Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Civile Sent. Sez. 1 Num. 1277 Anno 2016
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: NAPPI ANIELLO
SENTENZA
sul ricorso proposto da
George V Eatertainment s.a.
e George V Records
e.u.r.1., domiciliate in Roma, piazza Sallustio 9,
presso l'avv. Lorenzo Spallina, rappresentate e
difese dall'avv. Simona Matta, come da mandato in
calce al ricorso
- ricorrente Contro
Buddha Café s.r.1., domiciliata in Roma, viale Liegi 16, presso l'avv. Marco Saverio Montanari, che
la rappresenta e difende anche disgiuntamente con
l'avv. Paolo Riccardo Coppola
Zo
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Data pubblicazione: 25/01/2016
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- intimato avverso
la sentenza n. 3131/2010 della Corte d'appello di
Milano, depositata il 16 novembre 2010
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott.
uditi i difensori avv. Spallina per le ricorrenti
e avv. Montanari per la resistente
Udite le conclusioni del P.M., dr. Luigi Salvato,
che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano si pronunciò nella controversia insorta tra le
società francesi con sede a Parigi, George V Eatertainment s.a. e George V Records e.u.r.1., e la
società italiana Buddha Café s.r.1., attiva in
Milano. Ribadì così sia il rigetto delle domande
proposte dalle società francesi a tutela dei propri
marchi Buddha café e Buddha bar, di cui lamentavano
l'abusiva riproduzione da parte della società italiana, sia l'accoglimento della domanda
riconvenzionale della società convenuta, proposta
per la dichiarazione di nullità dei marchi rivendi..
a'gdiudici del merito, dichiarata l'inammissibilità
.
di documenti nuovi prodotti in appello dalle socie-
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Aniello Nappi
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tà francesi, ritennero che i marchi rivendicati
fossero nulli sia per mancanza di idoneità denota..
tiva, in quanto evocativi di una ben risalente e
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diffusa filosofia, sia per contrarietà all'ordine
pubblico, in quanto offensivi del sentimento reli-
Contro la sentenza d'appello hanno proposto ricorso
per cassazione le società francesi, deducendo sei
motivi d'impugnazione, illustrati anche da memoria,
cui resiste con controricorso la società italiana.
Motivi della decisione
1.1- Con il primo motivo le ricorrenti si dolgono
della dichiarazione di inammissibilità della produzione documentale in appello.
Sostengono che la disponibilità dei documenti è sopravvenuta alla precisazione delle conclusioni dinanzi al tribunale, che la loro mancata traduzione
in italiano non ne precludeva la produzione in giudizio, che comunque la pretesa di una loro produzione nel giudizio di primo grado si traduce in
un'inversione dell'onere della prova dei fatti allegati dalla convenuta a sostegno della propria domanda riconvenzionale. Infatti i documenti furono
e
destinati a smentire l'esistenza di altri locali
che facessero già uso in precedenza del riferimento
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gioso buddista.
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a Buddha; e a dimostrare il riconoscimento anche in
paesi buddisti della legittimità del marchio rivendicato.
1.2- Il motivo è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti,
in appello - previsto dall'art. 345, terzo comma,
c.p.c. con riferimento al rito di cognizione ordinaria e dall'art. 437, secondo comma, in relazione
al processo del lavoro - non attiene al merito della decisione, ma al rito, in quanto la relativa
questione rileva ai fini dell'accertamento della
preclusione processuale eventualmente formatasi in
ordine all'ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte»; ne consegue che, sia quando venga
dedotta in sede di legittimità l'erronea ammissione
sia quando venga dedotta l'erronea dichiarazione di
inammissibilità di una prova documentale in appello, «la Corte di cassazione, chiamata ad accertare
un "error in procedendo", è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a stabilire essa stessa se
si trattasse di prova indispensabile» (Cass., sez.
I, 17 giugno 2009, n. 14098, m. 609187, Cass., sez.
III, 24 febbraio 2011, n. 4478, m. 616057). Ciò
comporta che, nel caso di censurato diniego
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«il giudizio di indispensabilità della prova nuova
dell'ammissione, il ricorrente deve specificamente
.
indicare e allegare i documenti, per consentire alla corte di valutarne l'indispensabilità. Se è ve-
.
ro, infatti, che «la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale
anche giudice del fatto ed ha il potere - dovere di
esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia,
per il sorgere di tale potere - dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex
officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che
il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari
a individuare la dedotta violazione processuale»
(Cass., sez. V, 23 gennaio 2004, n. 1170, m.
569603). Mentre nel caso in esame le ricorrenti non
hanno adempiuto a quest'onere di specificità.
Quanto alla dedotta inversione dell'onere della
prova, la censura non coglie l'effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, che ha dichiarato la nullità dei marchi controversi per
l'inidoneità denotativa del riferimento a Buddha,
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indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è
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non per uno specifico preesistente uso commerciale
di
tale riferimento.
Mentre la contrarietà
all'ordine pubblico è una qualificazione giuridica
(Cass., sez. I, 23 febbraio 1977, n. 798, m.
384395), non un giudizio di fatto relativo alle re-
marchio commerciale del riferimento a Buddha.
2.1- Con il secondo motivo le ricorrenti si dolgono
che sia stata disattesa la loro eccezione di ultrapetizione, deducendo che i giudici del merito non
avrebbero dovuto dichiarare la nullità dei marchi a
norma dell'art. 7, lett. a), del regolamento Ce
1994/40, in accoglimento di una domanda riconvenzionale proposta con esclusivo riferimento alle diverse ipotesi di nullità previste dalle lettere b)
e c) del medesimo articolo. Sostengono che ciascuna
delle ipotesi di nullità costituisce titolo di
un'autonoma domanda; ed è erroneo l'assunto della
corte d'appello che interpreta la domanda della
convenuta come riferibile anche alla lettera a),
per astratta inidoneità denotativa del termine Buddha.
2.2- Il motivo è infondato.
Non v'è dubbio alcuno che, come sostengono le ricorrenti, ciascuno degli impedimenti alla registra-
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azioni della cultura buddista all'impiego in un
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zione previsti dall'art. 7 del Regolamento n.
40/1994 possano costituire titolo di un'autonoma
domanda. Tuttavia è evidentemente una questione di
qualificazione giuridica della domanda
l'inquadramento dei fatti allegati nell'una o
invocata. E secondo una giurisprudenza consolidata
di questa corte, il giudice può attribuire ai fatti
allegati dalle parti una qualificazione giuridica
anche diversa, o comunque indipendente, da quella
da esse stesse ipotizzata, senza così violare il
principio della domanda (Cass., sez. I, 31 luglio
2015, n. 16213, m. 636495, Cass., sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4439, m. 630128, Cass., sez. L, 25
marzo 2010, n. 7190, m. 612567).
Nel caso in esame è indiscusso che la Buddha Café
s.r.l. aveva richiesto in via riconvenzionale la
dichiarazione di nullità, a norma delle lettere b)
e c) dell'art. 7 Regolamento n. 40/1994, dei marchi
rivendicati dalle società attrici. Ma questa proposta di qualificazione giuridica non vincolava affatto il
tribunale, che ben poteva ricondurre
i
fatti allegati alla fattispecie prevista dalla lettera a) dello stesso articolo. Né le ricorrenti
hanno indicato specificamente quali dei fatti alle-
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nell'altra delle fattispecie descritte nella norma
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gati dalla Buddha Café s.r.l. fosse incompatibile
con la qualificazione ritenuta corretta dai giudici
del merito, essendosi limitate alla illustrazione
delle differenze tra le fattispecie normative. Non
è sufficiente infatti dedurre che la Buddha Cafe
dell'art. 7 Regolamento n. 40/1994, ma si sarebbe
dovuto dimostrare che i fatti effettivamente allegati fossero incompatibili con la fattispecie della
lettera a).
3.1- I motivi dal terzo al quinto attengono tutti
alla questione della nullità dei marchi rivendicati
dalle società francesi; e vanno dunque esaminati
congiuntamente.
3.2- Con il terzo motivo le ricorrenti deducono violazione di norme di diritto e vizi di motivazione
della decisione impugnata, lamentando che i giudici
del merito abbiano erroneamente considerato privo
di capacità distintiva il riferimento a Buddha sol
perché evocativo di un pensiero diffuso, con la
conseguenza che concetti come quelli di yoga o di
arte sarebbero altrettanto inidonei. Aggiungono che
la ritenuta mancanza di novità presupporrebbe la
preesistenza di un analogo diritto, mai manifestatasi. Mentre l'inidoneità intrinseca e astratta di
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s.r.l. aveva richiamato solo le lettere b) e c)
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un segno prescinde da qualsiasi riferibilità a specifiche categorie di prodotti commerciali; sicché
la nullità ex art. 7 lettera a) del Regolamento n.
40/1994 non può riguardare i marchi denominativi,
che hanno di per sé contenuto espressivo.
ancora violazione di norme di diritto, vizi di motivazione della decisione impugnata e omessa pronuncia su un motivo d'appello.
Sostengono che, quand'anche volesse negarsi la differenza tra mancanza di capacità distintiva in astratto, prevista dall'art. 7 lettera a) Regolamento n. 40/1994, e mancanza di capacità distintiva in
concreto, prevista dallo stesso articolo alla lettera b), dovrebbe egualmente riconoscersi che i
marchi controversi sono dotati di concreta capacità
distintiva e che non sono meramente descrittivi dei
servizi o prodotti contrassegnati. Infatti, trattandosi di marchi complessi, vanno esaminati nel
loro insieme, in modo che risulti evidente la capacità distintiva ascrivibile alla parola Buddha ove
associata alle parole Bar o Café. Si tratta anzi
di marchi particolarmente suggestivi, e quindi forti, secondo le ricorrenti, perché instaurano una
connessione anomala tra parole concettualmente
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3.3- Con il quarto motivo le ricorrenti deducono
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sconnesse. E comunque i marchi rivendicati hanno
assunto una spiccata capacità distintiva in ragione
della notorietà derivatane dall'uso cui sono stati
destinati dalle ricorrenti, come riconosciuto in
analoghi precedenti giudizi sia in Italia sia
d'appello hanno omesso di pronunciarsi nonostante
uno specifico motivo di impugnazione.
D'altronde non si è mai preteso di discutere del
pensiero buddista, ma dell'inserimento della parola
Buddha in un marchio complesso, la cui degradazione
a una funzione meramente descrittiva, anziché distintiva, avrebbe richiesto la prova, non fornita,
di un già diffuso accostamento della parola Buddha
a "bar" o "cafè" anteriore alla registrazione dei
marchi rivendicati.
3.4- Con il quinto motivo le ricorrenti denunciano
violazione di norme di diritto e vizi di motivazione della decisione impugnata, deducendo che la contrarietà all'ordine pubblico dei loro marchi, per
il riferimento a Buddha, è stata dichiarata su sollecitazione della Buddha Cafè s.r.1., utilizzatrice
di analoghi contrassegni.
Sostengono che il riferimento a Buddha non ha alcuna implicazione religiosa e che la sua ipotizzata
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all'estero: un aspetto questo sul quale i giudici
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contrarietà all'ordine pubblico è stata comunque
esclusa sia dall'Ufficio per l'Armonizzazione nel
Mercato Interno sia dall'Ufficio Italiano Brevetti
e Marchi, nel presupposto che l'utilizzazione di
riferimenti religiosi possa qualificarsi come ille-
crilega, non essendo sufficiente la mera contrarietà al buon gusto. Sono del resto molti i marchi registrati che includono riferimenti religiosi, riconosciuti validi anche da autorità giudiziarie italiane.
Aggiungono di aver provato l'assenza di qualsiasi
contrarietà della comunità buddista, che peraltro
doveva essere provata dalla Buddha Cafè s.r.l. Ri-
r
levano infine che la mancanza di autorizzazione
o
della autorità competente, rilevata dal tribunale,
non è pertinente, perché il regolamento la richiede
quando si tratti di emblemi o stemmi di enti o amministrazioni pubbliche, non di nomi come quello di
Buddha.
3.5- I tre motivi in esame investono entrambe le
rationes decidendi delle sentenze di merito: sia
quella fondata sulla ritenuta mancanza di idoneità
.z
denotativa della parola Buddha, in quanto evocativa
di una ben risalente e diffusa filosofia, sia quel-
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cita solo quando risulti chiaramente blasfema o sa-
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la della ritenuta contrarietà all'ordine pubblico
di tale evocazione, in quanto offensiva del sentimento religioso buddista.
I motivi terzo e quarto, relativi all'idoneità distintiva del riferimento a Buddha, sono entrambi
che del quinto motivo relativo alla contestata contrarietà all'ordine pubblico dei marchi controversi.
Secondo quanto prevede l'art. 4 sia del Regolamento
n. 40/1994 sia del Regolamento n. 207/2009, che
l'ha sostituito, «possono costituire marchi comunitari tutti i segni che possono essere riprodotti
graficamente, in particolare le parole, compresi i
nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre,
la forma dei prodotti o del loro confezionamento, a
condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli
di altre imprese».
E' dunque manifestamente infondato l'assunto delle
ricorrenti che la nullità ex art. 7 lettera a) del
Regolamento n. 40/1994 non possa riguardare i marchi denominativi, che hanno di per sé «contenuto
espressivo». L'inidoneità distintiva può infatti
riguardare anche i nomi delle persone, la cui uti-
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infondati; e il loro rigetto risulta assorbente an-
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lizzazione è ammessa solo quando «siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da
quelli di altre imprese», come ribadisce l'art. 7
del d.lgs. n. 30/2005. Non è sufficiente dunque che
i nomi abbiano un «contenuto espressivo», come af-
gnificato del nome e comunque delle parole utilizzate risulti idoneo a identificare un prodotto o un
servizio come proveniente da una determinata impresa, atteso che il significato delle parole dipende
dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo
in cui si inseriscono. Un marchio anche denominativo può essere dunque nullo sia quando i nomi utilizzati non siano idonei a indicare la provenienza
di un prodotto (art. 7 lettera a), sia quando, pur
essendo i nomi idonei a denotare la provenienza del
prodotto, non valgano a distinguerlo da altri prodotti simili (art. 7 lettera b).
Nel caso in esame i giudici del merito hanno ritenuto che il riferimento a Buddha non abbia affatto
idoneità denotativa, perché non evoca solo una religione, ma comunica adesione o comunque interesse
per una filosofia e uno stile di vita connotativi
di un costume pertinente ormai alle più diverse manifestazioni dell'agire sociale, dalla letteratura
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fermano le ricorrenti, ma è necessario che il si-
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alla musica, dalle arti figurative alla cucina,
tanto da essere divenuto una moda. E questo giudizio, fondato evidentemente su un accertamento di
fatto, è del tutto plausibile, perché lo stesso accostamento del termine Buddha ai termini "bar" o
anomalo o inusuale, come si sostiene, essendo questi luoghi di ritrovo tradizionalmente ricollegabili nella tradizione culturale dell'occidente anche
a particolari espressioni della letteratura o più
in generale dell'arte.
Il giudizio di fatto che si esprime nella decisione
impugnata è dunque incensurabile in sede di legita
timità (Cass., sez. I, 28 febbraio 2006, n. 4405,
m. 589976).
4.1- Con il sesto motivo le ricorrenti denunciano
l'omessa pronuncia dei giudici d'appello sul motivo
dell'impugnazione di merito con il quale si erano
dolute del mancato accoglimento della domanda di
risarcimento danni da concorrenza sleale.
Sostengono che anche un socio della società convenuta aveva riconosciuto di avere aperto il locale
milanese «sulla scia del successo del Buddha bar di
Parigi». Sicché era palese e riconosciuta
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wcafè", enfatizzato dalle ricorrenti, non è affatto
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l'imitazione servile, esclusa dal tribunale solo
per la lontananza geografica dei due locali.
4.2- Il motivo è infondato.
Come risulta dalle conclusioni formulate dalle ricorrenti nel giudizio d'appello, riportate
di risarcimento danni proposta dalle attrici postulava esclusivamente la fattispecie di concorrenza
sleale prevista dall'art. 2598 n. 1 c.c., in quanto
connessa alla contraffazione dei marchi rivendicati. La stessa imitazione servile lamentata con il
ricorso non è riferita alla confondibilità dei prodotti offerti dalla società italiana, ma solo appunto all'utilizzazione del riferimento a Buddha.
Ne consegue che la decisione sui motivi d'appello
relativi alla lamentata contraffazione, con
l'esclusione della capacità distintiva del nome
Buddha, è implicitamente riferibile anche alla domanda di concorrenza sleale.
Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti,
«non è configurabile il vizio di omessa pronuncia
(art. 112, c.p.c.) quando una domanda non espressamente esaminata debba ritenersi rigettata - sia pure con pronuncia implicita - in quanto indissolubilmente avvinta ad altra domanda che ne costitui-
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nell'epigrafe della sentenza impugnata, la domanda
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sce il presupposto e il necessario antecedente logico - giuridico, che sia stata decisa e rigettata
dal giudice» (Cass., sez. III, 23 settembre 2004,
nr
n. 19131, m. 577303, Cass., sez. L, 4 agosto 2014,
n. 17580, m. 631894).
corso è inammissibile; il secondo, il terzo, il
quarto e il sesto infondati; il quinto assorbito.
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al rimborso delle spese in favore della resi.4
stente, liquidandole in complessivi e. 8.200, di
cui e.
8.000 per onorari, oltre spese generali e
accessori come per legge.
Roma, 16 dicembre 2015
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5. In conclusione, dunque, il primo motivo del ri-