Rivolta del 1920 - Piccola Biblioteca Jesina

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Rivolta del 1920 - Piccola Biblioteca Jesina
Rivolta del 1920
Le guardie rosse in armi contro le guardie regie. Era il 26 giugno del 1920 ed era il
punto cruciale di una situazione che era andata deteriorandosi dalla fine della grande
guerra. Dopo la vittoria, l’Italia aveva conosciuto disoccupazione e inflazione: molti
reduci avevano trovato nelle loro città solo miseria e umiliazioni. Si registrarono
scioperi, saccheggi, sollevazioni. Il governo per controllare la situazione impiegò corpi
speciali, le guardie regie. Nel giugno del 1920, soprattutto ad opera degli anarchici,
Ancona si ribellò. Intervennero le truppe regolari. Si sparò da una parte e dall’altra.
Quando l’insurrezione fu domata, si contarono le vittime: ventiquattro morti e una
sessantina di feriti, quasi tutti delle forze dell’ordine. Intanto la rivolta si era estesa
anche ad altre località della regione, dell’Umbria e della Romagna. Jesi si sollevò nel
pomeriggio di sabato 26 giugno. “Jesi, sovversiva e rivoluzionaria - avevano detto i
dirigenti della Camera del Lavoro - non può e non deve rimanere indifferente”. Venne
proclamato uno sciopero generale di solidarietà: filande, stabilimenti, cooperative si
fermarono. Chiusero anche i negozi. I partiti popolari elessero un Comitato di Agitazione
(che l’opposizione definirà Comitato di salute pubblica). Il giorno dopo, domenica,
comizio in piazza del duomo, quindi corteo per le vie del centro con il canto degli “inni
ribelli». Lunedì 28 continuò lo sciopero generale, squadre di giovani requisirono armi e
automobili, furono bloccati telegrafo e telefono, si eressero
barricate nelle strade di accesso alla città, due carabinieri in
borghese, riconosciuti mentre cercavano di superare i posti
di blocco, furono arrestati dai ribelli. La sera del 28
arrivarono da Ancona guardie regie e reparti dell’esercito
con mitragliatrici e un cannone. Data l’ora tarda, si fermano
al di là del fiume, in attesa che facesse giorno. Da Jesi si
sparò, per far capire che si era decisi a resistere; dall’altra
parte si rispose con qualche cannonata. Martedì 29, di buon’ora, le truppe regolari,
dopo aver attraversato il fiume a guado, entrarono in città senza incontrare resistenza.
Solo qualche isolato colpo di fucile; due di questi, sparati dalle finestre, ammazzarono
un militare e ne ferirono un altro. Le abitazioni degli elementi sospetti furono perquisite.
Si sequestrarono armi ed esplosivi. Ci furono anche arresti di esponenti politici e di
sindacalisti. La rivolta di Jesi era finita. Ma il ritorno alla normalità fu solo apparente. Il
peggio doveva venire: il paese, infatti, stava camminando rapidamente verso la dittatura
fascista.
“Conoscere Jesi”, G. Luconi – P. Cocola