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PROBLEMI
DI CRITICA GOLDONIANA
XIII
diretti da
MANLIO PASTORE STOCCHI E GILBERTO PIZZAMIGLIO
Numero speciale
Carlo Gozzi entre dramaturgie de l’auteur
et dramaturgie de l’acteur:
un carrefour artistique européen
a cura di
ANDREA FABIANO
LONGO EDITORE RAVENNA
2007
Università Paris - Sorbonne
Institut de recherche sur le patrimoine musical en France
Convegno di studi
Carlo Gozzi entre dramaturgie de l’auteur et dramaturgie de l’acteur:
un carrefour artistique européen
23-25 novembre 2006
a cura di Andrea Fabiano
CAMILLA M. CEDERNA
(Università Lille 3)
Specchi pericolosi.
Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
L’obiettivo di questo intervento è di analizzare la polemica di Carlo Gozzi contro il nuovo genere flebile francese che, attraverso le traduzioni di Elisabetta Caminer, stava invadendo la scena veneziana, a partire dagli anni ’70
del 700. Mi soffermerò in particolare sulla critica alle opere di Louis-Sébastien Mercier, che in assoluto suscitano le maggiori preoccupazioni nel nostro autore. Insieme al loro contenuto, ciò che sembra rendere particolarmente pericolosi questi drammi è soprattutto la loro strategia retorica pateticopassionale, per i suoi effetti sugli spettatori. Accanto alla condanna politica
e morale, Gozzi sviluppa anche una critica del nuovo genere da un punto di
vista più strettamente teatrale. Così, in questa battaglia, egli può presentarsi
come salvatore della patria e al tempo stesso del teatro, entrambi minacciati,
nella loro stessa esistenza, dagli «impostori» teatrali, cioè dagli scrittori stranieri, soprattutto francesi, e dai loro traduttori italiani.
Il genere serio a Venezia nell’anno 1772
A partire dagli anni ’70, la crisi della scena veneziana è sotto gli occhi di
tutti: «In fatti languivano già le scene italiane [...] né più [i comici] sapevano
a quali componimenti appigliarsi, per recare agli ascoltatori diletto, e a sé
medesimi lavoro ed applauso»1. Così rifletteva Francesco Albergati Capacel-
1
Cit. in A. BENISCELLI, «Introduzione» a C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, a cura di A.
Beniscelli, Genova, Costa e Nolan, 1983, p. 17.
Copyright Longo Editore 2007
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li nella prefazione al Sofà (1770), una commedia con la quale egli cercava di
soddisfare il grande bisogno di novità in campo teatrale, ricorrendo a nuove
formule, come la combinazione tra la commedia dell’arte e la favola. Malgrado i molteplici tentativi di rinnovamento realizzati qualche anno prima da
Carlo Goldoni, l’insaziabile pubblico veneziano era accorso ad applaudire le
nuovissime Fiabe teatrali del conte Carlo Gozzi. Ma agli inizi degli anni ’70,
finita la stagione delle Fiabe teatrali, la volubilità del pubblico veneziano è
di nuovo all’origine dei turbamenti politico-teatrali che movimentano la scena culturale della Repubblica. Numerosi autori ricorrono allora alla traduzione di opere straniere, in particolari francesi. Perfino Gozzi viene coinvolto
suo malgrado (come egli stesso affermerà nell’introduzione alla traduzione
del Fajel di Baculard d’Arnaud), in questa frenetica attività di traduzione e
adattamento2. A riscuotere il maggior successo tra il pubblico, sono soprattutto i drammi del genere serio e lacrimoso teorizzato da Diderot e considerato da numerosi letterati italiani un genere superiore alla tragedia a causa
del suo valore pedagogico e morale3. Grazie all’opera di traduzione di Elisabetta Caminer Turra, una giovane letterata impegnata, insieme a suo padre
Domenico, nella battaglia delle idee attraverso il giornale l’«Europa letteraria», cominciano a imporsi sulla scena teatrale italiana autori come Diderot,
Saurin, Falbaire, Mercier4.
2
Gozzi adatta due tragedie: La Veuve du Malabar di Lemierre (1770) e il Fajel di Baculard
d’Arnaud (1772), oltre a realizzare adattamenti di altre opere che non saranno mai pubblicati
(la Cena mal apparecchiata, l’Avvocato raggiratore, il Francese a Londra, il Lacché gentiluomo) e che cita nel suo Manifesto dedicato a’ magnifici signori giornalisti, prefattori, romanzieri, pubblicatori di manifesti e foglivolantisti dell’Adria, Venezia, Colombani, s. d., ma 1772
(cfr. C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 16). Su queste traduzioni si legga il contributo
di L. Comparini in questo volume.
3
Sul genere lacrimoso in Italia, cfr. E. LEVI MALVANO, La fortuna d’una teoria drammatica
in Italia, in «Giornale storico della letteratura italiana», 105, 1935, pp. 60-103.
4
Il Padre di famiglia di Diderot (1758), viene tradotto nel 1762, e Gozzi afferma di aver
letto in francese questo «dramma ottimo», e di averlo visto rappresentare in italiano almeno otto volte (Appendice al Ragionamento ingenuo, cit., p. 133). Il Beverley di Bernard-Joseph Saurin è rappresentato nel 1769; L’Honnête criminel ou l’Amour filial (1768) e Le Fabricant de
Londres di Charles-Georges Fenouillot de Falbaire sono rispettivamente rappresentati a Venezia nel 1769 e nel 1771. Ma come vedremo, sono le opere di Louis-Sébastien Mercier, tradotte
e rappresentate tra il 1771 e il 1772, quelle che ottengono il maggior successo, tanto da provocare l’offensiva di Gozzi. Francesco Gritti prepara una raccolta di traduzioni di tragedie francesi, Teatro tragico francese ad uso de’ teatri d’Italia (Venezia, Fenzo, 2 voll., 1776), e anche
Francesco Albergati Capacelli traduce alcune tragedie francesi che pubblicherà nel suo Nuovo
teatro comico (Venezia, Pasquali, 1774). Al tempo stesso viene iniziato il progetto di tradurre
l’opera teatrale completa di Voltaire (Teatro del signor di Voltaire trasportato in lingua italiana, Venezia, Fenzo, 1771; Teatro del signor di Voltaire trasportato in lingua italiana, Venezia,
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Le traduzioni di Elisabetta Caminer, così come le rappresentazioni teatrali
che immediatamente seguono, sono accompagnate da interventi critici in favore del nuovo genere pubblicati sulle pagine dell’«Europa letteraria»5. Nella
sua prefazione alle Composizioni teatrali moderne, del 1772, l’elogio del
dramma flebile, considerato come un modello da imitare in Italia, è introdotto
da una critica alla commedia dell’arte e di altri prodotti del «secolo della barbarie Italiana»6. In paragone con la produzione letteraria italiana dei secoli
precedenti, Caminer individua nella nazione francese il modello sempre valido di ragionevolezza, buon gusto e corretto utilizzo delle passioni7. Così, anche nel presente, la spinta a far risorgere il teatro italiano continuerebbe a provenire dagli autori francesi che «pensarono a trar profitto dall’immenso fondo
delle combinazioni famigliari»8. Mettendo in scena «le tragiche avventure degli uomini privati», nonché «i guai delle private ed oscure famiglie», autori
come d’Arnaud, Beaumarchais, Mercier, Saurin, de Falbaire, avrebbero creato un nuovo genere di drammi, né triviali, né tragici o sublimi9, che commuovono i cuori denunciando i comportamenti viziosi e mostrandone le terribili
conseguenze in ambienti famigliari, comuni. In questo senso, le lacrime rappresentate sulla scena e al tempo stesso indotte negli spettatori dai drammi
flebili e patetici, avrebbero qualcosa di profondamente etico, di cui sono del
tutto sprovvisti, secondo Caminer, i generi comici e burleschi:
Pezzana, 1774-1776, 6 voll.). Alla fine del secolo verranno pubblicate le grandi collane di opere teatrali francesi tradotte: Biblioteca teatrale della nazione francese (Venezia, 1793-1796, 27
voll.) e Teatro moderno applaudito (Venezia, 1796-1801, 61 voll.). Sulla figura di Elisabetta
Caminer e sulla sua attività di traduttrice, cfr. A. DE PAOLIS, Una letterata veneta tra giornalismo e traduzioni: Elisabetta Caminer Turra, in Traduzioni letterarie e rinnovamento del gusto:
dal Neoclassicismo al primo Romanticismo, a cura di G. Coluccia e B. Stasi, Lecce, Congedo,
2006, vol. 2, pp. 137-148.
5
Agli interventi di Elisabetta Caminer, Gozzi risponde nella sua prefazione alla traduzione
del Fajel (1772), nella quale non solo esprime le sue critiche nei confronti del testo da lui tradotto, ma attacca apertamente la commedia lacrimevole in genere. La replica di Caminer non
si farà attendere: la ritroviamo nell’introduzione alla sua raccolta, Composizioni teatrali moderne tradotte da Elisabetta Caminer, Venezia, Colombani, 1772.
6
Un secolo troppo servile e caratterizzato, come afferma paradossalmente la nostra traduttrice, da un eccesso di traduzioni, e di commedie dell’arte: «Le scene d’Italia erano ingombre
di mostruosità strampalate, e d’insipidi centoni, a’ quali fu dato il nome di Comedie dell’Arte»
(Composizioni teatrali, cit., p. IX); inoltre accanto alle commedie dell’arte circolavano tragedie
«più atte a destar l’orrore che la tenera pietà» (ibid., p. VII), opere stravaganti di origine araba,
importate dalla Spagna, ed altre ancora caratterizzate dal «falso meraviglioso» (ibid., p. IX).
7
«La ragione, il buon senso, il maneggio delle passioni, la delicatezza, la forza della Poesia
Teatrale si stabilì sul Teatro di Francia, e vi si mantiene tuttora» (Ivi).
8
Ibid., p. X.
9
Ibid., pp. X-XI.
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Deh lasciateci piangere pelle disavventure che opprimono la virtù, anziché costringerci a ridere pelle felici riuscite della malizia, del vizio! [...] noi siamo paghi d’una serie commovente d’avvenimenti famigliari piucché d’un giro forzato
di stravaganze. Lasciateci adunque far uso in pace delle potenze dell’anime nostre sensibili; e andate pure dove si ride, che non saremo men buoni amici per
quella differenza di genio10.
In questo fatidico anno 1772, nel tentativo di arginare il flusso di opere
lacrimose che sta ormai inondando Venezia, Gozzi decide di pubblicare le
sue Fiabe, premettendo al primo volume dell’edizione Colombani il suo manifesto teorico: Ragionamento ingenuo e storia sincera dell’origine delle
mie dieci Fiabe teatrali (1772). La spiegazione dell’origine delle sue Fiabe,
intese a ridare vita alla grande tradizione della commedia improvvisa, ha un
obiettivo polemico preciso: opporre alla poetica delle lacrime incarnata dal
genere serio, una poetica del riso, della quale la sua opera sarebbe il prodotto11. A un decennio dalla partenza di Goldoni, la ripresa delle ostilità contro
il suo antico rivale, «il più fiero combattitore della commedia nostra improvvisa, che l’Italia abbia avuto»12, va allora compresa in questa direzione. Gozzi vede nell’opera riformatrice di Goldoni, nonchè in alcune sue commedie,
una sorta di anticipazione del genere flebile e famigliare13; un genere il cui
10
Ibid., pp. XIV-XV.
Come mostra Anna Scannapieco, la decisione di pubblicare le sue opere non va intesa
come una reazione difensiva, ma come una vera e propria guerra aperta da Gozzi contro il nuovo genere, in risposta alle «provocazioni» rappresentate dal grande successo ottenuto dalle traduzioni del nuovo genere serio francese, anche grazie all’incessante opera di promozione svolta dalla stessa Caminer sulle colonne dell’«Europa letteraria». Inoltre, un’altro fattore scatenante era stato il ‘ritorno’ di Goldoni, il cui Bourru bienfaisant, dopo il grande successo ottenuto in Francia, era stato subito recensito sull’«Europa letteraria» (1771), tradotto e rappresentato a Venezia durante il carnevale del 1772. Cfr. A. SCANNAPIECO, Carlo Gozzi: la scena del
libro, Venezia, Marsilio, 2006.
12
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 79.
13
Gozzi rimprovera a Goldoni, convinto che «la verità piace sempre», la rappresentazione
di ogni verità senza distinzioni: «Espose sul teatro tutte quelle verità, che gli si pararono dinanzi, ricopiate materialmente, e trivialmente, e non imitate dalla natura, né coll’eleganza necessaria ad uno scrittore. Non seppe, o non volle separare le verità che si devono, da quelle, che
non si devono porre in vista sopra un teatro; ma si è regolato con quel solo principio, che la verità piace sempre» (ibid., pp. 79-80). «Moltissime delle sue commedie non sono, che un ammasso di scene, le quali contengono delle verità, ma delle verità tanto vili, goffe, e fangose,
che, quantunque abbiano divertito anche me medesimo animate dagli attori, non seppi giammai
accomodare nella mia mente, che uno scrittore dovesse umiliarsi a ricopiarle nelle più basse
pozzanghere del volgo [...]» (ibid., p. 80). Secondo Gozzi nelle sue commedie spesso sembrano trionfare i vizi sulle virtù, mentre verrebbero rovesciati i valori tradizionalmente espressi
dalla Commedia nella rappresentazione delle classi sociali, rendendo i nobili ingiusti e ridicoli
11
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successo, osserva Gozzi, si deve a traduttori come Elisabetta Caminer, che
per pura e semplice cupidigia, «rabbiosa venalità» brama di «dilatare la fonte
de’ loro proventi ne’ teatri», avrebbero mosso una guerra alla commedia improvvisa, cercando di sostituirla con «delle semplici traduzioni dal francese»14. Così oltre ad aver contaminato il gusto nazionale con novità straniere,
come il «dramma flebile di nobile passione», destinate a non durare, essi
avrebbero provocato nel pubblico desideri di «sognata coltura», rendendolo
insoddisfatto «di quella picciola umana felicità, che può dare un passeggiero
teatrale divertimento»15.
I drammi di Louis-Sébastien Mercier
Del nuovo genere serio che stava dilagando sulle scene italiane e veneziane in particolare, l’autore che maggiormente preoccupa Gozzi è senza
dubbio l’«ingegnoso, e pericoloso signor Mercier»16. Giornalista, saggista,
scrittore e teorico del teatro17, Mercier era in realtà ai margini della scena
culturale francese dell’epoca: solo uno tra i suoi drammi, La Brouette du vinaigrier (1776), venne rappresentato dalla Comédie-Française. L’autore dovette anche subire un’umiliante offesa da parte degli attori che, per vendicarsi delle innumerevoli critiche da lui ricevute, gli vietarono l’accesso in sala18.
e la plebe «esempio della virtù» (Ivi). Sulla componente ‘lacrimosa’ nel teatro di Goldoni, cfr.
L. COMPARINI, Des Mouchoirs et des larmes. Pathétique et passion de la page à la scène, in
Goldoni, le livre, la scène, l’image, in «Chroniques italiennes», n. 38, 1994.
14
Le citazioni sono tratte rispettivamente da GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., pp. 57,
52, 53.
15
Ibid., p. 77.
16
Ibid., p. 97. Sulla diffusione di Mercier in Italia, cfr. F. WAQUET, Mercier et l’Italie, in
L.-S. Mercier (1740-1814). Un hérétique en littérature, a cura di J.C. Bonnet, Paris, Mercure
de France, 1995, pp. 351-374.
17
Autore del trattato Du théâtre (1773), di De la littérature et des littérateurs (1778), L’An
2440 (1770); quest’ultima opera venne pubblicata anonima e subito censurata in Francia. Anche a Roma l’Inquisizione proibì il romanzo nel 1773. Nei dodici volumi del Tableau de Paris
[1782-1788] (a cura di J.C. Bonnet, Paris, Mercure de France, 1994) analizza e decifra la città
di Parigi in tutti i suoi aspetti. In seguito, dopo la Rivoluzione, scrive i sei volumi del Nouveau
Paris [1798], a cura di J.C. Bonnet, Paris, Mercure de France, 1994 e Mon bonnet de nuit
[1784], a cura di J.C. Bonnet, Paris, Mercure de France, 1999.
18
Cfr. R. TESSARI, Teatro e spettacolo nel Settecento, Bari, Laterza, 1995, pp. 184-185, sull’ostilità della stampa e degli attori ai quali Mercier rimproverava la loro presunzione e incapacità. Nel 1773 la Comédie-Française aveva accettato Nathalie, ma rifiutava di metterla in
scena.
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Emarginato in Francia, soprattutto per motivi legati alla sue prese di posizione in campo teatrale, egli è invece estremamente popolare in tutta l’Italia,
grazie a un’intensa attività di traduzione e rappresentazione dei suoi drammi.
Solo per fare un esempio, per quanto riguarda la traduzione del suo teatro in
Italia, tra il 1772 e il 1789, egli è al terzo posto, dopo d’Arnaud, ma prima di
Beaumarchais, e a Venezia, è superato solo da Voltaire19. Alcuni dei suoi
drammi, vengono subito tradotti e messi in scena a Venezia, come il Disertore rappresentato nel 1771 con successo per 23 sere di seguito, lo Jenneval
nello stesso anno e l’anno dopo l’Indigente20.
Non c’è da stupirsi che Gozzi metta questo scrittore al centro della sua
polemica contro il nuovo genere flebile e famigliare21. Ammiratore dell’Eugénie di Beaumarchais e del Beverley di Saurin, Mercier è autore prolifico di
quei drammi utili, che Elisabetta Caminer considera un modello del nuovo
genere. Seguace di Diderot, in quanto inventore di una nuova drammaturgia,
egli è a sua volta autore di un trattato sul teatro che fece scandalo, Du théâtre
ou nouvel essai sur l’art dramatique (1773), nel quale afferma che il teatro
può e deve avere uno scopo morale, diventare una scuola di virtù per il popolo. Nella prefazione a Jenneval, che definisce «drame utile», Mercier spiega la sua concezione del nuovo genere («genre utile»), il cui scopo è combattere i vizi che minacciano l’ordine sociale22. La nozione di educazione po-
19
Cfr. F. WAQUET, op. cit., p. 352.
Il Déserteur (1770), cinque atti in prosa (in E. CAMINER, Composizioni teatrali moderne,
cit., t. I); Jenneval ou le Barnevelt français (1769), dramma in 5 atti e in prosa, messo in scena
al Sant’Angelo nell’autunno 1771 (ibid., t. IV); l’Indigent, drame en quatre actes, en prose
(1772) (in EAD., Nuova raccolta di composizioni teatrali, Venezia, Savioni, 1774-1776, t. I).
Vi furono anche alcune rappresentazioni private, come quella del Disertore recitato nella villa
di Medicina, vicino a Bologna, di Francesco Albergati Capacelli, il 14 luglio 1771, e poi ancora
nel 1783. Il dramma piacque talmente che, secondo l’organizzatore dello spettacolo, fece
«piangere gli spettatori, gli attori e perfino il suggeritore che non riusciva più svolgere il suo
compito»; e Alessandro Verri fece rappresentare L’indigente, nel 1777, recitando lui stesso la
parte di Joseph e sua moglie quella di Charlotte, cfr. F. WAQUET, op. cit., p. 361.
21
Oltre alle sue opere teatrali, Gozzi conosceva il suo romanzo, L’An 2440 (1770), che definisce «Libro ripieno di bellezze, di verità, di poetiche immagini, di cavilli, d’impossibilità, di
sofismi, di contraddizioni, di temerità, e d’empietà, come sono quasi tutti i libri, che oggidì
giungono dalla Francia a farci l’onore di renderci caricature, e di farci impazzire» (Appendice
al Ragionamento ingenuo, cit., pp. 97, 112). Gozzi vi riprende in particolare le osservazioni di
Mercier sui teatri parigini e sugli attori francesi, paragonati a quelli italiani e riferisce l’atteggiamento critico dello scrittore verso il decreto reale del 1710 che vietava ai comici di esprimersi recitando testi nei teatri.
22
Théâtre complet de M. Mercier, Amsterdam, 1778, Genève, Slatkine Reprints, 1970,
p. 10 (7). D’ora in poi tutte le citazioni dei drammi di Mercier sono tratte dalla ristampa (il
numero tra parentesi si riferisce alla pagina dell’edizione del 1778).
20
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polare è al centro delle preoccupazioni teoriche di Mercier, che vede appunto
nel nuovo dramma una forma di «instruction générale», rivolta a un vasto
pubblico («le gros de la nation»), «à cette multitude, où repose une foule
d’âmes neuves et sensibles, qui n’attendent, pour s’émouvoir, que le cri de la
nature»23. A differenza dalla tragedia («orgueilleuse tragédie»), regno di
grandi e astratti interessi, questo genere utile si rivolge al popolo (all’«oreille
du peuple») che deve intenerire con le sfortune reali e presenti dei nostri simili24. I drammi di cui ha bisogno la nazione sono infatti quelli che, come il
Père de famille o Beverley, possono avere un effetto morale sicuro poiché riguardano eventi e cittadini ordinari: «Il est réservé, sans doute, au siècle de
la philosophie de donner au peuple un genre dont il puisse entendre et reconnaître les personnages»25.
Grazie ai progressi della filosofia e a questo nuovo genere che ne è il prodotto, i monarchi scendono dal palco e prendono posto tra gli spettatori
(«l’oreille des Princes») mentre gli umili salgono sulla scena26. Questa inversione di valori ricorda quella già operata da Goldoni, che, come gli rimprovera Gozzi, facendo dei nobili «lo specchio dell’iniquità, e il ridicolo; e della
vera plebe, l’esempio della virtù», aveva già messo pericolosamente in dubbio «il necessario giogo della subordinazione»27. Ma con Mercier facciamo
qualche passo avanti. Divenuto metafora di un nuovo ordine sociale, il dramma serio potrebbe rendere realizzabile l’utopia: «L’inverse du Théâtre deviendroit peut-être la forme la plus heureuse, comme la plus instructive. Le
paysan du Danube paroit un instant au milieu du Sénat de Rome, et devient
le plus éloquent des Orateurs»28. Mercier è convinto dell’utilità di un teatro
nazionale, che dipinga situazioni reali e concrete come, per esempio, la
scena di una famiglia povera costretta a lavorare notte e giorno, e malgrado
23
Ibid., p. 9 (6).
«Crimes stériles», «crimes des Têtes couronnées», Ivi. Dialogando con i tre grandi scrittori del suo secolo, Voltaire, Diderot e Rousseau, Mercier rimprovera a Voltaire la scelta del
verso accademico e della tragedia; definisce con disprezzo «tragédistes» gli autori di tragedie
che secondo lui hanno «renoncé au bon sens, à la nature, à la vérité historique; ils ne font pas
une pièce qu’il n’y ait d’abord un tyran: c’est la base fondamentale de l’édifice sérieusement
grotesque» (cfr. la voce «Tragedistes», in Nouveau Paris, cit., t. II, cap. DCCLIX, p. 749). Apprezza Rousseau e in particolare la Lettre à d’Alembert e la Nouvelle Héloïse, e si dedica all’edizione delle sue opere complete (1788-1793).
25
Ibid., p. 10 (10).
26
«[...] ce serait aujourd’hui au Monarque à descendre au rang des auditeurs, et ce serait
au Pâtre à monter sur scène», ibid., p. 10 (7).
27
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 80.
28
L.-S. MERCIER, Théâtre complet, cit., p. 10 (7).
24
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questo condannata all’orrore della miseria; facendo leva sui sentimenti, un
tale teatro potrebbe suggerire sane idee in campo politico e legislativo: «Ce
tableau offert à la patrie, pourroit l’éclairer par sentiment, lui donner des
idées plus saines de politique et de législation, démontrer leur vices actuels,
et par conséquent il seroit plus utile à tracer que ces lointaines révolutions arrivées dans ces états qui ne peuvent nous toucher en rien»29.
Su questi principi si fondano appunto drammi come Jenneval (1769), Le
Déserteur (1770) e L’Indigent (1772), offerti al pubblico italiano e veneziano
dell’epoca. In essi si oppongono due sistemi: quello caratterizzato dalle virtù
(sincerità, onestà, umiltà) che suscitano commozione, da un lato, e quello in
cui dominano i vizi (finzione, arroganza, lusso), spesso associati al riso,
dall’altro. Le lacrime intervengono ogni qual volta i personaggi virtuosi cercano di difendere i loro valori più profondi, minacciati e derisi in situazioni
di seduzione, menzogna, sopraffazione. Inoltre attraverso questi drammi viene messa in scena la funzione educativa del nuovo genere. I vari quadri (tableaux) rappresentati sono altrettanti spettacoli offerti ai personaggi e agli
spettatori che, grazie all’elemento patetico e sentimentale, vengono sollecitati a prendere coscienza dell’ingiustizia e a ribellarsi. In questo senso, gli
elementi distintivi del genere (lacrime, pathos, sentimenti) sono strettamente
connessi al sistema di valori etico e politico. In Jenneval, per esempio, il riso
è il simbolo della finzione e della corruzione attraverso l’opera di seduzione
di Rosalie, che riesce a traviare il giovane e onesto amante, spingendolo a rubare e a uccidere. Al tempo stesso, le lacrime di Rosalie, a differenza da
quelle versate dai personaggi onesti e virtuosi, sono false, e servono a ingannare Jenneval, come cerca di avvertirlo l’amico Bonnemer: «Jeune imprudent! Ces larmes que tu vois couler sont fausses et perfides comme elle»30.
Per ottenere un effetto morale e educativo sugli spettatori, è però necessaria
una certa moderazione, spiega Mercier nella sua prefazione a Jenneval 31. Il
quadro offerto al pubblico non deve ferirlo, suscitare in lui orrore mostrandogli sulla scena la corda, il patibolo e il boia. Molto più di un’irrevocabile
29
Ibid., p. 10 (8).
Ibid., II, 6, p. 21 (52).
31
Dall’originale inglese al quale si ispira (la tragedia The London Merchant or the History
of George Barnwell, di George Lillo, rappresentata nel 1731), egli avrebbe infatti eliminato le
scene più cruente, come quella in cui Barnevelt sale sul patibolo con le mani sporche di sangue,
dopo aver assassinato lo zio; una scena che avrebbe rivoltato il pubblico francese, composto da
«âmes sensibles qui viennent s’attendrir et pleurer à son spectacle», e che certo non sono disposte a versare lacrime per un assassino: «nous n’avons point de larmes à donner à un meurtrier», ibid., p. 9 (4-5).
30
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condanna, il sentimento di pietà e il perdono, possono svolgere un ruolo morale sui personaggi, così come sugli spettatori. La stessa strategia verrà utilizzata dalla Caminer nella traduzione italiana del Déserteur, sostituendo la
fine tragica del dramma col lieto fine. Contrariamente a ciò che accade nel
dramma originale, nella versione italiana le lacrime di Clary riescono a salvare l’eroe condannato a morte che in extremis ottiene la grazia32. Il motivo
di questo cambiamento, spiega la traduttrice, è che lo scopo politico ricercato
dal testo originale, vale a dire la denuncia di una legge spietata contro i disertori, non aveva pertinenza nel contesto italiano, mentre restava sempre valido il suo scopo morale33.
Nel Déserteur, opera nella quale Mercier condanna la guerra, fonte di sofferenza e di comportamenti disumani («métier aussi sérieux et qui doit faire
couler nos larmes»34), l’occorrenza spesso ravvicinata dei due termini, larmes
e armes, ne sottolinea l’opposizione e al tempo stesso la coincidenza, il loro
comune funzionamento: «Madame Luzère: [...] que vous avez dû fermer de
plaies sanglantes, essuyer des larmes amères, épargner des calamités [...]»,
«St. Franc: [...] L’infortune, en premier lieu, me fit prendre les armes, l’habitude m’en a fait dans la suite un pénible devoir [...]»35. Le lacrime possono an-
32
Mentre nell’originale francese: «Clary: Le voilà révélé, ce terrible secret. Quoi! Durimel
est arrêté comme Déserteur... Il est au milieu des soldats... Il est peut-être condamné... Il va périr... Juges cruels! Mes larmes pourront elles vous apaiser. Ah! courrons le sauver, ou mourons», III, 4, p. 54 (182). Protagonista del Déserteur è Durimel, un giovane soldato diventato
disertore dopo aver subito per anni le molestie di un colonnello autoritario e violento. Egli trova asilo in un villaggio sulla frontiera tedesca, e si innamora riamato della giovane Clary, figlia
della vedova che lo ospita. Nel momento in cui sta per sposarsi l’arrivo del reggimento francese, lo getta nella disperazione. Egli è riconosciuto e la sua condanna a morte, deve esser eseguita da un ufficiale che scopre essere suo padre, di cui aveva perso ogni traccia dopo la forzata
separazione avvenuta nell’infanzia.
33
«Io ho però dovuto cangiarne il fine. Noi non siamo avvezzi alla durezza sanguinaria pell’ordinario e implacabile della legge di morte contro a quegl’infelici che disertano: lo scopo
politico non avea dunque luogo fra noi, e pello scopo morale bastavano le angoscie che soffre
l’infelice Disertore», cfr. E. CAMINER, Composizioni teatrali moderne, cit., p. XVII. Il significato politico del dramma francese denunciato da Gozzi, viene rivendicato da Mercier nella lettera indirizzata a E. Caminer, nella quale approva la scelta della traduttrice italiana di modificare il finale: «Cette mort a déplu en France comme en Italie. Je voulois donner à ma pièce un
but politique, éclairer ma Nation sur l’horreur de cette loi inhumaine qui dispose si froidement
de la vie d’un homme qui ose rentrer dans le droit naturel. J’ai cru la disposer à rejeter la loi
en lui en offrant le tableau. Elle n’a pu souffrir en peinture ce qu’elle admet en réalité. C’est
un nouveau remerciement que je vous dois pour avoir changé cette sanglante catastrophe», in
ibid., p. XVIII).
34
III, 1, p. 50 (168).
35
III, 1, p. 51 (169).
232
Camilla M. Cederna
che essere usate come armi di difesa e di attacco: le larmes contro le armes.
Così come il «triste spectacle de la guerre», anche il dramma che lo rappresenta può svolgere un ruolo positivo sugli spettatori: «Ah! Comment le triste
spectacle de la guerre, en offrant des scènes si douloureuses, ne rendroit-t-il
pas le cœur de l’homme plus tendre et plus sensible?»36. Le larmes diventano
allora delle armes, strategie retoriche di persuasione. L’esemplarità dell’azione di questo dramma lo avvicina alla tragedia: il sacrificio di Durimel, devoto
alla morte che lo renderà immortale, e al tempo salverà l’onore paterno, ricorda il sacrificio di Bruto, costretto a uccidere i propri figli37. La morte del figlio
è più utile della sua vita: servirà a salvare altri giovani, scoraggiandoli dal disertare, ma soprattutto a mostrare al pubblico-popolo l’ingiustizia di una legge barbara e omicida38. Le lacrime sono ormai integrate al modello tragico:
«St. Franc: Mon fils! Que ces voeux montent jusqu’à toi! Et vous, Maître suprême des humains, acceptez le sacrifice de nos larmes»39.
Anche nell’Indigent, dramma che denuncia apertamente l’ingiustizia sociale, la ricchezza di pochi come responsabile della povertà dei molti, le lacrime appartengono all’universo virtuoso degli umili, mentre il riso, il mezzo
sorriso e la derisione, a quello corrotto della ricchezza40. Il facoltoso libertino
de Lys crede che tutto si possa ottenere grazie al denaro, deride le virtù difese
dai poveri, come l’onore, e cerca invano di corrompere Charlotte, convinta
che la ricchezza sia superflua, fonte di infelicità e indigenza. Ridere è anche
una forma di finzione, dietro la quale de Lys cerca di nascondere lo scandalo
del suo fallimento erotico. Spaventato dalla fucililata con la quale Charlotte
mette fine al suo tentativo di violenza carnale, egli reagisce ridendo, o meglio
fingendo di ridere e esorta il suo domestico a comportarsi nello stesso modo:
«Courons vîte au devant. Montrons que ce n’est rien... Fais semblant de rire.
(avec humeur) Eh ris donc... » / Felix, (s’efforçant de rire): Oui, oui, Monsieur, je rirai... Ah Ah Ah»41. Se col riso il ricco può offendere e disprezzare
36
Ivi.
Nel Bruto primo di Alfieri il sublime del soggetto tragico nasce dal conflitto tra l’amore
paterno e l’amore per la libertà, tra passioni private e pubbliche: «Perché la più nobile ed alta
passione dell’uomo, l’amore di libertà, vi si trova contrastante con la più tenera e forte, l’amore
di padre. Da un tale sublime contrasto ne debbono nascere per forza dei grandiosissimi effetti»,
V. ALFIERI, Parere sulle tragedie, in Il teatro italiano. Vittorio Alfieri. Tragedie, vol. IV, a cura
di L. Toschi, introduzione e appendice di S. Romagnoli, Torino, Einaudi, 1993, t. II, p. 741.
38
IV, 3-4; V, 8.
39
V, 9, p. 66 (229).
40
«Je ne suis pauvre que parce qu’il y a trop de riches» esclama Joseph, il protagonista, II,
2, p. 223 (34).
41
II, 6, p. 228 (54).
37
Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
233
la virtù del povero, e al tempo stesso mascherare i propri atroci comportamenti, le lacrime dell’onesto e virtuoso indigente possono al contrario produrre un effetto benefico, incutere sentimenti anche nei personaggi più avidi
e calcolatori. Davanti alla minaccia del procuratore du Noir, deciso a cacciare di casa Charlotte e Joseph per soddisfare i capricci di de Lys, la ragazza
reagisce piangendo «Arrêtez, non Monsieur, non vous ne vous en irez pas;
vous m’écouterez, vous verrez mes larmes [...]»42. Le lacrime di Charlotte ottengono un effetto imprevisto sul procuratore che esce di scena commosso.
Al tempo stesso le lacrime possono essere fonte di piacere, in quanto sintomo di virtù e forza morale, da opporre al piacere derivato dalla ricchezza accumulata ingiustamente. Per rendere questo rovesciamento dei valori (ricchezza materiale = povertà morale / povertà materiale = ricchezza spirituale),
Mercier ricorre alla figura dell’ossimoro: «Riches malheureux, gardez votre
or indigent, et laissez-nous la volupté des larmes»43. Anche in questo dramma, attraverso le lacrime dei personaggi, viene tematizzato il ruolo educativo
e moralizzatore del drame larmoyant. Questo genere serio è esplicitamente
opposto all’opera («Que deviendrai-je d’ici à l’heure de l’opera?») e alla
commedia («Et mon Cocher qui mène à l’Italienne, ne veut donc pas guérir?»), generi preferiti dal giovane ricco e vizioso44. Mentre è associato a un
testo come Pamela, che è stato tra l’altro un vero e proprio romanzo di formazione per la protagonista Charlotte45.
La critica di Gozzi
Per diversi motivi Gozzi è convinto che la produzione e diffusione in Italia di «drammi flebili famigliari», di «opere comiche d’indole romanzesca, e
di circostanze da piagnistei» sia da evitare accuratamente46. Si tratta secondo
lui essenzialmente di opere scadenti e prive di qualsiasi originalità, e quindi
incapaci di garantire la «sussistenza» dell’attività teatrale dal punto di vista
economico. Ma soprattutto di opere politicamente e moralmente pericolose,
«perniziose con sublimità», che attraverso la «commozione» e il patetico,
trasmetterebbero idee sovversive, definite dai loro propugnatori come sana e
morale educazione:
42
I, 4, p. 220 (23).
III, 3, p. 231 (67).
44
II, 1, p. 221 (28).
45
II, 5, pp. 226-227 (49-50).
46
Introduzione alla sua traduzione del Fajel, Tragedia del Sig. D’Arnaud, tradotta in versi
sciolti dal co: Carlo Gozzi, Venezia, Colombani, 1772, p. 24.
43
234
Camilla M. Cederna
L’aspide sta in quel sublime insidioso, che colla “commozione” degl’animi introducono alcun de’ novelli drammi flebili famigliari dalle “nobili passioni”, tradotti, e difesi ne’ nostri teatri dagl’impostori per cecità, per venalità, o per malizia
come strumenti di una sana morale educazione. Il sostenere con efficacia, ed industria continuamente il ius di natura; il dipingere co’ più vivi tratti della eloquenza i superiori da mal consiglio ingannati, fallaci, e tiranni; pregiudizi le ben
fondate regole delle famiglie, e le leggi; ingiustamente divise le facoltà; inumano
il dispotismo de’ padri; l’incitare ognuno alla libertà di pensare, e di operare; lo
spargere delle palliate, e ingegnose empietà nel mezzo alla “commozione degl’animi, e alle nobili passioni”, è quella sublimità, ch’io abborrisco, e quell’educazione popolare, ch’io non vorrei47.
Rappresentati con successo a Venezia nei teatri pubblici tra il 1771 e il
1772, i drammi di Mercier costituiscono il modello per eccellenza di questo
«sublime insidioso». Ed è quindi proprio su di essi che, come abbiamo già
accennato, si cristallizza la polemica di Gozzi espressa in testi teorici quali
la prefazione al Fajel, il Ragionamento ingenuo e l’Appendice. Nel Jenneval,
«dramma flebile dalle “nobili passioni”», per esempio, osserva Gozzi, Rosalia, la protagonista, una «meretrice fuori d’ogni equivoco», non solo non è
punita in modo esemplare, ma alla fine viene perdonata ed è lei l’eroina del
dramma48. Il cosiddetto «dramma educatore», è in realtà una «turpe, ed abborribile scuola di seduzione» che tratta «la morale al rovescio»49 e che rischia di trasmettere la sua corruzione non solo al pubblico ma anche agli attori. La prova è che in Francia non si sia trovata nessuna attrice onesta disposta a recitare quella parte, tranne delle «comiche meretrici», tanto che in
«Quel giorno il teatro si trasforma in un lupanare, e s’empie di mezzani, di
viziosi e di libertini»50. Per quanto riguarda il Disertore, Gozzi riconosce i
47
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 62.
Gli «animi commossi de’ spettatori sono tutti volti a Rosalia. Rosalia meretrice è in cattedra; le picchiate di mani sono di Rosalia» (ibid., p. 69).
49
«Turpe specchio di scellerato famigliare argomento di caratteri maneggiati da un industre scrittore, e spinti al maggior lume d’una insidia raffinata» (ibid., p. 68; vedi anche Fajel,
cit., p. 34).
50
«Lo schifo specchio di quest’opera, non può che lasciare un’impression perniziosa. La
lorda lascivia, la scellerataggine, e la seduzione, che dimostrativamente, e con acutezza maneggiate occupano la parte spirituale de’ spettatori, e divengono lo scopo principale in essa; o scandalezzano, o ammaestrano al male “l’umanità per lo più inclinata ad appagare le proprie sfrenate passioni” [...] crederò bene, che le “spose”, e le “fanciulle” possano per lo meno apprendere da Rosalia cento colpi secreti efficaci, e cento artifizi per sedurre uno sposo, od un amante
ad appagare una loro vendetta, un loro dispendioso capriccio, a cagionare un’inimicizia, un’oppressione, una dissensione, una divisione, una rovina d’una famiglia» (ibid., p. 70). Si vedano
sull’argomento i contributi di L. Giari e L. Comparini in questo volume.
48
Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
235
meriti di quest’opera «trattata [...] con un giro della più efficace passione e
da sublime scrittore», ma ne denuncia immediatamente «il veleno sublime»,
in quanto espressione della «scienza insidiosa del secolo nella dimostrazione, e ne’ sentimenti»51. Infatti, anziché insegnare ai soldati a non disertare, a
rispettare il proprio dovere, il dramma suscita orrore e compassione per il disertore: «condannato codesto disertore alla morte per le leggi necessariamente indispensabili dell’armata, lascierà gli spettatori vinti dall’orrore, e dalla
compassione, e ripieni di perniziosissimo abborrimento contro a’ principi, ed
a’ provvidi legislatori»52. Ciò che rende pericoloso questo dramma sta precisamente nella retorica del sentimento («invettive», «colori rettorici», «sentimenti»), che difendendo il ius di natura, educa i popoli all’insubordinazione,
svincolandoli «dall’obbedienza dovuta alle leggi de’ principi»53. Tra i drammi di Mercier L’Indigent è quello preferito da Gozzi, che però precisa, ben
due volte, «da leggersi con piacere», ma mai «come composizione da esporsi
sul teatro»54:
Si scopre in questo uno scrittore iracondo col governo, e coi ricchi della sua nazione. La morale di questo dramma è ottima, ma la massima fondamentale è pericolosa, e guasta la buona morale, di cui fa mal uso. Sotto il pretesto d’esser utile
all’umanità, egli maltratta, e dipinge il governo, e i ricchi, come tiranni, ignoranti, usurpatori, superbi, insolenti, e si svelena55.
Perché la morale è ottima, mentre la massima è pericolosa? Evidentemente Gozzi apprezza la componente morale dell’opera, la sua valorizzazione dei buoni sentimenti dei personaggi, mentre ne denuncia le implicazioni
politiche. Mostrando il conflitto tra le classi, e soprattutto individuando nella
ricchezza dei pochi la causa della miseria dei molti, anziché dipingere una
sana rassegnazione degli indigenti, il dramma li mostra consapevoli e critici
dell’ingiustizia, facendosi così strumento di «educazione a’ popoli, e di sollievo all’umanità»56. La massima non è altro che la lezione politica derivata
da questo «specchio» teatrale e consiste, come afferma Gozzi con riprovazione: «[nel] porre in ludibrio i governi, e gli agiati, e l’accendere il minuto
popolo contro quelli in un pubblico teatro [...]»57. Per questo motivo, com-
51
Ibid., p. 65.
Ivi.
53
Ibid., p. 66.
54
C. GOZZI, Appendice al Ragionamento ingenuo, cit., p. 100.
55
Ivi.
56
Ibid., p. 101.
57
Ivi.
52
236
Camilla M. Cederna
menta Gozzi, «La virtù posta dal signor Mercier negl’indigenti, è impertinente in modo, che perde de’ suoi attributi»58. Ciò che Gozzi condanna è
dunque non solo il contenuto politico sovversivo del nuovo genere, ma anche
e soprattutto la funzione svolta da questo teatro, ed espressa da autori come
Mercier, Falbaire, Saurin, Beaumarchais, Voltaire, e dai loro traduttori impostori. Il pericoloso specchio delle loro opere anziché educare il popolo divertendolo innocentemente, lo spingerebbe all’insubordinazione e al rovesciamento dei valori tradizionali su cui si regge l’attuale sistema sociale:
Questa è quella sublimità di educazione popolare, che trattata ne’ teatri dagli “industri scrittori colla commozione degl’animi, e colle vive impressioni”, fa giudice la umana ingordigia, e sfrenatezza di se medesima, la irrita contro la subordinazione, che l’ha soggiogata colle provvide leggi dettate dal lungo corso dell’esperienza; spezza il necessario freno alle “figliuole, a’ figliuoli, alle mogli, a’
servi, a’ sudditi”; distrugge la immagine grande, e utilissima della religione, e il
timore di un giudice punitore invisibile; cagiona i matrimoni disuguali non preveduti, sconvolgitori dell’ordine delle famiglie, i commiserevoli frequenti suicidi, gli assassini, e persino i non rari abbominevoli attentati, a’ dì nostri, alle sacre
vite de’ giudici, e de’ monarchi59.
Gozzi è insomma convinto che la sublimità sovvertitrice di queste opere,
mostrando e suscitando la commozione, possa attraverso le lacrime svolgere
un effetto perlocutorio sugli spettatori, e in particolare sul «minuto popolo»,
spingendolo a ribellarsi alle leggi, ai sovrani, alla religione:
All’umanità, per lo più inclinata ad appagare le proprie sfrenate passioni, sono
perniziosissimi maestri gli empi caratteri posti in scena da un industre scrittore,
e spinti al maggior lume di un’insidia raffinata, spezialmente se questi tali empi
non hanno un castigo adeguato a’ misfatti loro, il qual castigo proporzionato che
sia, riesce uno spettacolo insofferibile agli sguardi de’ nostri umani spettatori60.
Per questo motivo, afferma Gozzi, «È bene il serbare l’effetto delle lagrime alle tragedie», a un genere cioè il cui compito è quello di mostrare «i
Principi soggetti alle passioni, alle debolezze, alle afflizioni, ed a tutte quelle
miserie che eguagliano l’umanità», ma che a differenza della commedia si rivolge a un pubblico ricercato61. Ben altri specchi dovrebbero essere presen58
Ibid., p. 100.
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., pp. 62-63.
60
C. GOZZI, Fajel, cit., p. 34.
61
Ibid., p. 24. Il compito della commedia è invece quello di suscitare «Sali, arguzie, critiche
sul mal costume, buon esempio, e giovalità, ma con quella decenza, che sia degna d’uno scrittore, a cui si possa dare legittimamente, il titolo di scrittore, più che il titolo di scrivanello» (ivi).
59
Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
237
tati a un pubblico universale, e il nostro conte difensore dell’ordine esistente
ci dà una lezione di puro conservatorismo: «[...] rimanendo nei miei pregiudizi crederò perpetuamente di veder il genere umano esser sempre composto
di presidenti al governo dispotici, di ricchi, di semiricchi, di poveri, e di miserabili: che ognuno nel proprio stato conosca ciò, ch’è giusto, qual sia il
proprio dovere, e la via di farsi amare»62. Il teatro deve insomma procurare
al popolo «un lecito divertimento» ed educarlo nella semplicità, «in una immagine grande della religione nel timore verso il principato, e le leggi, nell’assiduità delle arti», attraverso «delle parodie facete, del mirabile, della forte, ma onesta passione»63. In questo senso, la commedia improvvisa appare
a Gozzi come il genere più adatto a soddisfare il desiderio di divertirsi del
pubblico universale «il quale averà sempre il diritto di godere di ciò, che gli
piace, di ridere a ciò, che lo solletica»64. Producendo innocente divertimento
non privo di una «sana morale» essa rappresenta un argine al sublime insidioso65. A coloro i quali lo accusano di essere un «disturbatore alla introdu-
62
C. GOZZI, Appendice, cit., p. 101.
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 71. Per quanto riguarda il teatro come «divertimento innocente popolare»: «[...] non ci scordiamo giammai, che il recinto de’ teatri diviene una scuola universale. Non difendo la barbarie, ma disprezzo la falsa sublimità della
scienza, che d’oltremonti giugne a farsi adottare da noi», ibid., p. 62; cfr. anche ibid., p. 88, e
la la prefazione al Fajel, cit., p. 32. Gozzi distingue tra diversi tipi e funzioni del teatro, tra opere colte e incolte, le prime immortali e rivolte a un pubblico limitato, le seconde effimere e rivolte a un pubblico vasto. Pur non escludendo altre forme teatrali colte dirette a un pubblico
scelto, Gozzi propende nettamente per un teatro in quanto puro divertimento, il cui scopo sia
quello di sollevare l’umanità, e non di impartire lezioni: «Lunge dal credere i Teatri una cattedra, io non ho mai potuto giudicarli più che recinti, ne’ quali delle adunanze vanno in traccia
di spassarsi per il corso di tre ore circa», ibid., p. 27.
64
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 48. Tuttavia, egli pur giudicandola «un trattenimento d’una spezie affatto separata da quella delle rappresentazioni scritte, e maturate»
(ibid., p. 49), la considera un genere immortale: «Il corso de’ secoli, e la sperienza mi fa discender a pronosticare, che, se non si chiudono i teatri d’Italia, la commedia improvvisa non
abbia giammai ad estinguersi» (ivi), degna di un pubblico universale, non «ignorante plebaglia», ma piuttosto un «uditorio nobile», lo stesso che va ad assistere alla premeditata.
65
Altri argomenti in difesa della commedia improvvisa sono quelli della novità del genere
e delle opere prodotte, confermata dal successo di pubblico; nella prospettiva di risollevare il
teatro dalla decadenza che colpisce «i generi delle opere teatrali, che si producono scritte»
(ibid., p. 50), Gozzi vede nella sussistenza della commedia dell’arte, o di forme ad essa conformi, la garanzia della sopravvivenza economica del teatro. I traduttori italiani dei drammi flebili francesi, sarebbero allora secondo Gozzi doppiamente colpevoli, per aver, da un lato, condotto alla «Soppressione della commedia italiana improvvisa, spettacolo, che certamente fu
sempre necessario alle nostre truppe, e pregio della nostra nazione» (ibid., p. 57). Dall’altro,
per aver comunicato il desiderio di «sognata coltura», e quindi inibito la capacità di provare
piacere e felicità attraverso un passeggiero teatrale divertimento» (ibid., pp. 76-77).
63
238
Camilla M. Cederna
zione della coltura teatrale in Italia», Gozzi risponde di lodare «la sottile, e
sublime coltura ne’ grandi, ma non nel minuto popolo». L’equazione tra da
una parte, la fruizione popolare di un sapere e di una cultura «seria», e dall’altra, l’insubordinazione, la minaccia all’ordine costituito, è chiaramente
espressa da Gozzi:
Non ho riguardo a dire, che se mai avvenisse che un Pubblico ne’ suoi teatrali divertimenti concessi da’ Principi come necessari, si riducesse universalmente a intendere, e a godere le sole opere colte e sublimi, e a disprezzare, e ad abbandonare le capricciosamente facete, semplici, e intelleggibili a ciascheduno, allora
sarà che i Principi dovranno temere, che i loro popoli sieno stati più corrotti, che
educati, ed avranno maggiore necessità di invigilare sulla direzione di quelli66.
Alla falsa educazione, Gozzi oppone la semplicità, che va distinta dall’ignoranza, e il riso che è segno di un atteggiamento distaccato e di rassegnazione: «ch’è anzi un furente tiranno colui, che cercando di risvegliarli co’
sofismi, e con una pericolosa sublimità, gli fa inquieti, e gli espone a’ funesti
necessari castighi di chi governa»67.
Oltre alla condanna morale e politica, Gozzi sviluppa una critica più
strettamente formale dei drammi flebili, di cui sottolinea la mancanza di novità e di originalità. Trattandosi fondamentalmente di «tragicommedie» e
spesso di trasposizioni teatrali di romanzi stranieri, soprattutto francesi, essi
non avrebbero alcuna qualità tale da renderli immortali, e neppure servirebbero a sollevare le compagnie teatrali68. La soluzione proposta allora da Gozzi è quella fondata su una poetica «che difenda le opere di teatro parodiache,
capricciose, di passione robusta, innestata al mirabile decorato, e popolari»69.
Ai drammi flebili oppone allora i propri «capricci» teatrali, che considera superiori non solo dal punto di vista morale, ma anche da quello formale:
[...] ma se l’effetto di questi [dei drammi flebili] sarà il far ridere, il far piagnere,
e il tener fermo un uditorio, non si nieghi, che con una buona morale io non abbia
cagionati gli stessissimi effetti col Corvo, e colla Donna serpente, col Mostro turchino, colla Donna Elvira, e con altre; mi riservo a provare, ch’io ebbi il coraggio
di andar più innanzi colle mire di educazione nelle mie fiabe, che non andarono
i drammatici dalle flebilità, e che le mie fiabe, quali si sieno, sono più originali,
e più nuove nell’indole de’ drammi flebili70.
66
C. GOZZI, Fajel, cit., p. 32.
C. GOZZI, Il ragionamento ingenuo, cit., p. 62.
68
Ibid., pp. 51, 77.
69
Ibid., p. 72.
70
Ibid., p. 75.
67
Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
239
Alle lacrime del genere serio, egli oppone il riso, scatenato dalla parodia,
la satira o l’allegoria:
Io non ho, che divertito i miei nazionali in teatro con delle opere innocenti, sostenendo il mirabile, passione indivisibile dall’umanità, colla forte e modesta
passione di circostanza, vestita di quella eloquenza pittrice, che a me fu possibile,
ma nulla certamente dannosa; colla imitazione della natura, tuttoché ciò non si
voglia; con de’ voli faceti di fantasia, e con un’austera morale spesso allegorica71.
La «responsabilità delle forme» trent’anni dopo
Gozzi è profondamente consapevole delle implicazioni morali e politiche
del genere serio, della «responsabilità delle forme», per usare un’espressione
cara a Roland Barthes. Trent’anni dopo il Ragionamento ingenuo e l’Appendice, nella sua ultima riflessione critica, del 1804, La più lunga lettera di risposta che sia stata scritta, inviata da Carlo Gozzi ad un Poeta teatrale italiano de’ nostri giorni, egli ammetterà: «Io guardai sempre, e guardo tutt’ora
la moltitudine de’ nostri teatri aperti all’universale con occhio poetico è vero,
ma altresì con occhio morale, non meno che con occhio politico»72. La storia
aveva confermato i suoi più neri pronostici: la sua patria, la Repubblica, era
crollata, e il vecchio ordine era stato stravolto dalla Rivoluzione francese.
Ma qual era stato (se c’era stato) il ruolo del teatro in questo sovvertimento
generale? Nella sua «più lunga lettera», una sorta di testamento spirituale,
Gozzi risponde a questa domanda in modo inequivoco, dedicando numerose
pagine proprio al fenomeno dell’inondazione dei nostri teatri di traduzioni di
opere francesi dei nuovi generi: «Tragedie urbane, o Drammi flebili, o Melodrammi ec.»73. Sono per lui ormai evidenti gli effetti nefasti di queste opere
seminatrici di «sfrenata libertà, di sofismi insidiosi, di sedutrice falsa dottri-
71
Ibid., p. 58. I suoi spettacoli comici popolari sono fondati sull’innesto di vari generi, sulla matrice di base rappresentata dalla commedia dell’arte, da lui considerata il genere teatrale
per eccellenza, l’ur genere, il grado zero del teatro. In questo senso, egli si oppone a Diderot
che negli Entretiens sur le Fils naturel invece sostiene che la base, l’essenza del teatro consista
nel genere serio.
72
C. GOZZI, Opere edite e inedite, 14 voll., Venezia, Zanardi, 1801-1804, vol. XIV, p. 114.
La lettera è da lui datata «Venezia 20 aprile 1801». Cfr. P. VESCOVO, La più lunga lettera di risposta che sia stata scritta... Riflessioni sull’ultimo Gozzi, in Carlo Gozzi, letteratura e musica,
a cura di B. Guthmüller e W. Osthoff, Roma, Bulzoni, 1996.
73
C. GOZZI, Opere edite e inedite, cit., p. 48. Pur mettendo in evidenza alcuni meriti di queste opere, la valutazione globale è negativa.
240
Camilla M. Cederna
na detta illuminata coltura» e di «contagiosa filosofica nebbia aumentatrice
della setta de’ libertini, e conduttrice alla cecità dell’empio ateismo»74. Del
resto già nell’Appendice, aveva annunciato con profetica lungimiranza che
«Quello che si chiama specchio di coltura della Francia, non è, che lusso
sterminatore di tutte le famiglie di quella nazione»75. Adesso si rivolge agli
storici affinché confermino gli «atroci, sterminatori, inauditi, barbari effetti»
di questi generi che «sotto il manto delle delicate passioni, della regolarità,
della coltura, delle vantate filosofiche riforme, non erano che tralci d’una
propaganda sui cervelli, e ne’ cuori di tutte le popolazioni, di quella insidiosa
scienza del secolo»76.
Le critiche principali a queste opere sono i loro eccessi, le loro esagerazioni del sentimento che sfociano in un ridicolo non voluto:
Noi udimmo una locuzione, e de’ frasari di una strana musica stornatrice, e nuova
agli uditi dell’Italia; delle lunghe schidionate di sentimenti raggirati, ravviluppati
in una stiracchiata metafisica. Vedemmo de’ padri e delle madri umani, e teneri
eccessivamente; disumani e tiranni eccessivamente. Degl’indigenti virtuosi eccessivamente, oppressi perseguitati eccessivamente. De’ nobili liberali eccessivamente; avari, violenti, sopraffatori, e ignoranti eccessivamente. De’ ministri amministratori della giustizia di una eccessiva probità, e scellerati eccessivamente.
Degli amanti energumeni, convulsionarj, invasati, furenti all’eccesso77.
Gozzi non perde mai di vista la fonte di questo pericoloso teatro, e le esagerazioni sentimentali citate per criticare gli adattamenti teatrali italiani del
genere serio francese, lasciano chiaramente intravedere i modelli originali
cui si riferiscono e in particolare i drammi di Mercier. La critica degli eccessi
sentimentali è strettamente legata alla denuncia di una morale pericolosa e
minacciante i solidi valori della tradizione e della gerarchia sociale78. Una
morale che, ammonisce Gozzi, deriva direttamente dal pensiero filosofico
francese:
Traete la conseguenza di questo sofisma filosofico dell’arciempio Voltere, e de’
suoi seguaci, predicato ne’ libriccini, e sulle pubbliche scene alle fanciulle. Le-
74
Ibid., p. 61.
C. GOZZI, Appendice, cit., pp. 127-128.
76
Ibid., p. 51.
77
Ivi.
78
«[...] udimmo delle ardenti invettive contro le leggi che minacciavano la pena di morte
agl’infanticidi, come se quelle provide sacre leggi unite ad una falsa educazione di sentimento
d’un falso onore, fossero degli infanticidi cagione», ibid., pp. 52-53.
75
Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
241
vate il pudore, e il terrore alle fanciulle e alle donne, voi le vedrete mostri di sfrenatezza. Date un’occhiata in giro alla terra, e vederete un enorme abborribile,
brutale progresso de’ sopra accennati dettami di rigenerazione addobbato col velo di una indecentissima decenza79.
Dagli eccessi sentimentali a quelli rivoluzionari il passo è breve, sempre
per il tramite del «filosofo democratico», da un lato «sensibile a sollievo della povera umanità», e dall’altro responsabile dei peggiori eccessi:
[...] spingendo poscia due milioni di uomini, che non sono nè muti nè sordi, impiccati alle lanterne, sommersi ne’ fiumi, cacciati alle carneficine, e alla morte
soto a’ colpi di cannoni caricati a mitraglia, a nudrirsi di ruberie e di saccheggi,
mandandone di ramminghi due altri milioni spogliati delle loro legittime proprietà; riducendo altri due milioni loro fratelli in Cristo, senza il pane quotidiano, e
tutto ciò per soavissima umanità filosofica democratica80.
Insomma le nazioni come l’Italia e la Germania, che furono infettate da
questi drammi flebili non si accorsero che:
[...] que’ generi erano rami della infernale propaganda rivoluzionaria diabolica
scienza del secolo, attissimi a far ribellare i cervelli, e gl’animi poco a poco di
tutti i popoli dalla indispensabile catena armonica della subordinazione, e forieri, e fiancheggiatori delle due velenose parole: Libertà e Uguaglianza, per far innaffiare i campi d’ umano sangue; per far ridere e trionfare de’ scellerati; per far
piangere calpestati degl’innocenti fedeli; per capivolgere il mondo tutto, e per
porre in necessità di comparire tiranni i più giusti Governi, e i più umani Monarchi81.
Nel nuovo mondo post-rivoluzionario tutti i valori sono stati rovesciati. Il
riso adesso appartiene agli «scellerati», membri del popolo insubordinato e
sanguinario, e le lacrime agli «innocenti fedeli», da esso calpestati.
79
Ivi.
Ibid., p. 56. L’occasione è fornita a Gozzi da un’ultima novità teatrale francese, il dramma storico, L’abate de l’Epée. Commedia storica, di G.N. Bovilly, in cui il protagonista è un
giovane sordomuto educato da un «caritatevole eroe maestro», che per Gozzi rappresenta il filosofo democratico. «Di tali barbari eccessi – commenta Gozzi in nota – furono cagione le larve democratiche suscitate da pochi falsi filosofi ambiziosi; eccessi, che oggidì sono contemplati con orrore, e con pungenti rimorsi dalla valorosa Nazione nel mezzo alla quale avvenirino», ivi.
81
Ibid., p. 111.
80
242
Camilla M. Cederna
Ritorno ad Arlecchino
Solo qualche anno prima, nel 1798, Mercier, profeta deluso della Rivoluzione, aveva voltato le spalle al dramma borghese, apprezzando tardivamente
la libertà associata alla cultura carnevalesca e al riso:
Heureux Arlequin, quand tu es sur la scène, tu tournes ton chapeau à ta fantaisie:
personne ne te crie les trois pointes, les trois unités. On ne te fatigue point en
vociférant sans cesse le chapeau à haut bord de Corneille, le carton fin et poli de
Racine, le retapé de Voltaire. On ne te parle jamais de l’art poétique de Boileau,
d’Aristote: tu fais à ta guise. Mais hélas il n’est permis qu’à toi de créer des formes variées, souples ingénieuses. Croirais-tu, heureux Arlequin, que mon chapeau ne m’appartient pas? Je ne sais auquel entendre: Règles, Dissertation; j’ai
beau dire: l’art dramatique ne connaît point de règles. Il y a de la magie dans
tous les arts82.
Dopo aver lottato tanto per far rappresentare i suoi drammi dalla Comédie-Française, Mercier riconosceva, nel Nouveau Paris il valore del teatro
preferito dal popolo, l’opera e le commedie dei Boulevards, e guardava con
nostalgia ad Arlecchino, simbolo della libertà delle forme teatrali e letterarie
resa possibile dalla tradizione popolare della commedia dell’arte.
82
Cit. in P. FRANTZ, L’usage du peuple, in Un hérétique en littérature, cit., pp. 76-77.
Sommario
7
ANDREA FABIANO
Premessa
11
ANNA SCANNAPIECO
Le convenienze di una «volontaria amichevole assistenza»:
Carlo Gozzi e i comici
29
MARZIA PIERI
Da Andriana Sacchi a Teodora Ricci: percorsi di drammaturgia
51
FABIO SOLDINI
Rapporti tra Carlo Gozzi e gli attori nella corrispondenza
e nelle carte autobiografiche. Un episodio significativo:
Teodora Ricci nelle pagine inedite delle Memorie inutili.
In Appendice: [Storia di Teodora Ricci]
75
ALBERTO BENISCELLI
Nel laboratorio delle Fiabe, tra vecchie e nuove carte
93
VINCENZA PERDICHIZZI
Didascalie ed indicazioni registiche nelle Fiabe di Gozzi
107
GIULIETTA BAZOLI
Dal Serpente alla Donna serpente:
prime riflessioni sulla vicenda compositiva
436
Sommario
129
JAVIER GUTIÉRREZ CAROU
Il Fondo Gozzi e la genesi della Turandot
141
PIERMARIO VESCOVO
Il repertorio e la «morte dei sorzi».
La compagnia di Antonio Sacchi alla prova
155
MARIA GRAZIA PENSA
La favola di Eco e Narciso
171
ANDREA FABIANO
Le trame del corpo.
I balletti pantomimi di Gozzi: prime osservazioni
187
PÉRETTE-CÉCILE BUFFARIA
Carlo Gozzi et la «réforme» du théâtre
195
LUISA GIARI
Carlo Gozzi in guerra con le traduzioni del teatro francese moderno,
ovvero i sentimenti nascosti sotto le idee
209
LUCIE COMPARINI
«Cela est trop commode pour être séant».
Carlo Gozzi traducteur de tragédies françaises
dans la polémique théâtrale de son temps
223
CAMILLA M. CEDERNA
Specchi pericolosi. Carlo Gozzi critico del dramma flebile francese
243
GÉRARD LUCIANI
Carlo Gozzi e il teatro della Foire
255
GIOVANNA SPARACELLO
Aux origines du magique chez Gozzi. Les canevas de magie de
Carlo Antonio Veronese à la Comédie-Italienne de Paris (1744-1759)
267
GINETTE HERRY
I pitocchi fortunati, les contes persans et Mesure pour Mesure
279
SUSANNE WINTER
Carlo Gozzi e il teatro a Vienna
Sommario
437
291
ROXANE MARTIN
Des Fiabe teatrali aux féeries théâtrales: quelle continuité?
303
STÉPHANE PESNEL
La référence à l’œuvre de Carlo Gozzi dans le fragment dramatique
Prinzessin Blandina d’E.T.A. Hoffmann
317
BENT HOLM
Il Corvo canta. Una lettura dell’adattamento lirico di
Hans Christian Andersen del Corvo di Gozzi
329
JEAN-FRANÇOIS CANDONI
Le rôle de Carlo Gozzi
dans la constitution de la dramaturgie wagnérienne
343
RAISSA RASKINA
Carlo Gozzi e il «neo-romanticismo» teatrale
nella Russia del primo Novecento
357
FRANCO ARATO
I vagabondaggi della verità: Il re cervo di H.W. Henze
369
CARMELO ALBERTI
Maschere del declino.
Aspetti della messinscena di Carlo Gozzi in Italia
385
FRANCO VAZZOLER
Il «travestimento fiabesco e gozziano» di Edoardo Sanguineti:
L’amore delle tre melarance per Benno Besson
399
Appendice
PAOLO GROSSI
L’articolo «Gozzi, le comte Charles» redatto da
Pierre-Louis Ginguené per la Biographie Universelle Michaud
411
Indice dei nomi e dei titoli
a cura di Silvia Spanu