim ciljem da postane monumentalnom crkvom, odredištem brojnih hodočasnika. Model San Ferma Maggiore bio je ipak prikladniji za potrebe i za veličinu zajednice Reda manje braće iz Udina. Prijevod s talijanskoga: Nina Šepić Primljeno/Received: 05.01.2010. Pregledni rad 108