codice 36
Transcript
codice 36
CODICE 36 DIEGO ARMANDO Gennaro, napoletano d’origine, vive a Roma da venti anni. Si schianta la schiena ogni giorno ai mercati generali. Nella vita solo due passioni: la birra e il Napoli. Tarchiato, sopracciglia folte come code di scoiattolo, due occhi neri sfavillanti perforano la sua pelle scura di arabo. L’addome è così pronunciato che ogni volta che sua moglie rimane incinta ci sfigura. Mariettina, segaligna, rapida ed elegante nei movimenti si, aggira come gatto selvatico nel bosco intricato della vita che ha scelto di intraprendere con il suo Gennarino. Proviene dalla provincia di Benevento e per il suo dialetto stretto il marito la sfotte bonariamente, rifacendole il verso. Si alza prima dell’alba insieme al marito. Va per pulizie con un’impresa di pulimento: niente diritti, contratto in nero. Di giorno arrotonda facendo altre pulizie presso privati o lavoretti di cucitura, tipo orli ai pantaloni. Le risorse sono risicate e ogni giorno Gennaro e Mariettina lottano per vivere dignitosamente. Abitano in case popolari al quarto piano, con balconi che danno su una vasta radura di prati incolti e altri obbrobri di cemento, in lontananza. Mariettina rimane incinta e Gennaro compra un pallone da calcio per il futuro figlio, bianco a pois azzurri. Purtroppo nasce Nunzia, una bella bambina che sembra uscita dal Sahel infuocato, per i suoi colori. Gennaro vuole il maschio a tutti i costi, Mariettina gli si oppone con le parole della ragione. Lui controbatte con un secco: "Dove mangiano tre bocche, ne possono mangiare quattro”. La frase non ammette repliche, ma per altre tre volte deve riporre il pallone in cantina, perché nascono femmine. La famiglia è ormai numerosa e assottiglia il magro bilancio economico. Con la storia che si può aggiungere una bocca da sfamare, le fette diventano sempre più piccole se la torta è sempre la stessa. Ormai si mangia minestrone tutti i giorni. Si compra solo il riso, perché le verdure vengono dalla pulitura delle verdure delle cassette in vendita. Raramente Mariettina fa le polpette: ci mette tante di quelle uova e di quel pane raffermo rinvenuto in acqua e strizzato, che le sue polpette alla fine contengono soltanto tracce di carne. Le fa al sugo così può accompagnarle con generose dosi di pasta. Gennarino, però, non si dà per vinto e la quinta volta, finalmente il maschio. Inesorabilmente il suo nome è Diego Armando. La casa subisce trasformazioni nel tempo per ospitare la famiglia che cresce. Diego Armando, a 4 anni, passa dalla stanza da letto dei suoi allo sgabuzzino: uno spazio sufficiente appena ad ospitare il suo letto. A 10 anni suo padre attacca, nell’unico spazio disponibile sulla parete, il poster del suo idolo, naturalmente Diego Armando, quello vero. Quel piccolo e angusto ambiente è il suo mondo in grado di ospitare il suo grande sogno: fare il calciatore ed emulare il suo idolo. D’estate la sua stanzetta senza finestre diventa un forno, ma Diego Armando non ci fa caso: è troppo concentrato a fantasticare e il sudore che gli riga il volto gli dà la sensazione di essere già in campo, che dribbla avversari come birilli. A scuola i libri gli inceppano il cervello, ci fa a cazzotti. Le tabelline sono una tortura. Più le volte che fa sega, che quelle in cui si fa vedere a scuola. 1 Gli appelli delle maestre cadono nel nulla; Diego Armando non ne vuol sapere di studiare. Preferisce andare a giocare a pallone nei campetti sotto casa. Là improvvisamente si trasforma. Il suo linguaggio impacciato e sgrammaticato diventa celestiale. Diego Armando diventa un genio, un illusionista col pallone incollato al piede, come tenuto da una calamita. La fisica e la geometria finalmente si sposano nella bellezza del suo gesto atletico: finte diaboliche, dribbling da capogiro, volteggi e gol a grappoli. E’ in grado di bersi quattro, cinque avversari e “infilare” il portiere con una prodezza sempre diversa. Ormai per poter giocare deve concedere tre giocatori in più alla squadra avversaria e tre gol di vantaggio. Diego Armando ormai è “il Maradona di Tormarancia”, mancino come “lui”. Vuole diventare un grande campione. Ne ha la stoffa. Sogna folle che lo osannano, donne e soldi quanti non riesce nemmeno ad immaginare. Uno dei tanti talent-scout che girano per le periferie lo scova, parla con i suoi genitori e propone loro di fargli fare un provino per associarlo ai pulcini della Roma. Arriva il gran giorno, è domenica. Diego Armando scarica la sua tensione nel bagno degli spogliatoi prima della prova e diventa padrone della situazione. Se riuscirà a dare il meglio di sé, quella domenica potrà rappresentare la svolta della sua vita. A metà del primo tempo, portatosi avanti con due gol di ottima fattura, Diego Armando sbilancia il suo avversario con una finta. Il terzino, molto più grosso della sua età, duro e legnoso perde l’equilibrio e frana con tutto il suo corpo sulla gamba sinistra di Diego Armando. L’impatto è tremendo; il suo ginocchio e le sue ossa scricchiolano come il Monte Toc nella tragedia del Vajont. La sua leggerezza di daino che guizza inarrestabile per il campo diventa macigno che affonda nella melma inodore di una sofferenza anche fisica che lo avrebbe accompagnato di lì a poco per sempre Il suo urlo di dolore gela lo stadio, lo ammutolisce: il tempo sembra fermarsi. Gli altri giocatori si avvicinano intuendo la gravità della situazione. Alle orecchie di Diego Armando giungono bisbigli incomprensibili, mentre il terzino killer si allontana come se niente fosse stato, dopo scuse formali e poco sentite. Anche Diego si rende conto subito che l’incidente è grave, vedendo il suo piede completamente fuori asse. La diagnosi è infausta: ginocchio completamente scardinato e rottura di tibia e perone in due punti. Non avrebbe avuto nessuna possibilità futura di giocare a calcio e avrebbe zoppicato per il resto dei suoi giorni. Diego Armando aveva puntato tutto sul suo futuro da campione. Non avendo studiato, non può sperare in qualche lavoro sedentario di scrivania; lavori pesanti non è in grado di sopportarli a causa del suo ginocchio rotto. La sua famiglia è appena in grado di procurargli tre pasti al giorno e i pochi indumenti che deve gestire in modo accurato e parsimonioso per farli durare più a lungo possibile. Suo padre deluso quanto e forse più di lui, un giorno lo chiama in disparte e gli fa un discorsetto di poche parole, che pesano come macigni: “Caro Diego, le risorse sono quelle che sono e bastano appena per sopravvivere. Io santi in paradiso non ne ho; da oggi devi cercare di renderti autonomo, di arrangiarti. Vedi quello che sai e puoi dare.” Ogni mattina Diego Armando si sveglia all’alba madido di sudore per gli immancabili incubi notturni. Va in giro a cercare lavoretti con magra soddisfazione. Ogni tanto si aggrega a un gruppo di reietti come lui per qualche furtarello in negozi fuori mano oppure qualche autoradio al volo. Non è mai stato coraggioso. Smette di frequentare gli amici di borgata quando questi decidono di passare a merce più rischiosa; ha paura di innescare un percorso fatto di entrate e di uscite dalle patrie galere, senza più possibilità di redenzione. 2 Il tempo passa in fretta, egli ha ormai 24 anni. Ragazze neanche a parlarne: chi si sarebbe messo con uno storpio come lui? Qualche prostituta le poche volte che poteva permetterselo, per il resto pratiche manuali nel chiuso di bagni squallidi come la sua vita. Sempre più depresso, ha quasi smesso di fumare e raramente beve birra perché non può permetterselo. Si sente come uno sbandato alla fine di una guerra: le strade, le case, le persone gli appaiono nemiche. Più che cercare lavoro, tanto sa che per lui non ce n’è, vaga per la città. A fine giornata con lo stomaco che grida per la fame, ritorna a casa per andarsene subito a dormire dopo una cena, che manda giù veloce come Gento quando si involava lungo la fascia sinistra. Ha un pensiero fisso: il ricordo di quel giorno che lo tormenta ogni giorno. Pensa a quello che sarebbe potuto essere, a quello che è diventato. Soldi per lo psicologo non ce ne sono e Diego Armando deve superare la sua pena con le sue forze: a volte sembra quasi di avercela fatta e accettarsi per quello che è, molto più spesso piange disperato per la sua condizione. non riuscendo a liberarsi da quella tortura che segna il suo fisico e la sua mente. Ha imparato i mille modi per definire il lavoro, mai in modo giusto. Il non lavoro è il peggiore di tutti: ti fiacca e ti uccide lentamente, scavando dentro giorno dopo giorno, senza darti la forza o la voglia di tentare una via e intravvedere una luce in fondo a un tunnel che non finisce mai. Un giorno incontra per strada Adele, una vecchia ricurva e nodosa come un olivo che viene sballottata, fra lamenti e gridolini di dolore, dai suoi tre cani, nemmeno tanto grossi. Diego Armando le si accosta e si offre di portarle i cani fino all’uscio di casa. Ad Adele Diego Armando sembra un bravo ragazzo e gli propone di portare a spasso i suoi cagnolini per lei tre volte a settimana. Pasto assicurato e pochi spiccioli per il disturbo, di più non può. Per Diego Armando sono gocce d’acqua nel deserto, ma sempre meglio di niente. Con cura e coscienza porta a spasso i cagnolini, ne raccoglie le deiezioni per evitare multe; ne viene trascinato. Li strattona con forza ogni pochi passi, accompagnando il gesto con un “Allora?” duro e perentorio. I cani ne restano intimiditi e allentano la tensione dei guinzagli per un attimo di sollievo, poi riprende la sua andatura a singhiozzo. Sono ormai tre mesi che sta appresso ai cagnolini di Adele, non ne può più, ma non vuole rinunciare a quel misero compenso. Sale all’undicesimo piano con l’ascensore, che finalmente oggi funziona. Il tramonto si affaccia al balcone di Adele, fa ancora caldo. Diego Armando suda come durante una delle tante partite nei campetti intorno a casa sua; è nervoso, inquieto, stremato: oltre al calcio non ha mai avuto niente e non riesce a trovare alternative, se solo avesse studiato… Adele lo raggiunge sul balconcino: “Dieguccio, siediti sul balcone, ti porto la cena; aspettami qui, torno subito”. Torna sul balcone, ma di Diego Armando non c’è traccia, cerca per casa, bussa alla porta del bagno senza ottenerne risposta. Spaventata Adele guarda meglio sul balcone, come se Diego Armando fosse diventato così piccolo da doverlo cercare negli angoli; istintivamente vi si affaccia: un ammasso indistinto di ossa rotte, viscere esplose e di sangue ingombra il cortile, undici piani più in basso. 3